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L’autostrada Broni-Pavia-Mortara. Il progetto definitivo e l’illegittimità della procedura.

 

L’autostrada Broni-Pavia-Mortara
Il progetto definitivo e l’illegittimità della procedura

CARLO LUCA COPPINI*

Le aree agricole che verranno espropriate per la realizzazione della tratta lombarda dell’autostrada Pavia – Broni – Mortara raggiungono i 6,5 milioni di mq di superficie. Gravissime saranno le ripercussioni sul terreno coltivato e sull’economia locale. In cambio di che cosa, non si sa!

Con questa esclamazione il giornalista Luigi Corvi (in Corriere della Sera, 30 marzo 2012, pag. 14) – prosegue il dibattito avviato più di cinque anni or sono, allorquando i cittadini delle aree interessate dalla tratta autostradale venivano interpellati per presentare le proprie osservazioni al progetto preliminare dell’opera.

Le osservazioni potevano riassumersi in alcuni punti essenziali che, ancora oggi, contraddistinguono: A) l’incertezza della previsione dei costi e dell’utilità dell’opera, nonché B) i diversi danni che l’opera procurerà.

A – Quanto alle diverse incertezze che l’opera è destinata a generare, è possibile collegarsi ad un recente scritto di Luca Pardi (membro CNR e Presidente dell’ASPO Italia – Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio) sul tema delle grandi infrastrutture di trasporto che anima le discussioni sull’utilità di strade, autostrade, metropolitane, alta velocità. In particolare, l’autore ha riferito i risultati di una ricerca di Bent Flyvbjerg della Said Business School dell’Università di Oxford che ha esaminato il caso di 258 grandi progetti infrastrutturali nel campo dei trasporti (ferrovie, ponti e gallerie, strade) in 20 Nazioni distribuite in ogni parte del mondo (cinque continenti). La ricerca mostra che le previsioni dei costi sono regolarmente sottovalutate e le stime dei benefici vengono regolarmente sopravvalutate. Si tenga conto di questi risultati ogni volta che sentirete un tecnico o un politico parlare di rapporto costi/benefici per una grande infrastruttura: con riferimento all’opera di cui si parla, ecco le dichiarazioni del Presidente del CDA della società Bro.M riportata dall’“Informatore Vigevanese” in data 3 novembre 2011: “…La faccenda – ha spiegato Belloni – è che questo (Broni-Pavia-Mortara) diventerà un corridoio alternativo dall’Est Europa al Monte Bianco. Qui viaggeranno traffici internazionali che saranno tolti dall’intasamento di altre strade”.
Il valore medio del costo viene misurato a prezzi costanti calcolati alla data della decisione di costruire l’infrastruttura. Risultato: 9 progetti su 10 superano i costi preventivati.
–   Il superamento dei costi si verifica in tutte le 20 nazioni esaminate.
–   Il superamento dei costi è costante nel periodo di 70 anni esaminato nello studio; la stima dei costi non è migliorata nel tempo. Un dato interessante riguarda invece le previsioni della domanda di trasporto per ferrovie e strade. Lo studio su questo aspetto dei grandi progetti che riguarda ovviamente il lato dei benefici previsti è stato condotto su 208 progetti in 14 nazioni di cinque continenti.
–    84% dei progetti ferroviari sbagliano per più del 20%
–   9 su dieci progetti ferroviari sovrastimano il traffico.
–   50% dei progetti stradali sbagliano per più del 20%.
–   Il numero di progetti stradali che sovrastimano e il numero di quelli che sottostimano il traffico veicolare è circa lo stesso.

–   Nei 30 anni esaminati l’accuratezza non è migliorata.
B – In riferimento ai danni, sono stati evidenziati i pregiudizievoli effetti causati dalla realizzazione dell’autostrada Broni-Mortara sotto il profilo del
1)     Danno patrimoniale (e non) causato dalla vicinanza dell’autostrada alla propria abitazione per l’inquinamento, immissioni rumorose e perdita di valore immobiliare.
2)    Danno patrimoniale causato dalla prevista divisione, apportata dal tragitto autostradale, al proprio fondo agricolo tale da renderne impraticabile la gestione e l’organizzazione, con conseguente nocumento per le imprese agricole.
3)    Danno ambientale causato dall’impatto che la nuova opera produrrebbe sull’ecosistema, il contesto paesaggistico e la qualità della vita dei cittadini residenti nelle zone limitrofe alla futura autostrada.
   
* Avvocato in Milano
 

Pubblicato sull’Osservatorio AmbienteDiritto.it – Greenlex  il 24 maggio 2012

Alta velocità e effetto Nimby.

 

Alta velocità e effetto Nimby.


STEFANO NESPOR*

In queste settimane sulla questione della TAV della Val di Susa si è sentito di tutto.

Da una parte, ci sono coloro che sostengono che un’opera pubblica, allorché è decisa in uno Stato rappresentativo secondo le regole costituzionalmente previste, va eseguita e qualsiasi opposizione diviene una questione di ordine pubblico: non si deve lasciare alcuno spazio alle reazioni provenienti dalle comunità locali.

Dall’altra parte, ci sono coloro che sostengono che se una comunità locale non vuole che sul suo territorio si realizzi un’opera pubblica che ritiene non corrispondente ai suoi interessi, l’opera non va fatta. È stato anche tirato in ballo a sproposito il principio dell’autodeterminazione dei popoli.

 

Queste due posizioni, collocate agli estremi opposti di un continuum di possibilità di relazioni tra centro e periferia, tra interesse generale e interesse locale, sono errate e, quel che è peggio, ignorano quaranta anni di storia sulla realizzazione di opere pubbliche di interesse nazionale o regionale negli Stati democratici e sui problemi che sempre si pongono in questi casi, noti come l’effetto NIMBY (Not In My Back Yard).

L’effetto NIMBY sorge tutte le volte che è necessario localizzare opere pubbliche – prigioni, aeroporti, inceneritori e depositi di rifiuti pericolosi, centrali elettriche (specie se alimentate con energia nucleare), linee ferroviarie o autostradali – che producono costi e rischi sulle comunità locali e sono nel contempo fonte di benefici e di utilità a livello nazionale o regionale.

Molte opere pubbliche producono costi superiori ai benefici per chi risiede nell’area circostante, mentre producono benefici senza alcun costo per la generalità degli abitanti.

Non sempre è così, però. Perché non tutte le opere sono uguali o hanno impatti necessariamente negativi a livello locale.

Alcune opere possono infatti produrre benefici a livello locale e sviluppare un indotto di occupazione e di infrastrutture che agevolano lo sviluppo dell’area. Per esempio, l’aeroporto di Malpensa ha avuto opposizioni limitate, allorché è stato realizzato, perché, nonostante la contrarietà dei residenti nelle aree immediatamente interessate dalla realizzazione dell’aeroporto, tutte le comunità locali interessate si erano rese conto, anche sulla base di vari studi realizzati all’epoca da parte della Regione Lombardia, che, accanto ai benefici generali, ve ne sarebbero stati anche sul territorio circostante all’intervento.

Anche la realizzazione di una linea ferroviaria – è il caso della TAV di Val di Susa – può portare importanti benefici all’ambiente locale, se si pone come alternativa al traffico merci o passeggeri su gomma, riducendo così l’impatto pesantemente inquinante di questo tipo di trasporto e contribuendo, tra l’altro, ad un contenimento del cambiamento climatico a seguito dell’abbattimento dell’uso di combustibili.

In realtà molte sono le variabili di cui tenere conto per calcolare il rapporto tra costi e benefici, sia a livello locale che sul più ampio territorio che l’opera si propone di servire. A ciò deve aggiungersi che i benefici a livello locale possono distribuirsi in modo ineguale e favorire maggiormente alcuni gruppi a scapito di altri; parimenti, i costi possono gravare maggiormente su talune categorie di residenti.

Proprio la difficoltà di offrire dati e risultati chiari costituisce una delle prime cause dei conflitti provocati dall’effetto NIMBY.

Gli scontri sulla realizzazione di queste opere sono particolarmente intensi dove le autonomie locali hanno una forte tutela a livello costituzionale, come negli Stati Uniti e in Canada, tanto che si è sviluppata negli anni Novanta una specifica disciplina, a cavallo tra il diritto pubblico e il diritto ambientale, denominata “teoria della collocazione delle opere pubbliche”.

Per la dislocazione di rifiuti pericolosi o di scorie nucleari, è stato suggerito fin dai primi anni Ottanta (c’è un noto volume di DiMento e Grayser sul tema) che il termine adeguato sia non NIMBY, ma BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything). Anche la collocazione delle scorie nucleari nel deserto del Nevada, in un’area ben lontana da qualsiasi insediamento umano, ha trovato l’opposizione di gruppi ambientalisti che si sono opposti alla trasformazione del deserto in una “pattumiera nucleare”. 

L’effetto NIMBY tuttavia, non bisogna dimenticarlo, è caratteristico di uno Stato democratico: esiste in uno Stato ove è garantito alle comunità locali il diritto di manifestare le proprie opinioni e nel caso di esprimere la propria opposizione ai progetti approvati a livello nazionale. Non c’è, o c’è con intensità assai minore, nei Paesi dove non è prevista né tollerata la possibilità di contestare le decisioni concernenti la realizzazione di opere pubbliche, comunque assunte.

Allora, cominciamo con il dire che non c’è nulla di eccezionale in quanto accade in Val di Susa.

Anche la giuntura tra le comunità locali che si oppongono al progetto e attivisti o militanti che giungono in soccorso per i più vari motivi, la difesa dell’ambiente, il sostegno alle autonomie locali, mettere in difficoltà il Governo o semplicemente avere la possibilità di menare le mani, è una costante della maggior parte dei confronti sull’effetto NIMBY.
L’unico aspetto eccezionale è che, rispetto a un effetto NIMBY ampiamente prevedibile, tutte le possibili strategie volte a limitarne le conseguenze non siano state poste in essere tempestivamente, e cioè prima di decidere l’esecuzione dell’opera.

Tutte le strategie muovono da un punto in comune: l’informazione preventiva accurata e la trasparenza sui costi anche ambientali e sui benefici dell’opera, a livello locale e a livello nazionale o regionale, prima – e non dopo – che la stessa venga definitivamente approvata.

Questa informazione per il progetto della TAV è mancata. Solo ora il Governo Monti ha annunciato di voler rendere pubblici i costi e i benefici. Purtroppo, gli interventi tardivi in questa materia sono spesso anche controproducenti.

In realtà, il comportamento tenuto dall’Italia è stato, sotto molti aspetti, incompatibile con la Convenzione di Aarhus, le cui disposizioni sono vigenti in tutta l’Unione europea. La Convenzione assicura l’accesso alle informazioni sull’ambiente detenute dalle autorità pubbliche, prevede la partecipazione e l’accesso alla giustizia dei cittadini alle attività decisionali aventi effetti sull’ambiente.

Va però anche detto che il principio della partecipazione di tutti coloro che possono avere interesse non può essere limitato, come pure è stato sostenuto, solo a coloro che a livello locale ne subiscono – o ritengono di subire – gli effetti negativi, ma va esteso anche a tutti coloro che dall’opera possono trarre un beneficio. E questi non sono collocati solo in Italia. Una eventuale decisione italiana di sospendere l’intervento avrebbe ripercussioni negative su tutti i Paesi in cui i lavori per la TAV sono già iniziati: anche ai cittadini di questi Stati dovrebbe essere garantito il diritto di interloquire.

Se quindi i Governi italiani che si sono occupati di questo intervento hanno sbagliato, non bisogna però dimenticare, come parziale attenuante, che l’esperienza ha insegnato che nessuna delle strategie possibili garantisce una pacifica esecuzione dell’opera.

Negli Stati Uniti, il Paese che ha l’esperienza più vasta e di lungo periodo su scontri determinati dall’effetto NIMBY molti esperti sono convinti che anche le strategie più lungimiranti siano inutili, soprattutto se l’esecuzione dell’opera costituisce non il motivo, ma l’occasione per creare uno scontro politico o istituzionale.

Tuttavia, l’adozione di una delle strategie possibili avrebbe quasi sicuramente permesso di evitare gli eccessi ai quali assistiamo in questi giorni o di affrontarli con molta maggiore determinazione.

Si può scegliere, superata la fase dell’informazione e del confronto, di adottare la strategia cosiddetta DAD, acronimo di Decide, Announce, Defend. Si assume la decisione, si annuncia pubblicamente e si difendono senza alcun compromesso le scelte effettuate. È una strategia che è stata adottata spesso negli Stati Uniti e in Canada, con risultati ben lontani dall’essere soddisfacenti. Tanto che ora è stata abbandonata quasi ovunque.

Oppure si può tentare di vanificare gli effetti NIMBY aggirando con apposite disposizioni legislative il principio della partecipazione delle comunità locali: molti Stati hanno riservato la decisione alle istituzioni rappresentative, nel caso di realizzazione di opere di interesse sovra locale.  

Ma anche ricorrendo a questa soluzione non sono stati evitati conflitti, spesso aspri, nel caso in cui la comunità locale riesca ad organizzarsi e a ricevere aiuto da gruppi o organizzazioni esterne.

Si possono invece seguire strategie che offrono compensazioni per i costi che la comunità locale sopporta (nel Massachussetts c’è una legge che prevede la necessità di meccanismi di questo tipo per tutti i progetti di localizzazione di centrali per il trattamento di rifiuti).

In parte, questa strategia è stata seguita in Val di Susa. Ma essa richiede grandi capacità di mediazione e di negoziazione e la necessaria partecipazione degli organismi rappresentativi a livello locale, che debbono riuscire a gestire in modo trasparente le somme o le opere compensative in modo da soddisfare coloro che maggiormente risultano pregiudicati (o si ritengono tali) dall’intervento. Soprattutto, richiede che coloro che si impegnano riscuotano la fiducia di coloro che delle compensazioni dovrebbero essere i destinatari. E probabilmente è questo l’elemento che sinora è mancato e che dovrebbe, sia pure in extremis, essere recuperato dall’attuale Governo. 

* Avvocato in Milano
 

Pubblicato su Osservatorio AD – Greenlex il 9 marzo 2012

Rapporto Goodyear Dunlop “L’autotrasporto, verso l’efficienza nel consumo del carburante – La strada per il 2020”

 

Rapporto Goodyear Dunlop “L’autotrasporto, verso l’efficienza nel consumo del carburante – La strada per il 2020”.


SIMONETTA SANDRI*

La Goodyear Dunlop, fornitore mondiale di pneumatici, leader di settore, ha recentemente realizzato un interessante Rapporto relativo ad efficienza energetica e consumo del carburante, scaturito da una ricerca effettuata su oltre 400 operatori europei del settore autotrasporti.

Il settore, che attraversa un momento difficile a causa soprattutto dell’aumento dei costi dei carburanti e dell’inasprimento delle normative in materia di riduzione di emissioni di anidride carbonica, osserva con attenzione i risultati dello studio, deciso a recepirne risultati, indicazioni, spunti di riflessione e azione oltre che suggerimenti.

Il settore autotrasporti impiega in Europa circa 10 milioni di persone e rappresenta il 5% del PIL. I tre quarti della merce viene trasportata su autocarri; si prevede un aumento del trasporto stradale del 60% entro il 2050. Allo stesso tempo le emissioni dei mezzi pesanti rappresentano il 5% di tutti i gas a effetto serra emessi in Europa, un quarto di tutte le emissioni di CO2 derivanti dai trasporti.

Per la prima volta nella storia, nel 2010, i costi per il carburante hanno superato quelli sostenuti per le retribuzioni degli autisti, rappresentando il principale costo operativo.

I successi del recente passato degli autotrasportatori europei mostrano che le misure adottate per ridurre i costi del carburante sono state caratterizzate da: investimento in guida “verde” (69%), acquisto di nuovi veicoli (69%), miglioramento della logistica (44%), utilizzo di pneumatici efficienti dal punto di vista del consumo (42%), acquisto di nuovi allestimenti quali accessori aerodinamici (24%), riduzione delle operazioni (8%) e ritiro dai trasporti di lungo raggio (6%).

Lo studio Goodyear Dunlop si allinea, nelle conclusioni, alle indicazioni del Libro Bianco sui Trasporti 2011 della Commissione Europea, che, stabilendo obiettivi ambiziosi in termini di emissioni, indica anche come raggiungerli: attraverso l’incoraggiamento di soluzioni di trasporto alternativo (acquatico o su rotaie), di miglioramento dell’efficienza degli autocarri, dello sviluppo e dell’inserimento di nuovi motori e carburanti più puliti (questi ultimi raccomandati anche dall’AIE, Agenzia Internazionale per l’Energia), dell’utilizzo di sistemi intelligenti di trasporto.

Fra i casi concreti, viene presentato quello di DHL, fornitore globale di servizi logistici. Nel 2007, DHL si è impegnato a migliorare l’efficienza nel consumo di carburante ed a ridurre del 30% le emissioni di CO2 del proprio parco veicoli pesanti. Per raggiungere tale obiettivo, l’azienda ha investito in Smart Truck, un sistema “intelligente” di ritiro e consegna, che unisce varie tecnologie compreso uno strumento di pianificazione dell’itinerario. Un GPS in tempo reale è utilizzato per evitare gli ingorghi e ottimizzare i percorsi. Il ricorso al trasporto intermodale è rinforzato, gli autocarri vengono sostituiti con modelli più recenti e rispettosi dell’ambiente, sia aumentando il parco di veicoli a biogas, ibridi ed elettrici, sia utilizzando rimorchi “Teardrop”, più efficienti da un punto di vista strettamente aerodinamico. I limitatori di velocità ed il programma di guida “verde” poi hanno fatto il resto. Con tali misure, la flotta di autocarri a lungo raggio DHL ha ottenuto una riduzione del consumo di carburante dell’1-3%.

Le soluzioni suggerite da Goodyear Dunlop sono dello stesso ordine e comportano una determinata percentuale di risparmio di carburante per veicolo: programmi di formazione alla guida “verde” (eliminazione di cattive abitudini quali frenate o accelerazioni eccessive, scelta di percorsi trafficati, tempi di sosta) e di incentivazione degli autisti (risparmio del 10-15%), miglioramento della logistica e della pianificazione del percorso (riduzione viaggi a vuoto, strade meno trafficate e più lente, consegne di notte; risparmio del 5%), utilizzo di pneumatici ben mantenuti ed efficienti in termini di consumo del carburante (risparmio del 5-8%), utilizzo di tecnologie per monitorare il consumo di carburante (risparmio del 5%) e montaggio di nuovi raccordi aerodinamici sui veicoli esistenti (risparmio del 10%).

Grande attenzione viene ovviamente prestata all’impiego di pneumatici efficienti: risparmi di rilievo posso essere ottenuti grazie all’impiego di pneumatici con bassa resistenza al rotolamento e in buono e continuo stato di manutenzione (per ogni 0,7 bar di pressione al di sotto della pressione di gonfiaggio ottimale, il consumo di carburante per autocarro può aumentare dell’1%). I tecnici Goodyear Dunlop stimano che pneumatici auto-gonfianti saranno sul mercato entro i prossimi 10 anni. Gomme migliori per consumare meno, principalmente, oltre a motori più efficienti e organizzazione logistica da ottimizzare.

Spunti rilevanti di riflessione e di interesse anche per il singolo consumatore.

* Environment manager presso Eni exploration & production – SEQ – AMTE
 

La liberalizzazione degli orari delle attività commerciali ed il principio «Pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First).

 

La liberalizzazione degli orari delle attività commerciali ed il principio «Pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First).

RUGGERO TUMBIOLO*

È notizia di questi giorni che alcune Regioni hanno sollevato avanti alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale nei confronti del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui ha, per quanto qui rileva, introdotto la liberalizzazione degli orari delle attività commerciali.

In attesa di conoscere il contenuto (e di poi l’esito) dei ricorsi delle Regioni si può osservare che l’art. 31, primo comma, del c.d. decreto “salva Italia” ha, in effetti, modificato la lettera d-bis) del comma 1 dell’art. 3 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

Per comprendere la portata della modifica occorre rammentare che l’art. 3 del decreto legge n. 233 del 2006, nella versione risultante dalle modificazioni introdotte dalla legge di conversione n. 248 del 2006, dettava delle regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale.

Nell’introdurre tali regole la norma individuava determinati limiti e prescrizioni allo svolgimento delle attività commerciali da ritenersi incompatibili con la libertà di concorrenza; tra di essi si possono ricordare: l’iscrizione a registri abilitanti ovvero il possesso di requisiti professionali soggettivi per l’esercizio di attività commerciali; il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio; le limitazioni quantitative all’assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali ad eccezione della distinzione tra settore alimentare e non alimentare; la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali, ad eccezione di quelli prescritti dal diritto comunitario; le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti.

Nella versione originaria il cit. art. 3 non ricomprendeva, tuttavia, la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva nell’elenco degli ambiti normativi per i quali escludeva che si potessero introdurre limiti e prescrizioni.

L’articolo 35, comma 6, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha successivamente introdotto la lettera d-bis) al cit. art. 3, comma 1, con l’effetto di ritenere incompatibili con l’obiettivo di promuovere la concorrenza i limiti e le prescrizioni concernenti “in via sperimentale, il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio ubicato nei Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte”.

Lo stesso art. 35, al comma 7, stabiliva che le Regioni e gli Enti locali avrebbero dovuto adeguare le proprie disposizioni legislative e regolamentari alla disposizione introdotta dal comma 6 entro la data del 1° gennaio 2012.

La modifica introdotta dal decreto c.d. “salva Italia”, da una parte, ha eliminato il riferimento alla fase sperimentale della disciplina e, dall’altra, ha soppresso la limitazione della liberalizzazione degli orari ai Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche.

La modifica impone alcune brevi riflessioni.

Una prima riflessione riguarda la collocazione della materia della disciplina degli orari nell’architettura costituzionale.

Al riguardo, va precisato che in più occasioni la Corte Costituzionale ha affermato che la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia «commercio» (sentenze n. 288 del 2010 e n. 350 del 2008), di competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost. (sentenza n. 150 del 2011).

Tale circostanza non è, tuttavia, di per sé sufficiente per ritenere l’intervento del legislatore statale invasivo della competenza esclusiva residuale regionale.

Occorre tenere in considerazione che anche le materie attribuite alla competenza legislativa residuale delle Regioni possono essere incise da disposizioni statali emanate nell’esercizio di quelle materie c.d. trasversali, com’è appunto la tutela della concorrenza.

La Corte Costituzionale ha, in effetti, precisato che la tutela della concorrenza, proprio in quanto ha ad oggetto la disciplina dei mercati di riferimento di attività economiche molteplici e diverse, non è una materia di estensione certa, ma presenta i tratti di una funzione esercitabile su più diversi oggetti ed è configurabile come «trasversale» (cfr., per tutte, le sentenze n. 430 e n. 401 del 2007).

Il problema si sposta, quindi, nel verificare se le norme adottate dallo Stato siano essenzialmente finalizzate a garantire la concorrenza fra i diversi soggetti del mercato (sentenza n. 285 del 2005), allo scopo di accertarne la coerenza rispetto all’obiettivo di assicurare un mercato aperto e in libera concorrenza (sentenza n. 430 del 2007).

La Corte Costituzionale – in sede di esame dell’art. 3 del decreto legge n. 233 del 2006, nella versione risultante dalle modificazioni introdotte dalla legge di conversione n. 248 del 2006 e prima delle modifiche introdotte dall’articolo 35, comma 6, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 – ebbe a precisare che erano all’evidenza coerenti con l’obiettivo di promuovere la concorrenza tutte le prescrizioni recate dal citato comma 1 dell’art. 3, in quanto dirette a rimuovere limiti all’accesso al mercato, sia soggettivi (fatti salvi quelli imposti dalla tutela di interessi generali), sia riferiti alla astratta predeterminazione del numero degli esercizi, sia concernenti le modalità di esercizio dell’attività, nella parte influente sulla competitività delle imprese, anche allo scopo di ampliare la tipologia di esercizi in concorrenza.

Giova rammentare che, per la giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 45 e n. 232 del 2010), nella nozione di «tutela della concorrenza» devono essere ricomprese: a) le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti degli operatori economici che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati; b) le disposizioni legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata e vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra gli operatori economici; c) le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia in modo da realizzare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici.

La liberalizzazione degli orari sembra, in effetti, rientrare tra le misure volte ad assicurare concorrenza “nel mercato” e finalizzate ad eliminare vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese.

Potrebbe, tuttavia, dubitarsi sulla conformità al canone della ragionevolezza di una disciplina che non operi alcuna differenziazione in relazione alla tipologia e alla dimensione dell’esercizio, al livello occupazionale, al settore di appartenenza ovvero alle specificità territoriali.

Può risultare utile ricordare che, per converso, la Corte Costituzionale ha già riconosciuto la legittimità di una legge regionale che operi delle differenziazioni in materia di regolamentazione degli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali, non solo in relazione alla dimensione dell’esercizio commerciale, ma anche tenendo conto di altri fattori tra i quali il settore merceologico di appartenenza e gli effetti sull’occupazione (sentenza n. 288 del 2010).

In via più generale, si è ritenuto legittimo tutelare l’esigenza di interesse generale di riconoscimento e valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese già operanti sul territorio regionale (sentenza n. 64 del 2007).

Del resto, allo scopo anche di garantire la piena applicazione della comunicazione della Commissione europea del 25 giugno 2008, recante «Una corsia preferenziale per la piccola impresa – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (uno “Small Business Act” per l’Europa)», lo Statuto delle imprese, di cui alla legge 11 novembre 2011, n. 180, sostiene la promozione delle micro, piccole e medie imprese e delle reti di imprese nei mercati nazionali e internazionali, alla cui esigenze va adeguato l’intervento pubblico e l’attività della pubblica amministrazione.

Lo “Small Business Act” per l’Europa individua dieci principi ritenuti essenziali per valorizzare le iniziative a livello della UE e creare condizioni di concorrenza paritarie per le PMI.
In particolare, il principio n. 3 esorta a formulare regole conformi al principio “Pensare anzitutto in piccolo” (Think Small First); la domanda allora da porsi è: liberalizzando la disciplina degli orari degli esercizi commerciali senza distinzione alcuna si pensa anzitutto in piccolo?

* Avvocato in Como
 

Il caso Adamu.

Il caso Adamu.


GIULIA GAVAGNIN*

Il Tas di Losanna ha pubblicato la decisione finale1  del procedimento arbitrale tra Amos Adamu, un ex membro nigeriano del Fifa Executive Committee2, e la FIFA (Fédération Internationale de Football Association). Il Tas ha confermato la decisione del Fifa Appeal Committee3  del 3 febbraio 2011 che aveva interdetto Adamu dalla partecipazione ad ogni attività legata al mondo del calcio, sia a livello nazionale che internazionale, per un periodo di 3 anni a partire dal 20 ottobre 2010, oltre ad una sanzione pecuniaria di 10.000 franchi svizzeri.

Il caso ha fatto molto discutere, soprattutto in Inghilterra, dove il caso è stato provocato.

Il 17 ottobre 2010, infatti, il quotidiano inglese Sunday Times ha pubblicato un articolo che riferiva di forti sospetti circa fenomeni di corruzione interni alla FIFA legati alla selezione del Paese ospitante la Coppa del Mondo. Alcuni giornalisti del Sunday Times si sono finti lobbisti di una fantomatica società privata statunitense che intendeva fare pressioni affinchè gli Stati Uniti ottenessero l’assegnazione della Coppa del Mondo del 2018 o del 2022 ed hanno avvicinato alcuni membri dell’Executive Committee con la promessa di una dazione di denaro. Adamu, in particolare, si è dichiarato disposto ad accettare 800.000 dollari da una giornalista del menzionato giornale a fronte di una sua collaborazione al progetto di assegnazione, asserendo che il denaro sarebbe stato impiegato per costruire quattro campi da calcio in fondo sintetico in Nigeria. A seguito della pubblicazione dell’articolo sul ‘Sunday Times’ il Comitato Etico della FIFA (FIFA Ethics Committee)4  ha aperto un procedimento disciplinare contro Adamu al termine del quale lo ha dichiarato colpevole di aver violato il Codice Etico della FIFA (FIFA Code of Ethics)5  e, conseguentemente, lo ha sospeso per tre anni dall’esercizio di qualsiasi attività legata al mondo del calcio6,e lo ha condannato al pagamento di una sanzione di 10.000 franchi svizzeri7.

Con la medesima decisione è stato sospeso (soltanto per un anno) anche un altro membro dell’Executive Committee, il neozelandese Reynold Temarii, al quale, con le medesime modalità, è stata offerta una somma di denaro per finanziare una scuola di calcio nel suo Paese.

Ad entrambi gli ufficiali è stata contestata la violazione degli artt. 3 (norme generali), 9 (lealtà e segretezza), 10 (accettazione e dazione di doni ed altri benefits) e 11 (corruzione) del Codice Etico.

L’art. 11, comma 1, in particolare, statuisce che gli ufficiali devono rifiutare regali od altre utilità che siano loro offerte, promesse o inviate per indurli a non svolgere il loro ufficio o ad agire disonestamente per il vantaggio di terzi8.

A poco vale osservare che la corruttela sia stata accettata a scopo benefico, poiché l’art. 10 del medesimo Codice statuisce che gli ufficiali non possono accettare doni od altri benefits che eccedano il valore di ciò che mediamente è considerato un piccolo donativo: qualora sussista un dubbio sul valore dell’oggetto, il dono deve essere rifiutato9.

Anche qualora i due ufficiali fossero stati in grado di dimostrare di non essere stati corrotti in senso tecnico, la loro condotta sarebbe stata comunque contraria ai principi generali del Codice Etico. L’art. 3 sottolinea che gli ufficiali devono essere consapevoli dell’importanza delle loro funzioni, dei loro obblighi e responsabilità e dell’importante ruolo che ricoprono per promuovere gli obiettivi della FIFA e dei suoi affiliati. In particolare, il comma 3 afferma che gli ufficiali non debbono abusare della loro posizione in alcun modo e, in particolare, non devono approfittare della loro funzione per scopi ed obiettivi privati10.

La decisione è stata confermata dal Comitato per l’Appello della FIFA (FIFA Appeals Committee) il 3 febbraio 2011.

Il 3 maggio 2011 Adamu ha presentato appello al Tas con la richiesta di annullare la decisione della FIFA.

Il Collegio arbitrale ha confermato la decisione della FIFA dichiarando Adamu responsabile per la violazione degli artt. 3, 9 e 11 (corruzione) del Codice Etico della FIFA. Il Tas ha rigettato le argomentazioni difensive, fondate sull’inutilizzabilità delle prove a suo carico perché illecitamente acquisite e tali da ledere i diritti di personalità di Adamu: secondo i suoi legali, la giornalista del Sunday Times avrebbe violato il codice penale svizzero e le prove sarebbero perciò state ottenute in conseguenza di un reato. Adamu ha anche lamentato la violazione dei diritti di personalità.

Il Tas ha rilevato preliminarmente che una prova acquisita non conformemente alle norme del codice penale non inficia il giudizio emesso da un tribunale arbitrale, che non è vincolato al rispetto di quelle norme (questo principio era già stato affermato nel caso WADA/UCI v. Alejandro Valverde/RFEC)11.

In ogni caso, il Tas ha osservato che nessun giudice ordinario ha dichiarato l’illegittimità dell’acquisizione della prova né ne ha vietato l’utilizzo12: perciò non si può affermare che la giornalista del Sunday Times abbia agito illegalmente.

Il Tas ha sottolineato che è di massima importanza che un ufficiale della FIFA non solo sia onesto, ma che sia ritenuto onesto. Il collegio non ha avuto alcun dubbio che Adamu fosse pronto ad accettare la (finta) offerta di denaro, perciò, ha ritenuto la sanzione imposta dalla FIFA legittima e proporzionata al fatto.

La FIFA ha accolto con soddisfazione la decisione del Tas, ribadendo la propria politica di “tolleranza zero” contro fenomeni di questo genere13.

* Avvocato in Venezia

1  Notizia pubblicata su www.tas-cas.org.
Il Fifa Executive Committee (ExCo) è il principale organo decisionale per le competizioni Fifa e, principalmente, per la Coppa del Mondo di calcio (FIFA World Cup). Si compone di un presidente, eletto dal congresso l’anno successivo alla Coppa del Mondo, otto vice presidenti e quindici membri, nominati dalle confederazioni e dalle associazioni. Si riunisce almeno due volte l’anno, ogni membro ha un mandato di quattro anni, e il suo scopo principale è quello di stabilire le date, il luogo e le modalità della competizione.
3  Il Comitato d’Appello (FIFA Appeal Committee) ha un numero di componenti variabile ma deve rendere le proprie decisioni in presenza di almeno tre componenti. Ai sensi dell’art. 60 dello Statuto FIFA il suo funzionamento deve essere normato dal Codice Disciplinare (artt. 118-127) ed è competente a decidere sulle decisioni rese dal Comitato Disciplinare (Disciplinary Committee) ed Etico (Ethics Committee).
4  Il FIFA Ethics Committee si compone di un presidente, un vice-presidente e 12 membri, ed ha il compito di vigilare sull’osservanza del Codice Etico.
5  Il Codice Etico (FIFA Code of Ethics) è stato approvato il 6 ottobre 2004 dal Comitato Esecutivo della FIFA (FIFA Executive Committee), per soddisfare il dettato dell’art. 7 dello Statuto FIFA, che impone agli organi sportivi e agli ufficiali di osservare, nelle proprie attività, “lo Statuto, le regole, le decisioni e il Codice Etico”. L’ultima revisione è del 2009.
6  L’art. 17 del Codice Etico dichiara direttamente applicabili le sanzioni previste dallo Statuto e dal Codice Disciplinare FIFA. Nel caso di specie è stata applicata la sanzione di cui all’art. 22 del Codice Disciplinare (FIFA Disciplinary Code): “a person may be banned from taking part in any kind of football-related activity (administrative, sports, or any other)”.
7  Art. 15 Codice Disciplinare.
8  Officials may not accept bribes; in other words, any gifts or other advantages that are offered, promised or sent to them to incite breach of duty or dishonest conduct for the benefit of a third party shall be refused.
9  Officials are not permitted to accept gifts or other benefits that exceed the average relative value of local cultural customs from any third parties. If in doubt, gift shall be declined. Accepting gifts of cash in any amount or form is prohibited.
10  Officials may not abuse their position as part of their function in any way, especially to take advantage of their function for private aims or gains.
11  Con decisione del 31 maggio 2010 (http://www.tas-cas.org/recent-decision) il Tas ha condannato il ciclista Alejandro Valverde alla squalifica per due anni dalle competizioni per accertata positività all’EPO. L’atleta era stato sottoposto al test sangue – urine dal Coni durante una tappa del Tour de France 2008 svoltasi in territorio italiano. Quel test rivelò che il DNA del corridore era lo stesso rintracciato nelle sacche di EPO sequestrate durante la tristemente famosa ‘Operazione Puerto’ del dr. Fuentes. La difesa dell’atleta ha argomentato davanti al Tas che tutte quelle prove erano state acquisite in contrasto con il codice penale italiano. Il Tas ha ritenuto quelle prove valide ai fini dell’accertamento della violazione della normativa anti-doping e questa decisione è stata confermata dal Tribunale Federale Svizzero, che delibera sui fatti presentati dal Tas e non può rettificare d’ufficio le decisioni arbitrali, anche se i fatti sono stati accertati in modo manifestamente inesatto o in violazione del diritto.
12  Non si è mai aperto un procedimento penale nei confronti di Adamu (né nei confronti dei giornalisti del ST), perché secondo il diritto svizzero la FIFA è un ente sportivo non-profit e, pertanto, i suoi ufficiali non possono essere considerati “pubblici ufficiali” in senso stretto.
13 http://www.bbc.co.uk/sport/0/football/17154126.
 

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