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Osservatorio di Diritto Tributario

 

OSSERVATORIO DI DIRITTO TRIBUTARIO

 

 LA FISCALITÀ AMBIENTALE

 

a cura di
Claudia Fava* e Michele Mauro**,
con la collaborazione di: Giuseppe Farcomeni ***

 

L’Osservatorio nasce come gruppo di studio con la finalità di fornire agli operatori del diritto un nuovo punto di riferimento in tema di fiscalità ambientale, agevolando l’aggiornamento giurisprudenziale. L’Osservatorio ospiterà repertori della giurisprudenza di merito e delle Corti superiori, anche sovranazionali, preceduti da una sintetica classificazione delle questioni affrontate. L’idea è quella di arricchire l’offerta editoriale della Rivista “AmbienteDiritto”, in maniera tale da attrarre l’attenzione dei lettori su argomenti particolarmente complessi e delicati, in continua evoluzione.

 

Le pronunce giurisprudenziali oggetto di attenzione saranno saranno inserite in ordine cronologico per le seguenti macro aree: – Fiscalità degli Enti locali, Tributi erariali, Tributi doganali, Agevolazioni, Diritto europeo.

 

N.B: PER LE SENTENZE PER ESTESO E ALTRE SENTENZE CONSULTARE LA BANCA DATI DI GIURISPRUDENZA

 

GIURISPRUDENZA DI DIRITTO TRIBUTARIO: LA FISCALITA’ DEGLI ENTI LOCALI

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Macerata, Sez.I, 10/03/2025, Sentenza n. 76

PUBBLICA AMMINISTRAZIONERimborso – Addizionale provinciale energia elettrica – Dogane.

Deve essere affermato il diritto della parte ricorrente alla restituzione di quanto dovuto da parte dell’amministrazione resistente (Dogane), senza che costituisca un dirimente ostacolo l’invio dell’istanza di rimborso al soggetto (Provincia) effettivamente percettore dell’importo versato e che solo apparentemente risultava debitore.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. XII, 10/03/2025, Sentenza n. 1556

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Disciplina IMU, riguardante i fabbricati “storici”Norma agevolativaInterpretazione restrittiva Rimborso – Presupposti.

La disciplina IMU, riguardante i fabbricati “storici”, non presenta ambiti di incertezza o difficoltà interpretativa; trattandosi norma agevolativa, essa è soggetta a stretta interpretazione, cosicché è da escludersi la possibilità di estensione ai beni immobili sottoposti a tutela indiretta attraverso la prescrizione di distanze e altre misure dirette ad evitare alterazioni delle condizioni di ambiente e di decoro degli immobili di interesse culturale.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Vibo Valentia, Sez. I, 07/03/2025, Sentenza n. 262

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IMU – Cooperative edilizie a proprietà indivisaI.A.C.P. – Imposta dovuta.

Dal 2013 è stata operata una distinzione tra unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soggetti assegnatari, ed alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari, ed è stato stabilito che solo le prime sono esenti dall’IMU, mentre gli alloggi regolarmente assegnati dagli istituti autonomi per le case popolari o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, sono rimasti imponibili ai fini IMU, fatta eccezione per gli alloggi sociali.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Catania, Sez.II, 06/03/2025 Sentenza n. 1837

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IMU – Immobili d’interesse storico Presupposti – Imposta dovuta – Art. 10 del Codice dei Beni Culturali e Ambientali.

Perché un immobile possa essere qualificato di indiscusso interesse storico-architettonico destinato alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale e, pertanto, ritenuto esente dal tributo IMU, non basta una dichiarazione del proprietario, ma è necessario un decreto emesso secondo le previsioni di cui all’art. 10 del Codice dei Beni Culturali e Ambientali. Nell’ipotesi in cui l’immobile dovesse ricadere in zona centro storico del PRG non può comunque ritenersi esente dal pagamento dell’imposta, non essendo riconducibile neanche al regime di esenzioni di cui agli articoli 10 e 12 del Regolamento IMU.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Roma, Sez. XXXV, 05/03/2025 Sentenza n. 2973

RIFIUTI – Denuncia di cessazione – Omissione della presentazione – Accertamento per gli anni successivi a quello in cui tale evento – TARI – Esclusione.

In materia di Tari, anche in caso di omissione della presentazione della denuncia di cessazione nell’anno in cui questa è avvenuta, la tassa non è dovuta per gli anni successivi a quello in cui tale evento si è verificato, qualora: a) l’utente presenti denuncia tardiva di cessazione e fornisca la prova di non aver effettivamente continuato, dalla data indicata, l’occupazione o la detenzione; b) anche a prescindere dalla produzione della denuncia tardiva, risulti che la tassa è stata assolta dal soggetto che è subentrato, a seguito di denuncia o di iscrizione a ruolo d’ufficio a suo carico.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° TOSCANA, Sez.II, 06/03/2024 Sentenza n. 307

PUBBLICA AMMINISTRAZIONETributi locali – IMU – Contratto leasing – Soggetto passivo – Possessore di diritto dell’immobile.

L’Imu è dovuta dal “possessore di diritto dell’immobile” e, pertanto, tale imposta è sempre a carico del soggetto che risulti titolare dell’immobile al catasto o, meglio, presso la Conservatoria dei registri immobiliari. Di conseguenza, anche se gli accordi che pongono il carico tributario su un soggetto diverso dal proprietario, o titolare di altro diritto reale, non possono essere contra legem, le imposte locali sugli immobili devono essere pagate dal proprietario ove non sia possibile ottenere il pagamento da parte del diverso soggetto individuato contrattualmente. Nel caso di specie, relativo a un contratto di leasing, in seguito alla risoluzione del contratto è il locatore, anche se non ha ancora acquisito la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell’utilizzatore, a dover versare l’imposta.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Terni, Sez. II, del 03/03/2025, Sentenza n. 44

RIFIUTI – Qualità di erede e formale rinuncia all’eredità – TARI – Esenzione.

La mancata acquisizione della qualità di erede a seguito di formale rinuncia all’eredità comporta l’esclusione dalla responsabilità per i debiti ereditari. Non può avere, dunque, alcun rilievo quanto dedotto dal Comune in ordine alla circostanza che un soggetto, diverso dal de cuius, abbia abitato nell’immobile per il quale sono state richieste le imposte relative allo smaltimento dei rifiuti urbani.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. II, 03/03/2025 Sentenza n. 1409

RIFIUTI – TARI – Tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente – Buona fede del contribuente – Sanzioni tributarie – Esclusione.

In tema di sanzioni tributarie, la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni. Pertanto, costituisce situazione tutelabile solo quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. XV, 25/02/2025, Sentenza n. 1230

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti speciali assimilabili Mancata attivazione del servizio – TARI – Esenzione – Onere della prova – Giudice tributario per l’annullamento dell’atto impositivo.

La mancata istituzione o la mancata attivazione del servizio di gestione dei rifiuti speciali assimilabili ed assimilati in una parte o zona del territorio comunale devono essere provate dal contribuente che pretende di avvalersene dinanzi al giudice tributario per l’annullamento dell’atto impositivo, non rilevando che si tratti di “fatti negativi”, potendo la prova essere fornita mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Messina, Sez. IX, 24/02/2025 Sentenza n. 1056

RIFIUTI – Titolo dell’occupazione ed effettiva occupazione dell’immobileTARI – Requisiti – Prova.

Il titolo dell’occupazione, in materia di Tari, assume rilievo secondario a fronte della effettiva occupazione dell’immobile.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Marche, Sez. I, 24/02/2025 Sentenza n. 190

RIFIUTI – Tari – Tariffe – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Deliberazione consiliare che differenzia le tariffe degli alberghi rispetto a quella delle famiglie – Giurisprudenza CEDU.

La determinazione delle tariffe TARI non necessita di motivazione. La deliberazione consiliare che differenzia le tariffe degli alberghi rispetto a quella delle famiglie appare legittima. Sul punto la Corte di Giustizia UE, Sez. III, con sentenza 4 marzo 2015 n. 534 ha riconosciuto come legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri è stata distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime.

 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez.V, 12/02/2025, Ordinanza n. 3595

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Enti Locali – Tributi – ICI – Tassazione autonoma delle aree pertinenziali – Art. 817 c.c. – Presupposti.

In tema di ICI, la tassazione autonoma delle aree pertinenziali è esclusa quando il Comune sia venuto a conoscenza di tale vincolo a seguito di apposita comunicazione effettuata dal contribuente. I presupposti di cui all’art. 817 c.c. – a) l’oggettiva destinazione di una cosa a servizio od ornamento di un’altra per volontà del titolare della cosa principale e – b) la durevolezza, ovvero la circostanza che non sia possibile una diversa destinazione del bene senza radicale trasformazione – non sono sufficienti per la relativa detassazione ai fini fiscali, ma occorre anche che l’Amministrazione sia effettivamente consapevole di tale destinazione. Tale consapevolezza, se non emerge da altri fatti conosciuti per altra via dall’Amministrazione, deve risultare da una comunicazione proveniente dal contribuente, senza che quest’ultimo possa invocare la sussistenza del vincolo di pertinenzialità solo in fase di giudizio.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° di Reggio Calabria, Sez. VII del 29/01/2025, Sentenza n. 752

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Accertamento – Bollo auto – Prescrizione.

Il termine prescrizionale applicabile al credito erariale avente ad oggetto il pagamento della tassa di circolazione dei veicoli ha durata triennale, ed inizia a decorrere non dalla scadenza del termine previsto per il pagamento della tassa ma dall’inizio dell’anno successivo.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Roma, Sez. XXIV 28/01/2025, Sentenza n. 1109

RIFIUTI – Aree adibite allo stoccaggio di medicinali (magazzino o deposito)Tari – PUBBLICA AMMINISTRAZIONEAccertamento – Esenzione – Presupposti.

Non sono assoggettabili al tributo le aree adibite allo stoccaggio di medicinali, ovvero il magazzino destinato alla conservazione o deposito degli stessi, senza che vi siano interventi di lavorazione che possano produrre rifiuti.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° di Reggio Calabria, Sez. VIII, 28/01/2025, Sentenza n. 702

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Beni immobili inedificabiliIMU – Esclusione.

Il pagamento dell’Imu non può essere richiesto relativamente ai beni immobili inedificabili, nei quali certamente rientrano le aree a rischio idraulico, dove non è consentito eseguire alcun tipo di intervento edilizio.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Genova, Sez. XXVI, 27/01/2025, Sentenza n. 1063

RIFIUTI – Scarti della lavorazione del legno – ENTE LOCALE – Rifiuti assimilabili ai rifiuti urbani (assimilati con regolamento comunale) – Accertamento e limiti – Tari – Presupposti.

Gli scarti della lavorazione del legno sono rifiuti assimilabili ai rifiuti urbani, non potendo trovare applicazione, ratione temporis, le modifiche di cui la D.lgs. 116/2020. In particolare, sia la disposizione che includeva, nei rifiuti urbani, quelli non pericolosi (assimilati con regolamento comunale), sia quella che attribuiva il potere regolamentare all’Ente locale, sono state soppresse soltanto dal citato decreto.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di Roma, Sez. IX, 27/01/2025, Sentenza n. 998

RIFIUTI – Tari – Atti liquidazione – Indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile Regolarità.

La firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e di accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso che gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Napoli, Sez. XXVIII 27/01/2025, Sentenza n. 1345

RIFIUTI – Tari – Invito al pagamento della tassa rifiuti Atto autonomamente impugnabile – Giudice tributarioAtti liquidazione – Impugnabilità.

L’invito al pagamento della tassa rifiuti è atto autonomamente impugnabile dinanzi al giudice tributario, contenendo una chiara ed inequivoca formulazione della pretesa tributaria per l’anno di riferimento e generando l’interesse del contribuente a contestarne l’an e/o il quantum. A nulla rileva che l’atto impugnato sia una richiesta di pagamento a titolo di acconto, in quanto trattasi, comunque, di atto espressivo della potestà impositiva.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Roma, Sez. II, 24/01/2025, Sentenza n. 61

RIFIUTI – Assenza dei dati catastali dell’immobile oggetto di tassazione – Accertamento ENTE LOCALE – (individuazione di superficie non accatastata) – Tari differenza con l’IMU – Presupposti.

Circa la assenza dei dati catastali dell’immobile oggetto di tassazione, si osserva che, differentemente dall’IMU, il tributo TARI prescinde dall’accatastamento dell’immobile e richiede solo la localizzazione della superficie, anche non accatastata, ritenuta, salvo dichiarazione/comunicazione del contribuente, produttiva di rifiuti.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. XVIII, 22/01/2025 Sentenza n.428

RIFIUTI – Regolamento Comunale TIA – Soggetti a tariffa Esclusione – Superfici dei locali e delle aree che non possono produrre rifiuti – PUBBLICA AMMINISTRAZIONEAccertamento – Presupposti.

Il Regolamento Comunale TIA è applicabile, ratione temporis, quando, nel disciplinare la superficie utile, stabiliva che “Non sono soggetti a tariffa, e quindi non si computano, le superfici dei locali e delle aree che non possono produrre rifiuti o che non comportino, secondo la comune esperienza, la produzione di rifiuti in maniera apprezzabile”.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA 2° Lazio, Sez. II, 21/01/2025, Sentenza n. 388

RIFIUTI – Aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili non operative Accertamento – Tari – Esclusioni.

Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili non operative, e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. L’individuazione delle superfici escluse dalla tassazione concerne unicamente le aree scoperte che si caratterizzino per la pertinenza rispetto al locale o all’area principale, purché non operative.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° ROMA, Sez. VII, 09/01/2025 Sentenza n. 429

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Immobili strumentali d’impresa – Enti Locali – Tributi – IMU – Deducibilità dalla base imponibile IRES – Artt. 75, 79 TUIR.

La quota di IMU riferibile agli immobili strumentali d’impresa è integralmente deducibile dalla base imponibile IRES quale costo inerente (art. 75 TUIR). Nella specie, la Corte ha ritenuto illegittimo il mancato riconoscimento, ai fini della determinazione dell’imponibile Ires del costo relativo all’IMU versata dalla società contribuente per gli immobili posseduti nell’esercizio della propria attività d’impresa. Secondo il Collegio, infatti, l’IMU versata dalla contribuente aveva rappresentato un costo senz’altro inerente per la stessa, oltre che certo e determinato, necessario alla produzione dei proventi imponibili, sicché la regola di generale deducibilità degli oneri fiscali dettata dall’art. 99 TUIR doveva trovare applicazione anche con riferimento all’imposizione locale sugli immobili.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. XIII, 08/01/2025, Sentenza n. 99

RIFIUTI – Applicazione della TARI – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Enti Locali – Accertamento – Determinazione.

Il principio fondamentale per l’applicazione della TARI è quello di derivazione comunitaria in base al quale “chi inquina paga”, sebbene i Comuni possono e usano determinare la propria tariffa secondo i criteri già previsti per la TARSU, ossia commisurando la tassa al costo del servizio e alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Venezia, Sez. I, 08/01/2025, Sentenza n. 12

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Tributi Enti locali – Accertamento – Notificazione Dirigente dell’ufficio – Competenza.

Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali, il dirigente dell’ufficio competente, con provvedimento formale, può nominare uno o più messi notificatori e non è prevista tra i requisiti formali dell’avviso di accertamento l’indicazione del funzionario dell’ente locale che ha nominato il messo.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Campania, Sez. VIII, 08/01/2025, Sentenza n. 243

RIFIUTI – Sospensione Tarsu – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Enti Locali – Accertamento – Termini di prescrizione e decadenza.

Le disposizioni in materia di sospensione dei termini di versamento dei tributi comportano la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Venezia, Sez. I, 08/01/2025 Sentenza n. 11

RIFIUTI – Tari – Impugnazione – Vizi (omessa impugnazione dell’atto presupposto a quello opposto) – Nuovo e autonomo atto impositivo.

Nel caso di omessa impugnazione dell’atto presupposto a quello opposto, quest’ultimo non integra un nuovo e autonomo atto impositivo, con la conseguenza che esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto da cui è sorto il debito.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° ROMA, Sez. XXV, 07/01/2025 Sentenza n. 271

RIFIUTI – Dichiarazione TARI – Denuncia di variazione – Obbligo – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Esonero – Presupposti – Accertamento Ente Locale.

La dichiarazione Tari è obbligatoria. È onere del contribuente presentare denuncia di variazione in tutti quei casi in cui siano intervenute modifiche nella tassazione. In assenza di siffatta prova non può essere riconosciuto nessun esonero anche alla presenza dei presupposti.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° ROMA, Sez. VIII, 07/01/2025 Sentenza n. 226

RIFIUTI – Detenzione di locali e aree scoperte – Locatore, conduttore o possessore – Individuazione dell’effettivo obbligato – TARI – Eccezione locazione di durata non superiore ai sei mesi – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Accertamento.

La TARI è dovuta solo dal conduttore dei locali, in quanto, il presupposto, è dato dal possesso o detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti suscettibili di produrre rifiuti. Il riferimento al concetto di detenzione pone sicure indicazioni sull’effettivo obbligato in caso di locazione dell’immobile, dovendosi individuare nel conduttore, e non nel locatore, il soggetto passivo d’imposta, tranne per che per la sola ipotesi di locazione di durata non superiore ai sei mesi dove obbligato al pagamento del tributo resta il proprietario.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° CAMPANIA, Sez. I, 03/01/2025 Sentenza n. 65

RIFIUTI – TARI – Gestione di un parcheggio in concessione comunale – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Ente Locale fase sinallagmatica del rapporto con il Comune – Accertamento.

In materia di TARI si è ormai consolidato un orientamento interpretativo secondo cui, premesso che i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti, tale tassa è dovuta anche dal soggetto che occupi o detenga un’area per la gestione di un parcheggio affidatagli dal Comune in concessione, restando del tutto irrilevante l’eventuale attinenza della gestione stessa alla fase sinallagmatica del rapporto con il Comune.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° LAZIO, Sez. IV, 03/01/2025 Sentenza n. 10

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Tributi locali – IMU – Secondo provvedimento in diminuzione – Emanazione di un atto impositivo integralmente sostitutivo del precedente.

In tema di IMU, la modificazione in diminuzione dell’accertamento originario non integra una pretesa tributaria “nuova” e, perciò, non richiede necessariamente l’emanazione di un atto impositivo integralmente sostitutivo del precedente (C. Cass. 14 luglio 2017, n. 17516).

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° ROMA, Sez. XIX, 03/01/2025 Sentenza n. 71

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Rendita catastale – Classamento di immobiliAttribuzione con procedura DOCFA Accertamento – Avviso – Obbligo della motivazione.

In tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale abbia luogo a seguito della procedura denominata DOCFA, ed in base ad una stima diretta eseguita dall’ufficio, l’obbligo della motivazione dell’avviso di classamento dell’immobile deve ritenersi osservato anche mediante la semplice indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’ufficio e della classe conseguentemente attribuita all’immobile, trattandosi di elementi che, in ragione della struttura fortemente partecipativa dell’avviso stesso, sono conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente, il quale, quindi, mediante il raffronto con quelli indicati nella propria dichiarazione, può comprendere le ragioni della classificazione e tutelarsi mediante ricorso alle commissioni tributarie.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° SICILIA, Sez. XV, 02/01/2025 Sentenza n. 8.

RIFIUTI – Rifiuti speciali Imballaggi terziari – PUBBLICA AMMINISTRAZIONEAccertamento – Esenzione dalla Tarsu – Esclusione – Applicazione della disciplina stabilita per i rifiuti speciali.

In tema di imballaggi terziari si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali e la tassa è esclusa per la sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali. Ciò non comporta, quindi, che tali categorie di rifiuti siano, di per sé, esenti dalla Tarsu, ma che ad esse si applichi la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali.

 

N.B: PER LE SENTENZE PER ESTESO E ALTRE SENTENZE CONSULTARE LA BANCA DATI DI GIURISPRUDENZA

 

OSSERVATORIO DIRITTO TRIBUTARIO:  AGEVOLAZIONI E ESENZIONI

 

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Napoli, Sez.XV, 10/03/2025, Sentenza n. 4237

PUBBLICA AMMINISTRAZIONEIMU – Nozione di abitazione principale – Accertamento della dimora abituale e residenza anagrafica del nucleo familiare del possessore – Coniuge con residenza anagrafica in diverso comune.

In materia di Imu va escluso che la nozione di abitazione principale presupponga la dimora abituale e la residenza anagrafica del nucleo familiare del possessore, per cui il beneficio spetta al possessore dell’immobile ove dimori abitualmente e risiede anagraficamente, anche se il coniuge abbia la residenza anagrafica in diverso comune.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. XI, 09/03/2025, Sentenza n. 1549

RIFIUTI – TARI – Laboratorio vetreria – Rifiuti speciali – Ditta specializzata alla raccolta e smaltimento – Accertamento – Esclusione.

Non è dovuta l’imposta nei locali adibiti ad un laboratorio vetreria se il ricorrente prova che negli stessi sono prodotti rifiuti speciali per i quali lo stesso ha incaricato una ditta specializzata alla raccolta e smaltimento degli stessi. Altra cosa sono i locali adibiti ad uffici e servizi igienici per i quali, non vi è dubbio, deve provvedersi al pagamento della tassa.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di Salerno, Sez. IX, 07/03/2025, Sentenza n. 1363.

RIFIUTI – TARI – Rifiuti speciali, tossici o nocivi – Esclusione dal tributo opera ipso iure.

Le superfici destinate a produrre in modo ordinario rifiuti speciali, tossici o nocivi, non sono imponibili a prescindere dal fatto che l’utente abbia o meno dimostrato di avere adempiuto ad obblighi o adempimenti prescritti per diverse finalità (in particolare tutela ambientale). In questi casi l’esclusione dal tributo opera ipso iure e l’utente non è onerato, come nel caso delle esenzioni, della prova della sussistenza dei presupposti della esclusione.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lombardia, Sez. XIX, 07/03/2025, Sentenza n. 661

RIFIUTI – Esenzione dal pagamento della TARI – Limiti.

L’esenzione dal pagamento della Tari non può riguardare le intere aree di vendita in quanto in tali luoghi prevale la presenza umana (clienti e dipendenti) e, quindi, la produzione anche di rifiuti urbani.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Roma, Sez. XXI, 05/03/2025, Sentenza n. 2993

DIRITTO DELL’ENERGIA Efficientamento energetico – Incentivi indebitamente concessi sulla base di provvedimenti annullati o oggetto di decadenza – Arricchimento a danno di altri Art. 2033 cod.civ. – IVA – Prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto – Esclusione.

Gli incentivi indebitamente concessi sulla base di provvedimenti annullati o oggetto di decadenza integrano obbligazioni restitutorie, riconducibili alla comune fattispecie di indebito oggettivo e danno luogo al diritto di ripetere quanto pagato ex art. 2033 cod.civ.; tale diritto ha, quale presupposto, che l’incentivo sia stato erogato senza causa e ha una funzione recuperatoria, in quanto tende a evitare l’arricchimento a danno di altri; pertanto, trattandosi di somme corrisposte in mancanza di valido titolo giustificativo, non possono essere ricondotte alla nozione “di pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto” ai sensi dell’art. 40 del testo unico.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Savona, Sez. I, 05/03/2025, Sentenza n. 61

DIRITTO URBANISTICO – IMU – Mancanza di abituale dimora nell’immobile – Prima casa – Onere probatorio – Ente impositore.

L’onere di provare la mancanza di abituale dimora nell’immobile per cui si pretende il pagamento del tributo è a carico dell’Ente impositore.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Parma, Sez. I, del 04/03/2025, Sentenza n. 93

DIRITTO URBANISTICO – IMU – Le pertinenze in ambito tributario – Esenzione.

Con riguardo alle pertinenze in ambito tributario deve essere respinta la tesi secondo la quale l’elenco di cui alla Tariffa limiterebbe il beneficio alle sole categorie catastali indicate, dovendosi invece ritenere che il legislatore, laddove afferma “sono ricomprese tra le pertinenze…”, evidenzia con chiarezza che per le unità immobiliari di cui alle categorie C/2, C/6 e C/7 una sola unità immobiliare, per ciascuna di dette categorie, può godere dell’agevolazione. La norma non comprende, pertanto, una elencazione esclusiva in quanto il carattere pertinenziale di un bene rispetto ad un altro dipende dalla circostanza che la pertinenza sia destinata “a servizio od ornamento” del “bene principale”, che dipende, a sua volta, sia da un fattore oggettivo, ossia l’obiettivo carattere strumentale di un bene rispetto all’altro, e sia da un fattore soggettivo, e cioè la volontà del titolare dei beni in questioni di “asservire l’uno all’altro.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lombardia, Sez. XVI, 03/03/2025, Sentenza n. 603

DIRITTO DELL’ENERGIA – Attestato di certificazione energetica – Detrazioni – Opere riqualificazione energetica – Onere a carico del contribuente di trasmettere all’ENEA – Termini.

L’onere a carico del contribuente di trasmettere all’ENEA l’attestato di certificazione energetica, entro i termini normativamente previsti, non costituisce un adempimento necessario per poter usufruire della detrazione, data l’assenza di un’espressa previsione di decadenza e la sua finalità meramente statistica e di monitoraggio/valutazione del risparmio energetico conseguito dal lavoro ultimato.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Bolzano, Sez. I, 03/03/2025, Sentenza n. 19

DIRITTO DELL’ENERGIA – Produttori di energia da fonti non rinnovabili – Prevenzione dei danni ambientali causati nell’esercizio della propria attività produttiva Agevolazioni – Tremonti ambiente – presupposto.

L’agevolazione “Tremonti ambiente” si applica esclusivamente alle imprese per l’acquisto delle immobilizzazioni materiali necessari per prevenire danni ambientali causati nell’esercizio della propria attività produttiva, con esclusione di imprese di produzione e cessione di energia da fonti rinnovabili, le quali prevengono danni causati da terzi (produttori di energia da fonti non rinnovabili).

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Potenza, Sez. II, 26/02/2025, Sentenza n. 142

DIRITTO URBANISTICO – IMU – Pertinenze dell’abitazione principale – Esenzione.

Ai fini Imu, per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo. Pertanto, è illegittima la pretesa impositiva dell’IMU su un immobile pertinenziale all’abitazione principale, il cui vincolo perdura immutato (durevolezza) fino a quando il ricorrente proprietario mantiene la sua destinazione funzionale al servizio dell’abitazione principale.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° puglia, Sez. III, 25/02/2025, Sentenza n. 674

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – IRES – Metodo di calcolo dell’approccio incrementale – Agevolazioni Immobilizzazioni materiali per prevenire, ridurre e riparare i danni causati all’ambiente.

L’agevolazione prevista dall’art. 6, commi da 13 a 19, della l. n. 388 del 2000, quale applicabile ratione temporis, va richiesta, in assenza di diversa disposizione di legge, per l’intero importo dell’investimento, secondo il metodo di calcolo dell’approccio incrementale, con riferimento all’anno in cui il costo d’acquisto delle relative immobilizzazioni materiali necessarie a prevenire, ridurre e riparare i danni causati all’ambiente è iscritto nello stato patrimoniale.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Abruzzo, Sez. VI, 25/02/2025, Sentenza n. 93

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Credito d’imposta – Ottenimento dell’agevolazioneRecupero – Requisiti.

Il requisito della novità al fine dell’ottenimento dell’agevolazione prevista dall’art 3 Dl. n. 145 del 2013 si configura non solo in caso di creazione ex novo di un prodotto, ma anche in caso di introduzione di miglioramenti significativi nello stesso, con esclusione delle modifiche di lieve entità o delle attività di routine.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° SassariSez. III, 24/02/2025, Sentenza n. 66

RIFIUTI – TARI (quota fissa e parte variabile del prelievo) – Rifiuti di imballaggio – Produzione “continuativa e prevalente” di rifiuti speciali – Codice dell’ambiente.

Le superfici in cui si producono, in via continuativa e prevalente, imballaggi e rifiuti di imballaggio, non sono da assoggettare alla TARI, quantomeno per la parte variabile del prelievo. Nonostante la produzione “continuativa e prevalente” di rifiuti speciali, resta comunque dovuta la quota fissa della Tari, in quanto destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività. Inoltre, la quota fissa finanzia anche i costi dei rifiuti esterni, in modo da coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° CAMPANIA, Sez. XIX, 31/01/2025 Sentenza n. 948

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione IRES – Rottamazione- quater – L. n.197/2022 – Piano rateale concordato – Estinzione.

In tema di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione ex art. 1, commi 231 – 252 della l. n.197 del 2022 (cd. rottamazione-quater), il comma 236 prevede una fattispecie di estinzione del processo che non postula il pagamento dell’intero ammontare dovuto in ragione del piano rateale concordato, presupponendo ex lege esclusivamente il perfezionamento della procedura amministrativa di rottamazione- in virtù della dichiarazione del contribuente di volersi avvalere della procedura rinunciando ai giudizi in corso, seguita dalla comunicazione dell’Agenzia sul numero, l’ammontare delle rate e le relative scadenze – ed il riscontro documentale dei soli pagamenti già effettuati con riferimento alla procedura di definizione prescelta.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Modena, Sez. I, 28/01/2025, Sentenza n. 38

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Ires – Spese di riqualificazione energetica – Omessa preventiva comunicazione dell’elenco delle spese – Benefici fiscali – Termine.

L’omessa preventiva comunicazione dell’elenco delle spese di riqualificazione energetica, prevista dall’art. 4, del D.M. 19 febbraio 2007, in mancanza di una espressa sanzione di decadenza in caso di ritardo o omissione non può, di per sé, comportare la perdita del beneficio fiscale.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Campania, Sez. VI, del 28/01/2025 Sentenza n. 899

RIFIUTI – Esclusioni dall’indifferenziata e sottoposizione alla TARI Circostanze escludenti la produttività e la tassabilità Denuncia di variazione o originaria – Necessità – Controlli.

Eventuali esclusioni dall’indifferenziata sottoposizione alla TARI non sono mai automatiche; le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità devono essere dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e devono essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o in base a idonea documentazione.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Napoli, Sez. XXVIII, del 27/01/2025, Sentenza n. 1345

RIFIUTI – Aree che producono rifiuti speciali in via prevalente – Esclusione dalla TARI Agevolazione.

Per dimostrare che una data superficie produce rifiuti speciali in via prevalente, con conseguente esclusione dalla TARI, si deve verificare che i rifiuti speciali prodotti superino la metà (siano prevalenti) dei rifiuti presuntivamente prodotti dalla medesima superficie.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° LAZIO, Sez. XII, 27/01/2025 Sentenza n. 495

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IRES – Piccole e medie impreseAgevolazioni i cui all’art. 6, l. n. 388/2000 – Investimenti ambientali – Presupposti soggettivi e oggettivi – Tremonti ambiente.

Per poter accedere all’agevolazione di cui all’art. 6, l. n. 388/2000 – prevista per le piccole e medie imprese – è necessaria la sussistenza di presupposti soggettivi e oggettivi. In particolare, con riferimento al requisito soggettivo per classificare una impresa piccola e media, è necessario il possesso dell’indipendenza, sussistente se il capitale o i diritti di voto non siano detenuti per il 25% o più da una sola impresa oppure congiuntamente da più imprese. Quanto al requisito oggettivo occorre che l’investimento sia necessario per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente dall’attività dell’impresa che lo realizza.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° LazioSez. XVII, 21/01/2025, Sentenza n. 407

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – ENTI LOCALI – IMU – Riduzione per proprietari di beni storico-artistici – Funzione dell’agevolazione.

L’agevolazione per i proprietari di beni storico-artistici riveste una funzione non solo compensativa delle restrizioni e dei vincoli posti alla proprietà privata ma anche di stimolo a compiere opere di conservazione e protezione dell’immobile soggetto al vincolo.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. II, del 21/01/2025 Sentenza n. 388

RIFIUTI – ENTI LOCALI – TARI (zone in cui non è effettuata la raccolta) – Agevolazione – Riduzione in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta.

Nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, la TARI è dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Campania, Sez. VIII, 20/01/2025 Sentenza n. 619

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IMU Prima casa – Esenzione per l’abitazione principale – Oneri probatori.

In tema di ICI ed IMU, ai fini dell’esenzione prevista per l’abitazione principale è necessario che, tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente, conformemente alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative. La mancanza di consumi delle utenze domestiche, ed in particolare quelli elettrici e idrici, costituiscono prove utilizzabili dai comuni per superare le risultanze anagrafiche, in quanto una presenza sporadica e non costante del contribuente non consente il diritto all’esenzione.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° TOSCANA, Sez. V, 20/01/2025, Sentenza n. 52

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – ENTI LOCALI – IMU – Fabbricati inagibili o inabitabili per motivi connessi ad una “irregolarità” a livello urbanistico – edilizio, oltre che igienico-sanitario Esenzione – Esclusione.

In materia di IMU, il legislatore ha previsto esenzioni o riduzioni dell’imposta per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili: se l’immobile è stato dichiarato inagibile per motivi connessi ad una “irregolarità” a livello urbanistico – edilizio, oltre che igienico-sanitario – non è possibile fruire dell’agevolazione.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Umbria, Sez. II, 15/01/2025, Sentenza n. 21

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Errori di fatto o di diritto commessi nella redazione della dichiarazione Accertamento – Tremonti ambiente – RimborsoArt. 38 d.p.r. n. 602/1973.

Il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del d.p.r. 602 del 1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, a prescindere dai termini e modalità della dichiarazione integrativa. Il contribuente, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. XI, 15/01/2025, Sentenza n. 296

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Agevolazione per prevenire, ridurre e ripianare “danni causati all’ambiente” – Tremonti ambiente – Applicabilità.

Nel definire gli investimenti cui si applica l’agevolazione, come quelli necessari per prevenire, ridurre e ripianare “danni causati all’ambiente”, il legislatore intende fare riferimento ai danni all’ambiente inerenti all’attività dell’impresa investitrice, cioè ai danni causati da tale sua attività.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lombardia, Sez. XVI, 9/01/2025 Sentenza n.353

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IRES – Agevolazioni volta a incentivare le piccole e medie imprese – Investimenti ambientali – Legge n.388/2000 – Tremonti ambiente – Interpretazione autentica.

L’articolo 6, commi da 13 a 19, della legge n.388 del 2000 ha introdotto una agevolazione volta ad incentivare le piccole e medie imprese che realizzano investimenti ambientali, per cui la quota di reddito destinata a tali investimenti non concorre alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi. Il dubbio interpretativo, sciolto con una interpretazione autentica, da una successiva norma secondaria emanata dall’amministrazione consente di cumulare le agevolazioni previste dalla Tremonti ambiente con quelle previste dal c.d. conto energia.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° FirenzeSez. I, 08/01/2025, Sentenza n. 17

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Formazione 4.0 – Agevolazione alle attività di formazione ordinaria o periodica  Ambito di applicazione – SICUREZZA SUL LAVORO – Sicurezza e salute sui luoghi di lavoro.

Non può riconoscersi l’agevolazione alle attività di formazione ordinaria o periodica che l’impresa organizza per conformarsi alla normativa vigente in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, di protezione dell’ambiente e ad ogni altra normativa obbligatoria.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lazio, Sez. XV, 07/01/2025, Sentenza n. 35

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Enti del terzo settore – Esenzione IMU e TASI Utilizzo dell’immobile per lo svolgimento della propria attività di interesse generale – Esenzioni.

L’esenzione IMU e TASI per gli enti del terzo settore opera solo se l’ente utilizza l’immobile per lo svolgimento della propria attività di interesse generale. L’esenzione è esclusa allorquando l’attività svolta, venendo a incidere su un settore produttivo operante alle condizioni di mercato, finisca con l’alterare le regole della libera concorrenza, configurandosi in un vero e proprio aiuto di Stato.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° ROMA, Sez. XXVII, 07/01/2025, Sentenza n. 117

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Processo tributario – Efficacia sentenza – ICI.

In materia di ICI, la sentenza che ha deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità, fa stato con riferimento anche ad annualità diverse in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente, ma non con riferimento ad elementi variabili.

 

N.B: PER LE SENTENZE PER ESTESO E ALTRE SENTENZE CONSULTARE LA BANCA DATI DI GIURISPRUDENZA

 

OSSERVATORIO DIRITTO TRIBUTARIOTRIBUTI ERARIALI STATALI

 

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Napoli, Sez. XIX, 29/04/2025 Sentenza n. 7480

DIRITTO TRIBUTARIO – Contratti di locazione di immobili ad uso abitativoRedditi fondiari – Mancati canoni di locazione – Convalida di sfratto per morosità – Intimazione di sfratto per morosità o ingiunzione di pagamento – Necessità.

Ai sensi dell’art. 26, d.P.R. 917/1986), i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento. Nel dettaglio, con riferimento ai redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, l’art. 23, comma 1, d.P.R. 917/1986 prevede che tali redditi, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti, come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento di convalida di sfratto per morosità, è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Milano, Sez. XVI, 24/04/2025, Sentenza n. 1876

DIRITTO TRIBUTARIO – Doppia imposizione da parte di due diversi Stati – Principio di tassazione su base mondiale – credito d’imposta – Artt. 3, 165, d.P.R. n. 917/1986.

L’art. 165, d.P.R. n. 917/1986 consente l’eliminazione della duplice imposizione del medesimo reddito da parte di due diversi Stati, riconoscendo al contribuente la detrazione, dall’imposta netta dovuta in Italia, delle imposte pagate all’estero a titolo definitivo. Il sistema tributario italiano prevede infatti, sulla base dell’art. 3, d.P.R. 917/1986, il principio della tassazione su base mondiale, in forza del quale i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tassati sui redditi ovunque prodotti. Ciò comporta che, qualora il reddito prodotto all’estero dal contribuente residente sia assoggettato a tassazione anche nel paese della fonte, si verifichi un fenomeno di doppia imposizione. Al fine di eliminare tale evidente penalizzazione (in violazione del principio di capacità contributiva), per i soggetti che operano anche all’estero, la normativa sia italiana che convenzionale ha previsto il metodo del credito d’imposta, in base al quale l’imposta pagata all’estero dal contribuente residente è detraibile dall’imposta dovuta sul medesimo reddito nel paese di residenza.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Liguria, Sez II, 31/03/2025, Sentenza n. 259

DIRITTO TRIBUTARIO – Imposta di registro – Atti di compravendita – Scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto ed il valore normale del bene – Quotazioni OMI – Art. 51 TUR, d.P.R. n. 131/1986.

In materia di valore da attribuire agli atti di compravendita ai fini dell’imposta di registro, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla compravendita non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto ed il valore normale del bene quale risultante dalle quotazioni OMI. Infatti, per l’individuazione del valore venale occorre fare sempre riferimento ai criteri stabiliti dall’art. 51 del TUR, d.P.R. n. 131 del 1986, ossia ai trasferimenti a qualsiasi titolo, alle divisioni e alle perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Campania, Sez. XIII, 27/03/2025 Sentenza n. 2557

DIRITTO TRIBUTARIO – Reati tributari – Qualifica di amministratore “di fatto” – Art. 2639 c.c. – Attività gestoria.

In tema di reati tributari, ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto”, di cui all’art. 2639, comma 1, c.c., non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma un’apprezzabile attività gestoria, svolta, cioè, in modo non episodico od occasionale. Si tratta di poteri che devono estrinsecarsi, comunque, nell’esercizio concreto e con un minimo di continuità delle funzioni proprie degli amministratori o di una di esse, coordinata con le altre. Nel caso in cui l’Amministrazione non assolva a tale onere probatorio, la relativa qualifica non può essere attribuita al soggetto accertato.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Sardegna, Sez. III, 26/03/2025, Sentenza n. 436

DIRITTO TRIBUTARIO – Deducibilità dei costi – Giudizio di inerenza – Antieconomicità dell’operazione.

In materia di indebita deduzione di componenti negativi, in violazione dell’art. 109, comma 5, d.P.R. 917 del 1986, l’opportunità di un costo e la sua eventuale indeducibilità non può essere sindacata dall’Amministrazione finanziaria, in quanto si tratta di scelta che concerne la strategia commerciale ed è, dunque, riservata al giudizio esclusivo dell’imprenditore. Il costo, per poter superare positivamente il giudizio di inerenza e partecipare alla formazione dell’imponibile, deve presentare una relazione con l’attività d’impresa esercitata, anche in un’ottica indiretta, potenziale o in proiezione futura. Laddove l’Amministrazione contesti la deducibilità, deve dimostrare in modo certo e diretto la mancanza di correlazione tra costi e ricavi, nonché l’antieconomicità dell’operazione, che presuppone un’evidente ed inequivoca contrarietà a criteri generalmente seguiti dagli imprenditori dello specifico settore interessato.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Lombardia, Sez. XV, 18/03/2025, Sentenza n. 753

DIRITTO TRIBUTARIO – Polizze sottoscritte da una società di capitali che assicurano il Presidente del CdA – Base ACE – Prodotto di investimento.

Le polizze sottoscritte da una società di capitali che vedono come soggetto assicurato il Presidente del CdA, in caso morte, e beneficiaria la società contraente, non sono polizze di puro rischio, ma contengono una componente finanziaria costituita da titoli obbligazionari, immobiliari e azionari che subiscono evidentemente la fluttuazione di mercato. Di talché, sono pienamente assimilabili ad un prodotto di investimento assicurativo da sterilizzare ai fini dell’ACE, poiché tali strumenti permettono, sia pure in via indiretta, un investimento in titoli come previsto dall’art. 1, c 6-bis d.l. 201/2011, in forza del quale la cd. “base ACE” deve essere sterilizzata in misura pari agli investimenti in titoli e valori mobiliari effettuati successivamente al 31 dicembre 2010.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Piemonte, Sez. II, 13/03/2025, Sentenza n. 206

DIRITTO TRIBUTARIO – Compravendita di immobili Natura dell’immobile (strumentale vs civile abitazione)Acquisto prima casa vs acquisto di appartamento ad uso diverso.

Nella compravendita di immobili, il discrimine della tassazione è la natura dell’immobile (strumentale vs civile abitazione) piuttosto che la destinazione dello stesso (acquisto prima casa vs acquisto di appartamento ad uso diverso). Pertanto, se non è trasferito un immobile strumentale, non può essere applicata la norma eccezionale di cui all’art. 1-bis della tariffa allegata al d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347 e (per l’imposta catastale) dell’art. 10, comma 1, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347 (vendita di beni strumentali per natura). Dovrà, invece applicarsi la norma ordinaria, prevista dall’art. 1 della tariffa e del cpv. dell’art. 10, del citato d.P.R. n. 347/1990.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Veneto, Sez. I, 11/03/2025, Sentenza n. 132

DIRITTO TRIBUTARIO – Responsabilità del consulente – Culpa in vigilando – Obbligazione tributaria.

Se il contribuente si avvale di un professionista per la presentazione della dichiarazione, dalla quale risultino violazioni delle disposizioni tributarie, il contribuente ha l’onere di provare la propria assenza di colpa. Di conseguenza, il contribuente è chiamato a rispondere per l’illecito asseritamente commesso dal professionista incaricato, ove non dimostri di aver vigilato sullo stesso, nonché sul comportamento fraudolento dal medesimo tenuto, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento, mediante la falsificazione di modelli F24 ovvero di altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante. Dunque, l’obbligazione tributaria grava sul soggetto passivo d’imposta, che è tenuto a controllare l’operato del proprio consulente fiscale, atteso che un eventuale comportamento omissivo non esonera il contribuente dalle sanzioni tributarie previste dall’ordinamento giuridico.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° SardegnaSez. II, 28/02/2025, Sentenza n. 334

DIRITTO TRIBUTARIO – Deducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizio – Azione penale – Determinazione dei redditi – Art. 6, Tuir – l. n. 537/1993 – Artt. 424 e 425 c.p.c. – Art. 157 c.p..

Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del Tuir, non sono ammessi in deduzione, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537/1993, i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale, o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.c., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.c., fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Sardegna, Sez. II, 28/02/2025, Sentenza n. 333

DIRITTO TRIBUTARIO – Rapporto tra giudicato penale e processo tributarioEfficacia del giudicato penale ope legisius superveniens – Sentenza definitiva di assoluzione – Legge n. 130/2022 – d.lgs. n. 87/2024 – d.lgs. n. 74/2000.

La sentenza penale irrevocabile di cui all’art. 1, comma 1, lett. m) d.lgs. n. 74/2000 (come modificato dall’art. 21-bis, d.lgs. n. 87/2024, assume efficacia vincolante e opera automaticamente nel processo tributario. In base a tale principio, introdotto dalla Legge n. 130/2022, che ha radicalmente modificato il rapporto tra giudicato penale e processo tributario, la sentenza penale irrevocabile non assume più mera efficacia probatoria, bensì efficacia di giudicato automaticamente rilevabile nel processo tributario. Pertanto, la sentenza definitiva di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, fa stato nel giudizio tributario, con riferimento ai fatti materiali accertati in sede penale.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Toscana, Sez. III, 27/02/2025 Sentenza n. 255

DIRITTO TRIBUTARIO – Transfer pricing – Vendite a prezzi inferiori al “valore normale” Prezzi applicati dalla società madre alle consociate – Metodo del full range (intervallo compreso fra il prezzo minimo e il prezzo massimo praticato).

Il fine principale che delle disposizioni sul transfer pricing è quello di evitare che le multinazionali pervengano, attraverso una sovrastima o una sottostima dei prezzi, al trasferimento di porzioni di reddito imponibile in Stati a fiscalità ridotta o in giurisdizioni dove l’impresa multinazionale vanta uno specifico interesse. L’esistenza di vendite a prezzi inferiori al “valore normale”, come definito dall’art. 9 comma 3, d.P.R. n. 917/1986, va valutata con riferimento agli specifici criteri utilizzati nel caso concreto. In specie, i prezzi applicati dalla società madre alle consociate, che vengono utilizzati come riferimento con il metodo del full range (intervallo compreso fra il prezzo minimo e il prezzo massimo praticato), non possono essere ritenuti affidabili in quanto, essendo svincolati dalle quantità, richiederebbero, di volta in volta, una verifica della rappresentatività dei prezzi rispetto alla categoria di prodotti considerata (DCS).

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Campania, Sez. XVIII, 25/02/2025, Sentenza n. 1722

DIRITTO TRIBUTARIO – Sanzioni doganali – Presunzione di colpa e assenza assoluta di colpa – certificato doganale falso – Rilevabilità d’ufficio – Codice doganale comunitario – Reg n. 2913/1992/CEE.

Ai sensi dell’art. 220, par. 2, lett. b), del regolamento CEE del 12 ottobre 1992, n. 2913 (Codice doganale comunitario) e dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, nelle sanzioni tributarie doganali sussiste una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa, sicché va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa. Purtuttavia, sussiste l’assenza assoluta di colpa, anche lievissima, nel caso in cui l’importatore utilizzi, per la dichiarazione, i dati presenti in un certificato doganale di accompagnamento della merce falso, formatosi all’estero senza che il contribuente abbia partecipato alla sua formazione e la cui elevata verosimiglianza all’originale abbia indotto in errore la stessa Amministrazione.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Cuneo, Sez. I, 25/02/2025, Sentenza n. 18

PROCESSO TRIBUTARIO – Transazione fiscale – Riscossione – Accordo di ristrutturazione dei debiti.

È illegittima e, conseguentemente inefficace, la cartella di pagamento, notificata successivamente alla stipula di una transazione fiscale con ADM, emessa nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti di gruppo, omologato dal tribunale, ai sensi degli artt. 40, 57, 61, 284, co. 2, e 23, co. 2, lettera b), CC.II. Invero, anche quando la transazione fiscale non realizzi un effetto novativo e/o remissorio dell’obbligazione tributaria, è evidente che solo al ricorrere di una causa di risoluzione dell’accordo l’obbligazione tributaria rivive integralmente come originariamente determinata, con conseguente immediato ripristino dell’originaria posizione creditoria erariale. Ne consegue che, nelle more dell’esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, e fino a quando il soggetto passivo esegua puntualmente i versamenti previsti dalla transazione fiscale, non v’è ragione perché il Fisco intimi – con un atto a valenza esecutiva (cartella esattoriale) – l’adempimento di obbligazioni non più esigibili nei termini originari.

 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. V, del 16/02/2025, Ordinanza n. 3913

DIRITTO URBANISTICO – Immobile collabente – Categoria catastale F/2 e interventi edilizi, all’uso abitativo– DIRITTO TRIBUTARIO – Imposte di registro – Agevolazione prima casa.

In materia di agevolazione prima casa, posto che la norma agevolativa non esige l’idoneità abitativa dell’immobile già al momento dell’acquisto, il beneficio può essere riconosciuto anche all’acquirente di immobile collabente, non essendo preclusiva la classificazione del fabbricato in categoria catastale F/2, ed invece rilevando la suscettibilità dell’immobile acquistato ad essere destinato, con i dovuti interventi edilizi, all’uso abitativo.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Genova, Sez. III, 12/02/2025 Sentenza n. 133

DIRITTO TRIBUTARIO – Cessione di oro industriale – Regime IVA- Reverse change – risoluzione n. 375/2002.

L’art. 3 della l. n. 7/2000 ha previsto che la cessione di oro industriale sia assoggettata al regime IVA del cd. reverse charge. In linea con quanto precisato nella risoluzione n. 375 del 2002, l’imposta è dovuta con tale meccanismo nell’ipotesi in cui la rivendita di beni d’oro usati è finalizzata al processo industriale di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso. Tale fattispecie si verifica sia qualora l’attività di lavorazione industriale dei metalli preziosi rappresenti l’attività esclusiva svolta dall’azienda cessionaria, sia qualora l’attività di lavorazione industriale sia strumentale alla produzione di nuovi oggetti d’oro. In sostanza, il fatto che la cessionaria non svolga esclusivamente attività di lavorazione industriale dei metalli non assume, di per sé, rilevanza decisiva per la non applicazione del meccanismo del cd. reverse change.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Trapani, Sez. II, 31/01/2025, Sentenza n. 113

DIRITTO TRIBUTARIO – Accertamento integrativo – Ne bis in idemEsercizio dell’autotutela sostitutiva.

Nel caso in cui l’Amministrazione annulli in autotutela un avviso di accertamento per vizi sostanziali, il relativo potere accertativo su quel dato periodo di imposta si è consumato, sicché un nuovo avviso, basato sui medesimi elementi già noti all’Ufficio, è illegittimo e va annullato, per violazione del principio del ne bis in idem di cui all’art 9-bis dello Statuto. L’esercizio dell’autotutela sostitutiva, invero, deve tenere conto del diritto del contribuente di subire una sola azione accertativa da parte dell’Amministrazione Finanziaria per ogni periodo d’imposta.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° di Pesaro, Sez. II, 31/01/2025, Sentenza n. 36

DIRITTO TRIBUTARIO – Tributi erariali – IRPEF – Autorimesse o posti auto pertinenziali – Deducibilità realizzazione box auto.

L’utilizzo del termine “realizzazione” di cui al comma 1 lettera d) dell’art. 16 bis del TUIR, evidenzia come il legislatore abbia consapevolmente escluso che l’agevolazione fiscale venga riconosciuta alla sola “costruzione” di autorimesse o posti auto pertinenziali anche a proprietà comune, non escludendo che vi rientri l’ipotesi della ristrutturazione e/o creazione di nuovo ambiente tramite modifiche dell’immobile.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° PIEMONTE, Sez. III, 27/01/2025, Sentenza n. 78

DIRITTO TRIBUTARIO EUROPEO – Direttiva 2003/96/CE – Accisa ridotta – Gasolio commerciale.

In relazione alla giurisprudenza comunitaria, secondo cui l’art. 7 paragrafo 3, lett. b) della Direttiva 2003/96/CE non osta ad una normativa nazionale – qual è, nella specie, l’art. 24 ter del TUA – che preveda un’aliquota di accisa ridotta per il gasolio commerciale utilizzato come propellente soltanto per il trasporto “regolare” di passeggeri, si ritiene che tale nozione non includa il servizio di trasporto di persone c.d. atipico, a carattere occasionale, gestito in forma privatistica, quale l’attività di noleggio di autobus con conducente.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° ToscanaSez. III, 20/01/2025, Sentenza n. 43

DIRITTO TRIBUTARIO – Imposta unica sulle scommesse – Libertà di stabilimento – Soggettività passiva.

In tema di soggettività passiva nell’imposta unica sulle scommesse, prevista dall’art. 3, d.lgs. n. 504/98, il centro di trasmissione dati, deputato alla raccolta delle scommesse, non è un semplice “prestatore di servizi transfrontalieri”, in quanto non si limita solo a trasmettere dati al bookmaker, che ha sede all’estero. Invero, gestendo in concreto i locali dove le persone si recano per scommettere ed erogando le vincite, è soggetto passivo del tributo, il cui il presupposto è correlato alla prestazione del servizio che consiste nell’organizzazione del gioco e nella raccolta delle scommesse nel territorio italiano. Sul punto, nei confronti del bookmaker che ha sede all’estero trova giustificazione la restrizione al principio di libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 del TFUE, poiché, in primo luogo, l’imposta in questione non ha natura armonizzata ed inoltre il settore dei giochi d’azzardo con somme in denaro pone dei problemi di tutela dei consumatori, di prevenzione dall’incitamento ad una spesa eccessiva collegata al gioco, di prevenzione di possibili turbative dell’ordine sociale.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Reggio nell’Emilia, Sez. II, 20/01/2025, Sentenza n. 18

DIRITTO TRIBUTARIO – Tutela dei crediti erariali – Procedura “velocizzata”Contraddittorio informato – Prova di resistenza – Fondato pericolo per la riscossione.

Il comma 2 dell’art 6-bis, l. n. 212/200 ha lo scopo di tutelare i crediti erariali “anticipandone”, il più possibile, la riscossione in quelle fattispecie in cui si appalesi un fondato pericolo per la loro riscossione. Purtuttavia, tale procedura “velocizzata”, in luogo di quelle “ordinaria” prevista dal comma 1, è consentita dalla norma solo se emergano dei sintomi del possibile verificarsi dell’evento dannoso, non quando l’evento stesso si sia già verificato. Ne consegue che, non essendo gli atti impugnati preceduti da un contraddittorio informato ed effettivo (come disciplinato dai commi 1 e 4), gli stessi vanno annullati. Invero, la sola carenza dello svolgimento del contraddittorio informato è sufficiente a che il Giudice possa dichiarare la nullità degli atti impugnati, non essendo più richiesta la c.d. “prova di resistenza”, che l’abrogato art. 5-ter, comma 5, d.lgs. n. 218/1997 prevedeva.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° di Pesaro, Sez.II, 09/01/2025 sentenza n. 429

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Deducibilità Imu – Esercizio dell’attività d’impresa IRES (Imposta sul Reddito delle Società) – Tributi erariale.

In tema di IRES il mancato riconoscimento della deducibilità, ai fini IRES, in sede di computo del reddito complessivo netto, dell’Imu versata dalla società in relazione agli immobili posseduti dalla medesima nell’esercizio della propria attività d’impresa, rappresenta una violazione delle regole fondanti il sistema dell’imposizione sui redditi e, ancor più in generale, dei principi sottesi all’ordinamento tributario nel suo complesso.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Roma, Sez. XXIX, 08/01/2025, Sentenza n. 319

DIRITTO URBANISTICO – IMU – Catasto – Atto di classamento conseguente a procedura Docfa – Motivazione.

L’atto di classamento conseguente a procedura Docfa, quando è fondato sui medesimi fatti indicati dal contribuente nella proposta di attribuzione della rendita, deve ritenersi sufficientemente motivato con la sola precisazione di unità immobiliare, canone censuario, foglio, particella, subalterno, zona censuaria, categoria, classe, consistenza, rendita.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° VENETO, Sez. V, 02/01/2025, Sentenza n. 5.

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti fotovoltaici di grande potenza (parchi fotovoltaici) – DIRITTO TRIBUTARIO – Imposte di registro, ipotecarie e catastali – Accertamento.

Gli impianti fotovoltaici di grande potenza (parchi fotovoltaici), realizzati allo scopo di produrre energia da immettere nella rete elettrica nazionale per la vendita, vanno considerati, a tutti gli effetti, ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, quali beni immobili in quanto la connessione strutturale e funzionale tra il terreno e gli impianti è tale da poterli ritenere sostanzialmente inscindibili, a nulla rilevando che astrattamente sono rimovibili ed installabili in altro luogo.

 

N.B: PER LE SENTENZE PER ESTESO E ALTRE SENTENZE CONSULTARE LA BANCA DATI DI GIURISPRUDENZA

 

OSSERVATORIO SULLA FISCALITÀ AMBIENTALE DIRITTO EUROPEO

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Marche, Sez. II, 14/04/2025, Sentenza n. 343

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianto fotovoltaico – Investimento agevolabile e disciplina degli aiuti – L. 388/2000 (cd. legge Tremonti ambiente)

In materia di agevolazione spettante per la realizzazione di un impianto fotovoltaico, l’art. 6, comma 15, della legge 388/2000 (cd. legge Tremonti ambiente), letto unitamente alla disciplina degli aiuti di Stato in materia ambientale, contenuta nella comunicazione n. 2008/C 82/01, quantifica l’investimento complessivamente agevolabile considerando: a) i costi d’investimento supplementari o sovraccosti rispetto alla realizzazione di un impianto tradizionale, a cui vengono sottratti, b) i profitti operativi e aggiunti c) i costi operativi attinenti all’impianto, relativi ai primi cinque anni dall’entrata in funzione del medesimo. Dalla lettura delle due disposizioni riportate si evince che i “costi operativi”, idonei ad essere aggiunti al costo dell’investimento iniziale, sono solo quei costi legati all’effettivo utilizzo di un bene strumentale eco-compatibile, che l’impresa non avrebbe sostenuto nell’ipotesi in cui avesse impiegato un bene analogo, ma con una maggiore incidenza sull’ambiente.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Bari, Sez. V, 28/03/2025, Sentenza n. 820

INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Ecotassa – Emissioni biossido di carbonio – Immatricolazione autoveicoli usati acquistati all’estero – Esonero – Limiti – Fenomeno della c.d. “discriminazione alla rovescia” – Principio del “chi inquina paga”.

La ratio dell’imposta ex art. 1, commi da 1042 a 1046-bis, l. n. 145 del 2018, parametrata al numero di grammi di biossido di carbonio emessi dai veicoli per chilometro, non va individuata nella dissuasione dall’immissione nel territorio nazionale di auto inquinanti provenienti da altri Stati, bensì nell’immatricolazione – quale presupposto indefettibile alla circolazione del mezzo nello Stato – di ulteriori auto di per sé inquinanti, rispetto a quelle già circolanti. Esonerando dall’imposta i veicoli usati acquistati all’estero, ne verrebbe elusa la finalità disincentivante posta a base della norma istitutiva del tributo, potendosi verificare il fenomeno della c.d. “discriminazione alla rovescia” – risultando più convenienti i mezzi esteri in luogo di quelli nazionali – nonché lo stesso principio, di matrice europea, del “chi inquina paga”.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Bari, Sez. III, 21/03/2025, Sentenza n. 750

RIFIUTI – Discarica – Tutela della salute e dell’ambiente dagli inquinanti organici persistenti – DIRITTO TRIBUTARIO – Infondatezza della pretesa tributaria – Carenza di motivazione – Art. 7, d.lgs. n. 36/2003 – D.M. 27/9/2010 – Reg. CE n. 850/2004.

L’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 36/2003 stabilisce che i rifiuti sono ammessi in discarica esclusivamente se risultano conformi ai criteri di ammissibilità della corrispondente categoria di discarica secondo quanto stabilito dal decreto, mentre il d.M. 27/9/2010, in conformità con il Regolamento CE n. 850/2004 in materia di tutela della salute e dell’ambiente dagli inquinanti organici persistenti, definisce i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica e fissa i limiti dei valori necessari per l’ammissibilità in discarica. Conseguentemente, la violazione dei predetti limiti comporta l’assoluta inammissibilità in discarica. Pertanto, non può essere annullato, per infondatezza della pretesa tributaria, un avviso di accertamento che renda palese, in questi termini, la ragione sottostante alla rettifica operata dall’Ufficio.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Campania, Sez. I, 19/03/2025, Sentenza n. 2336

RIFIUTI – Ecotassa – Metodo c.d. “normalizzato” di calcolo della TARI – Principio “chi inquina paga” – Presunzioni legali.

Il metodo c.d. “normalizzato” di calcolo della TARI è stato ritenuto legittimo dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che, nelle pronunce del 24.6.2008 in causa C-188/07 e del 16.7.2009 in causa C254/08, ne ha affermato la conformità al principio “chi inquina paga”, recepito dall’art. 11 della direttiva 75/442. Trattandosi di un metodo presuntivo, esso è soggetto, quale limite imposto dalla Corte di Giustizia, alla discrezionalità delle autorità nazionali, alle quali non è consentito introdurre regimi impositivi i cui fatti costitutivi si fondino su presunzioni legali, che non ammettono prova contraria, ed è legittimo qualora rispetti la condizione di non ingenerare, a carico di fasce di contribuenti, trattamenti irragionevolmente gravosi.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Emilia-Romagna, Sez. X, 25/02/2025, Sentenza n. 151

DIRITTO DELL’ENERGIA – Tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità – Direttiva europea – Oli minerali (combustibile per riscaldamento o carburante per motori) – Tassa ambientale – Dir. 96/2003/CE.

Con il d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, è stata attuata la direttiva 2003/96/CE, che ristruttura il quadro europeo per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. In base alla norma comunitaria sono soggetti ad accisa una serie di prodotti vocati per loro natura all’impiego energetico (gli oli minerali) e un’ulteriore serie di prodotti annoverati tra i prodotti energetici (e quindi sottoposti a tassazione), esclusivamente laddove vengano utilizzati come combustibile per riscaldamento o come carburante per motori.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Campania, Sez. VI, 05/02/2025, Sentenza n. 1127

DIRITTO TRIBUTARIO – ENTI LOCALI – Tariffe TARI sulla base del tipo di attività commercialeDirettiva europea – chi inquina paga – inquinamento sui rifiuti.

Il Comune può determinare le tariffe TARI ai sensi del comma 651 dell’art.1 della legge n.147/2013 e dell’art. 6, d.P.R. n. 158/1999, ovvero sulla base del tipo di attività commerciale (per la parte fissa) e della quantità di rifiuti conferita, utilizzando anche criteri presuntivi (per la parte variabile). Alternativamente a tali criteri, l’ente comunale può quantificare la TARI in forza del successivo comma 652, ovvero, nel rispetto del principio “chi inquina paga” (sancito dall’articolo 14 della direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008), può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte, nonché al costo del servizio sui rifiuti.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° CampaniaSez. VII, 04/02/2025 Sentenza n. 1089

DIRITTO TRIBUTARIO – Direttiva europea – Imposta e capacità contributiva – INQUINAMENTO ACUSTICO – Inquinamento e disinquinamento acustico – Aree prossime agli aeroporti – Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (IRESA) – D.lgs. n. 13/2005 – direttiva 2002/30/CE.

L’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (IRESA), istituita dagli artt. 90-95, l. n. 342/2000, non si pone in contrato con gli artt. 3 e 53 Cost., perché individua gli esercenti di aeromobili quali soggetti passivi dell’imposta e definisce la loro capacità contributiva, intesa quale partecipazione alle spese conseguenti ai danni ambientali derivanti dalle emissioni sonore nelle aree prossime agli aeroporti. L’imposta in esame è finalizzata a promuovere il disinquinamento acustico in relazione al traffico aereo e promuove la tutela dell’ambiente, conformemente a quanto disposto dalla direttiva 2002/30/CE del 26 marzo 2002, (recepita dal d.lgs. n. 13/2005), relativa all’introduzione di restrizioni operative ai fini del contenimento del rumore negli aeroporti comunitari.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° Basilicata, Sez. II,  del 30/01/2025, Sentenza n. 26

DIRITTO TRIBUTARIO EUROPEO – Rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare – DIRITTO DELL’ENERGIA – Categorie catastali dei gruppi D ed E – Incentivi per la produzione e l’uso di energie rinnovabili (eolico).

Secondo l’art. 1, comma 21, l. n. 208/2015, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo. Invero, la ratio della norma è conforme al principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, previsto dall’art. 194, lett. C, TFUE, alle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE e all’accordo Parigi del 22/04/2016, che, al fine di contenere il surriscaldamento del pianeta, incentivano la produzione e l’uso di energie rinnovabili. In tale contesto normativo, deve essere espunto dal calcolo della rendita catastale tutto ciò che è strumentale e funzionale alla produzione dell’energia eolica, ovvero gli elementi di natura impiantistica, ivi inclusa la torre, che si trova in rapporto esclusivo con la parte dell’impianto deputata in maniera più specifica alla produzione dell’energia elettrica, sfruttando la forza del vento, che, agendo sull’elica, provoca la rotazione del rotore.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° PiemonteSez. III, 27/01/2025, Sentenza n. 79

DIRITTO TRIBUTARIO – Direttiva europea – Aliquota di accisa ridotta per il gasolio commerciale – Interessi sociali di mobilità ed esigenze di tutela dell’ambiente – Direttiva 96/2003/CE.

L’aliquota di accisa ridotta per il gasolio commerciale utilizzato come propellente per il trasporto “regolare” di passeggeri, prevista dall’art. 24-ter del TUA, non può essere estesa al carburante usato per il servizio di trasporto di persone c.d. atipico, a carattere occasionale, gestito in forma privatistica, quale l’attività di noleggio di autobus con conducente. Invero, l’art. 7 della Direttiva 96/2003/CE, sulla tassazione dei prodotti energetici, non riconosce l’attribuzione del beneficio a qualsiasi tipo di servizio di trasporti, poiché il beneficio in questione risponde sia a interessi sociali inerenti alla mobilità, sia ad esigenze di tutela dell’ambiente.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Ascoli Piceno, Sez. II, 14/01/2025, Sentenza n. 3

DIRITTO TRIBUTARIO – Imposte sui redditi – Investimenti ambientali –Tremonti Ambiente – DIRITTO DELL’ENERGIA – Tariffe incentivanti del Conto EnergiaDetassazione – Interpretazione restrittiva.

La corretta applicazione del limite del 20% del costo dell’investimento, previsto dall’articolo 9 del D.M. 19 febbraio 2007 e dall’articolo 19 del D.M. 5 luglio 2012, in relazione alla cumulabilità della detassazione fiscale prevista dalla Tremonti Ambiente con le tariffe incentivanti del Conto Energia, comporta che il 20% deve essere calcolato sul valore complessivo della detassazione (ossia alla variazione in diminuzione del reddito imponibile) e non sul risparmio fiscale effettivamente generato dalla detassazione stessa (ossia alla minore imposta risultante).

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 2° LIGURIASez. II, 17/12/2024, Sentenza n. 984

DIRITTO TRIBUTARIO EUROPEO – Grandi impianti di combustione – Ecotassa – INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni inquinanti di anidride solforosa (SO2) e ossidi di azoto (NOx) – Direttiva europea – Principio “chi inquina paga” – Costi dei danni ambientali e riparazione.

Il presupposto di imposta della cd. ecotassa (art. 17, comma 29, l. n 449/2007) sulle emissioni di anidride solforosa (SO2) e ossidi di azoto (NOx) dei grandi impianti di combustione (come definiti dalla direttiva 88/609/CEE e dalla direttiva 2001/80/CE) è l’esercizio di attività industriale che incide sull’ambiente, al fine di proteggere il livello socialmente ottimale o accettabile di inquinamento. Applicando la portata precettiva del principio “chi inquina paga” all’imposta in esame, ne deriva che il gestore dell’impianto, potenzialmente inquinante, sostiene i costi necessari a mettere in atto le misure di controllo dell’inquinamento stabilite dalle autorità. La tassa in oggetto è ragguagliata in parte ai costi dei danni ambientali e relativa riparazione, direttamente nel prezzo di beni, servizi o delle attività che ne sono causa, al fine di accollare gli effetti negativi al soggetto economico che esercita l’attività inquinante, il cui costo, in assenza di compensazioni, ricadrebbe sull’intera collettività.

 

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di 1° Cuneo, Sez. II, 19/11/2024, Sentenza n. 297

PROCESSO TRIBUTARIO – Avviso di accertamento fondato sugli gli stessi fatti contestati in un procedimento penaleAutotutela facoltativa – Efficacia giudicato penale – Atto definitivo.

Un avviso di accertamento fondato sugli gli stessi fatti contestati in un procedimento penale, definito con sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, pur non rientrando tra i casi tassativi di autotutela obbligatoria (art. 10-quater, l. n. 212/2000), integra un’ipotesi di autotutela facoltativa (art. 10-quinquies, l. n. 212/2000), che deve essere esercitata anche in presenza di un atto definitivo, poiché ricorrono evidenti ragioni di infondatezza, superiori all’interesse pubblico di far prevalere la certezza che un atto tributario diventi definitivo se non impugnato.

 

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* Prof.ssa Claudia Fava, Aggregato di Diritto tributario presso l’Università della Calabria
** Prof. Michele Mauro, Associato di Diritto tributario presso l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro 
*** Dott. Giuseppe Farcomeni, Dottorando di ricerca in Diritto tributario presso l’Università degli Studi di Messina

Note sull’osservatorio:

LA FISCALITA’ DEGLI ENTI LOCALI

Obiettivo della sezione dedicata alla “fiscalità degli enti minori”, nell’ambito dell’osservatorio, è quello di monitorare la giurisprudenza relativa ai tributi di pertinenza degli Enti locali.

Come è noto, la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3, ha riformato il titolo V della Costituzione definendo, anche in materia tributaria, il riparto di competenze tra Stato, Regioni, Province, Comuni e città metropolitane.

In particolare, l’art. 117 della Costituzione attribuisce potere legislativo allo Stato e alle Regioni e potere regolamentare a Comuni, Province e Città metropolitane; il successivo art. 119 prevede che Regioni ed Enti locali abbiano autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci e dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

Dal punto di vista fiscale, è previsto che Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane abbiano risorse autonome e stabiliscano ed applichino tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, partecipando anche al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio.

La responsabilizzazione delle autonomie locali, per quanto concerne le entrate fiscali, risale alla L. n. 142 del 1990 (Ordinamento delle autonomie locali), che ha dato inizio al processo di riduzione dei trasferimenti statali agli Enti locali.

In conformità ai principi introdotti dalla legge n. 142/1990, con il D.lgs. n. 504 del 1992 il Governo, ridisegnando l’assetto istituzionale delle autonomie locali, ha previsto l’introduzione dell’imposta comunale sugli immobili, l’imposta provinciale sull’erogazione del gas e dell’energia elettrica, il tributo provinciale per l’esercizio di tutela, protezione e igiene ambientale, l’imposta provinciale per l’iscrizione dei veicoli al pubblico registro automobilistico. Inoltre, è stata modificata l’imposta comunale sulla pubblicità, i diritti comunali sulle pubbliche affissioni, la tassa comunale e provinciale per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (quest’ultima oggetto di numerose successive modifiche).

L’art. 54 della legge 142/1990, ha stabilito, altresì, che ai Comuni e alle Province fosse riconosciuta autonomia finanziaria sulle risorse trasferite e su quelle proprie, riconoscendo la necessaria potestà impositiva nell’ambito di imposte, tasse e tariffe.

Successivamente, il D.lgs. n. 446/ 1997, con il primo comma dell’art. 52, è intervenuto stabilendo che gli Enti locali minori “possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi …”. La previsione riguardante la finanza locale è stata poi trasfusa nell’art. 149 del D.lgs. n. 267/2000 (TUEL).

Il processo di autonomia finanziaria ha trovato il suo culmine nella richiamata modifica del Titolo V della Costituzione e nella scelta di decentramento secondo cui ciascun livello di governo deve disporre di risorse finanziarie sufficienti ad assicurare lo svolgimento delle funzioni di competenza.

La riforma costituzionale è rimasta, come noto, incompleta. La Corte Costituzionale (sentenza 37/2004), in assenza della legge statale di coordinamento della finanza pubblica, ha giudicato inammissibile la potestà normativa regionale in materia tributaria.

A distanza di otto anni dalla riforma costituzionale, il Parlamento, con la legge n.42/2009, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi recanti la definizione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Alla legge delega hanno fatto seguito i decreti delegati per le Regioni a statuto ordinario e per le province (d.lgs. n. 68/2011) e per i Comuni (d.lgs. n. 23/2011).

Per quanto riguarda le Regioni, esse potranno finanziare le proprie spese attraverso: tributi propri istituiti e regolati con legge regionale, relativamente a presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello stato; tributi propri derivati, istituiti e regolati da legge statale e il cui gettito è attribuito alle Regioni; addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali.

Per quanto riguarda Comuni e Province, le entrate tributaria consistono in: tributi propri istituiti dallo Stato, che ne stabilisce gli elementi fondamentali; tributi propri derivati, istituiti dalle Regioni, relativamente ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dallo Stato; tributi propri di scopo; compartecipazioni al gettito di altri tributi; imposizione immobiliare; fondi perequativi.

Per quanto riguarda la disciplina attuativa, il d.lgs. n. 23/2011 ha confermato la potestà regolamentare degli enti locali. Il decreto denominato “Decreto in materia di federalismo fiscale municipale”, ha introdotto nuovi tributi locali, modificando quelli esistenti, e contemplando i seguenti tributi derivati: l’IMU, la cedolare secca sugli affitti, l’imposta di scopo, l’imposta di soggiorno, ecc.

 

OSSERVATORIO DIRITTO TRIBUTARIO

AGEVOLAZIONI E ESENZIONI

Le esenzioni sono riconducibili a disposizioni che sottraggono, dall’applicazione di un tributo, parzialmente o totalmente, fattispecie che vi rientrerebbero in base alla nozione generale del presupposto.

Le esenzioni possono essere temporanee o permanenti; possono avere carattere soggettivo ovvero oggettivo. Per esempio una esenzione soggettiva è l’esenzione dall’IMU degli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, ecc; una esenzione oggettiva, sempre ai fini IMU, riguarda i terreni agricoli ricadenti in determinate aree (montane).

L’agevolazione, invece, riduce il quantum dell’imposta, in deroga a quanto disposto dalla norma ordinaria. Per individuare un’agevolazione occorre, prima di tutto, rintracciare il regime fiscale di riferimento e, successivamente, distinguere, tra le disposizioni di favore, quelle che hanno natura agevolativa.

Gli strumenti tecnici con cui può essere attuata una agevolazione sono diversi: tassazione parziale della base imponibile, deduzioni dalla base imponibile, detrazioni dall’imposta, riduzioni di aliquote, regimi di differimento o sospensione dell’imposta, regimi sostitutivi, crediti d’imposta, ecc.

Le esenzioni e le agevolazioni possono costituire “Aiuti di Stato”, ai sensi dell’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’UE. Occorre pertanto, anche a questo fine, distinguere fra trattamenti fiscali ordinari e trattamenti di favore. A volte il legislatore esenta una fattispecie da un’imposta perché prevede l’applicazione di un’altra imposta. Ad esempio vi sono alcuni proventi che sono esenti dalle ordinarie imposte sul reddito, ma sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta. Le esenzioni, pertanto, possono consistere sia nell’esonero da qualsivoglia imposta, quanto nell’applicazione di un’imposta diversa; solo se l’imposta sostitutiva comporta un minore onere economico per il contribuente se ne può affermare la natura agevolativa.

Per individuare le fattispecie esenti si possono utilizzare due criteri; quello logico, in base al quale sono da considerare esenzioni tutti i casi che sono in “deroga” rispetto alla norma che definisce il presupposto (indipendentemente dalla terminologia usata); quello nominalistico, in base al quale sono considerate esenzioni quelle che il legislatore qualifica come tali, anche se non sono in rapporto di deroga o di eccezione rispetto alla fattispecie generale.

Infine, non bisogna confondere le esenzioni e le agevolazioni dalle esclusioni che, invece, sono disposizioni con cui il legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del tributo, senza derogare a quanto disposto dagli enunciati generali.

OSSERVATORIO DIRITTO TRIBUTARIO

TRIBUTI ERARIALI STATALI

Le entrate tributarie erariali sono indicate nel bilancio dello Stato al titolo I e sono così suddivise: Imposte sul patrimonio e sul reddito; Tasse e imposte sugli affari; Imposte sulla produzione, sui consumi e dogane; Monopoli; Lotto, lotterie e altre attività di gioco.

Per le imposte sul reddito, il quadro normativo di riferimento è costituito dal T.U. delle imposte sui redditi approvato con d.p.r. 22 dic. 1986 nr. 917, che è stato oggetto di varie modifiche e comprende la disciplina dell’IRPEF e dell’IRES

Le imposte indirette si suddividono in Imposte sui consumi (Monopoli fiscali del tabacco, Lotto e giochi, Imposte di fabbricazione, Dazi doganali, Imposte automobilistiche e, più importante di tutte, l’Imposta sul valore aggiunto) e in Imposte sui trasferimenti, le quali a loro volta si suddividono in Imposte sui trasferimenti a titolo oneroso (Imposta di registro, Imposte di bollo, Imposte ipotecarie e catastali) e in Imposte sui trasferimenti a titolo gratuito (donazioni e successioni).

Una menzione a parte meritano l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) e l’IMU, il cui gettito è devoluto, rispettivamente, alle Regioni e agli Enti locali.

 

OSSERVATORIO SULLA FISCALITÀ AMBIENTALE

DIRITTO EUROPEO

Durante il Consiglio Europeo di Parigi del 1972, i partecipanti hanno per la prima volta affermato la volontà di realizzare una politica ambientale comunitaria da affiancare all’espansione economica, richiedendo contestualmente un programma d’azione. “L’Atto unico europeo del 1987 ha introdotto il nuovo titolo “Ambiente”, che ha costituito la prima base giuridica per una politica ambientale comune finalizzata a salvaguardare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana e garantire un uso razionale delle risorse naturali.

L’impegno dell’Unione europea verso il perseguimento di una politica ambientale è stato ulteriormente rafforzato durante successive revisioni dei Trattati. L’ambiente, infatti, è entrato nei settori ufficiali dell’Unione Europea con il Trattato di Maastricht del 1993 e dal 1999 (Trattato di Amsterdam); con il Trattato di Lisbona, assieme al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile, “combattere i cambiamenti climatici” è diventato un obiettivo specifico.

La politica ambientale è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”. Questi appena elencati sono principi, non regole: si è posto quindi il problema di come renderli cogenti. In Italia l’art.191 è stato recepito dall’art.3-ter del Codice dell’ambiente (d.lgs.152/2006) che annovera i quattro principi de quibus e richiama l’art.174 del Trattato dell’Unione Europea come riferimento normativo.

Lo scopo del principio di prevenzione è quello di evitare i danni ambientali. Il principio di precauzione è quello foriero di maggiori dinamiche applicative; esso si inserisce, prima ancora che tra gli strumenti del diritto dell’ambiente, tra gli strumenti di controllo del rischio in diritto amministrativo. Il problema del controllo giuridico del rischio generato dalle attività umane è infatti trasversale a tutte le discipline giuridiche (si pensi al diritto amministrativo, al diritto penale, ma anche al diritto civile nell’ambito della responsabilità civile); Il principio di precauzione riguarda sempre situazioni di danno potenziali e si pone quale strumento per colmare le informazioni scientifiche incerte e la responsabilità politica. Il principio “chi inquina paga” è l’unico che apparentemente si sgancia da una logica meramente preventiva (che comunque mantiene, quanto meno in termini di dissuasione), perché presenta un contenuto ripristinatorio, in quanto si riferisce a misure economiche che hanno come scopo quello di individuare preventivamente i soggetti su cui graverà successivamente l’onere economico del contrasto all’inquinamento ambientale. Secondo alcuni è anche il fondamento delle tasse di scopo (e cioè di misure tributarie che introducono tributi volti a disincentivare determinati comportamenti ritenuti inquinanti). Tale principio impone a chi inquina di sostenere il costo ambientale e sociale delle proprie azioni ed è quindi un tentativo di rimediare ai costi esternalizzati sostenuti, in assenza di questo principio, dalla comunità invece che dai soggetti inquinanti. Infatti, Il principio “chi inquina paga” mira a superare tali problemi richiedendo agli inquinatori di “internalizzare” il costo del potenziale inquinamento nel processo di produzione (costi incorporati), di modo da evitare alla società di sostenere i costi successivi. Questo principio è usato in diverse direttive, quali: rifiuti, discariche, acque e responsabilità ambientale.

Infine, il principio dello sviluppo sostenibile, pur non essendo elencato nella norma del Trattato, rappresenta, in realtà, il fondamento del diritto ambientale dell’Unione Europea, perché esprime la doverosità e il vincolo posto in capo alle generazioni attuali a garanzia di quelle future. È un principio che è stato affermato (anche se formalizzato come obiettivo politico dal Trattato di Lisbona) da convenzioni e trattati internazionali addirittura anteriori rispetto al Trattato Europeo.

La definizione di imposta ambientale, condivisa da tutti gli stati membri Ue, è data dalla “Guida statistica alle tasse ambientali” della Commissione Europea. Quest’ultima afferma che un’imposta ambientale è “un’imposta la cui base imponibile sia un’unità fisica (o una approssimazione della stessa) di qualcosa che abbia un impatto negativo, specifico e provato scientificamente, sull’ambiente. Lo scopo di queste imposte è quello di impattare, tramite la distorsione, “sui costi di produzione e i prezzi d’acquisto dei prodotti inquinanti”; mira ad “internalizzare” le esternalità negative generate dalle attività inquinanti.

Ciò può avvenire in diversi modi.

In primo luogo incidendo sulle scelte dei consumatori attraverso l’incremento del prezzo finale, nel caso in cui i produttori scarichino il peso dell’imposta sui consumatori, il che potrebbe verificarsi in presenza di bassa elasticità della domanda al prezzo o di prodotti perfetti sostituti, in perfetta concorrenza realizzati e con tecnologie simili. In secondo luogo incidendo sulle scelte di produzione degli inquinatori, ove la loro struttura di costo si modifichi a seguito dell’imposta (qualora non venisse scaricato l’onere dell’imposta sui prezzi). Ciò potrebbe verificarsi in presenza di domanda fortemente elastica al prezzo, o di produttori che, seppur in concorrenza perfetta e perfetti sostituti tra loro, presentino tecnologie produttive diverse che comportano diversi livelli di compensazione dell’inquinamento prodotto, come ad esempio due produttori di acqua minerale di cui uno produce bottigliette in plastica riciclata e l’altro no. Questo strumento è dunque applicazione diretta del principio “chi inquina paga”. Sotto il profilo teorico, in particolare, si è applicato al problema delle esternalità ambientali un celebre tipo di imposta: l’imposta à la Pigou (o imposta pigouviana, dal noto economista inglese Arthur C. Pigou). Si tratta di un’imposta che grava su ogni unità di output prodotta da chi inquina, per un (l’aliquota è determinata dall’) ammontare pari al danno marginale inflitto in corrispondenza del livello socialmente efficiente di output. Il risultato è una traslazione della curva del beneficio marginale dell’inquinatore verso il basso, fino al punto in cui il costo marginale è pari al beneficio marginale (punto d’efficienza). Il valore di questa imposta è costituito dal prezzo del danno marginale in corrispondenza di quest’ultimo. Il gettito creato può essere distribuito in somma fissa all’intera popolazione o agli individui che subiscono l’esternalità, o ancora può consentire di ridurre il carico fiscale in altri settori. La distorsione avviene quindi grazie al fatto che l’obiettivo dell’inquinatore è la sola massimizzazione della propria utilità marginale. Nonostante questo tipo di tassazione non fosse all’inizio particolarmente popolare, con gli anni ha acquisito il favore degli economisti e dei governi (si veda la carbon tax o la plastic tax, classificabili come imposte pigouviane). La tassazione ambientale è in generale divisibile (almeno a livello europeo) in quattro ambiti di intervento: l’energia, i trasporti, l’inquinamento e le risorse. Il primo riguarda i materiali energetici (tra cui emissioni di anidride carbonica) usati per carburazione e combustione ed è l’ambito che di solito pesa maggiormente sul gettito della maggior parte degli stati, per lo meno di quelli europei. La categoria dei trasporti comprende non i carburanti (rientranti invece nel primo ambito), bensì la registrazione e l’utilizzo dei mezzi di trasporto privato e pubblico. Il terzo ambito, quello dell’inquinamento, esclude l’emissione dei materiali energetici (non include ad esempio emissioni di anidride carbonica), ma riguarda le altre emissioni che inquinino aria e acqua, oltre che rumore e rifiuti solidi. L’ultimo ambito concerne i permessi per l’estrazione di beni naturali.

N.B: PER LE SENTENZE PER ESTESO E ALTRE SENTENZE CONSULTARE LA BANCA DATI DI GIURISPRUDENZA

TAR LAZIO, Sez. II bis – 27 luglio 2017, n. 9003: Commento a sentenza.

 

TAR LAZIO, Sez. II bis – 27 luglio 2017, n. 9003
 
  Commento a sentenza


 
EVA MASCHIETTO – ELISA MARIA VOLONTÉ’
 
 
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TAR LAZIO, Sez. II bis – 27 luglio 2017, n. 9003 – Pres. Stanizzi, Est. Mangia – Regione Puglia (avv.ti Mangiameli, Liberti, Colasante) Ministero Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS; Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero dello Sviluppo Economico, Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avvocatura Generale dello Stato) Schlumberger Italiana Spa (n.c.)
 
Valutazione di impatto ambientale – Attività di prospezione di idrocarburi – diversità da attività di ricerca – Ragioni.
Valutazione di impatto ambientale – Parere Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA e VAS – Carenza di istruttoria per mancata indagine su interferenze con altri permessi di prospezione – Illegittimità – Non sussiste.
 
L’attività di prospezione di idrocarburi liquidi e gassosi è attività distinta dall’attività di ricerca sia sotto un profilo fattuale sia sotto un profilo giuridico, determinando la seconda un impatto ambientale superiore che giustifica la sussistenza di una distinta disciplina giuridica non applicabile in via estensiva o analogica alla prima, senza che vi siano sospetti di incostituzionalità nella differenziazione delle due discipline.
Non è carente di istruttoria un parere della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS istituita presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che, pur non avendo espletato una specifica indagine sugli effetti cumulativi derivanti dalla compresenza diversi titoli abilitativi alla prospezione, ha dato conto dell’esistenza di specifiche interferenze, prescrivendo a carico del soggetto autorizzato precisi e definiti impegni diretti ad evitare l’effettuazione simultanea di indagini sismiche in aree adiacenti. 
 
Attività di prospezione e di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi: il TAR Lazio conferma la differenza fattuale e giuridica tra le due attività e il loro diverso impatto ambientale, dando il via libera ad un’attività di prospezione geofisica 3D nel Golfo di Taranto dell’estensione di 4030 kmq.
 
Il TAR del Lazio torna a pronunciarsi – dopo una serie di propri precedenti conformi[1] tutti resi contro la stessa ricorrente, Regione Puglia – sulla differenza ontologica sia a livello fattuale sia a livello normativo delle attività di prospezione e di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, ricordando che le differenze normative sancite dall’abrogato D.M. 4 marzo 2011, così come riprodotte dal D.M. 25 marzo 2015, descrivono operatività con un impatto ambientale differenziato e fondano discipline giuridiche distinte.
La vicenda riguarda l’impugnazione del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, emanato di concerto con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo il 18 ottobre 2016, n. 289 che afferma la compatibilità ambientale del progetto di prospezione geofisica 3D presentato dalla società Schlumberger Italiana S.p.a., autorizzandolo “a condizione che vengano ottemperate le prescrizioni e gli adempimenti amministrativi” indicati, nonché degli atti precedenti con particolare riguardo al presupposto parere della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS istituita presso lo stesso Ministero, che ne aveva determinato appunto la sostenibilità tecnica.
Lamenta la Regione Puglia che il Ministero e la sua Commissione non abbiano ben valutato la compatibilità ambientale del progetto di prospezione geofisica 3D, da realizzarsi nell’ambito di una più ampia attività di prospezione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle acque del Golfo di Taranto, “zona marina F” prospiciente le coste della Regione ricorrente, della Regione Calabria e della Basilicata[2], sotto due specifici profili.
Il primo riguarda il fatto che, a giudizio della Regione Puglia, tale progetto di prospezione la cui estensione è di ben 4.030 kmq, avrebbe dovuto essere valutato (e presumibilmente rigettato, o comunque ridimensionato) sulla base della disposizione di cui all’art. 6, comma 2 della legge 9 del 1991 (la celeberrima legge di attuazione del Piano Energetico Nazionale che regola gli aspetti istituzionali della disciplina energetica, le norme sulle centrali idroelettriche e sugli elettrodotti, le materie relative a idrocarburi e geotermia, e l’autoproduzione di energia elettrica) che impone il limite di estensione di 750 kmq[3] per l’attività di ricerca, attività che viene ritenuta del tutto assimilabile a quella di prospezione.
La Regione, peraltro, consapevole appunto dei precedenti orientamenti del TAR Lazio, si spinge a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 e dell’art. 2 della stessa legge 9 del 1991 ravvisando, nell’ipotesi in cui non si possa ritenere estensibile il previsto limite territoriale per la ricerca anche alla prospezione, una ingiustificata e irragionevole lacuna normativa in relazione alle attività di prospezione, a suo giudizio troppo “libere” in violazione del principio di uguaglianza e di tutela del patrimonio.
Gli argomenti presentati dalla Regione Puglia si basano principalmente sulla pretesa equivalenza tra l’attività di prospezione e quella di ricerca, argomenti illustrati sulla base di una relazione tecnica appositamente predisposta per il giudizio[4]: ad avviso della ricorrente, infatti, la prima altro non sarebbe che una specificazione di un’attività più ampia e generale qual è l’attività di ricerca e, pertanto, dovrebbe essere sottoposta e dovrebbe sottostare ai limiti più stringenti previsti per quest’ultima.
Ma la Regione Puglia introduce in questo caso un ulteriore argomento, ancor più concreto, che riguarda una pretesa carenza di istruttoria nel procedimento seguito dalla Commissione Tecnica di Valutazione dell’Impatto Ambientale VIA e VAS dello stesso Ministero dell’Ambiente, che non avrebbe considerato, tramite una specifica indagine di dettaglio, gli effetti cumulativi che quel permesso di prospezione, tanto ampio, avrebbe comportato insieme agli altri titoli abilitativi alla prospezione, vigenti o in emanazione, riguardanti le aree contigue a quella interessata.
La Regione sottolinea come lo stesso Ministero avesse individuato la presenza di ben altri dieci diversi titoli minerari incidenti sulla stessa area interessata dal permesso di prospezione impugnato, ma rileva come tale individuazione non avesse comportato in realtà uno studio ad hoc riguardante l’impatto cumulativo degli stessi sull’area geografica in questione. La Commissione Tecnica di Valutazione, infatti, aveva stabilito che fosse la società titolare del permesso di prospezione a prendere futuri contatti con gli altri operatori al fine di redigere un cronoprogramma coordinato delle operazioni, in modo da escluderne la simultaneità.  
In pratica, la Regione sembra qui criticare il carattere “partecipativo” del provvedimento, stigmatizzando quella specie di “delega” operata dalla Commissione al soggetto autorizzato rispetto alle attività di coordinamento dei diversi operatori nell’effettuazione delle operazioni di prospezione, che – secondo quanto si desume dalla sentenza – spetterebbero invece all’amministrazione. 
Ma il Tribunale, come già anticipato, sulla base di specifici precedenti relativi alla medesima Regione Puglia, ha ritenuto che l’operato del Ministero fosse pienamente legittimo e conforme alla normativa sia sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico della disciplina di settore, mantenendo pienamente valido e vigente il significato della differenziazione normativa tra l’attività di ricerca e quella di prospezione, sia sotto il profilo procedimentale di sufficienza dell’istruttoria espletata in concreto e di adeguatezza delle misure di prescrizione contenute nel provvedimento impugnato. 
Prima di tutto, infatti, il TAR si sofferma sulla prospettata equivalenza dell’attività di prospezione con quella di ricerca e ribadisce – rigettando nettamente l’interpretazione tecnica della Regione – che le due attività sebbene siano a volte confuse, non possono e non devono essere considerate tra loro assimilabili e, anzi, è doveroso tenerle completamente distinte, così come ha – da tempo – chiarito anche la normativa di settore.
Non c’è dubbio che definizioni imposte dal decreto ministeriale 4 marzo 2011 e dal decreto ministeriale 25 marzo 2015 siano altamente significanti e, anzi, dirimenti sul punto. Le stesse indicano – da una parte – l’attività di prospezione come “l’attività consistente in rilievi geografici, geografici, geologici, geochimici e geofisici eseguiti con qualunque metodo e mezzo, escluse le perforazioni meccaniche di ogni specie, intese ad accertare la natura del sottosuolo e del sottofondo marino[5], e – dall’altra parte – l’attività di ricerca come “l’insieme delle operazioni volte all’accertamento dell’esistenza di idrocarburi liquidi e gassosi, comprendenti le attività di indagini geologiche, geochimiche e geofisiche, eseguite con qualunque metodo e mezzo, nonché le attività di perforazioni meccaniche, previa acquisizione dell’autorizzazione di cui all’art. 27 della legge 23 luglio 2009 n. 99”[6].
La prospezione, non includendo perforazioni meccaniche, comporta un impatto meno invasivo e, conseguentemente, un rischio ambientale decisamente più ridotto rispetto all’attività di ricerca, la quale invece è naturalmente più violenta per il territorio. Da tale differenziazione consegue una diversa disciplina dei due provvedimenti abilitativi richiesti per l’espletamento delle relative attività, secondo quanto previsto dalla legge n. 9/1991.
Da un lato, l’art. 3 della L. n. 9/1991 richiede per l’espletamento dell’attività di prospezione l’ottenimento di un’autorizzazione rilasciata mediante un titolo non esclusivo e della durata di un anno, un provvedimento molto leggero e di durata relativa, coerente con la tipologia non invasiva dell’attività.
Dall’altro lato, l’art. 6 della stessa legge prevede criteri molto più stringenti per l’attività di ricerca: il relativo permesso ha carattere esclusivo e una durata di sei anni, suscettibile di due ulteriori proroghe della durata di tre anni ciascuna e di un’ulteriore proroga qualora, alla scadenza definitiva del permesso, siano ancora in corso lavori di perforazione o prove di produzione (e se il protrarsi dei lavori sia dovuto a motivi non imputabili all’inerzia, negligenza o imperizia del titolare del permesso). Inoltre, una volta venuta meno qualsiasi possibilità di proroga, il permesso di ricerca non può essere nuovamente richiesto dallo stesso titolare per un’ulteriore attività di ricerca relativa alla stessa area o parte di essa né è possibile subentrare in un permesso di terzi, se non siano trascorsi quattro anni dalla cessazione del permesso precedente.
La maggior rigidità della disciplina relativa all’attività di ricerca si riflette anche sul profilo soggettivo del richiedente (poi titolare) delle autorizzazioni: mentre, infatti, per quanto riguarda l’attività di prospezione, si richiede al proponente solo il possesso di capacità tecniche ed economiche adeguate, per ottenere il permesso di ricerca è necessario non solo che il proponente dimostri di avere la necessaria capacità tecnica ed economica ma anche la presenza o, quantomeno, l’impegno preciso a costruire, in Italia strutture tecniche ed amministrative adeguate alle attività previste[7].
Alla luce di tante e tali diversità di carattere oggettivo e soggettivo tra la prospezione e la di ricerca, il Tribunale non può che rigettare la relazione tecnica proposta dalla Regione Puglia: le due attività non sono affatto assimilabili e, di conseguenza, non è applicabile alla prospezione il limite quantitativo dell’estensione massima dell’area di 750 kmq previsto per la ricerca.
Né appare fondata la doglianza di illegittimità costituzionale – per violazione del principio di uguaglianza o di tutela del patrimonio – dell’art. 6 co. 2 e dell’art. 3 della L. 9/1991 nella parte in cui il primo non estende il limite spaziale di 750 kmq anche ai permessi di prospezione, perché le differenze sostanziali tra le due attività non ne permettono un’equiparazione né si ravvisa una lacuna che possa generare quel dubbio di legittimità costituzionale meritevole di essere sottoposto al vaglio della Corte invocato dalla Regione. La rimessione, quindi, non viene neppure istruita.
Da ultimo, il TAR rigetta anche il motivo relativo alla carenza di istruttoria, abbracciando un certo pragmatismo che vede il soggetto autorizzato come una sorta di ausiliario dell’amministrazione quanto alle modalità operative oggetto dell’autorizzazione, per la tutela condivisa dell’interesse ambientale. 
Il Tribunale, infatti, non ravvisa una carenza di istruttoria nel non aver la Commissione Tecnica presso il Ministero istituito una specifica indagine ad hoc sul cumulo di effetti o sulle interferenze derivanti dall’esecuzione in simultanea di più attività di ricerca o di prospezione in aree contigue per diversi ordini di ragioni. Sotto un primo profilo, infatti, l’amministrazione ha dato pienamente conto dell’esistenza dei diversi provvedimenti abilitativi, provvedendo all’individuazione ed elencazione dei vari titoli minerari relativi all’area interessata, indicandone nominalmente l’operatore e sottolineando specificamente lo stato del procedimento autorizzativo[8]. Quindi non vi è certamente una carenza di istruttoria nell’acquisizione delle informazioni.
Sotto un secondo profilo, la Commissione Tecnica ha previsto alcuni precisi oneri in capo al soggetto autorizzato, sottoponendolo a prescrizioni specifiche al fine di garantire la non simultaneità delle attività concesse dai diversi titoli minerari (e quindi un cumulo di operazioni concomitanti con maggiore rischio e aggravio per l’ambiente marino). 
La prima prescrizione prevede che il titolare dell’autorizzazione sia sottoposto all’obbligo di “prendere contatti con l’altro esecutore per redigere un cronoprogramma delle operazioni che ne escluda la simultaneità”. Tale cronoprogramma, inoltre, deve essere articolato in modo da garantire che le indagini sismiche 2D e 3D autorizzate nell’area in questione o in quelle ad essa adiacenti, oltre a non essere simultanee, non possano essere iniziate se non trascorsi almeno dodici mesi dalla prima campagna.
In aggiunta poi, e confermando quella che si desume anche dalle precedenti pronunce sia una prassi invalsa nel Ministero (e più in particolare nell’ambito della Commissione Tecnica), è prescritto a carico del soggetto autorizzato un obbligo generale di continuo monitoraggio sulle ricadute ambientali connesse all’attività di prospezione. Nella fattispecie, si tratta di un monitoraggio biacustico che “consenta di individuare i criteri di sicurezza da adottare per la protezione dei mammiferi marini dai potenziali rischi derivanti dalle emissioni sonore generate dagli air-gun[9]” e la cui durata deve essere stabilita da personale scientifico competente in materia e, ad ogni modo, per un periodo antecedente all’attività di prospezione non inferiore a sessanta giorni e successivamente per almeno trenta giorni.
A giudizio del TAR, l’imposizione di specifici e ben delineati impegni a carico del soggetto proponente (e, poi, autorizzato) finalizzata ad evitare l’effettuazione di altre simultanee indagini in aree adiacenti sopperisce adeguatamente alla debolezza del sindacato della Commissione Tecnica che non ha effettuato una valutazione dell’impatto cumulativo dei diversi titoli, avvalendosi – per così dire – di una collaborazione esterna, da parte proprio del soggetto beneficiato, per la verifica e il controllo delle attività autorizzate e del loro impatto complessivo sull’ambiente.
Certamente quest’ultimo profilo presenta aspetti interessanti perché si collega con un meccanismo collaborativo e partecipativo successivo al rilascio dell’autorizzazioneche, da un lato, solleva l’amministrazione da oneri di verifica preventiva certamente molto onerosi e, talvolta, forieri di lungaggini e, dall’altro lato, responsabilizza l’operatore sul quale, a questo punto, ricade un onere non irrilevante di coordinamento con terzi soggetti.
Alcuni interrogativi potrebbero, a questo proposito, insorgere in relazione al potere di controllo dell’amministrazione sull’esecuzione delle prescrizioni e agli atti di autotutela disponibili alla medesima in caso di mancata ottemperanza agli obblighi.
Ma forse più interessante è chiedersi quali siano gli strumenti a disposizione del titolare dell’autorizzazione per poter “concordare” un cronoprogramma con gli altri operatori, nel caso in cui questi ultimi non si dimostrino completamente collaborativi e se, in limine, un intervento dell’amministrazione sia comunque possibile in via suppletiva. In effetti lo strumento a disposizione del privato, sia in termini conoscitivi sia in termini coercitivi appare non assimilabile allo strumento nelle mani dell’amministrazione quanto ad efficacia.
La decisione del TAR, quindi, sposa l’approccio ottimistico e, appunto, pratico dell’amministrazione centrale e rigetta integralmente i motivi di ricorso proposti dalla Regione Puglia, giungendo – anche in questo caso e non è completamente chiaro il perché – a compensare le spese del giudizio per la peculiarità della questione, sebbene i chiari precedenti contro la stessa amministrazione siano stati integralmente confermati.
Solo l’esperienza ci dirà se le prescrizioni imposte dalla Commissione Tecnica presso il Ministero siano state effettivamente attuabili dalle imprese e se l’auspicata collaborazione generale si sia in effetti realizzata nel comune obiettivo di salvaguardia delle risorse marine del nostro meraviglioso mare.


[1]Si tratta delle sentenze TAR Lazio, sempre Sez. II bis del 26 settembre 2016 nn. 9937, 9938 e 9939, che riguardavano gli atti rilasciati nell’ambito di uno stesso progetto di ricerca sismica con tecnica air-gun con rilevamento sismico 2D, ma relativi a diverse aree geografiche (tutte localizzate nel Mar Adriatico e proposte dalla società NorthernPetroleum (UK) Lld Srl) nonché della sentenza TAR Lazio sempre Sez. II bis 4 agosto 2016, n. 9073, la quale invece riguarda un progetto tecnicamente simile sempre sul Mar Adriatico (coinvolgendo le coste dell’Emilia Romagna, delle Marche, dell’Abruzzo, del Molise e della Puglia) con come la Società Spectrumum – Spectrum – Geo Lld. In tutti i casi la ricorrente era la Regione Puglia.
[2] Il parere della Commissione Tecnica, più dettagliatamente, circoscrive l’area interessata, distante dalle coste delle regioni interessate di almeno tredici miglia, posto che lo stesso parere sottolinea che la distanza dalla costa di Santa Maria di Leuca è maggiore (circa diciassette miglia).
[3] Art. 6, comma 2 L. n. 9/1991: “L’area del permesso di ricerca deve essere tale da consentire il razionale sviluppo del programma di ricerca e non può comunque superare l’estensione di 750 chilometri quadrati. Nell’area del permesso possono essere comprese zone adiacenti di terraferma e di mare”.
[4] Si fa riferimento alla relazione prodotta dalla Regione Puglia in data 4 maggio 2017, nella quale la ricorrente tenta di dimostrare l’equivalenza tra l’attività di prospezione e quella di ricerca.
[5]Questa è la definizione di attività di prospezione di cui all’art. 2, lett. g), D.M. 4 marzo 2011 e all’art. 2, lett. b), D.M. 25 marzo 2015, riproposta dalla sentenza in oggetto nonché dalla giurisprudenza sul punto. Ex multis, si veda ad esempio la sentenza del TAR Lazio n. 9073/2016.
[6]Questa è la definizione di attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi di cui all’art. 2, lett. h), D.M. 4 marzo 2011 e all’art. 2, lett. c), D.M. 25 marzo 2015.
[7]Così cita infatti l’art. 5, comma 1, L. n. 9/1991: “il permesso di ricerca è esclusivo ed è accordato, sentita la regione o la provincia autonoma di Trento o Bolzano territorialmente interessata e previa domanda da presentare al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, a persone fisiche o giuridiche che dimostrino la necessaria capacità tecnica ed economica e possiedano o si impegnino a costituire in Italia strutture tecniche ed amministrative adeguate alle attività previste, nel rispetto degli impegni contratti dall’Italia in sede di accordi internazionali per la tutela dell’ambiente marino.
[8] Si tratta di una tabella inserita alle pagine 42 e 43 del Parere della Commissione Tecnica.
[9] La necessità di procedere a detto monitoraggio nonché i requisiti cui esso deve sottostare sono dettagliatamente descritti dal parere della Commissione Tecnica nelle pagine 36 e ss.
 
 

Sottoprodotto e “normale pratica industriale”: necessità di una interpretazione che tenga conto della finalità della norma

 

Sottoprodotto e “normale pratica industriale”: necessità di una interpretazione che tenga conto della finalità della norma

LUCA PRATI*

Il sottoprodotto pare essere diventato il nuovo terreno di scontro tra due schieramenti da sempre contrapposti nell’affrontare il tema della gestione dei residui produttivi nel contesto del sistema economico e normativo.

Da un lato infatti permane (comprensibilmente) un atteggiamento di sostanziale (e talora pregiudiziale) sfiducia verso qualsiasi norma che consenta ad un materiale di uscire dalla filiera del rifiuto e dai relativi controlli, mentre dal fronte opposto si reclama sempre più a gran voce l’esigenza (particolarmente sentita in un Paese strangolato dalla burocrazia) di adottare prospettive più pragmatiche e meno formaliste nel decidere quali residui meritino di essere a tutti gli effetti equiparati a prodotti non assimilabili ai rifiuti. Sarebbe inutile nascondersi che entrambe le tesi, nei loro aspetti più estremi, non sono scevre da influenze ideologiche che vanno ben al di là dei tecnicismi legali.

L’ambiguità della norma contenuta nell’art. 184 bis1  del D. Lgs. 152/2006, che consente  prima dell’utilizzo del sottoprodotto in un ciclo produttivo o di consumo solo “trattamenti preliminari” conformi alla “normale pratica industriale” ben si presta ad alimentare tale conflittualità .

Sul significato da attribuire all’inciso “normale pratica industriale” si è quindi interrogata a lungo la dottrina2, dato che è proprio questo inciso a costituire la linea di confine che divide le diverse interpretazioni. 

Secondo alcuni, la normale pratica industriale è quella ordinariamente in uso nello stabilimento nel quale il sottoprodotto verrà utilizzato; le operazioni consentite su di esso non possono che identificarsi in quelle stesse che l’impresa normalmente attua sulla materia prima sostituita3.

Esistono però posizioni dottrinarie più restrittive4, che sostengono che il possibile ulteriore trattamento consentito del residuo non debba mai comportare una trasformazione della sostanza o dell’oggetto (con mutamento della struttura e costituzione fisico-chimica), ma possa consistere, al massimo, “in minimi interventi, che non mutino in alcun modo la struttura, la sostanza e la qualità del sottoprodotto stesso” e, comunque, siano normali rispetto al processo di produzione industriale ove avviene il riutilizzo, soprattutto nel senso che non devono consistere in un trattamento tipico di un rifiuto, tanto meno se effettuato al fine di consentirne il recupero. 

La Cassazione5  si è a sua volta espressa sulla nuova definizione di sottoprodotto, in modo cauto ma non del tutto esplicito, lasciando di nuovo ampi margini interpretativi agli operatori giuridici su quale sia il “trattamento” consentito del sottoprodotto per renderlo compatibile con il ciclo produttivo di destinazione.

Il concetto di “trattamento”, del resto, difficilmente può essere ricavato dalla lettura sistematica della normativa ambientale, come ha ritenuto parte di dottrina e giurisprudenza. Tanto infatti la definizione di “trattamento” contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. S,  (“operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento) che quella ricavabile dal D.lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. H  (“processi fisici, termici, chimici o biologici”, inclusivi delle operazioni di cernita “che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza”) non pertengono al “sottoprodotto” ma ad una modalità di smaltimento del rifiuto e, pertanto, non sembrano essere  neppure analogicamente estensibili ad esso6. Si tratta in ogni caso di definizione estremamente ampie, che possono solo indicare linee guida di massima.

L’argomento dottrinale secondo cui la normale pratica industriale è quella ordinariamente in uso nello stabilimento nel quale il sottoprodotto verrà utilizzato contiene degli elementi esegetici molto apprezzabili. La “normale pratica” sembra infatti ricondurre il trattamento a ciò che “generalmente” viene effettuato anche su materiali che non siano necessariamente rifiuti e che già siano presenti nei cicli dell’impresa che impiega i sottoprodotti. Tuttavia occorre anche considerare come tale lettura non dovrebbe essere preclusiva di quei trattamenti preliminari o preventivi non sempre regolarmente effettuati da una determinata impresa sui materiali diversi dai residui e che non necessitano di tale intervento per essere utilizzati, quando detti trattamenti siano comunque conformi a normali pratiche del settore industriale di riferimento e innocui sotto il profilo ambientale.

Escludere qualsiasi trattamento preliminare o preventivo del sottoprodotto finirebbe infatti per vanificare le modifiche apportate all’art. 184 bis, con un surrettizio ritorno alla definizione previgente che vietava tout court qualsiasi intervento sul residuo per renderne compatibile l’utilizzo produttivo.

Ma se si debbono ritenere consentite le operazioni di trattamento preliminare o preventivo che non consistono ancora nell’utilizzo diretto nel ciclo produttivo caratteristico dell’impresa, come il classico pesce rosso che nuota nella boccia ci si ritrova sempre al medesimo punto di partenza, costituito dalla ineludibile ambiguità semantica del concetto di “normale pratica industriale” in cui il trattamento deve rientrare per non divenire “recupero” di un rifiuto.

Tale concetto fino ad ora pare essere stato ricostruito (molto parzialmente) più che altro in senso negativo. La Cassazione ha così recentemente affermato che “deve escludersi che il concetto di normale pratica industriale possa ricomprendere attività comportanti trasformazioni radicali del materiale trattato che ne stravolgano l’originaria natura”.

L’affermazione è, tutto sommato, tendenzialmente compatibile con il fatto che una “radicale trasformazione” del residuo, seppure possa astrattamente rientrare nella “normale pratica industriale”, più difficilmente, nella prassi, potrebbe essere considerata un trattamento funzionale e preventivo all’utilizzo vero e proprio della sostanza, venendo invece  ad avvicinarsi maggiormente  ad  un “recupero” del rifiuto per trasformarlo in un prodotto.

La Cassazione ha però precisato come “anche operazioni di minor impatto sul residuo, individuabili in operazioni quali la cernita, la vagliatura, la frantumazione o la macinazione, determinano una modificazione dell’originaria consistenza del residuo e, pertanto, rientrano nel concetto di trattamento, rispetto al quale occorre verificare quando possa ritenersi rientrante nella normale pratica industriale

La Corte non ha quindi affatto escluso che una operazione che determini una “modificazione dell’originaria consistenza del residuo” possa comunque essere considerata “trattamento” di un sottoprodotto generalmente consentito. Essa si è, correttamente, limitata a precisare come in tali casi si debba verificare di volta in volta se l’operazione rientri nella “normale pratica industriale”, ossia in una operazione “ordinariamente” effettuata su di un certo tipo di materiale.

La Cassazione ha invece escluso che rientrino nel concetto di normale pratica industriale “tutti gli interventi manipolativi del residuo diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale esso viene utilizzato”; di per sé l’affermazione è corretta, ma essa non dovrebbe essere di ostacolo alla possibilità che una determinata impresa aggiunga al proprio ciclo produttivo una fase preliminare diretta alla preparazione del sottoprodotto che ne modifichi “l’ordinaria consistenza” senza “trasformarla radicalmente”. Nulla nella lettera della norma esclude infatti tale possibilità, ed anzi appare proprio ciò che il legislatore europeo intendeva esplicitamente consentire, in un’ottica di chiaro favore per il sottoprodotto.

Se quindi una operazione di vagliatura, frantumazione, essiccazione (e se ne potrebbero aggiungere molte altre) rientra “normalmente” (ossia in via ordinaria) nella lavorazione di quel materiale all’interno del settore industriale di riferimento, non vi è ragione perché essa  debba consistere sempre necessariamente in un “intervento minimo” che non muti in alcun modo sostanza e qualità del prodotto, pena la ricaduta in una operazione di “recupero” di un rifiuto. In questo senso le tesi che si spingono a “minimizzare” ad ogni costo l’intervento preliminare o preventivo sul residuo non paiono condivisibili.  La lettura “minimalista” si traduce in una abrogazione per via interpretativa della possibilità ora concessa di effettuare un trattamento preliminare o preventivo sul residuo prima del suo utilizzo, mantenendone tuttavia la natura di sottoprodotto. Quale utilità pratica potrebbe infatti avere un “intervento minimo” che non incida neppure sulla “qualità e sostanza” del prodotto” ? Anche la semplice cernita incide su tali elementi, per non parlare di una operazione di vagliatura, filtraggio, raffinazione, etc….

E’ stato osservato che talune letture riduttive della norma “si connotano, piuttosto, come un tentativo forzato di tenere in vita i precedenti criteri normativi – di qualificazione del sottoprodotto – con sottovalutazione e/o disconoscimento delle significative novità introdotte, nel 2008, in sede comunitaria, e nel 2010, in ambito nazionale. Dando le spalle “al nuovo” e minimizzando i gravi problemi posti dalla disciplina vigente, cui si vorrebbero applicare gli orientamenti giurisprudenziali passati, con la facile ed elusiva giustificazione che “… I principi sopra richiamati debbono ritenersi validi pure alla luce della disciplina contenuta nell’art. 184-bis7.

Se quindi una “trasformazione radicale” del prodotto più difficilmente potrà essere ricondotta ad una operazione di “trattamento” in qualche misura preliminare o preventiva all’utilizzo, ben diverso è per ciò che attiene alle “trasformazioni” che radicali non sono ma che si presentano comunque necessarie al fine di far passare il prodotto stesso da uno stadio di inutilizzabilità nel ciclo produttivo (ad esempio, per la presenza di impurità o frazioni estranee) ad una di diretta utilizzabilità, incrementandone la qualità e l’utilità  per il ciclo produttivo.

Ebbene, non vi è da illudersi che il ricorso ai predetti criteri si riveli sempre dirimente. Non è difficile immaginare che, nella pratica, resteranno numerose aree “grigie” in cui non sarà agevole definire se una determinata operazione sia tale da comportare non solo la “modificazione dell’originaria consistenza del residuo” (certamente consentita) ma anche una “radicale trasformazione” che ne stravolga l’originaria natura.

Nella genericità della definizione è quindi indubbio che il rischio di letture fortemente influenzate dalle contrapposte “visioni ideologiche” all’approccio della questione finiscano per farla da padrone, continuando a perpetuare il conflitto tra la “fazione” del rifiuto e quella del non-rifiuto, con la conseguenza di lasciare per l’ennesima volta gli operatori in una situazione di completo stallo. 

Preso quindi atto che il significato della norma, nonostante tutti gli sforzi dell’interprete, non può essere colmato con il solo ricorso al dato letterale e sistematico, occorre fare un passo ulteriore e utilizzare il criterio teleologico.

Poiché  è indubbio che la sottoposizione al regime dei rifiuti sia voluto dal legislatore ogni qualvolta vi sia un rischio che un determinato  oggetto o sostanza richieda di essere sottoposto ad operazioni anche solo potenzialmente pericolose per l’ambiente al fine di essere smaltito o riutilizzato, la “normalità” della pratica industriale consentita non può non considerare anche tale aspetto.

Di ciò si è certamente resa conto la Cassazione, che nella sentenza più volte citata ha affermato come la lettura della norma che considera conforme alla normale pratica industriale quelle operazioni che l’impresa normalmente effettua sulla materia prima che il sottoprodotto va a sostituire sia da preferirsi in quanto “maggiormente rispondente ai criteri generali di tutela dell’ambiente cui si ispira la disciplina in tema di rifiuti”.

In proposito appare interessante anche la recente sentenza del Consiglio di Stato8, relativa alla c.d. “pollina”, in cui il Giudice ha colto l’opportunità per una osservazione di carattere generale, ricordando come ai sensi dell’art. 179 del Codice dell’Ambiente “la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto di una gerarchia di azioni che al suo apice trova la “prevenzione”, espressamente considerata la migliore opzione ambientale, proprio perché, intervenendo prima che una sostanza diventi rifiuto, evita in radice l’esigenza di disfarsi della stessa ed il conseguente sorgere della problematica ambientale” traendone la conseguenza che “il detentore della sostanza, grazie alle potenzialità energetiche ed alla sua combustione, non ha più l’esigenza di “disfarsi” della pollina a mezzo dell’incenerimento, ma può sfruttarla economicamente senza danni per l’ambiente”.

E’ chiaro che per il Giudice Amministrativo la ratio delle norma di favore per il sottoprodotto sta tutta nel consentire al detentore di non disfarsi della sostanza quando sia possibile sfruttarla economicamente senza danni per l’ambiente.

In sostanza, a parere di scrive occorre quindi legare il requisito del trattamento conforme alla “normale pratica industriale” a quello successivo di cui all’art. 184 bis, per cui “la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

Pertanto, nei casi dubbi dovrebbe ritenersi rientrare nella normale pratica industriale ogni operazione effettuata sulla sostanza o sull’oggetto preventivamente al suo utilizzo che, nel settore industriale di riferimento, viene condotta  anche su materie prime,  intermedi o prodotti, senza che derivi un maggior rischio in termini di impatto ambientale per il fatto che venga impiegato un sottoprodotto.

Al contrario, ogni volta in cui siano necessari “trattamenti” sul sottoprodotto tali da aggravarne significativamente l’impatto ambientale (e ciò avverrà con più probabilità quando ci si trovi di fronte ad operazioni che lo “trasformino radicalmente”), risulterà più probabile che detto trattamento  non possa rientrare nel novero di quelli consentiti sui sottoprodotti ma bensì costituisca una  operazione di recupero.
 

* Avvocato in Milano

1  Secondo l’art. 184 bis “E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.
2  Tra i più recenti contributi sulla nozione di rifiuto e sottoprodotto cfr.: G. AMENDOLA, Sottoprodotti: le prime sentenze e le prime elaborazioni della dottrina, in www. industrie ambiente.it; P. GIAMPIETRO, Quando un residuo produttivo va qualificato sottoprodotto (e non rifiuto) secondo l’art. 5 della direttiva 2008/98/CE (per una corretta attuazione della disciplina comunitaria), in le xambiente.it; V. PAONE, I sottoprodotti e la normale pratica industriale: una questione spinosa, in Ambiente e Sviluppo, 2011, n. 11; V. ROSOLEN, Normale pratica industriale: i chiarimenti della Cassazione, in Ambiente e sicurezza, 2012, 12, 94; S. MAGLIA, Normale pratica industriale: la contraddittoria e pericolosa interpretazione della Cassazione, in Ambiente & Sviluppo 7/2012; R. TUMBIOLO, La Corte di Cassazione si pronuncia sulla nozione di sottoprodotto, trattamento e normale pratica industriale, in ambietnediritto.it; G. GAVAGNIN, La “normale pratica industriale” nell’interpretazione della Cassazione: chiarezza non ancora fatta. In Ambientediritto.it;  L. PRATI, I sottoprodotti dopo il recepimento della direttiva 2008/98/CE, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2011, 549.
3 V. PAONE, I sottoprodotti e la normale pratica industriale: una questione spinosa, in Ambiente e Sviluppo, 2011, n. 11.
4 G. AMENDOLA, Sottoprodotto e normale pratica industriale: finalmente interviene la Cassazione, in lexam biente.it.
5 Cassazione penale, sez. III, 17 aprile 2012, n. 17453.
6 Così P. Giampietro, I trattamenti del sottoprodotto e la “normale pratica industriale”, in Le xambiente.it.
7 I trattamenti del sottoprodotto e la “normale pratica industriale”, di P. Giampietro, in  Lexa mbiente.it.
8 Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n.1230, depositata il 28 febbraio 2013. 
 

Detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e cattività dei richiami vivi per finalità venatorie: verso l’erosione di una deroga?

 

Detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e cattività dei richiami vivi per finalità venatorie: verso l’erosione di una deroga?

DAVIDE BRUMANA*

Con la pronuncia del 17 gennaio 2013, n. 2341, la Cassazione penale, sez. III, ha stabilito che il detenere uccelli destinati come richiami vivi in gabbie anguste pieni di escrementi, rilevando peraltro che l’inadeguata dimensione delle gabbie era attestata dal fatto che gli uccelli avevano le ali sanguinanti, avendole certamente sbattute contro la gabbia in vani tentativi di volo; e, alla luce del fatto che nulla più dell’assoluta impossibilità del volo è incompatibile con la natura degli uccelli, tutto ciò integra la violazione di cui all’art. 727, comma 2, Codice penale, ovvero la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.
Ma procediamo con ordine.
Si deve innanzitutto definire con puntualità la norma che nella fattispecie sopra riportata si considera violata, e precisamente, l’art. 544-ter C.P., che sanziona il “maltrattamento di animali”, oppure il comma 2, dell’art. 727 C.P., per “detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura”?
La presente controversia non deve ritenersi meramente dottrinale, poiché sotto il profilo sanzionatorio, l’art. 544-ter C.P. prevede quale sanzione la reclusione da 1 a 3 anni o la multa da 3.000 a 15.000 Euro, mentre l’art. 727 C.P. sanziona il trasgressore con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 Euro.
Nelle diverse sentenze che hanno impegnato la Cassazione penale e hanno interessato parte della dottrina, per casi non dissimili da quello in cui si dibatte, si è sempre contestata al trasgressore la violazione dell’art. 727, comma 2, C.P. anche se in termini letterali si è contestualmente parlato della sussistenza del reato di maltrattamento di animali.
Tuttavia, è necessario evidenziare come la S.C. ha precisato che nel caso in cui la sofferenza agli uccelli sia provocata dalla dimensione ristretta delle gabbie in cui sono stabulati trova applicazione la contravvenzione di cui all’art. 727 C.P. e non l’art. 544-ter C.P. (Cass. pen. sez. III, n. 6656/2010), optando per la fattispecie contravvenzionale, a discapito di quella delittuosa contemplata dall’art. 544-ter C.P.
Entrando nel vivo della legislazione specifica della questione, si deve osservare che ormai da più di vent’anni, l’art. 5 della Legge quadro sull’attività venatoria (L. n. 157/1992) consente la pratica della caccia (cd. da appostamento) mediante l’utilizzo di richiami vivi detenuti in apposite gabbie.
Si deve osservare che nel contempo però, l’eventuale individuazione delle dimensioni delle stesse gabbie è rimandata indirettamente alla potestà normativa delle singole Regioni: di fatto sul territorio nazionale non esiste una misura standardizzata delle gabbie destinate a tale scopo.
Infine, l’art. 21 della citata Legge, vieta a chiunque di usare richiami vivi, al di fuori dei casi previsti dall’articolo 5 (lett. p), nonché di usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali (lett. r).
In ambito penalistico, con la modifica del menzionato art. 727 C.P., intervenuta con la Legge n. 473 del 1993, il legislatore ha deciso di sanzionare, oltre all’abbandono di animali, la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura.
Dopo aver delineato il panorama normativo, non si può non rilevare come la Suprema Corte di Cassazione sia intervenuta più volte sui diversi aspetti che caratterizzano questa materia.
In merito alle dimensioni delle gabbie, sempre la Cassazione penale ha precisato che nel caso di uccelli detenuti in gabbie e destinati alla cessione per fini di richiamo, la misura delle gabbie non può ritenersi troppo ristretta, e quindi idonea a di per sé  a causare inutili sofferenze agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle misure stabilite dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS, ora ISPRA) (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 601/1997 cit.).
In relazione ai rapporti tra la normativa sull’attività venatoria e il reato di maltrattamento di animali, la giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che in riferimento a comportamenti ascrivibili alle pratiche venatorie, occorre tener conto, oltre che della norma di cui all’art. 727 C.P. anche delle disposizioni di cui alla L. 157/1992.
E ciò non perché le norme della medesima Legge si pongono in rapporto di specialità con le norme del Codice penale, giacché diversa è la loro oggettività giuridica, ma perché un comportamento venatorio consentito dalla stessa Legge quadro sulla caccia, quindi considerato lecito, non può integrare il reato di maltrattamento degli animali, anche se idoneo a cagionare sofferenze agli stessi (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 601/1997).
Tuttavia, la richiamata L. n. 157/1992, sebbene consenta l’uso di richiami vivi, vieta che ad esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica, siano arrecate ingiustificate sofferenze con offesa al comune sentimento di pietà verso gli animali (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 5868/1998).
Sempre sotto questo profilo, nella fattispecie in cui per il solo fatto che nelle gabbie si potesse determinare l’abrasione del piumaggio dei volatili, la S.C. ha sentenziato che lo stato di cattività nel quale vengono tenuti i volatili per l’utilizzazione venatoria non costituisce, per sé solo, un’ipotesi di maltrattamento degli stessi ai sensi dell’art. 727 C.P., infatti, tale contravvenzione è ravvisabile soltanto se la detenzione dei volatili sia connotata da modalità tali da comportare crudeltà, fatica eccessiva, o condizioni che danneggino lo stato di salute dell’animale, compromettendone la possibilità di espletare le funzioni fisiologiche essenziali, con l’eccezione del volo (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 3283/1998).
Ma per definire con una certa precisione la sussistenza del reato di maltrattamento di animali o detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli stessi, per il caso dei richiami vivi non esiste un parametro riconosciuto, se non in termini generali, ci si rifà al concetto di “benessere animale”.
In quest’ottica, si devono registrare, da un punto di vista strettamente zootecnico, i risultati ottenuti sulla base di uno studio, effettuato su dieci esemplari adulti di richiami vivi per ogni specie di avifauna selvatica di cui all’art. 5 della L. 157/1992 (tordo bottaccio, tordo sassello, merlo e cesena), detenuti in gabbi di diverse dimensioni, dopo due mesi di adattamento alla cattività, per un intero anno gli animali sono stati giornalmente seguiti e mensilmente controllati per quanto riguarda l’aspetto morfologico (peso, stato di impiumagione, eventuali lesioni traumatiche, ectoparassiti), le endo-ectoparassitosi (parassiti ematici ed enterici), la mortalità.
Ad ogni controllo mensile è stato effettuato un prelievo ematico a tutti i soggetti per la valutazione degli emiparassiti.
In conclusione, le differenti dimensioni delle gabbie nelle quali sono stati mantenuti i soggetti non sembrano avere influito sui parametri controllati ad anche lo scadente stato di impiumagione, elemento immediatamente percettibile e impressionante, è stato costante nei soggetti.
Entrambi i tipi di gabbie di dimensioni differenti saggiate hanno presentato vantaggi ed inconvenienti a seconda delle specie ospitate ed in particolare non sono risultate idonee a salvaguardare l’integrità della livrea, che è l’aspetto di maggiore impatto emotivo relativamente alla questione “benessere”. (cfr. GALLAZZI D., GRILLI G., CONCINA E., RIPEPI P., GRANATA R., VIGORITA V. Valutazione dello stato sanitario di turdidi da richiamo in gabbie di dimensioni tradizionali o maggiori. parte i: aspetti morfologici, parassitologici e mortalità, in J. Mt. Ecol., 7 (Suppl.):2003).
In definitiva, aggirando le questioni scientifiche inerenti al benessere animale, e limitandosi all’interpretazione letterale della norma,  l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi sul tema può essere così sintetizzato: la detenzione in gabbia di uccelli utilizzati per fini di richiamo in ambito venatorio è una deroga alle contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, prevista dall’art. 727 C.P.
In tal senso, finora la giurisprudenza si era limitata a condannare i contravventori alle prescrizioni che integrano il reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, per l’insufficiente dimensione delle gabbie, per la scarsa igiene delle medesime, o per le lesioni presenti sui soggetti detenuti.
Con la pronuncia in commento, nel constatare che: le gabbie erano in condizioni igieniche precarie, anguste, e ciò ha provocato lesioni alle ali dei richiami, la S.C. non solo in questo ha ravvisato la sussistenza della violazione di cui all’art. 727, comma 2, C.P. – e fin qui nulla di nuovo – ma ha altresì esteso la fattispecie contravvenzionale in parola, semplicemente nel rilevare che nulla più dell’assoluta impossibilità del volo è incompatibile con la natura degli uccelli,
La potenziale spinta protezionistica, in termini di tutela per specie appartenenti alla fauna selvatica quali i richiami vivi, è indubbia, ma bisogna altresì tenere presente che la sentenza è stata pronunciata in relazione a specie selvatiche cacciabili, ma non ci si sofferma nel chiarire la loro provenienza, se di “cattura” o di allevamento.
Infatti, se si affermasse il principio che la negazione del volo alle specie di avifauna fosse sufficiente per integrare il reato di detenzione di animali incompatibili con la loro natura, in termini astratti, la legislazione penale prevaricherebbe tutte le eccezioni consentite da altre disposizioni normative che consentono di detenere esemplari di uccelli in gabbia.
Di conseguenza sarebbe a rischio di legittimità la detenzione di ogni specie di   uccello in cattività, in presenza degli elementi che concretano la fattispecie di cui all’art. 727 C.P.
Per concludere: la pronuncia in commento aprirà certamente dei nuovi scenari in relazione alla protezione degli animali ed alle questioni legati al benessere degli stessi, nonché alla loro detenzione in cattività, in particolar modo delle specie ornitiche; attività venatorie e zootecniche che fino ad oggi la normativa consente e la giurisprudenza, se praticate nel rispetto delle specifiche discipline, ha sempre giudicato come legittime.
Stiamo assistendo ai primi passi verso l’erosione di una deroga? Staremo a vedere.

* Master II livello in diritto dell’ambiente.

 

La Corte di Giustizia UE precisa le condizioni per la stipulazione di accordi di cooperazione tra enti pubblici.

 

La Corte di Giustizia UE precisa le condizioni per la stipulazione di accordi di cooperazione tra enti pubblici.

RUGGERO TUMBIOLO*

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, con la sentenza del 19 dicembre 2012 (causa C-159/11), ha affermato che: “ Il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui – ciò che spetta al giudice del rinvio verificare – tale contratto non abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”.

La questione era stata sottoposta dal Consiglio di Stato, nell’ambito di una controversia sorta tra, da un lato, l’Azienda Sanitaria Locale di Lecce e l’Università del Salento e, dall’altro, diversi ordini e associazioni professionali ed alcune imprese, vertente su un contratto di consulenza stipulato tra l’ASL di Lecce e l’Università del Salento, avente ad oggetto lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce.

In particolare, il Consiglio di Stato aveva chiesto: “Se la [direttiva 2004/18], ed in particolare l’articolo 1, paragrafo 2, lettere a) e d), l’articolo 2, l’articolo 28 e l’allegato II [A], categorie 8 e 12, ostino ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere da eseguirsi alla luce delle normative nazionali in materia di sicurezza delle strutture ed in particolare degli edifici strategici, verso un corrispettivo non superiore ai costi sostenuti per l’esecuzione della prestazione, ove l’amministrazione esecutrice possa rivestire la qualità di operatore economico”.

Giova rammentare che nel nostro ordinamento l’art. 15 della legge n. 241 del 1990 espressamente consente alle amministrazioni pubbliche di concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune e l’art. 66 del d.P.R. n. 382 del 1980 ammette l’esecuzione da parte delle università di attività di ricerca e consulenza mediante contratti con enti pubblici e privati.

La Corte di Giustizia precisa che due tipi di contratti conclusi da enti pubblici non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici.

La prima tipologia consiste nei contratti di appalto stipulati da un ente pubblico con un soggetto giuridicamente distinto da esso, quando detto ente eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e, al contempo, il soggetto in questione realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che lo controllano (c.d. in house providing).

La seconda tipologia concerne i contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi; in tale ipotesi, le norme del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici non sono applicabili a condizione che:

– tali contratti siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata;

– nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti;

– la cooperazione istituita dagli enti pubblici sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico.

In conclusione, la stipulazione, in assenza di una preventiva procedura di evidenza pubblica, di un contratto di cooperazione tra due enti pubblici risulta conforme al diritto comunitario solo nel caso in cui tale contratto abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, sia sostenuto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico e non generi situazioni di privilegio per dei prestatori d’opera privati.

* Avvocato in Como

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