OSSERVATORIO SULLA SICUREZZA SUL LAVORO
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Work Safety Observatory
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A cura di
Ambra Mostarda – Alessia Riommi – Chiara Trotta
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N.B: PER LE SENTENZE PER ESTESO E ALTRE SENTENZE CONSULTARE LAÂ BANCA DATI DI GIURISPRUDENZA
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA DI: LAVORO, SICUREZZA, 231…
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 24 giugno 2025 (ud. 6/5/2025), Sent. n. 16935 (Pres. Tria, Est. Buconi)
SICUREZZA SUL LAVORO – Certificazione verde Covid-19 – Misure di sicurezza – Costi a carico del datore di lavoro – Spese nellâinteresse del datore di lavoro – ModalitĂ alternativa alla vaccinazione – Costi a carico del lavoratore.
Durante la pandemia di Covid-19, la valutazione sulla sicurezza del luogo di lavoro è stata effettuata dal legislatore ed è stata garantita attraverso la campagna vaccinale. A fronte di tale valutazione di sicurezza la certificazione verde Covid-19 non può essere minimamente assimilata alle misure che il datore di lavoro è tenuto ad adottare, sopportandone i relativi costi, per garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro, nel rispetto delle prescrizioni poste dal d.lgs. n. 81/2008. Si esclude dunque che possa essere invocato il principio secondo cui devono gravare sul datore di lavoro le spese che il prestatore sopporta nellâesclusivo interesse del primo, atteso che la previsione di una modalitĂ alternativa alla vaccinazione è stata ispirata dallâintento di rispettare, ove possibile, la scelta del dipendente di rifiutare la somministrazione del vaccino.
(Nel caso di specie, si è escluso che lâAmministrazione fosse tenuta allâesecuzione di tamponi su tutto il personale (vaccinato e non vaccinato) e che fosse tenuta a sostenere i costi dei tamponi delle lavoratrici, non vaccinate).
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 14 giugno 2025 (ud. 29/4/2025), Sentenza n. 22438 (Pres. Serrao, Est. Ricci)
231 – Messa alla prova – ResponsabilitĂ amministrativa degli enti – D.lgs. n. 231/2001 – Divieto di analogia – Principio di tassativitĂ – ImpossibilitĂ di estensione allâente – Imputato persona fisica.
Lâistituto della messa alla prova di cui allâart. 168-bis c.p. non si applica alla responsabilitĂ amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 in forza dellâanalogia in bonam partem o della interpretazione estensiva, in quanto il divieto di analogia per le norme penali, in applicazione del principio di tassativitĂ , si traduce per il giudice nellâimpossibilitĂ di applicare sanzioni oltre i casi espressamente e specificamente contemplati dalla legge; la disciplina della messa alla prova ex art. 168-bis c.p. è modulata specificamente sullâimputato persona fisica e sui reati allo stesso astrattamente riferibili, con conseguente impossibilitĂ di estensione allâente cui è contestata la responsabilitĂ amministrativa.
(Nel caso di specie, dopo aver ammesso alla prova, ex art. 168-bis c.p., lâente cui era stato contestato lâillecito amministrativo di cui allâart. 25-septies, comma 3, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 in relazione alla commissione del delitto di cui allâart. 590, commi 1 e 3, c.p., il Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti della societĂ per essere stato lâillecito estinto per esito positivo della messa alla prova).
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 16 maggio 2025 (ud. 30/1/2025), Sentenza n. 18438 (Pres. Dovere, Est. Lauro)
SICUREZZA SUL LAVORO – Rischio interferenziale – Compresenza di imprese – Rischio aggiuntivo – Interferenza funzionale – Datore di lavoro committente – Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze – UnicitĂ .
Ai fini di cui allâart. 26 d.lgs. 81/2008, il rischio interferenziale è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per lâincolumitĂ dei lavoratori. Si è, infatti, opportunamente precisato che, non solo il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche la coesistenza in un medesimo contesto di piĂš organizzazioni genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro. Pertanto, lâinterferenza rilevante va intesa in senso funzionale, come interferenza non di soli lavoratori, ma derivante dalla coesistenza in un medesimo contesto di piĂš organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi. In una prospettiva funzionale, lâinterferenza rilevante deve essere intesa non solo e non tanto in termini di compresenza dei lavoratori, quanto piuttosto come coesistenza in un medesimo contesto di piĂš organizzazioni, le cui attivitĂ convergevano nella esecuzione di un compito unitario.
(Nel caso di specie, in presenza di rischio interferenziale, il datore di lavoro committente aveva, quindi, lâobbligo di redigere il DUVRI, ovvero un documento unico, e non invece tre distinti documenti, con ciascuna delle societĂ appaltatrici, e relativi ai diversi compiti assegnati nella attivitĂ di pulizia della caldaia).
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 15 maggio 2025 (ud. 26/3/2025), Sentenza n. 18410 (Pres. Montagni, Est. Lauro)
231 – Interesse o vantaggio per lâente – D.lgs. n. 231/2001 – Condotta – Criterio di imputazione oggettiva – Risparmio di spesa esiguo ma apprezzabile – Inosservanza non sistematica delle cautele – Prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Posto che nei delitti colposi lâinteresse o vantaggio per lâente, di cui allâart. 5 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non deve riferirsi allâevento del reato, ma deve riguardare unicamente la condotta, il criterio di imputazione oggettiva è integrato anche da un esiguo, ma oggettivamente apprezzabile, risparmio di spesa, collegato allâinosservanza, pur non sistematica, delle cautele per la prevenzione degli infortuni riguardanti unâarea rilevante di rischio aziendale. Che il vantaggio per lâente, pur apprezzabile, possa anche essere minimo, lo si ricava inoltre dal fatto che in tal caso non è esclusa la responsabilitĂ , ma la sanzione applicabile deve essere diminuita ai sensi dellâart. 12, comma 1, lett. a), d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Pertanto, lâimpossibilitĂ di giungere ad una esatta quantificazione di un non irrisorio vantaggio, certo nella sua esistenza, non esclude la responsabilitĂ dellâente.
(Nel caso di specie, la ripetuta violazione degli oneri manutentivi di un impianto, in presenza di conclamati indici di deterioramento, ha prodotto un risparmio di spesa che, sebbene non quantificabile, è giuridicamente apprezzabile).
231 – ResponsabilitĂ amministrativa degli enti – D.lgs. n. 231/2001 – Violazione della normativa antinfortunistica – Colpa di organizzazione – Inottemperanza dellâobbligo di adottare le cautele – Dovere di prevenzione.
Nel caso di responsabilitĂ degli enti ritenuta in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, la colpa di organizzazione deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dallâinottemperanza da parte dellâente dellâobbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilitĂ del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individui i rischi e delinei le misure atte a contrastarli. Lâente risponde, quindi, per fatto proprio, per essere venuto meno al dovere di organizzazione funzionale alla prevenzione del rischio-reato: in questa prospettiva, la colpa di organizzazione dellâente finisce per assumere la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, ovvero di elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione âcolpevoleâ (ovvero rimproverabile) della regola cautelare.
SICUREZZA SUL LAVORO – Presunzione di conformitĂ – Modello di organizzazione aziendale – Certificazione – Standard internazionale – Adozione – Efficace attuazione.
Non è sufficiente la presunzione di conformitĂ del modello di organizzazione aziendale, poichĂŠ certificato secondo lo standard internazionale – secondo quanto dispone lâart. 30, comma 5, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 – in quando il modello non deve solo essere adottato, ma anche efficacemente attuato. Tale carenza non può essere colmata dalla nomina dellâorganismo di vigilanza.
(Nel caso di specie, la mancanza di un programma specifico degli interventi di manutenzione delle passerelle, in uno con la mancata previsione di effettive procedure di controllo, è stata, quindi, ritenuta indice di una carenza organizzativa che si è riverberata, sul piano causale, sulle garanzie per la sicurezza dei lavoratori. Ă stata cosĂŹ rilevata la violazione dellâobbligo organizzativo, connesso alla gestione del rischio-reato, ovvero la mancata predisposizione di accorgimenti idonei a evitare la commissione di reati).
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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 4^, 14 maggio 2025 (ud. 23/4/2025), Sentenza n. 18169 (Pres. Montagni, Est. Sessa)
SICUREZZA SUL LAVORO – Tutela della salute del lavoratore – Art. 2087 c.c. – Contratto di appalto – Amministratore di condominio – Committente – Obblighi di verifica – IdoneitĂ tecnico professionale – Obbligo di informazione – Rischi specifici – Ambiente di lavoro – Misure di prevenzione e protezione.
In tema di tutela della salute del lavoratore, lâamministratore che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nellâinteresse del condominio può assumere, ove una delibera assembleare o anche un incarico informalmente conferitogli, gli riconosca autonomia di azione e concreti poteri decisionali, la posizione di âcommittenteâ, come tale tenuto allâosservanza degli obblighi di verifica della idoneitĂ tecnico professionale dell’impresa appaltatrice, di informazione sui rischi specifici esistenti nellâambiente di lavoro e di cooperazione e coordinamento nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione, dovendosi, peraltro, escludere che la non idoneitĂ possa essere ritenuta per il solo fatto dellâavvenuto infortunio, in quanto il difetto di diligenza nella scelta dellâimpresa esecutrice deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice.
SICUREZZA SUL LAVORO – Definizione di lavoratore – Organizzazione del datore di lavoro – Tipologia contrattuale – D.lgs. n. 81/2008 – Mansioni tipiche dellâimpresa – Richiesta dellâimprenditore.
La definizione di âlavoratoreâ di cui allâart. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, richiede lo svolgimento dellâattivitĂ lavorativa nellâambito dellâorganizzazione del datore di lavoro, indipendentemente dalla tipologia contrattuale ed è piĂš ampia di quella prevista dallâart. 3 D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, che si riferiva, invece, al âlavoratore subordinatoâ e alla âpersona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoroâ (art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626), sicchĂŠ, ai fini dellâapplicazione delle norme incriminatrici previste nel citato d.lgs. n. 81 del 2008, rileva lâoggettivo espletamento di mansioni tipiche dellâimpresa, anche eventualmente a titolo di favore, nei luogo deputato e su richiesta dellâimprenditore.
SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Contratto di appalto – Contratto di prestazione di opera – Obblighi del committente – Verifica di idoneitĂ tecnico-professionale – Avvenuto infortunio.
In materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare lâidoneitĂ tecnico-professionale dellâimpresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, dovendosi, peraltro, escludere che la non idoneitĂ possa essere ritenuta per il solo fatto dellâavvenuto infortunio, in quanto il difetto di diligenza nella scelta dellâimpresa esecutrice deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice.
SICUREZZA SUL LAVORO – Prevenzione degli infortuni sul lavoro – ResponsabilitĂ del committente – Incidenza della condotta – Eziologia dellâevento – CapacitĂ organizzative – Situazioni di pericolo.
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per valutare la responsabilitĂ del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto lâincidenza della sua condotta nellâeziologia dellâevento, a fronte delle capacitĂ organizzative della ditta scelta per lâesecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificitĂ dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dellâappaltatore o del prestatore dâopera, alla sua ingerenza nellâesecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione dâopera, nonchĂŠ alla agevole ed immediata percepibilitĂ da parte del committente di situazioni di pericolo.
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 12 maggio 2025 (ud. 9/5/2025), Ordinanza n. 12518 (Pres. Tricomi, Est. Tria)
SICUREZZA SUL LAVORO – Mobbing – PluralitĂ di comportamenti pregiudizievoli – Intento persecutorio – Straining – Comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti del dipendente – Ambiente stressogeno – Danno alla salute.
Ă configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra lâelemento obiettivo, integrato da una pluralitĂ continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dellâintendimento persecutorio nei confronti della vittima e ciò a prescindere dalla illegittimitĂ intrinseca di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime. Ă, invece, configurabile lo straining quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralitĂ delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma anche nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori.
(La decisione datoriale di mettere a concorso un passaggio di livello piuttosto che assegnarlo ad un proprio dipendente avente i titoli per ricoprire la superiore qualifica non integra una ipotesi di straining, non potendo ravvisarsi alcun comportamento stressogeno scientemente attuato nei confronti del dipendente che, per caratteristiche, gravitĂ , frustrazione personale o professionale e altre circostanze del caso concreto, possa far ravvisare nella specie unâipotesi di straining.)
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 9 maggio 2025 (ud. 12/3/2025), Sentenza n. 12270 (Pres. Manna, Est. Amendola)
DIRITTO DEL LAVORO – DisabilitĂ – Accomodamenti ragionevoli – Misure organizzative ragionevoli – AttivitĂ lavorativa – Licenziamento per sopravvenuta inidoneitĂ fisica del lavoratore disabile – Datore di lavoro – Onere probatorio – Sforzo diligente ed esigibile – Soluzione organizzativa appropriata.
Circa lâadempimento o meno dellâobbligo legislativamente imposto dallâart. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216 del 2003, ossia lâobbligo di adottare accomodamenti ragionevoli, il comportamento dovuto si caratterizza non tanto, in negativo, per il divieto di comportamenti che violano la paritĂ di trattamento, quanto piuttosto, in positivo, per il suo profilo di azione volta alla ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di unâattivitĂ lavorativa, altrimenti preclusa, a persona con disabilitĂ . Dunque, nel giudizio avente ad oggetto lâimpugnativa del licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneitĂ fisica del lavoratore disabile, lâonere gravante sul datore di lavoro potrĂ essere assolto mediante la deduzione del compimento di atti o operazioni strumentali rispetto allâavveramento dellâaccomodamento ragionevole, che assumano il rango di fatti secondari di tipo indiziario o presuntivo, i quali possano indurre nel giudicante il convincimento che il datore abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata che scongiurasse il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto.
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 8 maggio 2025 (ud. 30/4/2025), Sentenza n. 17467 (Pres. Ciampi, Est. Serrao)
231 – ResponsabilitĂ dellâente – Illecito del soggetto apicale – Contrasto tra giudicati – Sentenza dichiarativa della responsabilitĂ – Sentenza di assoluzione – Reato presupposto – diverso procedimento – Negazione del fatto storico.
Nel peculiare caso del rapporto tra responsabilitĂ dellâente e illecito commesso dal soggetto apicale si è affermato che non sussiste contrasto tra giudicati ex art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. tra la sentenza dichiarativa della responsabilitĂ dellâente ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e la sentenza di assoluzione dellâimputato dal reato presupposto pronunciata in un diverso procedimento nel caso in cui, in questâultimo, sia stata accertata la ricorrenza del fatto illecito, discendendo lâinconciliabilitĂ dei giudicati solo dalla negazione del fatto storico su cui essi si fondano e non anche dalla mancata individuazione del suo autore, posto che la responsabilitĂ dellâente ex art. 8 del citato d.lgs. sussiste pur se lâautore del reato non risulti identificato.
231 – Corrispondenza tra reati – Reato presupposto – ResponsabilitĂ del soggetto apicale della societĂ produttrice – ResponsabilitĂ del datore di lavoro – IdentitĂ del fatto storico – SovrapponibilitĂ – DiversitĂ di enti – D.lgs. n. 231/2001.
In tema di responsabilitĂ degli enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, il reato contestato alla persona fisica deve corrispondere a quello chiamato a fungere da presupposto per la responsabilitĂ della persona giuridica, per cui lâesclusione della responsabilitĂ del soggetto apicale della societĂ produttrice di un macchinario, per essere lâinfortunio ascrivibile esclusivamente al datore di lavoro, va intesa quale esclusione del reato presupposto. Ciò che conta, per la verifica dellâidentitĂ del fatto storico, è dunque il confronto delle condotte specificamente poste in essere dai medesimi soggetti per verificarne la sovrapponibilitĂ , onde, lâidentitĂ del fatto storico nel quale si sostanzia il reato presupposto permane, pur a seguito dellâassoluzione di uno dei coimputati, qualora rimanga ferma la responsabilitĂ degli altri o di persona non identificata le cui condotte siano comunque riferibili al medesimo Ente; mutando lâEnte di riferimento del soggetto apicale imputato muta, invece, anche il fatto storico.
(Nel caso di esame, il fatto storico sul quale si fonda la responsabilitĂ dellâEnte produttore è un infortunio occorso a un dipendente di una societĂ in occasione dellâuso di un macchinario nel quale era stata ipotizzata anche la responsabilitĂ del produttore, mentre la sentenza emessa allâesito del giudizio di cognizione nei confronti degli imputati persone fisiche ha escluso la riconducibilitĂ dellâinfortunio al soggetto apicale dellâEnte produttore, affermando lâesclusiva responsabilitĂ dei garanti della societĂ datrice di lavoro).
DiversitĂ del fatto storico – Infortunio sul lavoro – Infortunio correlato allâuso di macchinari – Infortunio ascritto allâimpresa datrice – Infortunio ascritto al produttore.
Sussiste diversitĂ del fatto storico tra un infortunio in materia di lavoro correlato allâuso di un macchinario ascritto allâimpresa datrice di lavoro e il medesimo infortunio ascritto alla condotta del produttore del macchinario.
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 3 maggio 2025 (ud. 4/4/2025), Ordinanza n. 11631 (Pres. Marotta, Est. Casciaro)
SICUREZZA SUL LAVORO – Obbligo di prevenzione del datore di lavoro – Inadempimento – Colpa – Difetto di diligenza – Misure di sicurezza sul lavoro – SpecificitĂ del rischio.
Elemento costitutivo della responsabilitĂ del datore di lavoro per inadempimento dellâobbligo di prevenzione di cui allâart. 2087 cod. civ. è la colpa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore; lâobbligo di prevenzione di cui allâart. 2087 cod. civ. impone allâimprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attivitĂ esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificitĂ del rischio, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene protetto dallâart. 41, secondo comma, Cost.
DIRITTO DEL LAVORO – ResponsabilitĂ del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. – RISARCIMENTO DANNI – Onere di allegazione e prova – ResponsabilitĂ contrattuale – Risarcimento del danno – Infortunio sul lavoro.
La responsabilitĂ conseguente alla violazione dell’art. 2087 cod. civ. ha natura contrattuale, sicchĂŠ il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio, o lâIstituto assicuratore che agisca in via di regresso, deve allegare e provare la esistenza dellâobbligazione lavorativa e del danno, nonchĂŠ il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile.
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 23 aprile 2025 (ud. 6/3/2025), Ordinanza n. 10730 (Pres. Bellè, Est. Cavallari)
DIRITTO DEL LAVORO – Mobbing – Insussistenza dellâintento persecutorio – ResponsabilitĂ del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. – Ambiente stressogeno – Comportamenti non illegittimi che inducono disagi o stress – Pregiudizio per la personalitĂ e la salute.
In tema di responsabilitĂ del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche ove non sia configurabile una condotta di âmobbingâ, per l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralitĂ continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dellâart. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sĂŠ non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravitĂ del pregiudizio per la personalitĂ e la salute latamente intesi.
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 22 aprile 2025 (ud. 5/2/2025), Sentenza n. 15694 (Pres. Ciampi, Est. Bellini)
SICUREZZA SUL LAVORO – ResponsabilitĂ per infortunio sul lavoro – Interruzione del rapporto di causalitĂ – Condotta imprudente del lavoratore – CriticitĂ del sistema di sicurezza – Colpa del lavoratore – Comportamento abnorme – Comportamento estraneo al processo produttivo – Comportamento estraneo alle mansioni attribuite.
In tema di responsabilitĂ per infortunio sul lavoro si applica il principio secondo cui lâinterruzione del rapporto di causalitĂ , sebbene in costanza della imprudente condotta del lavoratore non si realizza quando il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticitĂ . Invero, le disposizioni di sicurezza perseguono infatti il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde lâarea di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro impedire lâinstaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumitĂ dei lavoratori. In tal senso, la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilitĂ , poichĂŠ lâesistenza del rapporto di causalitĂ tra la violazione e lâevento-morte o lesioni del lavoratore, che ne sia conseguito, può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormitĂ abbia dato causa allâevento quando, per la sua stranezza ed imprevedibilitĂ , non sia neppure collegato al segmento di lavorazione impegnato; in tema di causalitĂ , la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dellâobbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilitĂ solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore.
(Nel caso di specie, tale ipotesi non appare ipotizzabile essendo emerso che il lavoratore si era limitato a dare esecuzione ad uno specifico ordine di lavoro promanante dal preposto alle lavorazioni).
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 22 aprile 2025 (ud. 18/3/2025), Sentenza n. 15697 (Pres. Ciampi, Est. Ricci)
SICUREZZA SUL LAVORO – Esercizio di fatto dei poteri direttivi – Posizione di garanzia – Datore di lavoro – Formale investitura – Esercizio in concreto dei poteri – Svolgimento di fatto delle mansioni – CorresponsabilitĂ – Ruolo apparente.
In materia di sicurezza sul lavoro, lâart. 299 d.lgs. n. 81/2008, nel definire lâesercizio di fatto dei poteri direttivi, stabilisce che la posizione di garanzia relativa al datore di lavoro grava altresĂŹ su colui che, pur sprovvisto di formale investitura, eserciti in concreto i poteri riferiti al soggetto definito dallâart. 2. La norma nellâestendere gli obblighi di garanzia a coloro ai quali di fatto svolgono le mansioni tipiche delle figure di cui si è detto, non esclude la corresponsabilitĂ di coloro i quali sono titolari formali della qualifica. Permane, dunque, in capo al titolare del rapporto di lavoro la posizione di garanzia, a meno che questi non abbia investito tramite delega altri soggetti delle funzioni prevenzionistiche. Pertanto, la responsabilitĂ dellâamministratore di societĂ , in ragione della posizione assegnatagli dallâordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia apparente.
SICUREZZA SUL LAVORO – ResponsabilitĂ per infortunio – Obblighi del datore di lavoro – Valutazione dei rischi – Formazione dei lavoratori – Rischi connessi alle mansioni – Omessa formazione – Verificazione dellâevento – Nesso causale.
Il datore di lavoro risponde dellâinfortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte. Ă, infatti, tramite lâadempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti. Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarĂ chiamato a rispondere dellâinfortunio occorso al lavoratore, laddove lâomessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dellâevento, ovvero laddove sia accertato che, ipotizzandosi come avvenuta lâazione che sarebbe stata doverosa ed esclusa lâinterferenza di decorsi causali alternativi, lâevento, con elevato grado di credibilitĂ razionale, non avrebbe avuto luogo.
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CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 16 aprile 2025 (ud. 10/2/2025), Ordinanza n. 9972 (Pres. Travaglino, Est. Ambrosi)
SICUREZZA SUL LAVORO – Morte del lavoratore dipendente – Domanda di risarcimento del danno dei congiunti – Domanda iure proprio – Competenza del giudice ordinario – Criterio del valore – Autonomo diritto al risarcimento – ResponsabilitĂ extracontrattuale.
In tema di responsabilitĂ civile per morte del lavoratore dipendente, la domanda di risarcimento del danno proposta iure proprio dai congiunti del lavoratore deceduto esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro e resta devoluta alla cognizione del giudice competente secondo il generale criterio del valore, in quanto tali soggetti agiscono non âiure hereditarioâ ma âiure proprioâ, quali soggetti che dalla morte del loro congiunto hanno subĂŹto danno e, quindi, quali portatori di un autonomo diritto al risarcimento che ha la sua fonte nella responsabilitĂ extracontrattuale di cui allâart. 2043 c.c.
DIRITTO DEL LAVORO – Assicurazione della responsabilitĂ civile – Azione nei confronti dellâassicuratore – Rapporto danneggiante-assicurato e assicuratore – Terzo-danneggiato – Vincolo contrattuale.
In tema di assicurazione della responsabilitĂ civile, il danneggiato non può agire direttamente confronti dellâassicuratore del responsabile del danno (salvi i casi eccezionalmente previsti dalla legge), atteso che egli è estraneo al rapporto tra il danneggiante-assicurato e lâassicuratore dello stesso. Soltanto lâassicurato è legittimato, pertanto, ad agire nei confronti dellâassicuratore, e non anche il terzo-danneggiato, nei confronti del quale lâassicuratore non è tenuto per vincolo contrattuale, nĂŠ a titolo di responsabilitĂ aquiliana.
RISARCIMENTO DANNI – Assicurazione contro i danni – Diritto dellâassicurato allâindennizzo – Rischio assicurato – Ambito della garanzia – Onere della prova – Onere dellâassicurato-danneggiato – Evento coperto dalla garanzia.
In tema di assicurazione contro i danni il fatto costitutivo del diritto dellâassicurato allâindennizzo consiste in un danno verificatosi in dipendenza di un rischio assicurato e nellâambito spaziale e temporale in cui la garanzia opera, con la conseguenza che ai sensi dellâart. 2697 c.c. spetta allâassicurato-danneggiato dimostrare che si è verificato un evento coperto dalla garanzia assicurativa e che esso ha causato il danno di cui reclama il ristoro.
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 15 aprile 2025 (ud. 5/12/2024), Sentenza n. 14796 (Pres. Dovere, Est. Cenci)
231 – ResponsabilitĂ degli enti – D.lgs. n. 231/2001 – Criteri dâimputazione oggettiva – Fatto illecito – Reato presupposto – Interesse dellâente – Vantaggio dellâente.
Per la responsabilitĂ degli enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 sussistono due criteri dâimputazione oggettiva del fatto illecito allâente in quanto tale, nel senso che lâillecito amministrativo a carico del soggetto collettivo si configura quando la commissione del reato presupposto (da parte delle persone fisiche che agiscono per conto dellâente) sia funzionale ad uno specifico interesse o vantaggio a favore dellâente stesso (v. art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001): si tratta di concetti alternativi e concorrenti tra loro, in quanto lâinteresse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il vantaggio ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dellâillecito.
(Nel caso di specie, è stata accertata la sussistenza sia dellâinteresse sia del vantaggio dellâente, poichĂŠ la stipula di un contratto di appalto per non fare emergere il rapporto di lavoro subordinato – ritenuto in effetti sussistente – ha comportato risparmi di spesa per quanto riguarda gli adempimenti connessi alla prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro).
231 – ResponsabilitĂ da reato degli enti – Mancanza od inidoneitĂ dei modelli di organizzazione – Inefficace attuazione – Colpa di organizzazione – Colpa dei soggetti autori del reato – Reato presupposto – Nesso causale.
Ai fini della configurabilitĂ della responsabilitĂ da reato degli enti, non sono âex seâ sufficienti la mancanza od inidoneitĂ degli specifici modelli di organizzazione o la loro inefficace attuazione, essendo necessaria la dimostrazione della colpa di organizzazione, che caratterizza la tipicitĂ dellâillecito amministrativo e che è distinta dalla colpa dei soggetti autori del reato. In particolare, la mancata adozione e lâinefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231 del 2001 e allâart. 30 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non assurge ad elemento costitutivo della tipicitĂ dellâillecito dellâente ma integra una circostanza atta a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dallâaccusa, mentre lâente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa. Pertanto, lâassenza del modello, la sua inidoneitĂ o la sua inefficace attuazione non sono, di per sĂŠ, elementi costitutivi dellâillecito dellâente, tali invece essendo, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e lâente (cd. immedesimazione organica), la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve intercorrere tra i due. Nondimeno, deve ritenersi che, ove il Giudice rilevi la mancanza di documentazione, sia onere dellâente di spiegare come, altrimenti, abbia provveduto a dotarsi in concreto di un modello organizzativo e gestionale adeguato (artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231 del 2001).
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 14 aprile 2025 (ud. 23/1/2025), Sentenza n. 14443 (Pres. Dovere, Est. Branda)
SICUREZZA SUL LAVORO – Preposto – Posizione di garanzia – Sicurezza sul lavoro – Area di gestione del rischio – Natura ed entitĂ delle funzioni e dei poteri – Obbligo di comunicazione – Deficienze delle misure protettive.
Il preposto assume una posizione di garanzia ed è debitore di sicurezza nei confronti dei lavoratori ma solo con riferimento allâarea di rischio che è chiamato a gestire in relazione alla natura e alla entitĂ delle funzioni e dei poteri esercitati. PiĂš precisamente, il preposto non ha soltanto il compito di vigilare sullâosservanza delle disposte misure antinfortunistiche, ma anche lâincombenza di rendere edotto delle deficienze delle misure protettive colui che ha lâobbligo di provvedere alla relativa adozione.
(Nel caso di specie lâaffermazione di responsabilitĂ in capo al preposto è stata logicamente ritenuta sulla base dellâomessa segnalazione della situazione di pericolo allâignaro datore di lavoro che, se prontamente segnalata, avrebbe consentito di evitare lâevento lesivo).
SICUREZZA SUL LAVORO – Preposto – Poteri decisionali – Funzione integrativa – Segnalazione ai superiori – Profili di criticitĂ nelle misure di sicurezza – Omissione di vigilanza – Omissione di segnalazione di situazioni di pericolo.
Il soggetto preposto alla vigilanza sui lavori, anche se sprovvisto di poteri decisionali, ha una funzione integrativa in chiave di segnalazione ai superiori degli eventuali profili di criticitĂ delle misure di prevenzione e protezione dei lavoratori, e di sollecitazione nella predisposizione degli accorgimenti tecnici piĂš idonei in relazione alla specificitĂ della lavorazione, posizione di garanzia che non esclude ma integra quella dei superiori gerarchici dotati di autonomia e capacitĂ decisionale. Nello specifico, il preposto, pur se sfornito di poteri decisionali e di spesa, è comunque responsabile in caso di eventi lesivi riconducibili allâomissione di vigilanza e segnalazione di situazioni di pericolo.
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 3°, 9 aprile 2025 (ud. 23/1/2025), Sentenza n. 13809 (Pres. Ramacci, Est. Magro)
SICUREZZA SUL LAVORO – Esercizio di fatto di poteri direttivi – Posizioni di garanzia – Regolare investitura – Funzioni del datore di lavoro – Assetto fattuale – Principio di effettivitĂ .
A norma dellâart. 299 d.lgs. n. 81/2008 (Esercizio di fatto di poteri direttivi), le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui allâarticolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresĂŹ su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti. Deriva dal disposto di tale norma che lâassunzione degli obblighi relativi alla posizione di garanzia prescinde da qualunque formalizzazione del rapporto di lavoro, radicandosi sul mero espletamento in linea di fatto delle funzioni proprie del datore di lavoro, indipendentemente dalla regolaritĂ o meno, sotto il profilo civilistico, contributivo, fiscale, e via discorrendo, di tale assetto fattuale. Pertanto, in base al principio di effettivitĂ , assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto.
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 8 aprile 2025 (ud. 13/2/2025), Sentenza n. 13532 (Pres. Dovere, Est. Mari)
SICUREZZA SUL LAVORO – Obbligo di vigilanza del datore di lavoro – Osservanza delle misure di sicurezza – Prassi elusive dei lavoratori – Comportamento anomalo – ResponsabilitĂ colposa – Conoscenza – Colpevole ignoranza – EsigibilitĂ del comportamento.
In tema di infortuni sul lavoro, lâobbligo del datore di lavoro di vigilare sullâesatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza; conseguendone che, in presenza di tale elemento, è ravvisabile la colpa del datore di lavoro anche in caso di comportamento anomalo del dipendente. Da ciò deriva lo speculare principio per cui in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dellâesigibilitĂ del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi.
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 30 marzo 2025 (ud. 18/12/2024), Ordinanza n. 8358 (Pres. Doronzo)
DIRITTO DEL LAVORO – Giusta causa di licenziamento – GravitĂ dei fatti addebitati al lavoratore – ProporzionalitĂ tra fatti e sanzione – Contagio – False dichiarazioni – Non corretta gestione dellâemergenza sanitaria – Uso improprio del certificato INAIL – Scopo di nuocere al datore di lavoro.
Alla luce dei criteri interpretativi sanciti dallâart. 1362 c.c., per esprimere la valutazione dellâidoneitĂ della condotta a giustificare il licenziamento ex art. 2119 c.c. si devono considerare lâinsieme delle condotte contestate, non solo isolatamente, ma nella loro dimensione unitaria e reiterata, tenendo presenti non tanto e solo la mera violazione delle prescrizioni aziendali, ma anche le esigenze di sicurezza pubblica a cui quelle prescrizioni presiedevano, per valutare la complessiva gravitĂ .
(Nel caso di specie, deve essere valorizzata la formulazione unitaria degli addebiti disciplinari, che certamente esprime nella contestualitĂ dei fatti a cui sono riferiti, tutti realizzatisi durante il medesimo turno di servizio, un significativo rifiuto di svolgere lâattivitĂ lavorativa nel rispetto della normativa sulla sicurezza stradale e sul lavoro. Nello specifico, ad assumere rilievo sono le condotte di insubordinazione riportate dalla ricorrente, consistenti sostanzialmente nel : – ripetuto rifiuto del lavoratore, nellâambito del medesimo turno lavorativo, di effettuare le comunicazioni al Centro radio che avrebbero favorito lâadempimento delle procedure per lâoccupazione della sede stradale, preordinate alla sicurezza dei lavori, non solo per gli addetti, ma per gli automobilisti di passaggio; – avere ribadito il rifiuto, nonostante lâinvito del Tecnico competente; – avere poi rifiutato di adempiere un ordine del medesimo tecnico di effettuare il cambio dellâautomezzo).
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 27 marzo 2025 (ud. 11/12/2024), Ordinanza n. 8152 (Pres. Leone, Est. Pagetta)
SICUREZZA SUL LAVORO – Dispositivi di Protezione Individuale – Barriera protettiva – Rischi per la salute e sicurezza – Indumenti di lavoro – Datore di lavoro – Obbligo di continua fornitura – Obbligo di mantenimento in stato di efficienza – Diritto al rimborso – Spese sostenute per la pulizia dei DPI.
In tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformitĂ con lâart. 2087 c.c.; ne consegue la configurabilitĂ a carico del datore di lavoro di un obbligo di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I., con la conseguenza che i lavoratori hanno diritto al rimborso delle spese sostenute per la pulizia degli indumenti di protezione forniti dal datore di lavoro.
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 24 marzo 2025 (ud. 29/1/2025), Ordinanza n. 7788 (Pres. Pagetta, Est. Cinque)
DIRITTO DEL LAVORO – Giusta causa di licenziamento – GravitĂ dei fatti addebitati al lavoratore – ProporzionalitĂ tra fatti e sanzione – Contagio – False dichiarazioni – Non corretta gestione dellâemergenza sanitaria – Uso improprio del certificato INAIL – Scopo di nuocere al datore di lavoro.
La sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia della gravitĂ dei fatti addebitati al lavoratore – desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchĂŠ dallâintensitĂ dellâelemento intenzionale -, sia della proporzionalitĂ tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dellâinadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della ânon scarsa importanzaâ dettata dallâart. 1455 c.c. In ossequio a tali principi, deve ritenersi sussistente la giusta causa in presenza dei seguenti elementi: a) il dipendente non si era limitato riferire di avere contratto il virus, ma si era spinto ad affermare, con false dichiarazioni, che il contagio era stato frutto di una non corretta gestione dellâemergenza sanitaria da parte del suo datore di lavoro; b) le dichiarazioni erano state inserite in un modulo indirizzato ad un Ente (INAIL) a cui istituzionalmente è demandato il potere di controllo del rispetto da parte del datore di lavoro delle norme in tema di sicurezza sul lavoro; c) si trattava di precisazioni, fermo lâobbligo di denuncia e di comunicazione dellâinfortunio e di invio di tutta la documentazione indispensabile a tal fine, non necessarie ai fini della tutela previdenziale richiesta, in una situazione in cui, per lâINAIL, giĂ sussisteva una presunzione semplice, per lâoperatore sanitario contagiato, di avere contratto il virus nellâambiente lavorativo; d) era ravvisabile, pertanto, un uso improprio del certificato INAIL, con lo scopo di nuocere al datore di lavoro in quanto le affermazioni riguardavano fatti risultati insussistenti.
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, Sent. 20 marzo 2025 (ud. 4/2/2025), n. 7483 (Pres. Tria, Est. Di Paolantonio)
SICUREZZA SUL LAVORO – Certificazione verde Covid-19 – Misure di sicurezza – Costi a carico del lavoratore – Campagna gratuita di vaccinazione – Test antigenico in sostituzione dellâobbligo vaccinale – ModalitĂ alternativa alla vaccinazione – Scelta di rifiutare la somministrazione del vaccino.
La certificazione verde Covid-19 non può essere minimamente assimilata alle misure che il datore di lavoro è tenuto ad adottare, sopportandone i relativi costi, per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro, nel rispetto delle prescrizioni imposte dal d.lgs. n. 81/2008. Sul punto va evidenziato che il legislatore, una volta avviata la campagna gratuita di vaccinazione, che le piĂš autorevoli voci scientifiche a livello mondiale indicavano come strumento idoneo a contrastare la diffusione del virus, ha permesso ad alcune categorie di lavoratori, pubblici e privati, la presentazione del test antigenico in sostituzione dellâattestato di avvenuto adempimento dellâobbligo vaccinale, e ciò ha fatto nellâesclusivo interesse del prestatore al quale è stato consentito di non sottoporsi alla vaccinazione, senza incorrere nella sospensione prevista dal legislatore quale conseguenza della mancata sottoposizione alla vaccinazione medesima. Conseguentemente non può essere invocato il principio secondo cui devono gravare sul datore di lavoro le spese che il prestatore sopporta nellâesclusivo interesse del primo, atteso che la previsione di una modalitĂ alternativa alla vaccinazione è stata ispirata dallâintento di rispettare, ove possibile, la scelta della persona di rifiutare la somministrazione del vaccino.
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 4°, 17 marzo 2025 (ud. 29/1/2025), Sentenza n. 10465 (Pres. Ciampi, Est. Cappello)
SICUREZZA SUL LAVORO – ResponsabilitĂ – Cause sopravvenute – Esclusione del rapporto di causalitĂ – Processo causale autonomo – Sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico.
In materia di responsabilitĂ per la sicurezza dei lavoratori, le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalitĂ sono solo quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dellâagente, ovvero quelle che danno luogo a uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, pur se eziologicamente riconducibile ad essa.
SICUREZZA SUL LAVORO – Posizione di garanzia – Automatico addebito di responsabilitĂ – Principio di colpevolezza – Violazione della regola cautelare – PrevedibilitĂ ed evitabilitĂ dellâevento – Nesso causale.
La titolaritĂ di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dellâevento, un automatico addebito di responsabilitĂ colposa a carico del soggetto deputato a gestire il rischio, poichĂŠ il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte di costui – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilitĂ ed evitabilitĂ dellâevento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e lâevento dannoso.
SICUREZZA SUL LAVORO – Preposto – Misure di prevenzione – Esonero del datore di lavoro da responsabilitĂ – Valutazione dei rischi – Modello collaborativo – Area di rischio – Comportamenti trascurati del lavoratore – IdoneitĂ delle attrezzature.
La designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilitĂ ove risulti lâinidoneitĂ di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi. In tal senso, è vero che il legislatore ha considerato anche il lavoratore nel novero dei soggetti garanti della sicurezza sui luoghi di lavoro, ma il modello âcollaborativoâ cosĂŹ delineato – in virtĂš del quale gli obblighi sono ripartiti tra piĂš soggetti, compresi i lavoratori – non implica alcun esonero di responsabilitĂ in capo al datore di lavoro allâinterno dellâarea di rischio, nella quale si colloca il suo obbligo di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore. Invero, inerisce al datore di lavoro lâobbligo di predisporre e fornire ai lavoratori attrezzature idonee a svolgere in sicurezza le singole lavorazioni.
(Nel caso di specie, le attrezzature fornite sono state considerate inadeguate siccome incapaci di garantire la stabilitĂ necessaria per effettuare la lavorazione demandata, da svolgersi in quota).
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 17 marzo 2025 (ud. 21/2/2025), Ordinanza n. 7033 (Pres. Tricomi, Est. Buconi)
DIRITTO DEL LAVORO – Prescrizione – Decorrenza – RISARCIMENTO DANNI – Malattia – Contagio – Percezione del danno ingiusto – Diligenza – Conoscenze scientifiche.
Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta allâesterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando lâordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.
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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 16 marzo 2025 (ud. 21/1/2025), Ordinanza n. 6984 (Pres. Doronzo, Est. Amendola)
SICUREZZA SUL LAVORO – ResponsabilitĂ datoriale per la salute e sicurezza sul lavoro – Onera della prova – Individuazione delle specifiche norme di cautela violate – Condizione di pericolo – Danno psicofisico – Nesso causale.
In caso di responsabilitĂ datoriale per violazione delle regole di tutela della salute e sicurezza sul lavoro non spetta al lavoratore provare la colpa del datore danneggiante, nĂŠ individuare le regole violate, nĂŠ le misure cautelari che avrebbero dovuto essere adottate per evitare lâevento dannoso. In tal senso, in punto di allegazione del âfatto costituente inadempimentoâ lâonere gravante sul lavoratore non può estendersi fino a comprendere anche lâindividuazione delle specifiche norme di cautela violate, specie ove non si tratti di misure tipiche o nominate ma di casi in cui molteplici e differenti possono essere le modalitĂ di conformazione del luogo di lavoro o delle modalitĂ esecutive della prestazione ai requisiti di sicurezza; è, piuttosto, necessario, che il lavoratore alleghi la condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalitĂ di esecuzione della prestazione, ed il nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo e danno psicofisico sofferto, incombendo a questo punto su parte datoriale lâonere di provare lâinesistenza della condizione di pericolo oppure di aver predisposto tutte le misure atte a neutralizzare o ridurre, al minimo tecnicamente possibile, i rischi esistenti.
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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. 3°, 4 marzo 2025 (ud. 28/1/2025), Sentenza n. 8898 (Pres. Di Nicola, Est. Bucca)
SICUREZZA SUL LAVORO – Altezza dal suolo – Metri due – Precauzioni – Pericoli di caduta – Lavoro eseguito in altezza – Terreno sottostante – Piano di calpestio del lavoratore.
Lâaltezza superiore a metri due dal suolo, di cui allâart. 16 del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 (ed oggi allâart. 107 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), in tema di precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e cose, va calcolata in riferimento allâaltezza alla quale il lavoro viene eseguito rispetto al terreno sottostante e non al piano di calpestio del lavoratore.
SICUREZZA SUL LAVORO – Lavoro in quota – Rischi di caduta – Altezza superiore ai due metri – Nozione di applicazione generale – Costruzioni edilizie – AttivitĂ comportanti rischio di cadute.
La nozione di âlavoro in quotaâ, di cui allâart. 107 del Testo Unico del 2008, che si riferisce a lavori comportanti rischi di caduta da unâaltezza superiore ai due metri, è nozione di applicazione generale, al punto di non essere limitata al settore delle costruzioni edilizie, riguardando tutte le attivitĂ in quota che possano determinare cadute dallâalto dei lavoratori.
(Nel caso di specie, essendo configurabile la nozione di lavoro in quota, il piano operativo di sicurezza – di cui al combinato disposto dellâart. 17, comma 1 lett. a, dellâart. 489, comma 1, lett. h, e dellâallegato XV del d.lgs. n. 81/2008 – doveva necessariamente recare specifica menzione delle misure preventive e protettive, nonchĂŠ dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori; lâassenza di tali indicazioni, rilevante ai fini del rischio concretizzatosi, è stata specificamente valutata come elemento deponente per lâinidoneitĂ del piano operativo di sicurezza predisposto dallâimpresa).
SICUREZZA SUL LAVORO – Infortunio sul lavoro – Comportamento negligente, imprudente e imperito – Rischio eccentrico – Esclusione della responsabilitĂ del garante – Cautele finalizzate al governo del rischio – Disposizioni di prevenzione e sicurezza.
In tema di infortunio sul lavoro, perchĂŠ possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un rischio eccentrico, con esclusione della responsabilitĂ del garante, è necessario che questi abbia predisposto anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, cosĂŹ che, solo in questo caso, lâevento verificatosi potrĂ essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante. Infatti, qualora lâevento sia riconducibile alla violazione di una molteplicitĂ di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dallâarea di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto lâinesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dallâinerzia del datore di lavoro.
(Nel caso di specie, anche a voler addebitare al defunto un comportamento imprudente e anomalo, lo stesso, in quanto strettamente connesso alle mansioni di adibizione, non si risolve in una condotta esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulsa da ogni ipotizzabile scelta del lavoratore, in grado di attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia).
SICUREZZA SUL LAVORO – Datore di lavoro committente – Posizione di garanzia – Scelta dellâimpresa – Controllo dellâappaltatore – Inadeguatezza delle misure precauzionali – Informazioni sui rischi specifici – DVR – Responsabile dei lavori.
Il committente datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilitĂ per lâinfortunio, sia per la scelta dellâimpresa e in caso di omesso controllo dellâadozione, da parte dellâappaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o lâinadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini, sia con riguardo al dovere di fornire allâappaltatore dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nellâambiente in cui i suoi dipendenti sono incaricati di lavorare. PiĂš precisamente, in mancanza di un documento di valutazione dei rischi e di un responsabile dei lavori, a fronte di un contratto stipulato oralmente che non risulta contempli fra le prestazioni richieste la messa in sicurezza dellâarea dellâintervento e di una situazione di pericolo che trae origine dal luogo stesso ove i lavoratori della ditta appaltatrice sono chiamati a operare, grava sulla societĂ committente lâobbligo di procedere, quanto meno, a una preventiva verifica in ordine alle cautele volte a garantire lo svolgimento del lavoro in sicurezza.
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CORTE DI CASSAZIONE Sez. Lavoro, 3 marzo 2025 (ud. 9/1/2025), Ordinanza n. 5618 (Pres. Doronzo, Est. Amendola)
APPALTI – SICUREZZA SUL LAVORO – Appalto – ResponsabilitĂ civile del committente – Mesotelioma pleurico contratto dal dipendente dellâappaltatore – Esposizione ad amianto – Prevenzione del rischio – Ambiente di lavoro – Lettura costituzionalmente orientata dellâart. 2087 c.c.
Anche prima che il committente assumesse unâespressa posizione di garanzia, in attuazione della direttiva 92/57/CEE, nellâambito dei lavori affidati in appalto, sussisteva la sua responsabilitĂ civile, esclusiva o concorrente, originariamente prevista nei soli casi di ingerenza, direttiva o tecnico-operativa, nellâattivitĂ appaltata o di manifesta inidoneitĂ dellâappaltatore, e, successivamente, per la prevenzione del rischio derivante dalla conformazione dellâambiente di lavoro, nel caso di violazione dellâobbligo di destinare allâappaltatore un ambiente di lavoro sicuro. In generale, lâart. 2087 c.c., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone allâimprenditore lâadozione di misure necessarie a tutelare lâintegritĂ fisica e la personalitĂ morale dei prestatori di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, tenuto al dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche se non dipendenti da lui, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dellâopera da eseguire.
RISARCIMENTO DANNI – Quantificazione del danno terminale – Morte causata da illecito – Danno morale terminale – IntensitĂ della sofferenza – Danno biologico terminale – Lasso di tempo tra lesioni colpose e morte – InabilitĂ temporanea assoluta – Fattori di personalizzazione.
Nel danno non patrimoniale risarcibile iure hereditatis in caso di morte causata da un illecito si distinguono due componenti: il danno morale terminale (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subĂŹto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nellâavvertire consapevolmente lâineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dallâapprezzabilitĂ dellâintervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto lâintensitĂ della sofferenza medesima; il danno biologico terminale, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entitĂ ed intensitĂ , sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dellâintegritĂ personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilitĂ , che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo. In merito alla quantificazione in equivalente pecuniario di tale tipologia di danni, ferma la natura intrinsecamente equitativa della stima per non avere il valore della persona un prezzo, sono state avallate tecniche di liquidazione del danno biologico commisurate alle tabelle che stimano lâinabilitĂ temporanea assoluta con opportuni âfattori di personalizzazioneâ che tengano conto dellâentitĂ e dellâintensitĂ delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus.
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N.B: PER LE SENTENZE PER ESTESO E ALTRE SENTENZE CONSULTARE LAÂ BANCA DATI DI GIURISPRUDENZA
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Chiara Trotta, Dottoranda di ricerca in Diritto del lavoro, Sapienza UniversitĂ di Roma
Ambra Mostarda, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro, UniversitĂ Caâ Foscari Venezia
Alessia Riommi, Dottoranda di ricerca in Diritto del lavoro, UniversitĂ degli Studi di Perugia.




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