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L’ordinanza del Consiglio di Stato sulla tessera del tifoso.

GIULIA GAVAGNIN*

Come già annunciato dalla maggior parte degli organi di stampa nazionali e locali, con la stringata ordinanza n. 5364 del 7 dicembre 2011 il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima la ‘tessera del tifoso’ così come emessa da molte società calcistiche di serie A, B e Lega Pro.

Il Consiglio di Stato, in particolare, ha dichiarato contraria ai principi del Codice del Consumo la pratica di abbinare in maniera inscindibile al rilascio della tessera del tifoso anche una carta di credito prepagata (‘revolving‘) appoggiata ad un istituto bancario predeterminato. Questa pratica è ritenuta illegittima laddove la sottoscrizione del contratto con l’istituto bancario non sia direttamente funzionale agli scopi per i quali la tessera del tifoso é stata istituita.

Il ragionamento dei giudici di Palazzo Spada é senz’altro condivisibile.
La ‘tessera del tifoso’ é un documento identificativo di tipo nominativo che permette al titolare di seguire la propria squadra in trasferta, negli spazi riservati alla tifoseria ospite, istituito con l’entrata in vigore di due documenti ministeriali pressoché contestuali, adottati al fine di arginare il dilagante fenomeno della violenza negli stadi: la Direttiva del Ministero dell’Interno del 14 agosto 2009 e il Decreto del Ministero dell’Interno 15 agosto 2009, entrambi firmati dall’allora ministro, on. Maroni.

Il primo determina i requisiti della card che, in pratica, é stata concepita come l’unico titolo che legittima non solo l’accesso alle partite di calcio in trasferta, ma anche – a far data dal 1 gennaio 2010 – la sottoscrizione di nuovi abbonamenti per la propria squadra; il secondo, invece, impone alle società emittenti l’obbligo di inviare i dati del richiedente alla questura per la verifica dell’esistenza di motivi ostativi al rilascio.

Con determinazione n. 27/2009 l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive ha chiarito che: 1) sono temporaneamente escluse dal programma persone condannate per reati da stadio anche con sentenza non definitiva fino al completamento di 5 anni successivi alla condanna medesima; 2) la tessera del tifoso non può altresì essere rilasciata a coloro che sono attualmente sottoposti a DASPO1  per tutta la durata del provvedimento stesso.

La procedura di rilascio della tessera del tifoso aveva inizialmente fatto sorgere molti interrogativi circa la misura in cui i dati personali sarebbero dovuti essere trattati dalle questure preposte al controllo delle emissioni e, successivamente, dalle società sportive.

L’Autorità per la protezione dei dati personali, infatti, interrogata su eventuali difformità della procedura di rilascio della ‘card’ con le norme contenute nel Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 196/2003) ha affermato2  che i dati personali devono essere utilizzati solo per le finalità scritte nel decreto: le questure, cioè, non possono utilizzare o diffondere i dati sensibili degli utenti per finalità diverse dalla verifica dei requisiti di incensuratezza sportiva richiesti dal decreto, né le società sportive sono legittimate al trattamento dati secondo modalità che possano comportare rischi di perdita delle informazioni e trattamenti non autorizzati o illeciti.

Tuttavia, a seguito della prima attuazione del decreto, proprio in materia di trattamento dei dati personali, la stessa Autorità ha rilevato talune incongruenze relative alla circoscrizione dei suddetti dati agli scopi indicati.

In particolare, veniva rilevata una parziale difformità rispetto alle indicazioni precedentemente fornite, giacché i dati personali venivano – di fatto – trattati per scopi ulteriori, soprattutto commerciali e di marketing e il modulo unico da compilare per l’ottenimento della tessera dava accesso a servizi non espressamente richiesti.

L’iter di rilascio della tessera del tifoso, pertanto, non é mai stato limpido.

Tuttavia, il punto manifestamente più oscuro della vicenda é proprio la dichiarata incongruenza con i principi contenuti nel Codice del Consumo.

L’art. 2 del Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005) riconosce, inter alia, al consumatore il diritto “ad un’adeguata informazione e corretta pubblicità”, “il diritto all’ esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza, equità“, “il diritto alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti commerciali“.

L’art. 18 lett. e) definisce rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme del Codice le pratiche idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori, intese come “l’impiego di una pratica idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo a prendere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso“. Sempre l’art. 18, lett. i) definisce l’indebito condizionamento come “lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole“. Queste definizioni preludono alla trattazione delle pratiche commerciali scorrette cui l’ordinanza del Consiglio di Stato fa direttamente riferimento. Ai sensi dell’art. 20, una pratica è commercialmente scorretta se è “contraria alla diligenza professionale” e questa può essere:
a) ingannevole (artt. 21-23);
b) aggressiva (artt. 24-26).

Una pratica ingannevole può sostanziarsi in un’azione (art. 21) od un’omissione (art. 22).

La motivazione del Consiglio di Stato, seppur stringata ed in attesa di essere maggiormente esplicata nel giudizio di merito, sembra ravvisare molteplici profili di contrarietà tra l’abbinamento inscindibile tra la tessera del tifoso e la carta di credito, ed il Codice del Consumo. Senz’altro, infatti, la pratica commerciale in oggetto “induce o è idonea ad indurlo (il consumatore n.d.r.) ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso” (art. 21, comma 1): senza la prospettiva di accedere ai settori dello stadio dedicati alla squadra ospite, il consumatore non sottoscriverebbe, probabilmente, il contratto con l’istituto bancario.

Si può affermare, altresì, la violazione dell’art. 22: “è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso“.

Il consumatore, infatti, è privato del diritto di sottoscrivere separatamente i due contratti, anche a causa di una omissione di informazioni rilevanti che lo possano indurre ad assumere una decisione “consapevole”.

Le ragioni giuridiche poste alla base dell’ordinanza del Consiglio di Stato appaiono ineccepibili: la pronuncia ragionevolmente tutela le ragioni del tifoso, che non dovrebbe essere obbligato a sottoscrivere un contratto con un istituto bancario per godere dei benefici della tessera del tifoso, di tutt’altra natura.

Tuttavia, è nota la poca affezione del pubblico per questa pratica, ritenuta di ‘indebita schedatura’. La tessera del tifoso sembra essere un rimedio provvisorio al problema della violenza negli stadi che necessiterebbe di ben altro polso da parte dell’esecutivo.

* Avvocato in Venezia
 

1  Acronimo che sta per Divieto di Accesso alle manifestazioni Sportive, introdotto per la prima volta con la L. n. 401/1989.
2  Parere pubblicato in G.U. 174 del 29 luglio 2009, poi recepito nel Decreto Ministeriale del 15 agosto 2009.