+39-0941.327734 info@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 980 | Data di udienza: 20 Giugno 2025

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Silenzio assenso e titolo edilizio – Presupposti – Piano esecutivo – Presupposti (Segnalazione e massime a cura del dott. Lorenzo Ieva)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Puglia
Città: Bari
Data di pubblicazione: 21 Luglio 2025
Numero: 980
Data di udienza: 20 Giugno 2025
Presidente: Blanda
Estensore: Ieva


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Silenzio assenso e titolo edilizio – Presupposti – Piano esecutivo – Presupposti (Segnalazione e massime a cura del dott. Lorenzo Ieva)



Massima

T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. 3^ –  21 luglio 2025, n. 980

Silenzio-assenso e titolo edilizio – presupposti.
1. La formazione del silenzio-assenso, sulla domanda di permesso di costruire (art. 20, comma 8, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), richieda comunque che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi, sia oggettivi, che ne consentano l’accoglimento ex lege di specie, giacché in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi (ex multis: Cons. St., sez. IV, 1° settembre 2022, n. 7631; T.A.R. Puglia, sez. II, 30 marzo 2020, n. 454; Cons. St., sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4273; Cons. St., sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3805). Né soprattutto può formarsi alcun titolo tacito, quando l’immobile ricada in una zona sottoposta a vincoli paesaggistici (ex multis: Cons. St., sez. IV, 17 maggio 2023, n. 4933; T.A.R. Puglia, sez. III, 7 gennaio 2019, n. 11; T.A.R. Campania, sez. VII, 10 gennaio 2019, n. 139; Cons. St., sez. IV, 27 settembre 2017, n. 4516). Ciò in quanto le disposizioni sulla semplificazione sono e restano norme sulla forma del procedimento e non già norme sulla sostanza del provvedimento. È stato infatti precisato che detta forma di silenzio, che origina il titolo edilizio tacito, equivalente al provvedimento; ma pur tuttavia non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio edilizio di specie, che rimane fermo e inalterato, bensì introduce un’alternativa modalità (presuntivamente) semplificata e, comunque, “rimediale”, per il celere conseguimento del titolo edilizio anelato, ove l’amministrazione ritardi l’adozione di propri atti, o rimanga inerte (T.A.R. Puglia, sez. II, 30 marzo 2020, n. 454; T.A.R. Puglia, sez. III, 14 gennaio 2016, n. 37).

Piano esecutivo – presupposti.
2. Per giurisprudenza costante, il piano esecutivo è necessario soltanto quanto il PRG rechi, per la zona considerata, previsioni di massima o direttive di carattere generale, oppure quando sia lo strumento maggiore, ossia il piano generale, a “rinviare” al piano minore, ossia a quello esecutivo, come rinvenibile nella prassi di alcune pianificazioni urbanistiche di taluni enti territoriali (ex pluris: Cons. Stato, sez. IV, 13 maggio 1980, n. 536; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 1997, n. 1225). Ma, al riguardo, va notato che l’art. 34, comma 3°, NTA del PRG risulta già contenere tutti gli elementi sufficienti. Inoltre, per consolidato indirizzo (ex multis: Cons. Stato, ad. plen., 6 ottobre 1992, n. 12; Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3001; Cons. Stato, sez. II, 13 giugno 2024, n. 5308), il piano esecutivo trova spazio nelle seguenti ipotesi: i) quando debba farsi luogo per la prima volta ad edificazione in una data zona; ii) quando, in una certa zona già edificata, sia necessario un potenziamento delle opere di urbanizzazione (Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2003, n. 8029).
Sempre in giurisprudenza è stato ritenuto che, in presenza di una zona già urbanizzata, la necessità dello strumento attuativo (di iniziativa pubblica o di iniziativa privata) sia escluso nei casi in cui, in presenza di una pressoché completa, o avanzata edificazione della zona, un ulteriore piano attuativo risulti ultroneo, o addirittura incompatibile con la situazione di fatto esistente, come nell’evenienza di lotti residuali, o interclusi (ex multis: Cons. St., sez. III, 10 febbraio 2025, n. 1076; Cons. St., sez. II, 9 dicembre 2020, n. 7843), ma a fortiori qualora venga in evidenza una semplice situazione di piccolo lotto, o meglio a dirsi di porzione di terreno contiguo, adiacente, o di pertinenza di un lotto già edificato. Più specificamente, lo strumento urbanistico attuativo non è necessario sia in caso di c.d. lotto intercluso, sia in altri casi analoghi, sia per già sufficiente urbanizzazione, nei quali, essendo la zona d’intervento totalmente utilizzata, il piano esecutivo sarebbe privo di oggetto ed inutile (così Cons. St., sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5813; Cons. St., sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4296; Cons. St., sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4200)
Solo invero allorquando sussista una edificazione disomogenea e ci si trovi di fronte ad una situazione che esiga un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora ridefinendo ex novo il disegno urbanistico della zona, allora è utile esigere il piano esecutivo (Cons. St., sez. II, 9 dicembre 2020, n. 7843; Cons. St., sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4271; Cons. St., sez. IV, 27 marzo 2018, n. 1906; Cons. St., sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5119); fermo restando, peraltro, che il piano attuativo deve essere previsto dalle norme e deve porsi nel concreto quale strumento imprescindibile (Cons. St., sez. I , 23 dicembre 2021, n. 8544).
L’art. 9 legge della Regione Puglia 27 luglio 2001, n. 20 (“Norme generali di governo e uso del territorio”) ha stabilito che i PUE devono essere redatti per le aree di nuova urbanizzazione e per le aree da sottoporre a recupero. Letteralmente, l’art. 9, comma 4, citato prevede che: “La redazione di PUE [piano urbanistico esecutivo] è obbligatoria per le aree di nuova urbanizzazione, ovvero per le aree da sottoporre a recupero”; PUE che peraltro può essere, ex art. 15, comma 1, della medesima legge reg. n. 20, “di iniziativa pubblica o di iniziativa privata o di iniziativa mista”; ossia la redazione dei piani esecutivi (particolareggiati, convenzionati, et similia) è obbligatoria esclusivamente per le aree di nuova urbanizzazione.
Ciò stante, non può darsi ingresso a interpretazioni, che aggravino inutiliter la posizione dell’impresa societaria. L’art. 1 della legge 11 novembre 2011, n. 180 (“Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese”) sancisce talune garanzie indispensabili per l’esercizio della libertà di iniziativa economica privata (41 Cost.), qualificando, al comma 2, i principi declamati nella detta legge quali “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e principi dell’ordinamento giuridico dello Stato”; segnatamente, l’art. 2, comma 1, legge n. 180/2011 citata afferma, tra i principi generali, che concorrono a definire lo statuto delle imprese, alla lett. c), “il diritto […] di operare in un contesto normativo certo […] riducendo al minimo i margini di discrezionalità […]” e, alla lett. d), “la progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese […]”. Ex professo, l’art. 9, comma 1, legge n. 180/2011, concernente precipuamente i rapporti con la p.a., evidenzia che queste ultime debbano uniformare i rapporti con le imprese ai principi di trasparenza e di buona fede (concetti altresì richiamati all’art. 1, comma 2-bis, legge n. 241/1990), svolgendo, per quanto più interessa, l’attività amministrativa “[…] riducendo o eliminando, ove possibile, gli oneri meramente formali e burocratici relativi all’avvio dell’attività imprenditoriale […], nonché gli obblighi e gli adempimenti non sostanziali a carico […] delle imprese”.
Ancora va considerato che, sulla base dell’art. 17 legge 17 agosto 1942, n. 1150, un piano esecutivo, che abbia perso efficacia, rimane “ultrattivo”, per la parte che ha trovato realizzazione, specie con riferimento alle opere di urbanizzazione primaria consolidate (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2024, n. 6199). Difatti, l’art. 17, comma 1, legge n. 1150/1942 prevede: “Decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”. Ragion per cui una disciplina esecutiva in zona v’è stata ed è vigente nelle parti che permangono efficaci indeterminatamente nel tempo.
Allora la disciplina normativa fin qui richiamata ben si raccorda con la giurisprudenza consolidata, che ha precisato quando è senz’altro ammesso l’intervento edilizio diretto, senza l’intermediazione di un piano esecutivo, ovverosia ogni qual volta vi sia un c.d. lotto intercluso (o anche potrebbe dirsi – con un linguaggio più esplicativo – pertinenziale di servizio e contiguo ad altro o ad altri lotti già edificati), allorquando cioè l’area edificabile di proprietà del richiedente il permesso di costruire, non ancora edificata, si trovi in una zona interessata da altre diverse costruzioni circonvicine (a fortiori se dello stesso richiedente) e sia dotata delle opere di urbanizzazione, previste dagli strumenti urbanistici e, quindi, si intenda valorizzarla ancora con un progetto edilizio conforme al PRG; ciò allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attività procedimentale per l’ente pubblico (ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016, n. 3293; Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5813, Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4296; Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2004, n. 4350).
D’altro canto, nel caso di specie, sotto il profilo proprietario, emerge, dallo stesso provvedimento impugnato, che “l’area di intervento assentita […] risulta essere […] giusta atto di asservimento […] a rogito del Notaio […] suolo individuato catastalmente al foglio di mappa n. ]14 [le cui originarie] particelle […] attualmente [sono] tutte ricomprese nell’attuale consistenza della particella n. 82”. Il proprietario di detta particella catastale ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (art. 832 c.c.) e non si evincono quali siano gli elementi della disciplina urbanistico-edilizia davvero ostativi alla realizzazione del magazzino, con annesse aree piazzale e parcheggio, indispensabile per il consolidamento e lo sviluppo produttivo dell’insediamento industriale in discussione. Invero, la fusione (o accorpamento) delle particelle di un foglio di mappa è consentito soltanto qualora i suoli appartengono allo stesso soggetto ed hanno medesima qualità, classe e destinazione d’uso. Infatti, il r. d. 8 ottobre 1931, n. 1572 (“Approvazione del testo unico delle leggi sul nuovo catasto”), all’art. 1, enuncia la funzione del “catasto geometrico particellare uniforme, fondato sulla misura e sulla stima, allo scopo: 1° di accertare le proprietà immobili, e tenerne in evidenza le mutazioni; 2° di perequare l’imposta fondiaria”. In base all’art. 2, comma 2°, “La particella catastale da rilevarsi distintamente è costituita da una porzione continua di terreno o da un fabbricato, che siano situati in un medesimo comune, appartengano allo stesso possessore, e siano della medesima qualità o classe, o abbiano la stessa destinazione”. In presenza di una siffatta destinazione produttiva unitaria non può, anche per le dimensioni dell’intervento edilizio (circa l’8% del sito industriale preesistente), immaginarsi alcun concreto pregiudizio per l’assetto urbanistico-edilizio della zona, purché siano osservati i limiti dimensionali, che anche la relazione del verificatore ha accertato essere rispettate.


Allegato


Titolo Completo

TAR PUGLIA, Bari, Sez. 3^ - 21 luglio 2025, n. 980

SENTENZA

Pubblicato il 21/07/2025
N. 00980/2025 REG.PROV.COLL.

N. 00382/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 382 del 2024, proposto da
Vetrerie Meridionali s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Emanuele Bufano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Castellana Grotte (BA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Nino Sebastiano Matassa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia

– del provvedimento prot. n. 2871 del 2 febbraio 2024 del Comune di Castellana Grotte (BA), recante la “Dichiarazione di non formazione del silenzio-assenso ex art. 20 comma 8 del DPR 380/2001 e smi. – Annullamento in autotutela” inerente la domanda di rilascio di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. 160/2010, per la “Realizzazione di blocco edilizio in c.a.p. doppia pendenza da adibirsi a riscelte e ripristino pedane in legno”, oltre alla realizzazione di “area a parcheggi pertinenziali e piazzali di stoccaggio”, ricadenti in zona tipizzata D2 del vigente PRG.

– nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellana Grotte (BA);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2025 il dott. Lorenzo Ieva e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso depositato come in rito, l’istante impugnava il provvedimento di diniego del rilascio del permesso di costruire, contenente dichiarazione di mancata formazione del silenzio-assenso, ai sensi dell’art. 20, comma 8, del d.P.R. 380/2001 e/o di annullamento in autotutela, nonché gli ulteriori atti connessi anche istruttori.

In fatto, la società ricorrente deduceva di essere proprietaria di uno stabilimento produttivo nel settore della produzione di contenitori di vetro per alimenti e bevande, attiva da oltre 60 anni, e di avere la necessità di integrare l’impianto produttivo, in zona urbanistica “D” (industriale-produttiva) di PRG con la realizzazione di un nuovo magazzino, da destinarsi al deposito del prodotto finito, su terreni contermini appositamente acquistati. Per tale motivo, aveva presentato un’apposita istanza di rilascio del permesso di costruire, il cui rilascio però era stato denegato con il motivato provvedimento impugnato.

In diritto, venivano articolate le seguenti censure: I) violazione dei principi di correttezza e buona fede, del dovere di buon andamento, del principio di doverosità dell’azione amministrativa e dei suoi tempi; violazione dell’art. 1 legge 241/1990, violazione e falsa applicazione dell’art. 20 d.p.r. 380/2001, dell’art. 20 legge 241/1990, dell’art. 83 NTA del PPTR, degli artt. 51 e 52, NTA del PPTR della deliberazione del Consiglio comunale del 18 aprile 2023, n. 23 (in BURP n. 50 del 1° giugno 2023), di adeguamento del PRG al PPTR, della delibera della Giunta reg. n. 415 del 30 marzo 2023, con cui sono stati rettificati gli elaborati del PPTR, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per contraddittorietà; II) violazione e falsa applicazione dell’art. 9-bis d.p.r. 380/2001, dell’art. 34 NTA del PRG, eccesso di potere per difetto di istruttoria, per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per irragionevolezza manifesta; III) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 d.p.r. 380/2001, per difetto di motivazione, per difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; IV) violazione dei principi di correttezza e buona fede, del dovere di buon andamento, del principio di doverosità dell’azione amministrativa e dei suoi tempi, violazione dell’art. 1 legge 241/1990, violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies, eccesso di potere per sviamento di potere, per irragionevolezza manifesta, per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

2.- Si costituiva l’amministrazione, la quale depositava i documenti del procedimento, contestava le avverse tesi e riaffermava la legittimità del proprio operato; segnatamente, evidenziava come in realtà l’intervento edilizio consistesse non solo nella realizzazione di un blocco edilizio-magazzino, ma anche nella sistemazione esterna del piazzale (circa mq. 1530), con pavimento impermeabile, e del parcheggio pertinenziale (circa mq. 1000), con materiale permeabile; infine, sull’area perimetrale è prevista la realizzazione di una zona verde (essenze arboree autoctone, con sottostante piantumazione di siepi di specie autoctone).

3.- Rinunciata la domanda cautelare, per la complessità delle questioni involte, anche di carattere tecnico, alla successiva udienza pubblica, veniva disposta apposita verificazione, incaricando come organismo pubblico qualificato il direttore del Dipartimento di Scienze dell’ingegneria civile e dell’architettura del Politecnico di Bari, con facoltà di delega, ponendo i seguenti quesiti: i) se la documentazione di corredo alla domanda di permesso di costruire, di cui è controversia, possa intendersi completa e idonea alla formazione del silenzio-assenso, alla stregua della normativa anche tecnica urbanistico ed edilizia nella specie rilevante; ii) se la tipizzazione della zona in discussione consente, all’epoca della domanda del permesso edilizio, oppure all’attualità, la realizzazione delle opere anelate; iii) se v’è necessità, data la tipizzazione di zona e i vincoli insistenti, di rilascio della autorizzazione paesaggistica; iv) se, sulla base della normativa, anche tecnica urbanistico ed edilizia nella specie rilevante, occorra un qualche piano attuativo, ai fini della realizzazione del manufatto in area comunque di proprietà del ricorrente.

4.- Depositata la relazione di verificazione, le parti, con apposite memorie e repliche, deducevano in via speculare sui punti salienti della controversia e, alla seguente udienza pubblica, dopo breve discussione, il Collegio introitava la causa in decisione.

5.- Il ricorso è fondato in parte.

5.1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la contraddittorietà dell’azione amministrativa e, nella sostanza, l’avvenuta formazione del silenzio-assenso sulla domanda di intervento edilizio. Si opina sulla stessa natura del provvedimento impugnato, che alternativamente attesta il non perfezionamento dell’assenso per silentium, nonché dispone l’annullamento in autotutela per violazione delle norme di riferimento, come ivi citate.

Sul punto, v’è da osservare che, condividendo la conclusione del verificatore, va constatato che alcun silenzio-assenso si è in realtà formato nella fattispecie in discussione. Non risulta attivata la procedura di accertamento di compatibilità paesaggistica (preventiva al rilascio del PdC), per avviare la quale andava presentata dal proponente la relazione paesaggistica, di cui all’art. 91, comma 3, e all’art. 92 delle NTA del PPTR. Pertanto, non essendo stata presentata tale relazione, la documentazione allegata all’istanza non poteva dirsi completa; inoltre, l’istituto del silenzio-assenso, di cui all’art. 20, comma 8, d.P.R. n. 380/2001 non era in se stesso applicabile, in quanto sussistevano i vincoli, che necessitavano dell’attivazione del predetto accertamento di compatibilità paesaggistica.

Ciò in quanto – in disparte la scorretta perimetrazione dell’UCP Doline (artt. 50, 51 e 52 delle NTA del PPTR), oltremodo opinato dalle parti – certo è che sussiste l’UCP Paesaggi rurali (art. 83 delle NTA del PPTR). Sul progetto presentato era dunque necessario presentare la relazione paesaggistica ex parte, anche al fine di dimostrare nel procedimento l’erroneità e/o la natura effettiva dell’UCP realmente esistente e quindi acquisire l’accertamento di compatibilità paesaggistica; ciò comporta che non si è formato il silenzio-assenso, ex art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380/2001.

Va osservato che la presenza di un UCP impone approfondimenti, ma non preclude necessariamente l’intervento anelato (amplius: T.A.R. Puglia, sez. III, 14 aprile 2025, n. 514); tuttavia, occorreva una produzione documentale utile all’espressione dell’accertamento di compatibilità. Con determinazione n. 87 del 18 aprile 2019, il preposto ufficio della Regione determinava di escludere dalla procedura VIA il progetto, in sé dunque veniva considerato non “impattante”, prescrivendo però l’acquisizione dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, sempre di competenza regionale. Fatto noto quindi alla società ricorrente.

L’accertamento di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 91 NTA del PPTR, è richiesto nelle ipotesi di interventi «che comportino modifica dello stato dei luoghi negli ulteriori contesti come individuati nell’art. 38 co. 3.1 delle NTA del PPTR» (o, alternativamente, «che comportino rilevante trasformazione del paesaggio ovunque siano localizzate»).

Nel caso di specie, la modifica di un suolo incluso nell’UCP paesaggi rurali ai termini del PPTR, ma incluso in una zona urbanistica definita dal PRG (adeguato al PPTR) come zona D, può ben richiedere l’approfondimento derivante dal sub-procedimento dell’accertamento di compatibilità paesaggistica del progetto al peculiare contesto dei luoghi, per come il PPTR ha inteso pro futuro voler preservare; non a caso, lo stesso progetto contempla una perimetrazione a verde, nonché parcheggi con materiale permeabile, proprio per mitigare l’intervento edilizio nell’UCP.

Precisa infatti il verificatore che “l’adeguamento [del PRG al PPTR] ha normato con l’art. 14.9 delle NTA il Paesaggio Rurale per la zona omogenea D del PRG, non edificata, individuato come Sub Paesaggio 3 – Paesaggio della trasformazione urbana, sottoponendo al procedimento di Accertamento di Compatibilità Paesaggistica gli interventi di trasformazione del territorio”.

Sul punto, condivide il Collegio la tesi per cui la formazione del silenzio-assenso, sulla domanda di permesso di costruire (art. 20, comma 8, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), richieda comunque che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi, sia oggettivi, che ne consentano l’accoglimento ex lege di specie, giacché in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi (ex multis: Cons. St., sez. IV, 1° settembre 2022, n. 7631; T.A.R. Puglia, sez. II, 30 marzo 2020, n. 454; Cons. St., sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4273; Cons. St., sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3805). Né soprattutto può formarsi alcun titolo tacito, quando l’immobile ricada in una zona sottoposta a vincoli paesaggistici (ex multis: Cons. St., sez. IV, 17 maggio 2023, n. 4933; T.A.R. Puglia, sez. III, 7 gennaio 2019, n. 11; T.A.R. Campania, sez. VII, 10 gennaio 2019, n. 139; Cons. St., sez. IV, 27 settembre 2017, n. 4516).

Difatti, non si forma il silenzio-assenso, quando ad esempio l’amministrazione abbia tempestivamente sollevato rilievi oggettivamente problematici e non pretestuosi, seguiti da interlocuzioni finalizzate a cercare soluzioni idonee a superarli e sfociati, da ultimo, in una proposta di decisione contraria, chiaramente espressa nel c.d. preavviso di diniego, ancorché adottato oltre il termine di conclusione del procedimento (così Cons. St., sez. IV, 25 settembre 2024, n. 7768); così come, nelle ipotesi di annullamento d’ufficio del permesso di costruire, il superamento del limite temporale dei dodici mesi è ammissibile, nelle ipotesi in cui il soggetto istante abbia rappresentato uno stato preesistente (anche mediante la sola omissione di circostanze rilevanti) diverso da quello reale (così Cons. St., sez. II, 3 gennaio 2025, n. 29).

Ciò in quanto le disposizioni sulla semplificazione sono e restano norme sulla forma del procedimento e non già norme sulla sostanza del provvedimento. È stato infatti precisato che detta forma di silenzio, che origina il titolo edilizio tacito, equivalente al provvedimento; ma pur tuttavia non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio edilizio di specie, che rimane fermo e inalterato, bensì introduce un’alternativa modalità (presuntivamente) semplificata e, comunque, “rimediale”, per il celere conseguimento del titolo edilizio anelato, ove l’amministrazione ritardi l’adozione di propri atti, o rimanga inerte (T.A.R. Puglia, sez. II, 30 marzo 2020, n. 454; T.A.R. Puglia, sez. III, 14 gennaio 2016, n. 37).

Tanto precisato, per quanto con probabilità favorevole, data la caratteristica del progetto, che presenta mitigazioni con l’inserimento di piantumazione arboree e/o a verde, l’accertamento di compatibilità paesaggistica costituiva comunque sia un passaggio procedurale, che andava formalmente espletato. D’altronde, nella relazione paesaggistica e nel conseguenziale procedimento di accertamento di compatibilità potevano essere meglio verificati quali fossero gli UCP davvero esistenti in concreto, quali le loro caratteristiche e quali le loro ubicazioni e perimetrazioni reali, procedendosi così anche ex officio alle rettifiche e alle precisazioni occorrenti, anche cartografiche, se utili.

La necessità di un tale accertamento emerge proprio dall’alquanto controvertibile tra le parti – come dimostrato dagli esiti contrastanti sono pervenute le autorevoli diverse perizie prodotte nel giudizio –consistenza di qualsivoglia UCP nella zona.

Pertanto, il primo motivo di ricorso va rigettato.

5.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente insiste nel sottolineare come l’intervento edilizio fosse consentito alla stregua delle normative edilizie. Di poi, passa a affermare l’inutilità della approvazione di alcun piano attuativo.

Difatti, in merito, anche in base alla relazione depositata dal verificatore, le opere previste nell’istanza del permesso edilizio presentato (nuovo capannone, sistemazione piazzale e parcheggio drenante, con piantumazione area perimetrale) sono coerenti con la tipizzazione della zona D2, disciplinata dall’art. 34 delle NTA del PRG. I parametri edilizi sono pure rispettati, sempre come accertato vieppiù anche dal verificatore. Difatti, i parametri edilizi, di cui alla domanda di titolo edilizio, sono conformi alla persistente tipizzazione di PRG della zona come zona D.

Quanto al punto più complesso inerente la necessità o meno di un piano attuativo, va più nel dettaglio considerato quanto segue. Traspare, sul punto, un vizio di motivazione dell’atto impugnato, che non evidenzia quali altre opere di urbanizzazione siano indispensabili e in base a quale specifica norma si esiga un tal piano.

Sul punto va più nel dettaglio, considerato quanto appresso.

Per giurisprudenza costante, il piano esecutivo è necessario soltanto quanto il PRG rechi, per la zona considerata, previsioni di massima o direttive di carattere generale, oppure quando sia lo strumento maggiore, ossia il piano generale, a “rinviare” al piano minore, ossia a quello esecutivo, come rinvenibile nella prassi di alcune pianificazioni urbanistiche di taluni enti territoriali (ex pluris: Cons. Stato, sez. IV, 13 maggio 1980, n. 536; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 1997, n. 1225). Ma, al riguardo, va notato che l’art. 34, comma 3°, NTA del PRG risulta già contenere tutti gli elementi sufficienti. Inoltre, per consolidato indirizzo (ex multis: Cons. Stato, ad. plen., 6 ottobre 1992, n. 12; Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3001; Cons. Stato, sez. II, 13 giugno 2024, n. 5308), il piano esecutivo trova spazio nelle seguenti ipotesi: i) quando debba farsi luogo per la prima volta ad edificazione in una data zona; ii) quando, in una certa zona già edificata, sia necessario un potenziamento delle opere di urbanizzazione (Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2003, n. 8029).

Sempre in giurisprudenza è stato ritenuto che, in presenza di una zona già urbanizzata, la necessità dello strumento attuativo (di iniziativa pubblica o di iniziativa privata) sia escluso nei casi in cui, in presenza di una pressoché completa, o avanzata edificazione della zona, un ulteriore piano attuativo risulti ultroneo, o addirittura incompatibile con la situazione di fatto esistente, come nell’evenienza di lotti residuali, o interclusi (ex multis: Cons. St., sez. III, 10 febbraio 2025, n. 1076; Cons. St., sez. II, 9 dicembre 2020, n. 7843), ma a fortiori qualora venga in evidenza una semplice situazione di piccolo lotto, o meglio a dirsi di porzione di terreno contiguo, adiacente, o di pertinenza di un lotto già edificato. Più specificamente, lo strumento urbanistico attuativo non è necessario sia in caso di c.d. lotto intercluso, sia in altri casi analoghi, sia per già sufficiente urbanizzazione, nei quali, essendo la zona d’intervento totalmente utilizzata, il piano esecutivo sarebbe privo di oggetto ed inutile (così Cons. St., sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5813; Cons. St., sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4296; Cons. St., sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4200)

Solo invero allorquando sussista una edificazione disomogenea e ci si trovi di fronte ad una situazione che esiga un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora ridefinendo ex novo il disegno urbanistico della zona, allora è utile esigere il piano esecutivo (Cons. St., sez. II, 9 dicembre 2020, n. 7843; Cons. St., sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4271; Cons. St., sez. IV, 27 marzo 2018, n. 1906; Cons. St., sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5119); fermo restando, peraltro, che il piano attuativo deve essere previsto dalle norme e deve porsi nel concreto quale strumento imprescindibile (Cons. St., sez. I , 23 dicembre 2021, n. 8544).

Ciò precisato, non sono da condividersi le conclusioni raggiunte né dal Comune resistente, nell’atto impugnato, laddove afferma che “dall’art. 34 delle NTA del vigente PRG che prescrive al comma 3 che l’edificazione nella suddetta zona avvenga mediante redazione di strumento urbanistico attuativo necessario al fine di dotare l’area degli standard previsti dal DM 1444/68”, né dell’organismo pubblico verificatore, secondo cui era necessario approntare una pianificazione esecutiva, anche se – dopo le considerazioni generali svolte sulla valenza della pianificazione esecutiva – la stessa relazione di verificazione afferma come in realtà “tanto meno il Comune […] in presenza di una eventuale c.d. “situazione intermedia”, ha effettuato una congrua istruttoria e quindi una specifica valutazione, corroborata da una adeguata motivazione, circa la sussistenza della necessità di approvazione dello strumento urbanistico ovvero della possibilità di un intervento diretto” (pag. 41 relazione).

Difatti, sul piano prettamente normativo, che rileva nel caso di specie, può rilevarsi quanto segue.

L’art. 34 NTA del PRG, che disciplina la zona D2 d’intervento, reca tutti gli indici e i parametri di dettaglio necessari per poter procedere all’edificazione diretta (ovverosia reca la definizione del lotto minimo, dell’indice di fabbricabilità, dell’altezza, delle distanze e così via), per cui non pare residui altro spazio, per una pianificazione particolareggiata, talché il progetto edilizio de quo (magazzino e sistemazione delle aree esterne), così come presentato e l’eventuale piano attuativo costituirebbero in pratica atti equivalenti, sotto il profilo contenutistico (T.A.R. Campania, sez. VIII, 22 agosto 2023, n. 4838).

A riprova, va sottolineato come, in verità, il predetto art. 34, comma 3°, NTA del PRG, adeguato al PPTR, precisa letteralmente che “Nelle zone D2 il piano si attua per intervento urbanistico preventivo applicando i seguenti indici e parametri: […]”. Ergo, l’intervento costruttivo, in attuazione del piano urbanistico generale, non è subordinato – a quel che pare stando al lessico equivoco adoperato – a un specifico piano urbanistico esecutivo, bensì ad un assenso preventivo.

Vieppiù un tal disposto delle NTA va ben letto alla luce di quanto dispone l’art. 9 legge della Regione Puglia 27 luglio 2001, n. 20 (“Norme generali di governo e uso del territorio”), la quale disciplina i PUE (piani urbanistici esecutivi), già denominati piani particolareggiati nella legge 17 agosto 1942, n. 1150, quali strumenti attuativi della pianificazione urbanistica, che concretano nel dettaglio qual sia la trasformazione di specifiche aree del territorio comunale.

L’art. 9, comma 4, della legge reg. n. 20 del 2001 ha stabilito che i PUE devono essere redatti per le aree di nuova urbanizzazione e per le aree da sottoporre a recupero. Letteralmente, l’art. 9, comma 4, citato prevede che: “La redazione di PUE [piano urbanistico esecutivo] è obbligatoria per le aree di nuova urbanizzazione, ovvero per le aree da sottoporre a recupero”; PUE che peraltro può essere, ex art. 15, comma 1, della medesima legge reg. n. 20, “di iniziativa pubblica o di iniziativa privata o di iniziativa mista”; ossia la redazione dei piani esecutivi (particolareggiati, convenzionati, et similia) è obbligatoria esclusivamente per le aree di nuova urbanizzazione; novero a cui non appartiene l’area d’intervento della fattispecie concreta nell’odierna controversia, che resta qualificata dallo strumento urbanistico generale del Comune (adeguato al nuovo PPTR) come zona D2, cioè come area destinata a insediamenti produttivi, e dove infatti insiste da numerosi decenni l’adiacente attività produttiva della società ricorrente, con le correlate opere di urbanizzazione illo tempore già realizzate.

Ciò stante, non può darsi ingresso a interpretazioni, che aggravino inutiliter la posizione dell’impresa societaria. L’art. 1 della legge 11 novembre 2011, n. 180 (“Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese”) sancisce talune garanzie indispensabili per l’esercizio della libertà di iniziativa economica privata (41 Cost.), qualificando, al comma 2, i principi declamati nella detta legge quali “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e principi dell’ordinamento giuridico dello Stato”; segnatamente, l’art. 2, comma 1, legge n. 180/2011 citata afferma, tra i principi generali, che concorrono a definire lo statuto delle imprese, alla lett. c), “il diritto […] di operare in un contesto normativo certo […] riducendo al minimo i margini di discrezionalità […]” e, alla lett. d), “la progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese […]”.

Ex professo, l’art. 9, comma 1, legge n. 180/2011, concernente precipuamente i rapporti con la p.a., evidenzia che queste ultime debbano uniformare i rapporti con le imprese ai principi di trasparenza e di buona fede (concetti altresì richiamati all’art. 1, comma 2-bis, legge n. 241/1990), svolgendo, per quanto più interessa, l’attività amministrativa “[…] riducendo o eliminando, ove possibile, gli oneri meramente formali e burocratici relativi all’avvio dell’attività imprenditoriale […], nonché gli obblighi e gli adempimenti non sostanziali a carico […] delle imprese”.

Nel caso di specie – va ribadito a ratione – si tratta di porre in essere una sorta di ampliamento del sito produttivo della società del ricorrente, su suolo “collegato” con il predetto sito, già operante da molti anni. Rispetto a una tale esigenza, che comporta un intervento edilizio puntuale, la richiesta di apprestare invece una più ampia pianificazione, seppure esecutiva, costituisce un evidente aggravio procedimentale, che – come pure paventato dal ricorrente – è vietato espressamente dall’art. 1, comma 2, legge n. 241/1990.

Nella fattispecie concreta, che non occorra alcun piano esecutivo, è in nuce consustanziale alla stessa sostanza di fatto e giuridica del manufatto a costruirsi (magazzino coperto, piazzale e parcheggio); e, difatti, basti rammentare qual sia la natura e il contenuto dei piani esecutivi; trattasi di strumenti di attuazione della pianificazione generale, per mezzo dei quali, per determinate porzioni del territorio comunale, trovano specificazione le disposizioni dello strumento generale, eventualmente integrando le norme di quest’ultimo, nonché dettagliano quali siano le urbanizzazioni all’uopo necessarie per la zona.

Ancora va considerato che, sulla base dell’art. 17 legge 17 agosto 1942, n. 1150, un piano esecutivo, che abbia perso efficacia, rimane “ultrattivo”, per la parte che ha trovato realizzazione, specie con riferimento alle opere di urbanizzazione primaria consolidate (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2024, n. 6199). Difatti, l’art. 17, comma 1, legge n. 1150/1942 prevede: “Decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”. Ragion per cui una disciplina esecutiva in zona v’è stata ed è vigente nelle parti che permangono efficaci indeterminatamente nel tempo.

Allora la disciplina normativa fin qui richiamata ben si raccorda con la giurisprudenza consolidata, che ha precisato quando è senz’altro ammesso l’intervento edilizio diretto, senza l’intermediazione di un piano esecutivo, ovverosia ogni qual volta vi sia un c.d. lotto intercluso (o anche potrebbe dirsi – con un linguaggio più esplicativo – pertinenziale di servizio e contiguo ad altro o ad altri lotti già edificati), allorquando cioè l’area edificabile di proprietà del richiedente il permesso di costruire, non ancora edificata, si trovi in una zona interessata da altre diverse costruzioni circonvicine (a fortiori se dello stesso richiedente) e sia dotata delle opere di urbanizzazione, previste dagli strumenti urbanistici e, quindi, si intenda valorizzarla ancora con un progetto edilizio conforme al PRG; ciò allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attività procedimentale per l’ente pubblico (ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016, n. 3293; Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5813, Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4296; Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2004, n. 4350).

Difatti, il piano esecutivo particolareggiato (e gli altri omologhi previsti dalla legislazione), salvo le caratteristiche proprie degli stessi, comportano, ai sensi dell’art. 13 legge n. 1150/1942, la definizione delle reti stradali, dei dati altimetrici, delle masse e delle altezze delle costruzioni, degli eventuali edifici da demolire o recuperare, delle suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili, delle profondità delle zone laterali alle opere pubbliche. Trattasi, all’evidenza, di contenuti, che in parte, come visto, sono già contenuti nell’art. 34 NTA del PRG, adeguato al PPTR, in considerazione e, in altra parte, sono in toto estranei alla fattispecie concreta, di cui in realtà si discute, che consiste nel semplice ampliamento di parti connesse ad un opificio industriale in zona D (zona già largamente edificata da tempo), che consiste nella costruzione di una dotazione pertinenziale, a servizio dell’impianto stricto sensu, relativa alle attività aziendali di magazzinaggio delle merce, resesi vieppiù necessarie a seguito del consolidamento produttivo dell’attività imprenditoriale.

D’altro canto, sotto il profilo proprietario, emerge, dallo stesso provvedimento impugnato, che “l’area di intervento assentita con PdiC n. 69 del 26/09/2006, per gli interventi in essa previsti, risulta essere […] giusta atto di asservimento del 14/05/2014 rep. 48726/10791 a rogito del Notaio […], suolo individuato catastalmente al foglio di mappa n. 14 particelle nn. 82, 262, 292, 1243, 66, 290, 291, 560 e 468, attualmente tutte ricomprese nell’attuale consistenza della particella n. 82”. Il proprietario di detta particella catastale ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (art. 832 c.c.); e nel caso di specie non si evincono quali siano gli elementi della disciplina urbanistico-edilizia davvero ostativi alla realizzazione del magazzino, con annesse aree piazzale e parcheggio, indispensabile per il consolidamento e lo sviluppo produttivo dell’insediamento industriale della ricorrente.

Invero, la fusione (o accorpamento) delle particelle di un foglio di mappa è consentito soltanto qualora i suoli appartengono allo stesso soggetto ed hanno medesima qualità, classe e destinazione d’uso. Infatti, il r. d. 8 ottobre 1931, n. 1572 (“Approvazione del testo unico delle leggi sul nuovo catasto”), all’art. 1, enuncia la funzione del “catasto geometrico particellare uniforme, fondato sulla misura e sulla stima, allo scopo: 1° di accertare le proprietà immobili, e tenerne in evidenza le mutazioni; 2° di perequare l’imposta fondiaria”. In base all’art. 2, comma 2°, “La particella catastale da rilevarsi distintamente è costituita da una porzione continua di terreno o da un fabbricato, che siano situati in un medesimo comune, appartengano allo stesso possessore, e siano della medesima qualità o classe, o abbiano la stessa destinazione”. In presenza di una siffatta destinazione produttiva unitaria non può, anche per le dimensioni dell’intervento edilizio (circa l’8% del sito industriale preesistente), immaginarsi alcun concreto pregiudizio per l’assetto urbanistico-edilizio della zona, purché siano osservati i limiti dimensionali, che anche la relazione del verificatore ha accertato essere rispettate.

Un tal condizione giuridica del suolo, ove si vuol realizzare il nuovo magazzino, piazzale e parcheggi non è indifferente, rispetto alla necessità o meno di apprestare anche una pianificazione esecutiva, atteso che – si ripete – viene in evidenza un progetto di realizzazione in zona D, già munita di diverse opere di urbanizzazione, consistente in un ampliamento a servizio e pertinenza di un sito industriale, già esistente appartenente ad uno stesso soggetto.

Ad ogni modo, la capacità di urbanizzazione dell’area andava verificata dall’Ufficio tecnico nel corso del procedimento, chiedendo all’uopo la ritenuta integrazione della documentazione e, segnatamente, la mancante relazione paesaggistica, utile per l’avvio dell’apposito accertamento di compatibilità paesaggistica, come già si è avuto modo di sottolineare nella trattazione del primo motivo di ricorso, ma ciò non è avvenuto.

Non è l’an della realizzabilità dell’opera da realizzarsi in discussione, ma semmai il quomodo, ossia l’esigenza di conformare la costruzione del magazzino e delle aree circostanti al sopraggiunto UCP, attraverso la scelta di materiali e di modalità rispondenti alle misure di tutela e valorizzazione richieste dal riconosciuto ulteriore contesto paesaggistico rurale, pur se collocato in persistente e consolidata zona D (attività produttive).

Di conseguenza, nei termini sopra esposti, la censura va accolta.

Fermo restando quanto emerge dagli atti di causa e ribadito dallo stesso organo verificatore (pag. 43 della relazione), secondo cui, “non solo la documentazione di corredo alla domanda di permesso di costruire non era completa e quindi idonea al formarsi del silenzio-assenso, ma anche lo stesso istituto del silenzio-assenso non era applicabile nel caso di specie”. Per cui a prescindere dalla necessità del piano attuativo, nei termini sopra esposti la richiesta avanzata dalla ricorrente è priva dei presupposti necessari per il rilascio dell’autorizzazione.

5.3.- Con il terzo motivo di ricorso, la società grava in via tuzioristica la considerazione pur contenuta nel provvedimento – citata alla stregua di mero obiter dictum – che, per ragioni di prudenza difensiva, sono state comunque censurate, seppure questione estranea al perfezionamento del titolo edilizio, ex art. 20 d.P.R. 380 del 2001, inerente alla mancata specificazione degli oneri urbanistici.

Tuttavia, nel caso di specie, una simile doglianza va assorbita, in quanto si controverte su un profilo solo connesso alla possibilità o meno di un intervento diretto e/o di un intervento previa pianificazione attuativa e, in ogni caso, la opinata determinazione e/o monetizzazione del contributo di costruzione e/o degli oneri di urbanizzazione è questione rimasta collaterale nella odierna controversia e invero non oggetto precipuo del provvedimento di diniego sfavorevole impugnato.

Ad ogni modo, trattasi di questione conseguenziale all’approvazione del progetto, integrabile semmai in seno alla riedizione del procedimento edilizio.

Di conseguenza, detto motivo va dichiarato assorbito.

5.4.- Quanto al quarto motivo di censura, si controverte in ordine alla statuizione, in via subordinata rispetto all’accertamento della mancata formazione del silenzio-assenso, che l’ufficio tecnico del Comune ha formulato con rifermento all’annullamento in autotutela. Tuttavia, anche detto punto di gravame va dichiarato assorbito, stante il rigetto del primo motivo, ove è stata sostenuta dal ricorrente l’avvenuta formazione del silenzio-assenso inerente l’intervento edilizio.

Di conseguenza, anche detto ultimo motivo va dichiarato assorbito.

6.- In conclusione, per le sopraesposte motivazioni, il ricorso va accolto in parte, in relazione al secondo motivo di censura; in parte, deve essere respinto il primo; mentre vanno assorbiti i restanti motivi, come sopra indicato.

7.- Le spese del giudizio vanno compensate tra tutte le parti per la peculiarità delle questioni poste e la reciproca soccombenza.

8.- Il compenso al verificatore, posto a carico di entrambe le parti, sarà liquidato allo stesso, previa domanda e notula spese, con separato decreto.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (sezione terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2025 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Blanda, Presidente

Lorenzo Ieva, Primo Referendario, Estensore

Lorenzo Mennoia, Referendario

L’ESTENSORE 
Lorenzo Ieva 

IL PRESIDENTE
Vincenzo Blanda

IL SEGRETARIO

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!