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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto dell'energia Numero: 524 | Data di udienza: 17 Aprile 2014

* DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Individuazione da parte della regione di aree e siti non idonei – Criteri adottati – Omessa verifica dell’effetto dell’applicazione congiunta – Difetto di istruttoria – Interesse del proponente a conoscere ex ante la pianificazione di settore – Remissione della verifica dell’idoneità ai procedimenti di VIA o autorizzazione unica – Illegittimità – Impatti olfattivi o visivi – Previsione di fasce di rispetto – Traduzione in un aggravamento del procedimento – Illegittimità – Verifica degli impatti con il sottosistema storico-culturale – Valutazione in concreto – Compatibilità con le aree agricole di speciale qualità – Verifica caso per caso – Prescrizione relativa alla superficie minima della schermatura dell’impianto – Prescrizione riservata alla fase di VIA.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Marche
Città: Ancona
Data di pubblicazione: 22 Maggio 2014
Numero: 524
Data di udienza: 17 Aprile 2014
Presidente: Morri
Estensore: Capitanio


Premassima

* DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Individuazione da parte della regione di aree e siti non idonei – Criteri adottati – Omessa verifica dell’effetto dell’applicazione congiunta – Difetto di istruttoria – Interesse del proponente a conoscere ex ante la pianificazione di settore – Remissione della verifica dell’idoneità ai procedimenti di VIA o autorizzazione unica – Illegittimità – Impatti olfattivi o visivi – Previsione di fasce di rispetto – Traduzione in un aggravamento del procedimento – Illegittimità – Verifica degli impatti con il sottosistema storico-culturale – Valutazione in concreto – Compatibilità con le aree agricole di speciale qualità – Verifica caso per caso – Prescrizione relativa alla superficie minima della schermatura dell’impianto – Prescrizione riservata alla fase di VIA.



Massima

 

TAR MARCHE, Sez. 1^ – 22 maggio 2014, n. 524


DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Individuazione da parte della regione di aree e siti non idonei – Criteri adottati – Omessa verifica dell’effetto dell’applicazione congiunta – Difetto di istruttoria.

Le Linee guida statali stabiliscono infatti che la individuazione da parte delle Regioni delle aree e dei siti non idonei per l’installazione di impianti a biomasse non deve avere quale risultato finale la sottrazione di porzioni significative del territorio regionale. Il non avere provveduto a verificare quale sia, dal punto di vista cartografico, l’effetto dell’applicazione congiunta di tutti i criteri indicati nella deliberazione con sui sono individuate tali aree configura di per sé un difetto di istruttoria.

Pres. f.f. Morri, Est. Capitanio – P. s.r.l. e altri (avv. Storoni) c. Regione Marche (avv. De Bellis)


DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Aree e siti non idonei – Finalità – Interesse del proponente a conoscere ex ante la pianificazione di settore – Remissione della verifica dell’idoneità ai procedimenti di VIA o autorizzazione unica – Illegittimità.

L’individuazione da parte della Regione delle aree non idonee per l’installazione di impianti a biomasse è funzionale in primo luogo all’interesse del proponente a conoscere ex ante se un determinato progetto è conforme alla pianificazione di settore (evitando quindi l’avvio e lo svolgimento di procedimenti autorizzatori destinati già in partenza a concludersi con un diniego). Configura pertanto una violazione delle linee giuda statali la remissione della verifica dell’idoneità ai procedimenti di VIA o di autorizzazione unica.

Pres. f.f. Morri, Est. Capitanio – P. s.r.l. e altri (avv. Storoni) c. Regione Marche (avv. De Bellis)

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Impatti olfattivi o visivi – Previsione di fasce di rispetto – Traduzione in un aggravamento del procedimento – Illegittimità.

La previsione di fasce di rispetto dirette ad escludere impatti olfattivi o visivi, è illegittima, nella misura in cui si traduce in un aggravamento del procedimento autorizzatorio (art. 2 L. n. 241/1990) E’ invece possibile prevedere, nei singoli casi, misure specifiche atte a ridurre gli impatti olfattivi prodotti dagli impianti e/o dagli automezzi che li riforniscono o gli impatti visivi.

Pres. f.f. Morri, Est. Capitanio – P. s.r.l. e altri (avv. Storoni) c. Regione Marche (avv. De Bellis)


DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Verifica degli impatti con il sottosistema storico-culturale – Valutazione in concreto.

La verifica degli impatti di un impianto a biomassa con il sottosistema storico-culturale va valutata caso per caso, visto che la concreta incidenza di un impianto lato sensu industriale su beni aventi riconosciuta valenza storico-culturale dipende da quale è il bene oggetto di specifica tutela e dalla collocazione dell’impianto rispetto a quel bene (un impianto che in linea d’aria dista poche centinaia di metri da un bene tutelato per effetto di un vincolo di interesse culturale può essere ritenuto compatibile laddove non via sia alcuna intervisibilità, ad esempio per la presenza di ostacoli naturali che garantiscano il mascheramento dell’impianto, mentre un impatto visivo o di altro genere può sussistere, sempre in ragione dello stato dei luoghi, nel caso di impianto collocato a distanze notevoli dal sito tutelato).


Pres. f.f. Morri, Est. Capitanio – P. s.r.l. e altri (avv. Storoni) c. Regione Marche (avv. De Bellis)

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Compatibilità con le aree agricole di speciale qualità – Verifica caso per caso.

La compatibilità degli impianti a biomasse e biogas con le aree agricole di speciale qualità vada verificata caso per caso, essendo da evitare la realizzazione degli impianti solo “sulle” aree destinate a culture di pregio e non anche (salvo, come detto, la concreta verifica degli impatti) nelle aree adiacenti. Questo anche in ragione del fatto che i paventati timori legati alla possibile scarsità delle materie prime vegetali da utilizzare come combustibili (cippato di legno, semi di girasole, etc.) non possono giustificare divieti aprioristici, non vigendo fra l’altro l’obbligo assoluto ed incondizionato di reperire le materie prime esclusivamente in loco.

Pres. f.f. Morri, Est. Capitanio – P. s.r.l. e altri (avv. Storoni) c. Regione Marche (avv. De Bellis)

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti a biomasse – Prescrizione relativa alla superficie minima della schermatura dell’impianto – Prescrizione riservata alla fase di VIA.

E’ del tutto sproporzionata, nella sua assolutezza, la prescrizione relativa alla superficie minima che deve essere riservata alla schermatura dell’impianto a biomasse (nella specie, il triplo di quella occupata dall’impianto al suolo). Tali prescrizioni vanno riservate alla fase di VIA o al procedimento autorizzatorio, tenendo conto delle caratteristiche specifiche del singolo progetto e rispettando i principi di ragionevolezza e adeguatezza.

Pres. f.f. Morri, Est. Capitanio – P. s.r.l. e altri (avv. Storoni) c. Regione Marche (avv. De Bellis)


Allegato


Titolo Completo

TAR MARCHE, Sez. 1^ - 22 maggio 2014, n. 524

SENTENZA

 

TAR MARCHE, Sez. 1^ – 22 maggio 2014, n. 524

N. 00524/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00242/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 242 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Societa’ Prima Energia S.r.l., Societa’ Casavecchia Group S.r.l., Societa’ Azienda Agricola Terra Farneta, Associazione Io Energia, rappresentati e difesi dall’avv. Antonella Storoni, con domicilio eletto presso l’Avv. Giuseppe Tansella, in Ancona, corso Garibaldi, 16;
 

contro

Regione Marche, rappresentata e difesa dall’avv. Pasquale De Bellis, con domicilio eletto presso il Servizio Legale della Regione, in Ancona, piazza Cavour, 23;

nei confronti di

Ministero dello Sviluppo Economico, Assemblea Legislativa Regionale Consiglio Regionale Marche, Consiglio delle Autonomie Locali (CAL) Consiglio Regionale delle Marche- Assemblea Legislativa, non costituiti;

per l’annullamento

– della deliberazione amministrativa del 15/1/2013 n. 62 dell’Assemblea Legislativa Regionale della Regione Marche avente oggetto Adeguamento del Piano Energetico Ambientale Regionale (Deliberazione del Consiglio Regionale 16 febbraio 2005 n. 175) alla normativa Burden Sharing e individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti a biomassa e a biogas” pubblicata sul BUR della Regione Marche in data 07/02/2013 precisamente all’individuazione delle aree non idonee, limitatamente al paragrafo 2.3 “Elenco delle aree non idonee”, alle tabelle di sintesi Al, A2, A3 A4 e al paragrafo 3 “disposizioni per la mitigazione degli impatti derivanti dalla localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da biogas e da biomassa e criteri di sostenibilità, ai fini della valutazione positiva degli impianti”;

– di ogni altro atto precedente o conseguente comunque connesso o collegato anche non conosciuto.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Marche;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2014 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori avv. Sara Api, su delega dell’avv. Storoni, e avv. Pasquale De Bellis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Le società ricorrenti, nelle rispettive vesti indicate in ricorso, impugnano in questa sede la deliberazione del Consiglio Regionale delle Marche n. 62/2013 e gli atti presupposti, fra cui le proposte di deliberazione – assunte dalla Giunta Regionale – e gli altri pareri endoprocedimentali indicati in epigrafe.

Con tale atto la Regione, in attuazione di quanto previsto dal punto 17.1. del D.M. Sviluppo Economico 10/9/2010 (a sua volta adottato in attuazione dell’art. 12, comma 10, D.Lgs. n. 387/2003) e dall’art. 1 L.R. n. 30/2012, ha provveduto ad individuare le aree non idonee ad ospitare impianti che utilizzano biomasse e biogas per la produzione di energia elettrica. La delibera, che contiene anche alcune modifiche al vigente Piano Energetico Regionale (PEAR), si pone l’obiettivo di adeguare la politica energetica regionale al c.d. decreto burden sharing, ossia agli obiettivi fissati per ciascuna Regione dal D.M. Sviluppo Economico 15 marzo 2012 (nel quale si stabilisce che le Regioni e le Province autonome concorrano al raggiungimento dell’obiettivo nazionale del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020).

Le società ricorrenti premettono di essere tutti soggetti che operano nel settore delle energie rinnovabili e di avere interesse a proporre la presente domanda annullatoria in quanto le Linee guida regionali inibiscono la possibilità di realizzare impianti a biomasse e biogas nella quasi totalità del territorio marchigiano (che è il “mercato” di riferimento delle ricorrenti). Il Gruppo Casavecchia, in particolare, pur svolgendo quale attività principale quella estrattiva, deduce di avere in animo di realizzare un impianto a biomasse su un terreno adiacente la cava di Cagli (la cui progettazione è stata affidata a Prima Energia), e posto a servizio delle attività del Gruppo medesimo, ma di essere a ciò impossibilitato in quanto l’area in argomento rientra fra quelle classificate non idonee dalla impugnata deliberazione consiliare.

Analogo impedimento subisce la ditta Terra Farneta, che intende realizzare un impianto di pirogassificazione utilizzando come materiale in ingresso prodotti ricavati dalla propria azienda agricola.

2. I provvedimenti in epigrafe sono censurati sotto svariati profili, ma il filo conduttore del ricorso è l’assunto per cui, applicando i criteri localizzativi stabiliti dalle Linee guida, la quasi totalità del territorio marchigiano risulta inidoneo ad ospitare impianti a biomasse e biogas, il che, oltre a porsi in contrasto con le norme statali di settore, produce un danno patrimoniale ingentissimo per gli operatori del ramo. Viene inoltre dedotta, sempre a livello generale, la violazione dei principi ispiratori delle Linee guida nazionali, nella parte in cui richiedono che l’individuazione da parte delle Regioni delle aree non idonee sia il frutto di un’istruttoria adeguata.

3. Questi i motivi posti a base del ricorso introduttivo e dell’atto di motivi aggiunti:

ricorso introduttivo:

a) violazione dell’art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, del punto 17 e dell’allegato 3, let. d), D.M. 10/9/2010. Violazione del principio di proporzionalità ed eccesso di potere per sviamento;

b) violazione del punto 17.1. del D.M. 10/9/2010, difetto di istruttoria e di motivazione. I ricorrenti espongono che la Regione si è limitata ad un richiamo ai contenuti astratti di tutela del Piano Paesistico Ambientale Regionale (PPAR), anziché procedere all’esame dei sistemi paesaggistici elaborati dai singoli Comuni in sede di adeguamento al PPAR;

c) violazione dei principi della legislazione statale di settore (la censura si riferisce sia al fatto che le Linee guida regionali vietano in pratica la realizzazione di impianti aventi potenza superiore a 250 Kwe, sia al fatto che viene introdotto un sostanziale divieto di installazione degli impianti in tutte le zone agricole);

d) violazione del PPAR (essendo stato previsto il divieto di installazione degli impianti a biomasse e biogas anche in zone per le quali il PPAR prevede una tutela “orientata”);

e) violazione art. 27-bis NTA del PPAR (la Regione ha disapplicato in pratica i piani regolatori comunali adeguati al PPAR, i quali hanno stabilito gli ambiti definitivi di tutela che il Piano paesistico aveva fissato in via transitoria);

f) con particolare riferimento alla tabella A4 allegata alla deliberazione n. 62/2013, violazione punto 17 e allegato 3, let. f), D.M. 10/9/2010 e art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, carenza di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza e illogicità (viene dedotto al riguardo che la tabella consiste in una mera ripetizione dell’elencazione delle aree particolarmente sensibili contenuta nel D.M. 10/9/2010 e non già in una individuazione dei siti non idonei);

g) con specifico riguardo al paragrafo 3 della deliberazione n. 62/2013, violazione del D.M. 10/9/2010, dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, dell’art. 9 della L.R. n. 13/1990, illogicità e irragionevolezza;

motivi aggiunti:

h) violazione art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 e del D.M. 10/9/2010. Violazione del principio di legalità;

i) violazione della direttiva Burden sharing e dell’art. 42 Cost.

4. Si è costituita in giudizio la Regione Marche, chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 17 aprile 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione di merito.

DIRITTO

5. Va anzitutto esaminata la questione dell’ammissibilità del ricorso, tenuto conto del fatto che viene impugnato un atto avente valenza lato sensu pianificatoria.

Il Tribunale ritiene che il ricorso sia ammissibile, per le seguenti ragioni:

– da un punto di vista generale, con la documentazione allegata ai motivi aggiunti le ditte ricorrenti hanno provato di essere operatori del settore;

– sempre da un punto di vista generale, e con riferimento ai principi giurisprudenziali affermatisi in materia di impugnazione di piani urbanistici, non c’è dubbio che alcune delle previsioni contenute nell’impugnata deliberazione sono immediatamente lesive per gli interessi delle ricorrenti;

– con specifico riguardo alla particolare situazione venutasi a creare nella Regione Marche anche a seguito della nota sentenza n. 93/2013 della Corte Costituzionale, la presente impugnazione è da ritenere ammissibile in ragione dell’incertezza normativa e amministrativa che connota il settore.

Stante la sussistenza di tali incertezze, appare indubitabile l’attualità dell’interesse ad espungere dall’ordinamento disposizioni – asseritamente illegittime – che le ricorrenti potrebbero trovarsi a “subire” o nel corso della procedura di VIA o nell’ambito del successivo procedimento autorizzatorio.

In ogni caso, è chiaro che, soprattutto in tempi di grave e persistente crisi economica, non si può costringere gli operatori del settore ad avviare lunghi e costosi iter autorizzativi nell’incertezza circa l’idoneità delle aree prescelte ad ospitare gli impianti che utilizzano f.e.r.

Né l’interesse scema per il fatto che le Linee guida consentono la realizzazione di impianti di piccolissima taglia (fino a 200/250 Kwe), in quanto nessuna norma o principio regolatore della materia consentono di imporre a priori limiti di tal genere (sul punto si tornerà esaminando il merito delle censure).

Nel merito, il ricorso va accolto, nei limiti che si andranno a precisare.

6. E’ necessario premettere che fra le parti non sussiste identità di vedute circa la porzione di territorio regionale che, in applicazione dei criteri localizzativi introdotti con la deliberazione n. 62/2013, risulterebbe non idonea per l’installazione di impianti a biomasse e biogas. Le società ricorrenti sostengono infatti che il combinato disposto dei criteri escludenti di cui alla impugnata deliberazione fa sì che risulti non idoneo oltre il 90% del territorio marchigiano; la difesa della Regione sostiene al contrario che tale percentuale va stimata intorno al 55% (e sulla base di tale affermazione le ricorrenti hanno proposto i motivi aggiunti, in cui evidenziano che anche una siffatta percentuale sarebbe significativa, ai sensi del D.M. 10/9/2010). Nel corso della discussione orale, rispondendo a specifico quesito del Collegio, il difensore della Regione ha però affermato che, in realtà, la individuazione in concreto delle aree non idonee è rimessa ai singoli Comuni, sulla base delle cartografie dei vari piani regolatori adeguati al PPAR.

7. Già questo è sufficiente a determinare l’accoglimento del ricorso, in quanto la omessa redazione da parte degli uffici regionali competenti di una simulazione cartografica degli effetti prodotti dalle Linee guida configura una violazione della disposizione di cui all’allegato 3, let. d), del D.M. 10/9/2010.

Le Linee guida statali stabiliscono infatti che la individuazione da parte delle Regioni delle aree e dei siti non idonei per l’installazione di impianti a biomasse non deve avere quale risultato finale la sottrazione di porzioni significative del territorio regionale. Il non avere provveduto a verificare quale sia, dal punto di vista cartografico, l’effetto dell’applicazione congiunta di tutti i criteri indicati nella impugnata deliberazione consiliare configura di per sé un difetto di istruttoria. Laddove poi dovesse rispondere al vero che la reale verifica dell’idoneità di un sito è rimessa ai procedimenti di VIA o di autorizzazione unica si configura un’ulteriore violazione delle Linee guida statali, nella parte in cui (vedasi sempre l’allegato n. 3) si prevede che l’individuazione delle aree non idonee è funzionale in primo luogo all’interesse del proponente a conoscere ex ante se un determinato progetto è conforme alla pianificazione di settore (evitando quindi l’avvio e lo svolgimento di procedimenti autorizzatori destinati già in partenza a concludersi con un diniego).

Fra l’altro, la tesi della Regione sembra sconfessata anche dal fatto che negli ultimi anni sono stati autorizzati nelle Marche vari impianti, alcuni dei quali ubicati in zone che, alla luce delle impugnate Linee guida, risultano non idonee. E’ evidente, dunque, che il Consiglio Regionale non si è limitato ad una ricognizione della vincolistica preesistente, ma ha esteso la porzione del territorio in cui gli impianti a biomasse e biogas non possono essere installati.

8. La censura principale sulla quale si fondano il ricorso e i motivi aggiunti riguarda il fatto che la Regione avrebbe equivocato il rapporto che esiste fra il PPAR e i singoli PRG, con riferimento, è ovvio, alla problematica che occupa il Tribunale.

Va in effetti riconosciuto che, a leggere in modo sistematico le impugnate Linee guida, emerge la sensazione che la Regione ritenga che i singoli piani regolatori dei Comuni marchigiani abbiano trasposto in maniera del tutto automatica la cartografia del PPAR. Ma così non è, in quanto:

– per un verso, è lo stesso PPAR (art. 27-bis delle NTA) a stabilire che l’adeguamento dei PRG non dovesse consistere in una operazione meccanica;

– per altro verso (e la cosa, a livello regionale, può essere ascritta alla categoria del fatto notorio), vi è stato un notevole contenzioso sul punto, scaturito o da impugnazioni proposte dai Comuni che si erano visti non approvati dalla Regione o dalle Province i piani urbanistici a cagione di errori o omissioni nella trasposizione dei vincoli del PPAR o da privati che ritenevano illegittime le estensioni dei vincoli del PPAR operate dai singoli Comuni.

9. Si deve inoltre osservare che anche le Linee guida statali contengono disposizioni che sono alla base dell’equivoco di fondo in cui è incorsa la Regione Marche. In effetti, l’art. 17.1. reca disposizioni che si prestano ad interpretazioni esattamente opposte (le quali, non a caso, sono state poste dalle odierne ricorrenti e dalla Regione a base delle rispettive tesi processuali). Disponendo che “…L’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti…”, le Linee guida statali sembrerebbero per un verso confortare l’operato della Regione (non essendovi alcun dubbio sul fatto che per “ricognizione” debba intendersi la semplice fotografia della vincolistica esistente). Prevedendo però nel contempo che (allegato n. 3, let. d) “….l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non può riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, né tradursi nell’identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela…”, il D.M. 10/9/2010 contiene anche norme che legittimano l’interpretazione patrocinata dalle ricorrenti (e allora per “ricognizione” non può intendersi la semplice sovrapposizione delle tavole del PPAR alla carta geografica regionale, perché una simile operazione porrebbe per gli impianti a biomasse e biogas limitazioni che non trovano riscontro per nessun altro tipo di insediamento lato sensu industriale, il che dà luogo ad una chiara violazione della normativa statale e comunitaria che incentiva l’utilizzo delle f.e.r.).

10. Per quanto riguarda la taglia massima degli impianti installabili, la censura va accolta nella misura in cui non è chiaro quale sia la porzione di territorio regionale che, in applicazione della deliberazione n. 62/2013, risulta non idonea all’installazione degli impianti a biomasse e biogas. E’ evidente infatti che la tesi difensiva della Regione (secondo cui non vi sono limiti massimi di potenza per gli impianti da ubicare nelle zone produttive non vincolate dai decreti ministeriali adottati ai sensi della L. n. 431/1985 e in quelle non ricadenti nelle aree ricomprese nella “Rete Natura 2000”) sconta la indeterminatezza in parte qua delle impugnate Linee guida.

In generale, invece, le Linee guida statali consentono alle Regioni di prevedere criteri localizzativi differenti a seconda della tipologia e della potenza degli impianti (vedasi il punto 17.1. e l’allegato 3, let. b), del D.M. 10/9/2010), ma, in vista della riedizione del potere, va sin d’ora chiarito che le scelte che la Regione riterrà di porre in essere dovranno sempre obbedire ai principi di ragionevolezza e adeguata istruttoria.

11. Sempre in vista della rielaborazione delle Linee guida in esecuzione della presente sentenza, il Collegio ritiene di dover esaminare il merito delle singole doglianze, distinguendo i vari criteri escludenti.

12. Per quanto riguarda la disposizione inerenti le fasce di rispetto (punto 3.6., let. b), della del. n. 62/2013) si osserva che:

– la disposizione è illegittima, nella misura in cui si traduce in un aggravamento del procedimento autorizzatorio (art. 2 L. n. 241/1990) E’ invece possibile prevedere, nei singoli casi, misure specifiche atte a ridurre gli impatti olfattivi prodotti dagli impianti e/o dagli automezzi che li riforniscono o gli impatti visivi;

– né appare risolutivo il riferimento alle norme di cui all’art. 9 L.R. Marche n. 13/1990 (alle quali, stante la sostanziale eadem ratio, si sarebbero ispirate in parte qua le impugnate Linee guida). Questo sia per la diversità della materia (non esistendo con riguardo alla normativa regionale sulle costruzioni in zone agricole obblighi di derivazione comunitaria, quali quelli previsti dalla direttiva 2001/77/CE. Inoltre l’art. 9 disciplina le costruzioni per allevamenti zootecnici, ossia una tipologia di impianto diversa da quella degli impianti a biomasse o biogas). Va inoltre rilevato che alcune delle distanze minime previste dal citato art. 9 sono state immotivatamente incrementate dalla deliberazione n. 62/2013, mentre ne sono state aggiunte altre non contemplate dal citato art. 9 (ad esempio, la distanza minima di 500 metri da strutture turistico – ricettive);

– con la recente sentenza n. 13 del 2014 la Corte Costituzionale ha ribadito che le Regioni non possono prescrivere “…limiti generali, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea…”.

Ovviamente, laddove l’impianto sia a servizio di un’azienda agricola esistente, dovrebbero già operare le disposizioni di cui all’art. 9 L.R. n. 13/1990 (l’azienda dovrebbe cioè essere già situata ad una certa distanza da recettori sensibili, per cui anche l’impianto a biomasse o a biogas dovrebbe rispettare tali distanze).

13. Con riferimento ai singoli sottosistemi del PPAR richiamati nella deliberazione n. 62/2013, si osserva quanto segue.

A) Sottosistema geologico, geomorfologico e idrogeologico.

L’esclusione, dal novero delle aree idonee, di quelle classificate GA dal PPAR è legittima (trattandosi di “Aree di eccezionale valore”, ai sensi dell’art. 6 delle NTA del Piano Paesistico Ambientale Regionale), mentre lo stesso non può dirsi in relazione alle aree classificate GB e GC, e ciò in base all’art. 9 delle NTA del PPAR. In questi ultimi due casi la valutazione del concreto impatto ambientale va effettuata in sede di screening o di VIA, come del resto prevede l’allegato 3, let. d), delle Linee guida nazionali.

B) Sottosistema botanico-vegetazionale.

Discorso pressoché identico va fatto per il sottosistema botanico-vegetazionale, nel senso che è legittima l’esclusione delle zone classificate BA (salvo quelle indicate dall’art. 14, ultimo comma, NTA del PPAR, per le quali la verifica di compatibilità va condotta caso per caso), mentre per le zone BB e BC l’impatto va valutato in sede di VIA (vedasi il citato art. 14 NTA del PPAR).

C) Sottosistema storico-culturale (artt. 15 e ss. NTA del PPAR).

In generale l’esclusione è legittima, ma la verifica degli impatti va valutata caso per caso, visto che la concreta incidenza di un impianto lato sensu industriale su beni aventi riconosciuta valenza storico-culturale dipende da quale è il bene oggetto di specifica tutela e dalla collocazione dell’impianto rispetto a quel bene (un impianto che in linea d’aria dista poche centinaia di metri da un bene tutelato per effetto di un vincolo di interesse culturale può essere ritenuto compatibile laddove non via sia alcuna intervisibilità, ad esempio per la presenza di ostacoli naturali che garantiscano il mascheramento dell’impianto, mentre un impatto visivo o di altro genere può sussistere, sempre in ragione dello stato dei luoghi, nel caso di impianto collocato a distanze notevoli dal sito tutelato).

D) Sottosistemi territoriali.

L’esclusione in via generale ed assoluta è illegittima sia per le aree ricadenti nelle zone A e B, sia per quelle ricadenti nelle zone C, D e V. Questo sia in base alle disposizioni di cui all’art. 23 delle NTA del PPAR, sia alla luce del principio di cui all’allegato 3, let. d), del D.M. 10/9/2010. La compatibilità degli impianti deve essere quindi valutata in sede di VIA.

E) Aree agricole di speciale qualità (punto 2.3.4., n. 8).

Va premesso che la disposizione di cui all’art. 12, comma 7, del D.Lgs. n. 387/2003 ha dato costantemente luogo a problemi applicativi, essendo invocata pressoché in tutti i ricorsi avverso i provvedimenti che autorizzano la costruzione in zona agricola di impianti che utilizzano le fonti rinnovabili.

In generale, però, si deve ritenere che la compatibilità degli impianti a biomasse e biogas con le aree agricole di speciale qualità vada verificata caso per caso, essendo da evitare la realizzazione degli impianti solo “sulle” aree destinate a culture di pregio e non anche (salvo, come detto, la concreta verifica degli impatti) nelle aree adiacenti. Questo anche in ragione del fatto che i paventati timori legati alla possibile scarsità delle materie prime vegetali da utilizzare come combustibili (cippato di legno, semi di girasole, etc.) non possono giustificare divieti aprioristici, non vigendo fra l’altro l’obbligo assoluto ed incondizionato di reperire le materie prime esclusivamente in loco.

Al riguardo, però, il discorso assume valenza politica (e dunque in questa sede se ne discorre solo accademicamente), in quanto il Tribunale non ignora il fatto che negli ultimi anni molti proprietari di suoli agricoli non utilizzati o sottoutilizzati hanno preferito cederli ad aziende che operano nel settore delle energie rinnovabili, i quali hanno a loro volta ritenuto conveniente l’investimento a cagione della futura percezione degli incentivi statali.

La presenza degli impianti per cui è causa può però danneggiare quelle aziende agricole confinanti che hanno affiancato alla tradizionale attività di coltivazione del fondo altre iniziative economiche (agriturismi, country houses, etc.) che presuppongono la conservazione del paesaggio agricolo tradizionale. Se si vuole conservare questo paesaggio è necessario che a livello politico siano operate scelte in forza delle quali risulti più conveniente investire sull’agricoltura e sul “turismo agricolo” che non sulle energie rinnovabili, fermo restando che gli impianti de quibus trovano invece collocazione ideale a servizio di alcune tipologie di aziende agricole (ad esempio, quelle destinate all’allevamento di bovini e suini), in quanto ne utilizzano gli scarti e i rifiuti come combustibile.

F) Punto 3.6, lett. a) e c), del. n. 62/2013.

La prima disposizione è legittima solo se interpretata nel senso che il riutilizzo di fabbricati già esistenti e/o il divieto di realizzare fabbricati isolati in zone classificate E dai piani regolatori costituiscono misure di mitigazione che vanno imposte caso per caso dall’autorità procedente e sempre alla luce dei principi di ragionevolezza e adeguatezza.

E’ invece del tutto sproporzionata, nella sua assolutezza, la prescrizione relativa alla superficie minima che deve essere riservata alla schermatura dell’impianto (il triplo di quella occupata dall’impianto al suolo). Anche in questo caso le prescrizioni vanno riservate alla fase di VIA o al procedimento autorizzatorio, tenendo conto delle caratteristiche specifiche del singolo progetto e rispettando i principi di ragionevolezza e adeguatezza.

G) Punti 3.7. e 3.8. del. n. 62/2013.

Fatto salvo quanto detto al precedente paragrafo 10., le limitazioni di cui alle disposizioni in parola sono illegittime nella misura in cui introducono ostacoli alla realizzazione di impianti a biomasse e biogas sulla base di considerazioni di ordine economico, nonché nella parte in cui introducono limiti di potenza per gli impianti realizzabili nelle aree indicate dalle disposizioni medesime.

14. La domanda impugnatoria va quindi accolta, nei limiti suindicati, con conseguente annullamento parziale della impugnata deliberazione consiliare n. 62/2013.

Va peraltro evidenziato che, con sentenza resa in pari data, il Tribunale ha accolto l’analogo ricorso n. 157/2013, il quale era affidato a censure in parte diverse ed ulteriori rispetto a quelle proposte nel presente giudizio. A prescindere da profili squisitamente processuali – i quali potrebbero emergere solo in un eventuale giudizio di ottemperanza – è ovvio che la citata sentenza resa in pari data opera anche nei riguardi delle odierne ricorrenti, dovendo la Regione tenere conto della motivazione di entrambe le pronunce.

In esecuzione della presente sentenza la Regione Marche dovrà provvedere alla rielaborazione delle Linee guida, o mediante la rinnovazione integrale dell’istruttoria o mediante la riscrittura delle sole parti oggetto di annullamento (opzione che appare però meno indicata, stante la necessità di dare conto in maniera quanto più possibile chiara e motivata della inidoneità dei singoli siti e non già delle “categorie” paesistico – ambientali in cui è suddiviso il territorio regionale).

15. In conclusione, la domanda impugnatoria va accolta in parte.

Ciò giustifica la compensazione delle spese di giudizio.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

– li accoglie in parte;

– compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:

Gianluca Morri, Presidente FF
Tommaso Capitanio, Consigliere, Estensore
Francesca Aprile, Primo Referendario

L’ESTENSORE 

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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