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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico, Diritto dell'energia, Diritto processuale civile, VIA VAS AIA Numero: 2186 | Data di udienza: 24 Ottobre 2023

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali – Obbligatorietà delle misure necessarie per impedire il deterioramento – Deroga – Principio di precauzione – Principio di non deterioramento – Disciplina unionale e nazionale – Art. 191 TFUE – Artt. 22, 76, 77, 96, d.lgs. n. 152/2006 – DIRITTO DELL’ENERGIA – Sostegno alle energie rinnovabili – VIA – Procedimento di VIA (valutazione di impatto ambientale) – Rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – Tutela e conservazione dell’ambiente e della qualità dei corpi idrici – Disciplina complessiva in materia di acque pubbliche – Equo contemperamento degli interessi – Giudizio di compatibilità ambientale – Discrezionalità – Fattispecie: costruzione e gestione di una centrale idoelettrica – Violazione dell’art. 65, c.7, d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 6 delle misure di salvaguardia del PGDA (piano di gestione delle acque)DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Decisioni pronunciate in unico grado o in grado d’appello dal Tribunale superiore delle acque pubbliche – Ricorso per cassazione – Presupposti e limiti.


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: UNITE
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Gennaio 2024
Numero: 2186
Data di udienza: 24 Ottobre 2023
Presidente: D'ASCOLA
Estensore: FALABELLA


Premassima

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali – Obbligatorietà delle misure necessarie per impedire il deterioramento – Deroga – Principio di precauzione – Principio di non deterioramento – Disciplina unionale e nazionale – Art. 191 TFUE – Artt. 22, 76, 77, 96, d.lgs. n. 152/2006 – DIRITTO DELL’ENERGIA – Sostegno alle energie rinnovabili – VIA – Procedimento di VIA (valutazione di impatto ambientale) – Rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – Tutela e conservazione dell’ambiente e della qualità dei corpi idrici – Disciplina complessiva in materia di acque pubbliche – Equo contemperamento degli interessi – Giudizio di compatibilità ambientale – Discrezionalità – Fattispecie: costruzione e gestione di una centrale idoelettrica – Violazione dell’art. 65, c.7, d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 6 delle misure di salvaguardia del PGDA (piano di gestione delle acque)DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Decisioni pronunciate in unico grado o in grado d’appello dal Tribunale superiore delle acque pubbliche – Ricorso per cassazione – Presupposti e limiti.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE Sez. UNITE CIVILE, 22 gennaio 2024 (ud. 24/10/2023), Ordinanza n.2186

 

 

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali – Obbligatorietà delle misure necessarie per impedire il deterioramento – Deroga – Principio di precauzione – Principio di non deterioramento – Disciplina unionale e nazionale – Art. 191 TFUE – Artt. 22, 76, 77, 96, d.lgs. n. 152/2006.

In tema di acque riveste rilievo primario il principio di non deterioramento, che costituisce declinazione di quello di precauzione, va certamente dato atto che detto principio può essere sacrificato in base alla disciplina unionale e nazionale. In particolare, è senz’altro vero che la regola circa l’obbligatorietà delle misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali soffre eccezione nelle fattispecie previste dagli artt. 4, par. 7, della direttiva e 77, comma 10 bis, lett. b), d.lgs. n. 152/2006: e cioè in presenza di una «incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale» che risulti «dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano». Tuttavia, la deroga è ammessa in presenza di precise condizioni, tra cui è ricompresa quella posta dalla lett. b) dell’art. 4, par. 7, della direttiva («le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall’articolo 13 e gli obiettivi sono riveduti ogni sei anni»), cui corrisponde, sul piano della disciplina statuale, la previsione contenuta nell’art. 77, comma 10 bis, lett. b), n. 2), T.U.A. (secondo cui le misure possibili per mitigare l’impatto negativo sullo stato del corpo idrico devono essere «indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni»).

 

DIRITTO DELL’ENERGIA – Sostegno alle energie rinnovabili – VIA – Procedimento di VIA (valutazione di impatto ambientale) – Rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Tutela e conservazione dell’ambiente e della qualità dei corpi idrici – Disciplina complessiva in materia di acque pubbliche – Equo contemperamento degli interessi – Giudizio di compatibilità ambientale – Discrezionalità – Fattispecie: costruzione e gestione di una centrale idoelettrica – Violazione dell’art. 65, c.7, d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 6 delle misure di salvaguardia del PGDA (piano di gestione delle acque).

La disciplina complessiva in materia di acque pubbliche, impone, nell’equo contemperamento degli interessi ad essa sottesi, una considerazione pregnante degli aspetti inerenti alla tutela e alla conservazione dell’ambiente e, in particolare, della qualità dei corpi idrici, deve ritenersi conforme alla legge l’adozione di provvedimenti che, nel rapporto tra il principio di precauzione e il principio del sostegno alle energie rinnovabili, reputi prevalente il principio di precauzione a tutela del mantenimento della qualità delle acque. Tale conclusione trova conferma nel rilievo per cui l’Amministrazione, nel formulare il giudizio di compatibilità ambientale, esercita una amplissima discrezionalità, che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica ma include profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera: la valutazione di impatto ambientale, infatti, non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, ma un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici e privati. Fattispecie: diniego definitivo di VIA, con cui si è rilevato che le opere di impianto risultavano collocate in aree soggette a fenomeno di erosione, di instabilità e di frana all’interno del Parco regionale delle Dolomiti ampezzano, area di elevato pregio naturale e paesistico. 

 

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Decisioni pronunciate in unico grado o in grado d’appello dal Tribunale superiore delle acque pubbliche – Ricorso per cassazione – Presupposti e limiti.

Avverso le decisioni pronunciate, in unico grado o in grado d’appello, dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., per violazione di legge, e soltanto per vizi della motivazione che si traducano nella sua inesistenza, contraddittorietà o mera apparenza, mentre non è consentito al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti, la quale porterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito. Risulta, d’altro canto, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito. Infine, è inammissibile il motivo di ricorso che investe un punto della decisione impugnata privo del carattere di decisività: principio cui si correla l’affermazione, comunemente condivisa, per cui in sede di legittimità non si possono proporre censure avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta, le quali, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione.

(Rigetta il ricorso avverso sentenza n. 115/2022 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche) Pres. D’ASCOLA, Rel. FALABELLA, Ric. DOLOMITI DERIVAZIONI SRL c. REGIONE VENETO

 
 

 

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. UNITE CIVILE, 22/01/2024 (ud. 24/10/2023), Ordinanza n.2186

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24187 R.G. anno 2022 proposto da:
DOLOMITI DERIVAZIONI SRL, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ennio Quirino Visconti 99, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Battista Conte che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

CONTRO

REGIONE VENETO, elettivamente domiciliato in Roma via Varrone 9, presso lo studio dell’avvocato Bruna D’Amario Pallottino, rappresentata e difeso dagli avvocati Cristina Zampieri, Giacomo Quarneti e Chiara Drago;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

NONCHÉ CONTRO

PROVINCIA DI BELLUNO, elettivamente domiciliata in Roma via Giovanni Amendola 46, presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Sebastiano Tonon e Emma Pierobon;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n. 115/2022, depositata il 10 giugno 2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre 2023 dal Consigliere Massimo Falabella.

FATTI DI CAUSA

1. – Dolomiti Derivazioni s.p.a., essendo titolare della derivazione ad uso idroelettrico del rio Federa nel territorio comunale di Cortina d’Ampezzo, in provincia di Belluno, ha domandato il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 per la costruzione e gestione di una centrale idoelettrica, chiedendo l’attivazione di un procedimento di VIA (valutazione di impatto ambientale). Con parere n. 77 del 28 maggio 2019 il Comitato regionale VIA si è espresso in termini negativi quanto alla realizzazione dell’impianto; con successiva nota n. 87 del 24 luglio 2019 è stato reso il parere definitivo sul progetto, in cui sono stati evidenziati gravi dissesti geologici ed idrici, tra cui il versante franoso in sinistra idraulica del rivo a monte della presa, nonché varie criticità in ordine al rispetto del DMV (deflusso minimo vitale) e della scala di risalita dei pesci. Con decreto n. 90 del 29 agosto 2019 è intervenuto il diniego definitivo di VIA, con cui si è rilevato che le opere di impianto risultavano collocate in aree soggette a fenomeno di erosione, di instabilità e di frana all’interno del Parco regionale delle Dolomiti ampezzano, area di elevato pregio naturale e paesistico.

La Regione ha così reso una classificazione di rischio ambientale «alto» per l’area di impianto; analogo giudizio è stato espresso dalla Provincia di Belluno sulla base della c.d. direttiva derivazioni assunta con delibera della competente Autorità di bacino del 14 dicembre 2017; la stessa Provincia ha rilevato che l’impianto era in grado di deteriorare lo stato qualitativo del corpo idrico e che l’opera non rispondeva alle condizioni fissate dall’art. 12 bis r.d. n. 1755/1933.

2. – Dolomiti Derivazioni ha impugnato avanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche: il decreto n. 90 del 29 agosto 2019 con cui è stato reso il giudizio sfavorevole di VIA sul progetto relativo all’impianto; la nota regionale recante rigetto di una propria istanza di proroga dei termini per la formulazione delle deduzioni ex art. 10 bis l. n. 241/1990; la nota del 12 giugno 2019 con cui la Regione ha comunicato il parare negativo di compatibilità ambientale reso in data 28 maggio 2019; i pareri nn. 77 e 87 (il primo emesso, appunto, il 28 maggio 2019 e il secondo il 24 luglio 2019), oltre che la nota della Provincia di Belluno del 19 luglio 2019.

La detta società ha depositato, avanti al detto Tribunale, due atti per motivi aggiunti: il primo basato su di una verifica tecnica di parte, affidata a una impresa specializzata, in base alla quale lo stato del corpo idrico risulterebbe essere «cattivo»; il secondo diretto all’impugnazione della determina provinciale n. 1526/2019 del 3 dicembre 2019 con cui è stato definitivamente respinta l’istanza di autorizzazione unica.

Il Tribunale superiore delle acque ha rigettato il ricorso con sentenza del 10 giugno 2022.

3. – Avverso detta pronuncia Dolomiti Derivazioni ha proposto un ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Resistono con controricorso la Regione Veneto e la Provincia di Belluno; entrambe le controricorrenti hanno svolto una impugnazione incidentale basata su di un motivo. Sono state depositate memorie da parte della ricorrente e dalla Provincia di Belluno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso Dolomiti Derivazioni denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, oltre che della delibera della Giunta regionale n. 1628/2015 e la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c..

Il mezzo di censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice del merito, che pure ha respinto il ricorso in dispositivo e ha motivato sull’infondatezza dello stesso, ha accolto l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per il sopravvenuto annullamento, ad opera della sentenza n. 136 del 28 maggio 2019 del Tribunale superiore delle acque, della determina provinciale n. 1841/2016 riferita alla concessione idraulica con derivazione.

Deduce la ricorrente che il detto provvedimento giudiziario, pur essendo stato pronunciato tra le stesse parti dell’odierno giudizio, concerne la concessione di derivazione rilasciata a Dolomiti Derivazioni sul torrente Bosco (non quindi sul rio Federa); la stessa istante osserva che il capo della sentenza impugnata, oltre ad essere fondato su di un giudicato estraneo alla presente controversia, risulta viziato per totale carenza di motivazione.

Quanto affermato dalla ricorrente in ordine all’oggetto della sentenza n. 136 del 2019 è espressamente riconosciuto dalla controricorrente Provincia di Belluno (pagg. 6 e 11 del relativo controricorso). Il motivo di ricorso non può tuttavia essere accolto, visto che dall’impianto della pronuncia impugnata emerge che il rilievo svolto dal Tribunale delle acque con riguardo al richiamato annullamento ha la consistenza di un obiter dictum. Persuadono di ciò sia le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata quanto al merito della vicenda (le quali non avrebbero avuto ragion d’essere nella prospettiva di una pronuncia di inammissibilità), sia la statuizione adottata nel dispositivo della sentenza stessa (con cui, come sopra accennato, il ricorso proposto è stato respinto, e non dichiarato inammissibile: pronuncia, quest’ultima, che si sarebbe imposta in considerazione del rilievo assorbente che doveva assumere l’annullamento del provvedimento concessorio nel quadro di una decisione che si fosse basata su tale dato). Deve farsi quindi applicazione del principio, proprio di giurisprudenza risalente di queste Sezioni Unite, per cui è inammissibile il motivo di ricorso che investe un punto della decisione impugnata privo del carattere di decisività (Cass. Sez. U. 16 ottobre 1972, n. 3081): principio cui si correla l’affermazione, comunemente condivisa, per cui in sede di legittimità non si possono proporre censure avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta, le quali, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (per tutte: Cass. 22 ottobre 2014, n. 22380; Cass. 5 giugno 2007, n. 13068).

Il motivo va dunque dichiarato inammissibile.

2. – Col secondo motivo del ricorso principale si oppone:
violazione dell’art. 65, comma 7, d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 6 delle misure di salvaguardia del PGDA (piano di gestione delle acque) approvato con d.P.C.M. del 27 ottobre 2016; violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, della dir. 2009/28/CE, della l. n. 120/2002, della dir. 2018/2001/UE, del reg. 2018/1999/UE, del PNIEC (piano nazionale integrato per energia e clima) 2021-2010, delle direttive 92/96/CE, 2000/60/CE, 2009/28/CE e degli artt. 2 e 3 l. n. 241/1990; nullità del procedimento in relazione agli artt. 112, 115, 132 c.p.c. e 111 Cost..

La doglianza è da correlare a quanto affermato dal Tribunale superiore delle acque con riguardo al profilo di inammissibilità di cui si è appena detto. La sentenza impugnata, una volta evidenziato il dato – erroneo, come si visto – dell’annullamento della concessione di derivazione sul Federa, ha in sintesi osservato che era mancata una nuova istanza ex art. 2 r.d. n. 1775/1933 (per ottenere la concessione di derivazione) e che nelle more del giudizio era comunque intervenuto l’aggiornamento per gli anni 2015-2021 del PGDA del distretto idrografico delle Alpi orientali, in cui vigeva la misura di salvaguardia che inibiva il rilascio di nuove concessioni ad uso idroelettrico in presenza di un bacino sotteso all’opera di presa con dimensione inferiore o uguale ai 10 kmq.

Osserva la società istante che la norma sovraordinata da cui discende la disciplina richiamata dal Giudice del merito si rinviene nell’art. 65, comma 7, d.lgs. n. 152/2006, secondo cui in attesa dell’approvazione del piano di bacino le autorità di bacino adottano misure di salvaguardia immediatamente vincolanti; rileva, inoltre, che l’art. 6 delle misure di salvaguardia del PGDA consentiva alla Regione di individuare una soglia di superficie non inferiore ai 6 kmq..

In conseguenza, secondo la ricorrente, l’Amministrazione ben avrebbe potuto vagliare una domanda di concessione di derivazione in relazione al torrente Federa, visto che lo stesso aveva una estensione superiore ai 6 kmq..

Anche tale motivo è inammissibile.

Esso aggredisce, al pari del primo, un’affermazione della sentenza impugnata che non presenta carattere di decisività. La sentenza si basa su di un esame del merito dei temi che riguardano l’inadeguatezza dell’impianto: rispetto a tale accertamento la questione circa il rilascio di una nuova concessione resta estraneo alla ratio decidendi, così come vi resta estranea – lo si è visto – la questione circa l’annullamento della vecchia concessione.

3. – Col terzo mezzo la ricorrente principale denuncia la violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost. 115 e 116 c.p.c.; lamenta, altresì, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, l’erronea e falsa applicazione degli artt. 1 e 14 bis l. n. 241/1990, la violazione e falsa applicazione della dir. 2000/60/CE, recepita dal d.lgs. n. 152/2006 e dal d.m. n. 260/2010, dell’art. 5 d.P.R. n. 357/1997 e del d.P.R. n. 120/2003, dell’art. 103 Cost. e del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., nonché della delib. del Consiglio regionale n. 42/2013.

La ricorrente pare lamentare (cfr. quanto dedotto, a mo’ di sintesi, a pag. 23 del ricorso) che il Tribunale superiore delle acque pubbliche abbia basato la pronuncia su di una situazione di fatto «completamente errata», con riguardo alla realtà idrogeologica e allo stato di qualità del corso idrico, e che la sentenza abbia confermato valutazioni dell’Amministrazione da reputarsi inattendibili e contrarie alla normativa vigente.

Le doglianze formulate su questo versante investono l’accertamento del Tribunale superiore delle acque, secondo cui «la ricorrente non [era riuscita] a superare le ravvisate criticità idrogeologiche del sito in cui si dovrebbe collocare il progettato impianto», e ciò avendo segnatamente riguardo a quanto espresso nel parere n. 77/2019, relativo all’impatto dell’impianto stesso sulle fragilità complessive, idrauliche e geologiche, del Federa.

Il mezzo, per la parte che qui interessa, è inammissibile sotto più profili.

Oltre a mostrarsi confuso nella sua articolazione, giacché, a partire della rubrica, cumula disordinatamente una pluralità di doglianze (errores in procedendo, omesso esame di fatti decisivi, violazione e falsa applicazione di norme sostanziali) senza permettere di cogliere con chiarezza le censure onde consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U. 6 maggio 2015, n. 9100; cfr. pure: Cass. 17 marzo 2017, n. 7009; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790), esso si risolve, in gran parte, nella sostanziale confutazione dell’accertamento di fatto riservato al Tribunale superiore delle acque. Deve qui rammentarsi che avverso le decisioni pronunciate, in unico grado o in grado d’appello, dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., per violazione di legge, e soltanto per vizi della motivazione che si traducano nella sua inesistenza, contraddittorietà o mera apparenza, mentre non è consentito al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti, la quale porterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U. 6 novembre 2018, n. 28220; Cass. Sez. U. 5 aprile 2007, n. 8520; Cass. Sez. U. 19 novembre 2001, n. 14541; tra le tante pronunce non massimate sul punto, cfr. ad es., di recente: Cass. Sez. U. 6 giugno 2023, n. 15931; Cass. Sez. U. 31 maggio 2023, n. 15281).

Risulta, d’altro canto, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34776; in senso conforme: Cass. 4 marzo 2021, n. 5987). Con riguardo al vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. è poi da considerare come, nel sollevare tale censura, il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, n. 6, e 369, n. 4, c.p.c., debba indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività» (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054): onere che, Dolomiti Derivazioni non risulta avere assolto.

La ricorrente ha mancato infine di articolare ritualmente pure le censure di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.: infatti, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, n. 4), c.p.c., impone, a pena d’inammissibilità, a chi denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998): nel caso in esame le plurime censure preannunciate nella rubrica del motivo non risultano adeguatamente sviluppate, nel rispetto dell’indicato criterio, all’interno del motivo.

Un discorso a parte merita la questione posta dal ricorrente nello sviluppo espositivo dell’ultima parte del mezzo di censura in esame. Deduce l’istante che la sentenza violerebbe il principio secondo cui le amministrazioni sono tenute a indicare, a norma dell’art. 14 bis l. n. 241/1990, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell’assenso, nonché della normativa in tema di produzione di energie da fonte rinnovabile la quale imporrebbe che il diniego di realizzazione degli impianti sia giustificato da ragioni certe, concrete e immodificabili. La ricorrente evidenzia, sul punto, che le criticità idrogeologiche che avevano determinato il rischio ambientale «alto» connesso alla realizzazione della derivazione, potevano essere facilmente superate attraverso la modificazione del progetto dell’impianto, come dimostrato nel giudizio di primo grado.

Tale censura denota anzitutto una carenza di specificità, in quanto la ricorrente non spiega come tale questione, di cui la sentenza impugnata non si occupa, sia stata sottoposta al Tribunale superiore delle acque pubbliche. Come è noto, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430). Per certo, poi, il tema sollevato imporrebbe un accertamento di fatto quanto alla concreta praticabilità di soluzioni alternative al diniego di autorizzazione dell’impianto: ed è noto che in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorché rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione (Cass. 8 febbraio 2016, n. 2443; Cass. 5 maggio 2006, n. 10319).

Meritano spazio alcune ulteriori considerazioni.

Anzitutto il proponente ha l’onere di illustrare le proprie soluzioni alternative nel SIA (studio di impatto ambientale), giusta l’art. 22, comma 3, lett. d), d.lgs. n. 152 del 2006: e nella fattispecie in esame Dolomiti Derivazioni non ha dedotto ciò sia avvenuto. In ogni caso, poi, l’adozione delle dette soluzioni alternative deve ritenersi preclusa ove le medesime non siano in grado di scongiurare il danno al corso d’acqua o il decadimento del medesimo. In termini generali, lo stesso art. 14 bis, comma 3, l. n. 241/1990, nel testo vigente ratione temporis, prevede che le determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza dei servizi espresse dalle Amministrazioni coinvolte indicano «ove possibile» le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell’assenso.

Nella materia che qui interessa è poi da richiamare la giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui uno Stato membro è tenuto a negare l’autorizzazione di un progetto ove quest’ultimo sia tale da deteriorare lo stato del corpo idrico o da pregiudicare il conseguimento di un «buono stato» dei corpi idrici superficiali o sotterranei, fatte salve le deroghe parimenti previste dall’art. 4 dir. 2000/60/CE (Corte giust. UE 28 maggio 2020, C‑535/18, I.L. e altri, punto 74; Corte giust. UE 1 luglio 2015, Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, C‑461/13, punto 50).

Mancando alcuna evidenza di alternative progettuali che fossero idonee ad evitare l’impatto ambientale negativo dell’intervento (alternative progettuali, che, si ribadisce, nemmeno è allegato siano state prospettate nel SIA dalla società proponente), la censura in esame si mostra priva della necessaria consistenza.

4. – Il quarto motivo del ricorso principale prospetta la violazione per errata e falsa applicazione del principio di precauzione e del principio di non deterioramento, la violazione dell’art. 4, par. 1, lett. a), dir. 2000/60/CE, degli artt. 1, 2, 3, 10 bis l. n. 241/1990, dell’art. 77 d.lgs. n. 152/2006, dell’art. 5 d.P.R. n. 357/1997, come modificato dall’art. 6 d.P.R. n. 120/2003, dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, della dir. 2009/28/CE, della l. n. 120/2002, della dir. 2018/2001/UE, del reg. 2018/1999/UE, del PNIEC (2021-2010), delle direttive 92/96/CE, 2000/60/CE, 2009/28/CE, degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost., 115 e 116 c.p.c..

Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata, «nel proporre il principio di precauzione e di non deterioramento come dirimenti rispetto alla questione posta al vaglio della p.A., appare errata, fuorviante e contraria sia alle norme che regolano l’installazione degli impianti FER [relativi, cioè, a fonti energetiche rinnovabili], sia all’interpretazione degli stessi principi affermati dalla Corte di giustizia e dalla giurisprudenza». Quest’ultima avrebbe infatti chiarito che il principio di precauzione ambientale presuppone la presenza di un rischio di compromissione dell’ambiente che sia scientificamente accertato, sicché non sarebbe accettabile un approccio meramente ipotetico del rischio, che induca a limitare o a vietare determinate attività sulla base di semplici supposizioni; si spiega, poi, che secondo la Corte di giustizia, l’art. 4 dir. 2000/60/CE deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti, salvo concessione di deroga, a negare l’autorizzazione di un progetto qualora esso sia idoneo a provocare un deterioramento e che la corretta interpretazione del principio di cui al par. 7 del cit. art. 4 «determina la vigenza di una norma che non vieta gli interventi che siano potenzialmente negativi, ma solo quelli per i quali sia effettivamente accertato l’effetto dannoso per l’ambiente».

La sentenza impugnata ha effettivamente richiamato il principio di precauzione ambientale, sottolineando come esso giustifichi l’adozione di misure restrittive, purché proporzionate, non discriminatorie e oggettive, «se del caso dando preminenza ai valori ambientali di tutela integrata idraulica ed idrogeologica del rio, rispetto ad altre esigenze ecologiche altrimenti o altrove risolubili»; ha in sostanza evidenziato come la portata delle previsioni di cui all’art. 4 della dir. 2000/60/CE non incontri limitazioni in ragione delle disposizioni circa l’espansione degli impianti FER e che, in particolare, la disciplina contenuta nella detta norma comunitaria imponga comunque il raggiungimento e il mantenimento costante dello Stato qualitativo «buono» di tutte le acque superficiali.

Ora, l’art. 4, par. 1, lett. i), della dir. 2000/60/CE stabilisce che «gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali», così fissando il principio di non deterioramento che è stato recepito nell’art. 76, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 e fatto proprio anche dall’art. 12 bis r.d. n. 1775 del 1933, come sostituito dall’art. 96, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 152/2006; tale principio, come è stato rilevato da queste Sezioni Unite, può considerarsi il precipitato del più generale principio di precauzione, di cui all’art. 191 TFUE, che rappresenta, nell’ordinamento eurounitario, il «cardine della politica ambientale» e che è pertanto sovraordinato rispetto al diritto interno (così, in motivazione, Cass. Sez. U. 4 febbraio 2020, n. 2502, ove il richiamo a Cass. Sez. U. 28 dicembre 2018, n. 33663, non massimata in CED; cfr. pure, sempre in motivazione, Cass. Sez. U. 21 ottobre 2021, n. 29299). Assodato, dunque, che in tema di acque riveste rilievo primario il principio di non deterioramento, che costituisce declinazione di quello di precauzione, va certamente dato atto che detto principio può essere sacrificato in base alla disciplina unionale e nazionale. In particolare, è senz’altro vero che la regola circa l’obbligatorietà delle misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali soffre eccezione nelle fattispecie previste dagli artt. 4, par. 7, della direttiva e 77, comma 10 bis, lett. b), d.lgs. n. 152/2006: e cioè in presenza di una «incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale» che risulti «dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano». Tuttavia, la deroga è ammessa in presenza di precise condizioni, tra cui è ricompresa quella posta dalla lett. b) dell’art. 4, par. 7, della direttiva («le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall’articolo 13 e gli obiettivi sono riveduti ogni sei anni»), cui corrisponde, sul piano della disciplina statuale, la previsione contenuta nell’art. 77, comma 10 bis, lett. b), n. 2), cit. (secondo cui le misure possibili per mitigare l’impatto negativo sullo stato del corpo idrico devono essere «indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni»).

Come evidenziato nel provvedimento impugnato, il piano di gestione delle acque del distretto idrografico non contempla alcuna deroga per i corpi idrici interessati dalla derivazione idroelettrica del rio Federa: il principio di non deterioramento non poteva essere quindi disatteso e l’intervento programmato non doveva essere assentito. In conclusione, il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha fatto corretta applicazione della normativa applicabile e al principio, enunciato dalla giurisprudenza unionale, per cui l’obbligo di impedire un deterioramento continua ad essere vincolante in ogni fase dell’attuazione della dir. 2000/60 ed è applicabile ad ogni tipo e ad ogni stato di corpo idrico superficiale per il quale sia stato adottato un piano di gestione: con la conseguenza che laddove un progetto sia idoneo a determinare effetti negativi per l’acqua esso può essere autorizzato, quantomeno, se sono soddisfatte le condizioni dettate all’articolo 4, par. 7, lettere da a) a d), della medesima direttiva (Corte giust. UE 4 maggio 2016, C 346/14, Commissione europea contro Repubblica d’Austria, punti 64 e 65, con richiamo a Corte giust. UE, C-461/13, cit., punto 50, e a Corte giust. UE 11 settembre 2012, Nomarchiaki Aftodioikisi Aitoloakarnanias e altri, C-43/10 punti 67 e 69).

Né appare concludente la deduzione della ricorrente per cui, in base alla normativa vigente, ad essere vietati sarebbero non già gli interventi potenzialmente negativi, ma «solo quelli per i quali sia effettivamente accertato l’effetto dannoso per l’ambiente». Anzitutto il Tribunale ha attribuito rilievo alle «ravvisate criticità idrogeologiche del sito» e non a mere supposizioni. In secondo luogo, poiché la disciplina complessiva in materia di acque pubbliche, impone, nell’equo contemperamento degli interessi ad essa sottesi, una considerazione pregnante degli aspetti inerenti alla tutela e alla conservazione dell’ambiente e, in particolare, della qualità dei corpi idrici, deve ritenersi conforme alla legge l’adozione di provvedimenti che, nel rapporto tra il principio di precauzione e il principio del sostegno alle energie rinnovabili, reputi prevalente il principio di precauzione a tutela del mantenimento della qualità delle acque (Cass. Sez. U. 29 aprile 2021, n. 11291, in motivazione). Tale conclusione trova conferma nel rilievo per cui l’Amministrazione, nel formulare il giudizio di compatibilità ambientale, esercita una amplissima discrezionalità, che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica ma include profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera: la valutazione di impatto ambientale, infatti, non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, ma un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici e privati (così Cass. Sez. U. 14 aprile 2023, n. 10054, in motivazione).

Il quarto motivo è allora respinto.

5. – Col quinto motivo la società Dolomiti Derivazioni censura la sentenza impugnata per errata e falsa applicazione dell’art. 12 bis, comma 1, lett. a) r.d. n. 1775/1933, del principio di affidamento, degli artt. 11 e 12 preleggi, della delib. del distretto delle Alpi orientali n. 1 del 14 dicembre 2017 e degli art. 1 e 2 l. n. 241/1990.

La società ricorrente lamenta che il Tribunale superiore delle acque pubbliche, pur ammettendo l’inapplicabilità quoad tempus alla fattispecie oggetto di esame della c.d. direttiva derivazioni (delib. del distretto delle Alpi orientali n. 1 del 14 dicembre 2017, assunta in attuazione dell’art. 2 d.m. n. 29/STA del 13 febbraio 2017), abbia considerato la stessa quale miglior strumento tecnico scientifico obiettivo di valutazione del rischio ambientale.

Con l’art. 1 del cit. d.m. n. 29/STA sono state approvate le linee guida per le valutazioni ex ante delle derivazioni idriche in relazioni agli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici superficiali e sotterranei definiti ai sensi della dir. 2000/60/CE, da effettuarsi ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. a), r.d. n. 1775/1933. L’art. 2 del predetto decreto ministeriale prevedeva poi, al comma 1, che le Autorità di bacino distrettuali adeguassero entro il 31 dicembre 2017 gli approcci metodologici da utilizzare nei territori di rispettiva competenza per l’effettuazione delle valutazioni ambientali ex ante delle derivazioni idriche, assicurando la coerenza tra tali criteri e le misure assunte nell’ambito dei piani di gestione delle acque. E’ in applicazione di quest’ultima disposizione che è stata emanata la cit. delib. n. 1 del 14 dicembre 2017, correntemente denominata direttiva derivazioni.

L’art. 7 della direttiva derivazioni, richiamata nel ricorso, prevede che per le istanze in corso d’istruttoria alla data di adozione della direttiva questa assume il valore di linea guida a supporto della valutazione della compatibilità della derivazione rispetto agli obiettivi del piano di gestione vigente.

La ricorrente contesta che i criteri enunciati nella direttiva, che è stata adottata allorquando il procedimento amministrativo era in corso, fossero immediatamente applicabili dall’autorità preposta; assume pure che l’applicazione retroattiva della direttiva risulterebbe non compatibile col principio tempus regit actum.

Il motivo non ha fondamento.

E’ da credere che la questione circa l’utilizzo dei principi da seguire nella valutazione della compatibilità ambientale della derivazione vada svincolata dalla disciplina intertemporale di cui al cit. art. 7: tanto più che il Tribunale superiore delle acque non ha basato il proprio giudizio sulla conformità dell’operato dell’Amministrazione alle prescrizioni di cui alla norma sopra richiamata, avendo anzi rilevato che la conoscenza e la disponibilità del criterio scientifico per la qualificazione del rischio ambientale, non avendo carattere normativo, era «nel libero, ragionevole e proporzionato apprezzamento tecnico discrezionale» del Comitato tecnico regionale incaricato di fornire il parere definitivo sul progetto. Ora, la giurisprudenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, citata dalle due controricorrenti, si è già espressa nel senso cui una metodologia che contenga indicazioni analoghe a quelle di cui qui si dibatte integra un semplice ausilio tecnico all’istruttoria, improntato ad un’analisi probabilistica, derivante dall’applicazione della direttiva comunitaria quadro sulle acque, il cui utilizzo non può ritenersi illegittimo.

Si tratta di un enunciato che merita condivisione. Reputa infatti il Collegio che in mancanza di evidenze quanto all’erroneità tecnicoscentifica o all’illogicità di una metodologia – quale quella contenuta nella delib. del distretto delle Alpi orientali n. 1 del 14 dicembre 2017, assunta in attuazione dell’art. 2 d.m. n. 29/STA del 13 febbraio 2017 – attraverso cui apprezzare il rischio di deterioramento del corpo idrico conseguente al progettato intervento, deve escludersi che la semplice adozione di tale metodologia da parte dell’Amministrazione competente, chiamata a formulare le proprie valutazioni quanto all’impatto ambientale dell’opera, si traduca, di per sé, nell’illegittimità dell’atto emanato da quest’ultima.

Ai fini che interessano non rileva che la metodologia per la valutazione del rischio dipendente dalle nuove derivazioni integri linee guida applicabili ai procedimenti introdotti prima dell’adozione della deliberazione di cui trattasi, giacché non entra in gioco, come si è detto, un obbligo conformativo dell’Amministrazione; conta, invece, che quella metodologia sia concretamente spendibile in assenza di elementi che ne palesino l’erroneità o l’irragionevolezza: e nella presente sede non è denunciato che tali elementi in concreto ricorrano.

6. – Con l’unico motivo di ricorso incidentale, che risulta essere condizionato, la Regione Veneto oppone l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 192 r.d. n. 17751933, oltre che dell’art. 41 d.lgs. n. n. 104/2010.

Il motivo del ricorso incidentale della Provincia di Belluno, anch’esso condizionato, denuncia l’omesso esame di fatto decisivo: fatto consistente nel valore ambientale «elevato» del corso d’acqua Federa siccome emergente dalla procedura di VIA.

I due mezzi, con cui si censura la ritenuta ammissibilità del motivo aggiunto contenuto nell’atto del 14 febbraio 2000 restano assorbiti, giacché ineriscono a ricorsi incidentali condizionati.

7. – In conclusione, il ricorso principale va respinto, mentre i due ricorsi incidentali vanno dichiarati assorbiti.

8. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso principale e dichiara assorbiti i due ricorsi incidentali;
condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della Regione Veneto e della Provincia di Belluno, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per la prima in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, per la seconda in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite il 24/10/2023

 
 

 

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