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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Sicurezza sul lavoro Numero: 28202 | Data di udienza: 8 Luglio 2025

SICUREZZA SUL LAVORO – Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (datori di lavoro, dirigenti, committenti, i preposti e “garanti”) – Centralità della prevenzione – Rischio effettivo – Rischi presenti sul luogo di lavoro – Posizioni di garanzia – Datore di lavoro – Vigilanza – Esclusione di responsabilità – Condotta del lavoratore – Eccezionalità – Abnormità – Esorbitanza – Direttiva 89/391/CEE.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Agosto 2025
Numero: 28202
Data di udienza: 8 Luglio 2025
Presidente: DI SALVO
Estensore: Calafiore


Premassima

SICUREZZA SUL LAVORO – Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (datori di lavoro, dirigenti, committenti, i preposti e “garanti”) – Centralità della prevenzione – Rischio effettivo – Rischi presenti sul luogo di lavoro – Posizioni di garanzia – Datore di lavoro – Vigilanza – Esclusione di responsabilità – Condotta del lavoratore – Eccezionalità – Abnormità – Esorbitanza – Direttiva 89/391/CEE.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 4^, 1° agosto 2025 (ud. 08/07/2025), Sentenza n. 28202

SICUREZZA SUL LAVORO – Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (datori di lavoro, dirigenti, committenti, i preposti e “garanti”) – Centralità della prevenzione – Rischio effettivo – Rischi presenti sul luogo di lavoro – Posizioni di garanzia – Datore di lavoro – Vigilanza – Esclusione di responsabilità – Condotta del lavoratore – Eccezionalità – Abnormità – Esorbitanza.

La normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro è fondata sul principio di matrice Eurounitaria, a partire dalla Direttiva 89/391/CEE, che aveva già trovato attuazione con il d.lgs. n. 626/94, della centralità della prevenzione, il che impone la costante ricerca del rischio effettivo e che non si presta alla sufficienza di un rischio genericamente individuato in ragione del tipo di ambiente lavorativo interessato. I datori di lavoro, dirigenti, committenti, i preposti e tutti coloro che si definiscono “garanti” sono tenuti ad organizzare un sistema atto a prevenire efficacemente gli infortuni e per far ciò è indispensabile individuare quali siano i rischi presenti sul luogo di lavoro e, caso per caso, quale sia stato il rischio in cui si sia concretizzato l’evento ai danni del lavoratore. Il datore di lavoro in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha infatti il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esiqendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile.

(Dich. inamm. il ricorso avverso sentenza del 17/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI MILANO) Pres. Di Salvo, Rel. Calafiore


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 4^, 1° agosto 2025 (ud. 08/07/2025), Sentenza n. 28202

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Omissis nato a M. il ../../….;

avverso la sentenza del 17/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI MILANO

udita la relazione del Consigliere Daniela Calafiore;

letta la memoria depositata dalla Procura Generale, in persona del sostituto Procuratore Silvia Salvadori, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione del GIP del Tribunale della stessa città del 24 novembre 2022, che, in sede di giudizio abbreviato, aveva ritenuto Omissis responsabile dei reati di incendio colposo e lesioni colpose, ai danni di omissis e omissis, per colpa generica e specifica derivante dalla violazione di plurime disposizioni per la prevenzione e sicurezza nei posti di lavoro contenute nel D.Lgs. n. 81 del 2008, in quanto, in qualità di legale rappresentante della ditta” Tree of light” di Omissis, esercente attività di preparazione e vendita di cannabis light, e di datore di lavoro dei dipendenti infortunati, facendo svolgere ai medesimi l’attività lavorativa mediante uso di uno “scaldino” elettrico in locale ove erano presenti bombolette di gas butano, propano e isobutano utilizzate per la lavorazione della canapa, senza utilizzare tutte le dovute cautele idonee ad impedire la formazione di una miscela esplosiva, cagionava per colpa una violenta esplosione con successivo incendio che divampava in modo irrefrenabile e in vaste proporzioni anche su capannoni adiacenti utilizzati da altre ditte, in modo da subire tutti e tre gravi ustioni e lesioni personali di vario tipo. Fatto accaduto in T. il 19 settembre 2019.

Era stata inflitta, al Omissis, la pena di mesi otto di reclusione, ritenuto il concorso formale tra i reati, concesse le attenuanti generiche e ridotta la pena per il rito.

Il giudice di primo grado aveva assolto i due lavoratori dall’imputazione di cooperazione colposa nel reato di incendio ascritto loro unitamente al datore di lavoro.

2. La Corte territoriale ha condiviso la ricostruzione dei fatti adottata dal GIP del Tribunale, che si era avvalsa delle acquisizioni delle relazioni di servizio versate in atti e relative agli interventi del personale tecnico e ispettivo ATS, alla presenza dei Vigili del Fuoco e di Ufficiali di P.G., i quali avevano accertato che nell’area antistante l’ingresso del laboratorio erano presenti innumerevoli bombolette esplose, contenenti in origine una miscela di gas (butano, propano e isobutano) mentre all’interno del locale, vi erano anche materiali ferrosi e non identificabili e cumuli di cenere riconducibili in parte a fiori di cannabis. Si era accertato che l’incendio era divampato mentre i due lavoratori e il loro datore di lavoro erano intenti all’imbustamento e confezionamento della cannabis, allorché si era sprigionata una fiammata da un termoventilatore, che era esploso nelle mani di Omissis e aveva determinato una serie di esplosioni a catena delle bombolette di gas stoccate all’interno del magazzino. Le fiamme avevano poi invaso i locali, alzandosi al di sopra della copertura del capannone. Il datore di lavoro non aveva osservato gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, giacché non aveva valutato i rischi presenti in azienda, non aveva predisposto il Documento di Valutazione dei Rischi, non aveva designato il RSPP e i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio; non aveva informato i lavoratori sui rischi per la salute e la sicurezza in generale e sui rischi specifici dell’attività svolta e non aveva effettuato la formazione dei lavoratori infortunati.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale, il ricorrente, a mezzo del difensore, propone ricorso per cassazione, basato sui seguenti motivi, sintetizzati come segue:

-Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 co. 1 lett. b) ed e, cod. proc. pen., quanto all’affermazione di responsabilità relativamente al capo a) in relazione all’art. 546 c.p.p. nella formazione del giudizio di responsabilità per cooperazione in incendio colposo ai sensi dell’art. 449 cod.pen., per avere la sentenza in modo acritico condiviso la sentenza di primo grado, senza approfondire le puntuali deduzioni difensive, in particolare con riguardo all’affermata insussistenza della prova in ordine al collegamento eziologico tra la condotta dell’imputato e l’esplosione incendiaria avvenuta in un capannone della ditta. Ciò, sia sotto il profilo della colpa generica, in assenza di condotte di negligenza, imprudenza o imperizia nell’utilizzo della strumentazione utile per la lavorazione della canapa, che della colpa specifica appiattita a un giudizio meramente presuntivo nel ritenere che il rischio di verificazione dell’evento-incendio fosse -al momento dei fatti di reato -più elevato rispetto a quello valutato nel documento DVR redatto successivamente.

– Con il secondo motivo, si denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di lesioni colpose, che deriverebbero dall’approccio superficiale e apodittico seguito dal GIP e reiterato dalla Corte d’Appello, posto che dalla responsabilità relativa al reato di incendio si era fatta derivare automaticamente quella per il diverso reato di lesioni. Non si era approfondito neanche il tema della condotta, che, come già si è dedotto per il reato di incendio, si sarebbe dovuto esaminare alla luce dell’accadimento di un caso fortuito.

– Con il terzo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all’applicazione della pena in modo ingiustificatamente eccessivo in riferimento all’aumento per il concorso formale tra i reati contestati sub A) e B) del capo d’imputazione e per aver negato la sospensione condizionale della pena.

4. La Procura generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.

Il primo motivo tende a scardinare l’affermazione di responsabilità evidenziando lacune motivazionali riferite, in primo luogo, all’attribuzione di responsabilità in capo al Omissis in ragione della mera titolarità del rapporto di lavoro, in quanto titolare della ditta Tree of light, e quindi sulla base di una valutazione ex post, nonché, sotto altro profilo, con riguardo alla ricostruzione del giudizio esplicativo. Entrambi i giudici del merito, infatti, sarebbero giunti a ritenere che l’innesco dell’incendio sia dipeso dal termoventilatore utilizzato dallo stesso ricorrente, senza particolari evidenze e senza approfondire il tema del fatto imprevedibile e sopravvenuto che avrebbe potuto scatenare l’incendio Tale evenienza renderebbe insussistente il necessario nesso causale tra le omissioni e la condotta attiva poste a fondamento dei fatti colposi contestati.

2. Il motivo è, quanto al dissenso sul concreto accertamento della dinamica dell’incendio, privo di specificità. In particolare, non considera che dalla condivisione di tale accertamento da parte di entrambi i giudici di merito deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Ulteriore conseguenza della “doppia conforme” di condanna è che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Le altro, Rv. 27201801). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina, in cui il ricorso, sotto l’apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendia probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimità e legittimare una ricostruzione alternativa della dinamica del sinistro.

3. È noto, infatti, che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, ii compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (sez. U. n. 930 del 13/12/1995 -dep. 1996, Clarke, Rv. 20342801; sez.-4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia e altri, Rv. 229369).

4. La motivazione è manifestamente illogica nei caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria può parlarsi quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice -conducenti ad esiti diversi -siano state poste a base del suo convincimento Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105). La sentenza impugnata non mostra tali vizi, né il ricorrente li ha adombrati.

5.Il ricorrente, non indica travisa menti nella valutazione di fonti di prova decisive, anzi, non nega di aver utilizzato il termoventilatore, considerato quale origine dell’innesco nell’accertamento operato nei gradi di merito, ma introduce il dubbio che sia stato il suo imprevedibile malfunzionamento a scatenare l’esplosione e poi le fiamme. Invece i giudici si erano limitati, sulla base delle verifiche effettuate dal personale tecnico e ispettivo ATS alla presenza dei vigili del Fuoco, oltre che delle dichiarazioni dei lavoratori presenti e infortunati omissis e omissis (assolti in primo grado con la formula “per non avere commesso il fatto”), a ritenere integrata la prova del nesso di causalità perché tale macchinario era esploso improvvisamente nelle mani di Omissis, e così aveva determinato la serie di esplosioni a catena delle bombolette di gas stoccate nel magazzino che avrebbe provocato l’incendio.

6. Peraltro, tale approccio critico oltre che inammissibile per i limiti del giudizio di legittimità, è anche profondamente errato nella impostazione in diritto, con riferimento alla matrice degli obblighi gravanti sulla figura del datore di lavoro nella gestione dei rischi presenti nell’ambiente lavorativo. Questa corte di legittimità ha da tempo fissato alcuni principi in questa materia che qui vanno fortemente ribaditi. In primo luogo; la normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro è fondata sul principio di matrice Euro unitaria, a partire dalla Direttiva 89/391/CEE, che aveva già trovato attuazione con il D.Lgs. 19 settembre 1994, n.626, della centralità della prevenzione, il che impone la costante ricerca del rischio effettivo e che non si presta alla sufficienza di un rischio genericamente individuato in ragione del tipo di ambiente lavorativo interessato.

I datori di lavoro, dirigenti, committenti, i preposti e tutti coloro che si definiscono “garanti” sono tenuti ad organizzare un sistema atto a prevenire efficacemente gli infortuni e per far ciò è indispensabile individuare quali siano i rischi presenti sul luogo di lavoro e, caso per caso, quale sia stato il rischio in cui si sia concretizzato l’evento ai danni del lavoratore. Il datore di lavoro in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha infatti il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esiqendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986 del 2012, Rv. 254365; Sez. 4 n. 3787 del 2015).

Il capo d’imputazione è stato strutturato, nel caso concreto, con specifico riferimento alla condotta omissiva del datore di lavoro (artt. 17, co. 1 lett. b), 36, co. 1, lett. a) e 2 lett. a) 37, co. 1 D.Lgs. n. 81 del 2008) e il rischio descritte nell’ipotesi accusatoria in conseguenza di tale condotta omissiva è stato più in dettaglio definito nelle sentenze, individuando quali norme cautelari in quanto violate, hanno fondato l’accusa di condotta colposa specifica.

7. Quanto al reato di lesioni di cui al capo b), oggetto delle critiche sollevate nel secondo motivo, la motivazione/per quanto essenziale, è sufficientemente argomentata, ravvisando la responsabilità in relazione a tale reato in ragione del fatto che le lesioni in questione, concretizzatesi in ustioni sui corpi dei collaboratori del prevenuto, sono certa conseguenza dell’incendio di cui Omissis era responsabile, e quindi integranti un separato segmento del processo causale derivante dalla medesima condotta colposa in violazione delle norme a tutela della salute pubblica.

La tesi sostenuta evoca la violazione dell’art. 192 c.p.p. nella formazione del convincimento sulla base del presupposto fondante il primo motivo di ricorso, ovvero la non attribuibilità colposa dell’incendio a Omissis E risulta erronea per quanto sopra chiarito sulla assenza di fatto interruttivo del nesso causale tra le cautele che Omissis avrebbe dovuto adottare per prevenire il rischio di incendio e le lesioni riportate.

8. Le censure volte a mettere in discussione la motivazione sulla eccessività del trattamento sanzionatorio e sulla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena (terzo motivo), sono manifestamente infondate, avendo messo in rilievo la Corte territoriale una pena fissata nei minimi, con concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione ed aumenti di pena per le lesioni personali alquanto contenuti (due mesi di reclusione per ciascun lavoratore). Né la Corte territoriale trascura di sottolineare la capacità criminale di Omissis ed un giudizio prognostico negative rilevante ex art. 168 c.p. (in ragione di due pregressi patteggiamenti per reati contro la salute pubblica estinti per il tempo trascorso, entrambi con il beneficio della sospensione condizionale della pena), così assolvendo adeguatamente al proprio obbligo motivazionale con argomenti non sindacabili nel merito in quanto conformi all’art. 133 co. 2 cod. pen. (tra cui parametri si annovera pure la condotta di vita del reo antecedente al fatto) per la formulazione del suddetto giudizio.

Si tratta di decisione conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini del diniego della sospensione condizionale della pena; la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna, costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato cui essa si riferisce (Sez. 3 n. 43095 del 12/10/2021, rv. 282377).

All’inammissibilità del ricorso consegue ex art. S86 cod. proc. pen. la condanna alle spese processuali, nonché alla sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non ricorrendo una ipotesi di inammissibilità incolpevole ai sensi della sentenza n. 186/2000 della Corte Cost.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così è deciso in Roma,l’8 luglio 2025.

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