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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Diritto processuale civile Numero: 31355 | Data di udienza: 2 Ottobre 2025

DIRITTO DEL LAVORO – Qualifica superiore – Riconoscimento – Sulla base delle mansioni effettivamente disimpegnate – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Conclusioni CTU – Adesione del giudice – Inammissibilità di sindacato in Cassazione – Eccezioni – Vizio di motivazione ex art. 360 – Vizio di motivazione per omesso esame di una prova – Perizia stragiudiziale valore di indizio (non di prova).


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: 4^ LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Dicembre 2025
Numero: 31355
Data di udienza: 2 Ottobre 2025
Presidente: DORONZO
Estensore: RIVERSO


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Qualifica superiore – Riconoscimento – Sulla base delle mansioni effettivamente disimpegnate – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Conclusioni CTU – Adesione del giudice – Inammissibilità di sindacato in Cassazione – Eccezioni – Vizio di motivazione ex art. 360 – Vizio di motivazione per omesso esame di una prova – Perizia stragiudiziale valore di indizio (non di prova).



Massima

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 4^ LAVORO, 1° Dicembre 2025 (ud. 02/10/2025), Ordinanza n. 31355

 

 

DIRITTO del LAVORO – Qualifica superiore – Riconoscimento – Sulla base delle mansioni effettivamente disimpegnate.

La qualifica superiore va riconosciuta a seguito dell’operazione di raffronto fra le mansioni concretamente disimpegnate e le qualifiche contrattuali che vengono in rilievo.

 

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Conclusioni CTU – Adesione del giudice – Inammissibilità di sindacato in Cassazione – Eccezioni – Vizio di motivazione ex art. 360 – Vizio di motivazione per omesso esame di una prova – Perizia stragiudiziale valore di indizio (non di prova).

L’adesione del giudice alle conclusioni del ctu non può essere sindacata in Cassazione poiché costituisce una valutazione di merito, salvo che non si configuri un vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 (per omessa valutazione di un fatto decisivo) oppure ex art 360 n. 4 cpc una ipotesi di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Inoltre, il vizio di motivazione per omesso esame di una prova può identificarsi nel solo caso in cui essa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento. Tale situazione non può essere integrata dall’omessa valutazione da parte del giudice delle considerazioni critiche mosse dal ctp alla ctu sempre che la sentenza sia comunque fondata su argomenti logici e corretti sia in diritto che in fatto. Infatti, “la perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto” (Cass. n. 5667/2025).

(Rigetta il ricorso promosso avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. 69/2021) Pres. DORONZO, Rel. RIVERSO


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 4^ LAVORO, 1° Dicembre 2025 (ud. 02/10/2025), Ordinanza n. 31355

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

omissis

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 25607-2021 proposto da
CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati VITTORIO BECHI, STEFANO CHITI;

– ricorrente –

CONTRO

omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato SIRO CENTOFANTI;

– controricorrente –

nonché contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI, ESTER ADA SCIPLINO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 69/2021 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 12/04/2021 R.G.N. 115/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/10/2025 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO.

RITENUTO IN FATTO

Omissis, dipendente della CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO Spa, con ricorso del 28/2/2005, chiedeva al Tribunale di Orvieto, Sezione lavoro, il riconoscimento della categoria di funzionario o, in subordine, di quadro direttivo e le relative differenze retributive con decorrenza dal 15/7/1994, assumendo di avere svolto, da quella data, sino al marzo 1996, mansioni di Responsabile del Reparto CED della detta Cassa di Risparmio. Chiedeva, altresì, l’accertamento della illegittimità della condotta della società datrice di lavoro, con conseguente condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni dallo stesso subiti, deducendo che, successivamente al marzo 1996, era stato adibito a mansioni inferiori, essendo stato, in sostanza, emarginato e privato di quelle che gli sarebbero spettate.

Con sentenza non definitiva depositata il 16/4/2010, il Tribunale dichiarava l’intervenuta prescrizione del diritto alle differenze retributive richieste dal dipendente, con riferimento al periodo sino al 9/12/1997; dichiarava, inoltre, che il omissis aveva svolto le mansioni superiori di quadro dal 15/7/1994 al 30/3/1996 e, per l’effetto, condannava la Cassa di Risparmioad inquadrare lo stesso nella qualifica corrispondente a partire dal novantesimo giorno dal 15/7/1994, ed altresì alla corresponsione delle differenze economiche tra la retribuzione versata ed il trattamento corrispondente alle superiori mansioni svolte ed a versare all’INPS i relativi oneri contributivi.

Con sentenza definitiva del 24/9/2010, lo stesso Tribunale condannava la datrice di lavoro CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO S.p.A.al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 34.098,55 a titolo di differenze retributive.

Quest’ultimo interponeva appello avverso le due sentenze con atto depositato il 16/4/2011, chiedendo la riforma di entrambe le sentenze.

La Corte territoriale di Perugia, con sentenza depositata il 28/3/2012, dichiarava l’inammissibilità del gravame, non avendo il dipendente fatto riserva di appello, ai sensi dell’art. 340 c.p.c., avverso la sentenza non definitiva con la quale il Tribunale aveva parzialmente accolto la domanda.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 13957/2018 ha cassato la pronuncia di inammissibilità rinviando alla Corte di appello di Perugia per un nuovo giudizio.

La Corte d’Appello di Perugia, con la sentenza in atti, oggetto del presente giudizio di cassazione, decidendo quale giudice di rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione sopra indicata, ha dichiarato che omissis aveva diritto ad essere inquadrato nella qualifica superiore di quadro a decorrere dal 14 ottobre 1994 ed ha condannato la CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO Spa al pagamento delle differenze retributive quantificate nei limiti della prescrizione quinquennale nella complessiva somma di Euro 34.098,55; ha condannato inoltre la Cassa di Risparmio al risarcimento del danno professionale che ha liquidato nella somma di Euro 35.000,00 ed al risarcimento del danno biologico che ha liquidato nella somma attuale di Euro 31.948,00 ; ha respinto ogni ulteriore pretesa e compensato per un quarto le spese di tutti i gradi del giudizio, condannando per il resto la Cassa di Risparmio alla rifusione delle spese per i residui tre quarti.

A fondamento della sentenza la Corte d’Appello ha affermato che in forza delle mansioni effettivamente svolte il omissis aveva diritto ad essere inquadrato nella qualifica superiore di quadro (grado unico pari a quello minimo) a decorrere dal novantesimo giorno successivo a quello di assegnazione alle mansioni superiori e quindi dal 14 ottobre 1994 con diritto al pagamento della somma dovuta, nonché al versamento in favore dell’Inps degli oneri previdenziali e contributivi derivanti dal superiore inquadramento.

In relazione alla domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’attribuzione di mansioni inferiori, la Corte d’Appello ha affermato che le mansioni che erano state assegnate al omissis successivamente al 31 marzo 1996, erano connotate da una professionalità di livello inferiore rispetto a quella in precedenza raggiunta per effetto dello svolgimento dell’incarico di preposto al reparto CED gestione software di base e sviluppo software applicativo, trattandosi di mansioni tipicamente impiegatizie.

Ciò posto la dequalificazione professionale subita da omissis comportava la responsabilità contrattuale della CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO Spa per inadempimento agli obblighi diretti a salvaguardare l’equivalenza professionale, l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore garantiti dagli artt. 2103 e 2087 c.c. a prescindere dalla mancanza di un intento persecutorio o dall’inesistenza di una fattispecie di mobbing, per come riscontrato dal giudice di primo grado.

Per quanto riguardava i danni, l’assegnazione a mansioni inferiori rappresentava un fatto potenzialmente idoneo a produrre una pluralità di conseguenze dannose, sia di natura patrimoniale che di natura non patrimoniale (v. per tutte Cass. 12253 del 2015). Dagli elementi di fatto acquisiti al giudizio, secondo la Corte, emergeva la prova del danno alla professionalità derivante sia dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e dalla compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità, sia sotto il profilo della lesione recata all’immagine professionale ed alla dignità personale del lavoratore in particolare all’interno della cerchia dei colleghi ai quali era precedentemente preposto ed in misura minore anche degli altri colleghi che operavano nello stesso ambiente di lavoro; tali danni di natura non patrimoniale sono stati equitativamente liquidati nella misura di 35.000 Euro pari circa ad un decimo della retribuzione annua per il periodo di svolgimento delle mansioni inferiori; oltre al danno professionale la Corte, sulla base dell’espletamento di una c.t.u. medico-legale, ha liquidato il danno biologico permanente con personalizzazione.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO con cinque motivi di ricorso ai quali ha resistito con controricorso omissis Le parti hanno depositato memorie prima dell’udienza. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. poiché la rivendicazione volta ad ottenere il superiore inquadramento presuppone l’esame di entrambe le declaratorie contrattuali in tesi violate, ovvero con riferimento sia a quella applicata dal datore di lavoro, sia a quella indebitamente non assegnata ritenuta coerente con i compiti affidati; mentre la Corte territoriale aveva omesso di raffrontare le mansioni concrete svolte da omissis con la declaratoria del livello di inquadramento assegnategli dalla Banca di impiegato di primo livello.

2. – Con il secondo motivo, si deduce violazione falsa applicazione degli artt. 2103, 1218, 1223, 1226, 2043, 2087 2697, ex art. 360 n. 3 c.p.c., poiché in tema di danno da demansionamento il risarcimento del danno professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo, dell’esistenza di un pregiudizio oggettivamente accertabile, che non è conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella su indicata categoria, mentre la Corte d’Appello ha liquidato in via equitativa il danno alla professionalità senza che omissis avesse assolto l’onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale in particolare con riguardo alla perdita di chances e alla progressione di carriera, aspetti questi che la stessa Corte territoriale ha ritenuto di essere sforniti di allegazione e prova da parte di omissis

3. – Con il terzo motivo, si deduce la nullità della sentenza per violazione falsa applicazione degli artt. 132, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111, comma VI della Costituzione ex art. 360, n. 4 c.p.c. poiché da un lato la Corte d’Appello ha ammesso esplicitamente l’assenza di specifiche deduzioni e prove da parte di omissis circa il pregiudizio subito in tema di danno professionale patrimoniale per perdita di chance e progressione di carriera, mentre dall’altro – in modo contraddittorio ed irrazionale (quindi senza una motivazione sostenibile) – ha riconosciuto il danno alla professionalità in via equitativa senza correlarlo ad uno specifico pregiudizio accertato neanche in via presuntiva.

4. – Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art.360 n. 5 c.p.c., in ordine alla determinazione del danno non patrimoniale nella sua componente relativa al danno biologico per avere la Corte distrettuale statuito sul punto in apodittica adesione alle conclusioni della c.t.u. di prime cure, disattesa dal primo giudice, omettendo di dare conto della ritenuta irrilevanza degli specifici e dettagliati rilievi critici dei ctp.

5. – Con il quinto motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 D.P.R. 1124/1965,13 D.Lgs. n. 38/2000, 1218, 1223, 1226, 2043, 2087 e 2697 c.c. (ex art. 360 n. 3 c.p.c.) poiché il danno biologico verificatosi all’interno della funzionalità del rapporto di lavoro subordinato deve essere quantificato tenendo conto del complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, ma da esso deve essere detratto quanto risultato o sarebbe risultato indennizzabile da parte di Inail in base ai parametri legali; tale operazione di scomputo doveva essere effettuata ex officio anche quando Inail non abbia in concreto provveduto all’indennizzo o non sia stato attivato, mentre la Corte distrettuale ha gravato la società dell’intero danno biologico, in tal modo sbagliando a non liquidare solo il c.d. danno differenziale scomputando quanto avrebbe dovuto e comunque potuto liquidare Inail a omissis, ciò costituendo violazioni delle disposizioni esonerative della responsabilità civilistica datoriale.

6. – Il primo motivo di ricorso è infondato, atteso che la Corte d’Appello, premesso che la qualifica superiore andava riconosciuta a seguito dell’operazione di raffronto fra le mansioni concretamente disimpegnate e le qualifiche contrattuali che venivano in rilievo, ha effettuato correttamente la necessaria valutazione comparativa trifasica delle mansioni svolte dal lavoratore (ed accertate in giudizio) – la quale non richiede formule sacramentali e può risultare anche per implicito – su entrambe le declaratorie contrattuali che venivano in rilievo nel caso di specie; avendo, in effetti, osservato che l’art. 8 del CCNL prevedeva le mansioni svolte dal ricorrente, mentre non appariva congruo l’inquadramento nella categoria degli impiegati di appartenenza, neanche tenuto conto del grado 1 di capoufficio riconosciuto al ricorrente a decorrere dal 1 aprile 1988 e la possibilità di preporre anche gli impiegati alle dipendenze (art. 9 lett. c, CCNL citato) stante la particolare responsabilità gerarchica ricoperta (v. pag. 23 della sentenza impugnata).

Quella operata dalla Corte configura quindi una motivazione ampia e razionale, che si fonda sulla valutazione del materiale probatorio e che risulta del tutto aderente alle regole indicate nella rubrica, talchè essa si sottrae del tutto alle infondate censure sollevate con lo stesso primo motivo di ricorso.

7. – Il secondo ed il terzo, da affrontare unitariamente per connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. Anzitutto perché la Corte d’Appello ha riconosciuto il danno alla professionalità sotto il profilo non patrimoniale attraverso il procedimento presuntivo; mentre non ha riconosciuto alcun danno patrimoniale su cui si appuntano le doglianze della ricorrente. La Corte ha affermato che dagli elementi di fatto acquisiti in giudizio emergeva la prova del danno alla professionalità subita dal lavoratore, avuto riguardo all’attribuzione al medesimo in epoca successiva al marzo 1996 e perfino successiva all’introduzione del presente giudizio (febbraio 2005) di compiti indubbiamente inferiori quali cassiere o addetto a vari uffici.

Secondo la Corte il danno derivava dall’impoverimento alla capacità professionale del lavoratore e dalla compromissione delle aspettative di sviluppo e della personalità in ambito lavorativo, sia pure non esattamente stimabile sotto il profilo patrimoniale in mancanza di specifiche deduzioni e prove circa la perdita di maggiori capacità di guadagno derivanti dalla mancata progressione in carriera; rilevava inoltre la lesione arrecata all’immagine professionale e alla dignità personale del lavoratore, derivante dall’innegabile offesa della propria considerazione per effetto della destinazione a mansioni che ne sminuivano la figura professionale, in particolare all’interno della cerchia dei lavoratori e ai quali era precedentemente preposto ed in misura minore degli altri colleghi che operavano nello stesso ambiente di lavoro.

La Corte ha sì affermato che maancavano specifiche deduzioni e prove relativamente alla “perdita di maggiori capacità di guadagno derivanti dalla mancata progressione in carriera” ma ha comunque “ribadito” che quello liquidato, in via equitativa, in sentenza integrava una voce di danno esclusivamente di natura non patrimoniale (specificamente soffermandosi sugli aspetti non patrimoniali del danno alla professionalità). Allo scopo la stessa Corte di appello non ha affermato che ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale era sufficiente l’evento o il mero illecito di natura contrattuale; ma ha bensì accertato anche l’esistenza autonoma del danno, inteso come conseguenza distinta e derivata dallo stesso illecito, sia pure servendosi all’occorrenza di presunzioni.

Non c’è quindi alcuna contraddizione né vizio di altra natura nella motivazione nella sentenza impugnata, mentre è piuttosto la censura sollevata con il motivo a non cogliere la ratio decidendi della pronuncia che non ha mai proceduto alla liquidazione di alcun danno di natura patrimoniale.

8. – Il quarto motivo va dichiarato inammissibile posto che non si può configurare un vizio della motivazione, ai sensi dell’art.360 n. 5 c.p.c., nella denuncia dell’omessa valutazione di elementi probatori desumibili dalle perizie di parte degli ctp, atteso che la norma attiene alla omessa valutazione di fatti principali e secondari, discussi dalle parti, dotati del carattere di decisività.

Inoltre secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte il vizio di motivazione per omesso esame di una prova può identificarsi nel solo caso in cui essa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (Cass.n. 18072/2024, n. 16214/2019, Cass. 2085/95; Cass. 7472/17; Cass. 26764/19); tale situazione non può essere integrata dall’omessa valutazione da parte del giudice delle considerazioni critiche mosse dal ctp alla ctu sempre che la sentenza sia comunque fondata su argomenti logici e corretti sia in diritto che in fatto. V. infatti Cass. n. 5667 del 04/03/2025 secondo cui “la perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto”. Pertanto costituisce ius receptum all’interno di questa Corte l’orientamento secondo cui l’adesione del giudice alle conclusioni del ctu non può essere sindacato in cassazione poichè costituisce una valutazione di merito, salvo che non si configuri appunto un vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 (per omessa valutazione di un fatto decisivo) oppure ex art 360 n. 4 cpc una ipotesi di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (secondo la nota formulazione di Cass. SU sentenze n. 8053 e 8054 del 2014).

9. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile perché è nuova la censura sollevata in merito all’omesso scomputo dal danno biologico liquidato in sentenza per malattia professionale del danno biologico indennizzabile dall’Inail. Ed invero l’eccezione di detrazione dell’indennizzo INAIL dal risarcimento spettante a seguito di infortunio o malattia professionale non è una eccezione in senso stretto ma in senso lato ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado; tuttavia la relativa questione giuridica implica l’accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi per l’operatività della copertura assicurativa INAIL (che non è universale ed è caratterizzata da persistente selettività) e l’accertamento in fatto della malattia e dei danni indennizzabili dall’assicuratore sociale (patrimoniale e biologico) con i criteri (speciali) stabiliti dall’ordinamento assicurativo; pertanto la stessa non può essere sollevata per la prima volta in cassazione incorrendo nella preclusione per inammissibilità della censura (cfr. sul punto Cass. n. 3473 del 11/02/2025).

10. – Sulla scorta delle precedenti considerazioni il ricorso in oggetto deve essere quindi complessivamente rigettato.

11. – Le spese di lite da liquidarsi in favore del controricorrente seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

12. – Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, D.P.R.115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 5.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003 e succ. mod., in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi del controricorrente.
 
Così deciso in Roma il 2 ottobre 2025.

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