DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Giudizio di legittimità – Trattazione congiunta di una pluralità di ricorsi relativi a medesima vicenda – La relativa istanza deve essere sorretta da ragioni idonee. (Segnalazione e massima a cura dell’avv. Paolo Cotza)
Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Settembre 2025
Numero: 25136
Data di udienza: 13 Marzo 2025
Presidente: ORILIA
Estensore: BESSO MARCHEIS
Premassima
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Giudizio di legittimità – Trattazione congiunta di una pluralità di ricorsi relativi a medesima vicenda – La relativa istanza deve essere sorretta da ragioni idonee. (Segnalazione e massima a cura dell’avv. Paolo Cotza)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 2^, 13 settembre 2025 (ud. 13/03/2025), Ordinanza n. 25136
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Giudizio di legittimità – Trattazione congiunta di una pluralità di ricorsi relativi a medesima vicenda – La relativa istanza deve essere sorretta da ragioni idonee.
L’istanza per la trattazione congiunta di una pluralità di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli artt. 115 e 82 disp. att. c.p.c., è necessario che debba essere sorretta da ragioni idonee a evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all’accoglimento della richiesta, bilanciamento che dev’essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell’impulso d’ufficio che lo caratterizza.
(Rigetta il ricorso promosso avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, n. 92/2019) Pres. ORILIA, Rel. BESSO MARCHEIS
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 2^, 13 settembre 2025 (ud. 13/03/2025), Ordinanza n. 25136SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22208/2019 R.G. proposto da:
omissis, omissis, omissis, rappresentati e difesi dall’avvocato omissis e dall’avvocato D’ACUNTI STEFANO ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9;
– ricorrenti –
CONTRO
CONSOB, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. MARTINI 3, presso gli avvocati PALMISANO PAOLO, PALOMBELLA ANNUNZIATA che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 92/2019, depositata il 15/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS.
RITENUTO IN FATTO
1. omissis, omissis e omissis, che hanno rivestito le cariche, il primo, di presidente del collegio sindacale di Veneto Banca, il secondo e il terzo di componenti del collegio sindacale della medesima, hanno impugnato davanti alla Corte d’Appello di Venezia la delibera n. 20033 del 14 giugno 2017 (così come rettificata con delibera n. 20057 del 6 luglio 2017) emessa dalla Commissionale Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB), con la quale era stata inflitta la sanzione di Euro. 65.000 per ciascuno. Gli opponenti, come altri esponenti della medesima Banca, erano stati sanzionati per cinque violazioni: (a) per la violazione dell’art. 21, comma 1, lett. d, TUF e dell’art. 15 del Regolamento congiunto Banca d’Italia/CONSOB del 29 ottobre 2007, nonché dell’art. 21, comma 1, lett. a, TUF e degli artt. 39 e 40 del Regolamento CONSOB n. 16190 del 29 ottobre 2007 (periodo di riferimento: 1 giugno 2011 – 31 dicembre 2015), per avere la Banca omesso di dotarsi di procedure adeguate e tenuto comportamenti contrari a correttezza, diligenza e trasparenza in materia di valutazione di adeguatezza di operazioni; (b) per la violazione dell’art. 21, comma 1 lett. a, TUF (periodo di riferimento: 18 dicembre 2012 – 31 agosto 2015), per avere la Banca tenuto comportamenti irregolari, tra l’altro, nell’ambito dei “trasferimenti fra privati” delle azioni Veneto Banca e dei finanziamenti concessi ai clienti per l’acquisto delle azioni di propria emissione; (c) per la violazione dell’art. 21, comma 1, lett. d, del TUF e dell’art. 15 del Regolamento congiunto Banca d’Italia/CONSOB del 29 ottobre 2007 nonché dell’art. 21, comma 1, lett. a, TUF e dell’art. 49, commi 1 e 3, del Regolamento CONSOB n. 16190 del 29 ottobre 2007 (periodo di riferimento: 1 giugno 2011 – 10 febbraio 2015) per avere la Banca omesso di dotarsi di procedure adeguate e tenuto comportamenti contrari a correttezza, diligenza e trasparenza in materia di gestione degli ordini dei clienti; (d) per la violazione dell’art. 21, comma I, lett. d, TUF e dell’art. 15, comma 1, del Regolamento congiunto Banca d’Italia/ CONSOB del 29 ottobre 2007 (periodo di riferimento: 1 giugno 2011 – 18 aprile 2015) per avere la Banca omesso di dotarsi di procedure adeguate in materia di pricing delle azioni di propria emissione; (e) per la violazione dell’art. 8, comma 1 TUF per avere fornito alla CONSOB, in occasione dell’operazione di aumento di capitale 2014, informazioni rivelatesi non veritiere a seguito degli accertamenti ispettivi (periodo di riferimento: 12 giugno 2014 – 12 gennaio 2015).
Con la sentenza 15 gennaio 2019, n. 92, la Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’opposizione, ha ridotto l’ammontare della sanzione, rideterminandola nella somma di Euro 50.000 per ciascun ricorrente.
2. Avverso questa pronuncia ricorrono per cassazione omissis, omissis e omissis sulla base di tredici motivi.
Resiste con controricorso la CONSOB.
Memoria è stata depositata sia dai ricorrenti che dalla controricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare va respinta l’istanza del 19 febbraio 2025 dei ricorrenti che hanno chiesto la trattazione congiunta del presente ricorso con altri due ricorsi da essi proposti contro CONSOB, trattandosi di procedimento pendente in sede di legittimità da quasi sei anni (sulla necessità che l’istanza per la trattazione congiunta di una pluralità di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli artt. 115 e 82 disp. att. c.p.c. debba essere sorretta da ragioni idonee a evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all’accoglimento della richiesta, bilanciamento che dev’essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell’impulso d’ufficio che lo caratterizza, cfr. Cass., sez. un., n. 8774/2021).
Ciò premesso e passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 1, della legge 262/2005 e dell’art. 195, comma 2, TUF, dell’art. 24, comma 1, della legge 262/2005, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e della legge 241/1990: secondo i ricorrenti, la motivazione della sentenza impugnata non coglie la portata innovativa dell’art. 24, comma 1, della legge n. 262/2005 e dei principi in tale disposizione affermati, ossia la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio, la verbalizzazione, la distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione; osservano che la procedura sanzionatoria prevede ancora l’attribuzione dei distinti momenti istruttorio e decisorio a strutture organizzative nell’ambito dello stesso ente prive del requisito della separatezza richiesta dalla legge.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c. La sentenza impugnata ha deciso infatti la questione di diritto in esame in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi per mutare tale orientamento. La questione della tutela del principio del contraddittorio (del quale il principio della piena conoscenza degli atti istruttori e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie costituisce articolazione specifica) nel procedimento di accertamento e irrogazione di sanzioni amministrative in materia di intermediazione finanziaria è stata definita dalle sezioni unite con la sentenza n. 20935/2009, ove si è appunto affermato che, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, è sufficiente che venga effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; con la precisazione che i precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111 Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all’emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi; cosicché l’incompleta equiparazione dei procedimento amministrativo a quello giurisdizionale non viola in alcun modo la Costituzione. Il Collegio ritiene che tale conclusione – ribadita da questa sezione con numerose pronunzie (v. in particolare Cass. n. 8210/2016 e Cass. n. 3248/2022, che si è pronunciata sulla medesima vicenda oggetto del presente processo) e alla quale la decisione della Corte territoriale risulta perfettamente allineata (v. le pagg. 13-14 della sentenza impugnata) – sia da condividere e vada mantenuta ferma. Si richiamano anche Cass. n. 10346/2024, e n. 10212/2024.
2. Il secondo motivo allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., della legge 241/1990, dell’art. 4, comma 2, del Regolamento CONSOB, nella parte in cui fissa la durata del procedimento sanzionatorio in duecento giorni decorrenti dal trentesimo giorno successivo alla data di perfezionamento della notificazione della lettera di contestazione degli addebiti: considerato che la contestazione degli addebiti è stata notificata da CONSOB il 3 maggio 2016 e il termine per la presentazioni delle controdeduzioni decorreva dal 2 giugno 2016, il termine di duecento giorni era ampiamente scaduto quando, in data 8 agosto 2017, è stato notificato il provvedimento sanzionatorio.
Il motivo è infondato.
Come ha evidenziato la pronuncia impugnata (cfr. pag. 15), il procedimento preordinato alla irrogazione di sanzioni amministrative, nella specie irrogate dalla CONSOB, è compiutamente retto dai principi sanciti dalla legge n. 689 del 1981, sicché non assumono rilevanza i termini per la conclusione del procedimento fissati con regolamento interno della medesima CONSOB. L’interpretazione giurisprudenziale costante di questa Corte nega altresì natura perentoria al termine per la irrogazione delle sanzioni di cui dall’art. 195 del D.Lgs. n. 58 del 1998, che pertanto non può determinare alcuna decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria (cfr. Cass. n. 4363/2015, Cass. n. 9517/2018 e Cass. n. 31239/2021; cfr. anche Cass. n. 3248/2022).
3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24, comma 1, della legge 262/2005, 195 TUF, 4 del Regolamento CONSOB, 14 della legge 689/1981, 97 Cost. e della legge 241/1990: a dire dei ricorrenti, la Corte d’Appello ha erroneamente respinto il motivo di opposizione che faceva valere la decadenza della CONSOB dalla potestà sanzionatoria, in quanto la Commissione era pienamente a conoscenza dal 25 novembre 2013 della drammatica situazione patrimoniale, gestoria e strategica di Veneto Banca, alla luce delle segnalazioni provenienti da Banca d’Italia e dallo stesso collegio sindacale.
Anche questo motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha accertato che la relazione ispettiva di Banca d’Italia è stata inviata a CONSOB soltanto nel luglio 2015, mentre in precedenza era stata trasmessa una mera informativa su numerose criticità in ordine a svariati aspetti della conduzione della Banca, e che solo nel corso dell’ispezione avviata da CONSOB Banca d’Italia trasmise l’integrale rapporto ispettivo, con la conseguenza che il dies a quo per procedere alle contestazioni andava individuato nel deposito dell’ultima relazione ispettiva di CONSOB del 10 marzo 2016 e il termine stabilito dall’art. 195 TUF risultava rispettato.
Il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte che ha ribadito che, in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della CONSOB, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tenere conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni (così Cass. n. 21171/2019), competendo al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (cfr. Cass. n. 27405/2019; v. anche Cass. 28619/2024).
4. Il quarto e il quinto motivo sono strettamente connessi.
Il quarto motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 24, comma 1, della legge 262/2005, 195 TUF, del Regolamento CONSOB sul procedimento sanzionatorio, travisamento della prova, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c.: la Corte d’Appello ha rigettato il quinto motivo di opposizione con il quale i ricorrenti avevano lamentato che il provvedimento sanzionatorio aveva fatto riferimento ad atti e documenti non conosciuti, comprese talune e-mail personali, risultando così il procedimento viziato, frutto di un travisamento dei fatti con riferimento al verbale della riunione del consiglio di amministrazione dell’8 aprile 2014, sostenendo erroneamente che il motivo era inammissibile per la sua estrema genericità, non avendo i ricorrenti nemmeno specificato quali atti istruttori non conosciuti sarebbero stati valorizzati nel provvedimento sanzionatorio.
5. Il quinto motivo lamenta violazione degli artt. 112 e 132, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: le circostanze illustrate con il quarto motivo rilevano anche sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio, appunto il fatto che il verbale della riunione del consiglio di amministrazione della Banca dell’8 aprile 2014 è antecedente all’assunzione della carica da parte di omissis e omissis mentre per quanto concerne omissis ha omesso di riconsiderare quanto risultante dal provvedimento della Procura della Repubblica di Roma del 26 maggio 2017.
Questi due motivi sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha respinto la censura sull’illegittimo riferimento ad atti e documenti non conosciuti, comprese talune e-mail personali, con conseguente vizio del procedimento, frutto di un travisamento con riferimento al verbale di riunione del consiglio di amministrazione dell’8 aprile 2014, rilevando che la detta censura “si appalesa inammissibile per la sua estrema genericità e comunque è priva di consistenza, non avendo i ricorrenti nemmeno specificato quali atti istruttori non conosciuti sarebbero stati valorizzati nel provvedimento sanzionatorio, laddove risulta che i predetti hanno avuto piena conoscenza di tutti gli atti relativi al procedimento sfociato nella sanzione in esame, spiegando ogni piena difesa anche in sede amministrativa”. I ricorrenti contestano tale passaggio motivazionale replicando di avere specificamente lamentato nell’atto di opposizione che nella lettera di contestazione di CONSOB era stato rappresentato che gli addebiti sarebbero emersi ad esito della istruttoria basata sulle risultanze delle verifiche ispettive, senza che nel provvedimento si fosse rinvenuta traccia del provvedimento accertativo o dei provvedimenti accertativi che avrebbero necessitato di essere puntualmente identificati; inoltre si era lamentato che nella lettera di contestazione CONSOB aveva fatto esplicito riferimento al contenuto di atti e documenti, ivi comprese e-mail personali riportate nella lettera di contestazione, assolutamente rilevanti nell’economia della ricostruzione degli eventi del cui contenuto gli opponenti, sia a titolo personale, sia nell’esercizio della loro funzione, non avevano mai avuto conoscenza, senza contare che a tali flussi informativi facenti capo alle email personali delle persone fisiche il collegio sindacale e anche la CONSOB non avrebbero potuto legittimamente accedere; infine gli opponenti rilevano di avere dedotto nell’atto di opposizione che nell’atto di accertamento e quindi nel provvedimento sanzionatorio CONSOB aveva affermato che nel verbale della riunione del consiglio di amministrazione dell’8 aprile 2014 lo stesso Consiglio aveva deliberato la proposta di prezzo delle azioni da sottoporre all’assemblea, sentito il parere del collegio sindacale, attribuendosi tale parere agli attuali deducenti quando all’epoca i deducenti ancora non rivestivano la carica di sindaci della Banca ad esclusione di omissis la cui posizione è stata stralciata dalla Procura della Repubblica di Roma, così che non si comprende come in presenza di tali non smentiti elementi la Corte d’Appello abbia potuto ritenere che gli odierni ricorrenti hanno avuto piena conoscenza di tutti gli atti relativi al procedimento sfociato nella sanzione in esame spiegando ogni piena difesa anche in sede amministrativa; secondo l’assunto dei ricorrenti, si sarebbe di fronte, oltre che alla violazione delle norme richiamate, anche a un vero e proprio travisamento della prova, essendo l’affermazione della Corte d’Appello – secondo la quale i ricorrenti non avrebbero nemmeno specificato gli atti istruttori non conosciuti, valorizzati nel provvedimento sanzionatorio, e che i predetti hanno avuto piena conoscenza di tutti gli atti relativi al procedimento sfociato nella sanzione in esame – contraddetta da specifici atti processuali; si è di fronte, a loro dire, all’esistenza di un dato probatorio non equivoco e dal carattere decisivo, atteso che la non indicata informazione probatoria cui ha fatto riferimento la Corte d’Appello manca del tutto, onde il ragionamento svolto dal giudice di merito senza l’informazione travisata risulta vanificato e illogico.
Ebbene, è evidente che il discorso della Corte d’Appello e le argomentazioni dei ricorrenti si pongono su piani diversi: la Corte d’Appello, al di là del rilievo sulla genericità della censura, ha rigettato il motivo d’opposizione in quanto i ricorrenti avevano comunque avuto piena conoscenza di tutti gli atti relativi al procedimento sfociato nella sanzione, spiegando le proprie difese anche in sede amministrativa; i ricorrenti criticano invece tale rigetto, sostenendo non solo la specificità dei loro argomenti (profilo però, come si è appena detto, non dirimente), ma lamentando anche che CONSOB aveva considerato documenti ai quali loro – non in sede di procedimento amministrativo, ma nello svolgimento del loro ruolo di componenti e di presidente del collegio sindacale – non avevano avuto accesso e sottolineando che due dei ricorrenti non erano ancora componenti del collegio sindacale quando si è svolta la riunione del consiglio di amministrazione dell’8 aprile 2014, profili, questi, che però attengono non già alla mancata conoscenza degli atti del procedimento amministrativo, ma al merito dell’accertamento degli illeciti contestati, sui quali la Corte di legittimità non può pronunciarsi perché estranei al proprio compito istituzionale.
6. Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24, comma 1, della legge 262/2005, del Regolamento CONSOB sul procedimento sanzionatorio, 24 e 97 Cost., della legge 241/1990, 8 della legge 689/1981. Si deduce che la Corte d’Appello ha rigettato il motivo di opposizione in punto di violazione del principio del ne bis in idem: la CONSOB avrebbe dato origine a molteplici procedimenti sanzionatori nei confronti degli opponenti, irrogando distinte sanzioni in presenza di fattispecie sostanzialmente identiche al fine di tutelare un medesimo interesse giuridico.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha rilevato che la delibera impugnata attiene alla violazione di norme che prevedono obblighi, vuoi di condotta sotto il profilo della correttezza e trasparenza, vuoi di natura procedimentale a carico dell’intermediario nella specifica materia della prestazione di servizi di investimento in rapporto ad esigenze di tutela della clientela, mentre negli altri procedimenti si trattava di omissioni informative riguardanti prospetti di base pubblicati in occasione delle emissioni obbligazionarie realizzate dalla Banca nel 2014 e nel 2015 e omissioni informative riguardanti il prospetto pubblicato il 2014 in occasione dell’aumento di capitale deliberato nell’anno 2014, procedimenti relativi ad omissioni nei confronti del pubblico indistinto dei potenziali investitori e non con riferimento specifico alla clientela, così che si trattava di condotte materiali certamente differenziate per quanto occasionate da una vicenda che si iscrive in una situazione di diffuse criticità; di conseguenza, ha ritenuto non censurabile la decisione dell’autorità di vigilanza di non dare corso al cumulo giuridico come disciplinato all’art. 8, primo comma della legge 689/1981.
Il giudice dell’opposizione, così argomentando, si è attenuto al principio, affermato da questa Corte, secondo il quale l’unificazione, ai fini dell’applicazione della sanzione in ordine a plurime trasgressioni di diverse disposizioni o della medesima disposizione, riguarda, ai sensi dell’art. 8, comma 1 in questione, esclusivamente l’ipotesi in cui la pluralità delle violazioni discenda da un’unica condotta e, quindi, non opera nel caso di condotte distinte, quantunque collegate sul piano dell’identità di una stessa intenzione pluri-offensiva (così, Cass. n. 20129/2022).
7. Il settimo motivo denunzia violazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: con particolare riferimento alla prima contestazione, concernente la violazione delle procedure di adeguatezza e appropriatezza, i ricorrenti avevano lamentato che la CONSOB non aveva operato alcuna distinzione tra collegio sindacale pre e post 26 aprile 2014, in quanto nessuna omissione era imputabile al collegio sindacale post 26 aprile 2014, avendo esso aveva fornito ampia e documentata dimostrazione di avere svolto un presidio nell’ambito della Banca e del Gruppo a difesa della legalità e della sana e prudente gestione; al riguardo la Corte d’Appello ha sostanzialmente omesso di pronunciare ovvero ha reso una statuizione fondata su una motivazione del tutto apparente, prendendo in esame peraltro una minima parte delle condotte oggetto di contestazione e non anche le circostanze emergenti documentalmente che, se considerate, avrebbero indotto la Corte ad addivenire a un giudizio di esclusione di qualsivoglia responsabilità in capo agli odierni ricorrenti.
8. L’ottavo motivo denuncia anch’esso violazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: gli stessi argomenti del motivo precedente valgono anche per la seconda contestazione, in relazione alla quale la Corte d’Appello avrebbe ritenuto sussistente la responsabilità dei componenti il collegio sindacale insediatosi a far data dal 26 aprile 2014, rendendo una statuizione fondata su una motivazione del tutto apparente rispetto al contenuto della censura, prendendo in esame una minima parte delle condotte oggetto di contestazione.
9. Il nono motivo lamenta sempre la violazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: anche qui gli stessi argomenti dei due motivi precedenti valgono anche per le altre violazioni ritenute dalla Corte d’Appello sussistenti e imputate a titolo di responsabilità ai ricorrenti, rendendo così una statuizione fondata su una motivazione del tutto apparente rispetto al contenuto della censura.
10. Il decimo motivo fa valere a sua volta travisamento della prova, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento: la Corte d’Appello, secondo la tesi dei ricorrenti, sarebbe incorsa in un abbaglio, laddove ha ritenuto la quinta violazione ascrivibile anche ai componenti del collegio sindacale, che avevano il dovere di vigilare alla luce delle criticità evidenziate dal report dell’internal audit del 21 agosto 2014; quella specifica informazione probatoria utilizzata in sentenza è contraddetta da specifici atti processuali, quali la nota 29 agosto 2014 del collegio sindacale che contiene l’estratto del report.
Questi quattro motivi, strettamente connessi tra loro, non possono essere accolti.
Il settimo, l’ottavo e il nono motivo denunciano i tre vizi di omessa pronuncia, apparenza della motivazione e omesso esame di fatti decisivi in relazione al rigetto da parte del giudice dell’opposizione della censura riguardante il merito delle violazioni e l’imputabilità delle stesse ai ricorrenti. L’esame della Corte d’Appello, analiticamente svolto per ciascuna delle cinque violazioni (cfr. le pagg. 24-55 della sentenza impugnata), non è evidentemente affetto dal vizio di omessa pronuncia e di motivazione apparente (in particolare si ricorda che – per tutte v. Cass., sez. un., n. 8038/2018 e n. 8053/2014 – il sindacato di legittimità sulla motivazione è limitato al “minimo costituzionale”, con la conseguenza che risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; più nel dettaglio il vizio di motivazione apparente ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145 e più di recente, SSUU ordinanza n. 2767/2023).
Quanto al vizio di omesso esame del fatto di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., va sottolineato che esso postula la pretermissione di dati materiali, già acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio (cfr. ancora le pronunzie delle sezioni unite appena citate). Al riguardo va rilevato che i rilievi dei ricorrenti sono sostanzialmente volti a lamentare la mancata, adeguata considerazione da parte della Corte d’Appello della distinzione tra collegio sindacale pre e post 26 aprile 2014 e in particolare il fatto che dopo tale data l’attività del collegio era stata ampia, intensa, incisiva e costante, come provato da una serie di documenti.
In particolare, i ricorrenti segnalano, in relazione alla prima violazione, la lettera del collegio sindacale del 2 luglio 2014, le note del collegio sindacale del 25 luglio 2014 e del 29 agosto 2014, i verbali del collegio sindacale del 2 luglio, 16 luglio, 29 luglio e 7 agosto 2014; in relazione alla seconda violazione, l’attività investigativa svolta dal collegio e oggetto di comunicazione alle autorità di vigilanza e le esortazioni al consiglio di amministrazione ad adottare una policy di negoziazione delle azioni emesse dalla Banca; ancora in relazione alle restanti violazioni, segnalano la solerte attività di controllo posta in essere dal collegio sindacale, come riconosciuto dalla stessa CONSOB e come testimoniato dal fatto che l’adozione della policy sulla negoziazione delle azioni sarebbe frutto dell’iniziativa del collegio sindacale e che molte delle condotte identificate dalla CONSOB in violazione dei doveri di vigilanza e correttezza erano state poste in essere in assenza di qualsiasi policy aziendale e secondo modalità ufficiose e illegali poste in essere dalle strutture commerciali della Banca su impulso della direzione generale, che aveva sottratto tali prassi a forme di rendicontazione da parte del collegio sindacale, condotte d’altro canto avviate in epoca anteriore all’insediamento del collegio sindacale di cui i ricorrenti hanno fatto parte; ancora, per quanto concerne l’attività di vigilanza svolta riguardo all’aumento di capitale del 2014, segnalano l’intervento del Presidente del collegio Sindacale alla riunione del Consiglio di Amministrazione del 1 luglio 2014, la lettera del collegio sindacale del 2 luglio 2014, la lettera del collegio sindacale del 29 agosto 2014, allegata alla nota inviata in pari data dalla Banca alla CONSOB.
Si tratta, come si vede, di rilievi volti a una rivalutazione dei fatti storici contraria alla ricostruzione offerta dai giudici di merito, rivalutazione inammissibile in sede di legittimità. La Corte d’Appello ha infatti considerato il profilo temporale dell’assunzione della carica da parte dei ricorrenti (il 26 aprile 2014 per omissis e omissis e il 20 febbraio 2014 per omissis), rilevando che la prassi di trasferimenti tra privati intermediati dalla Banca è stata posta in essere anche nel periodo successivo all’insediamento del nuovo consiglio di amministrazione, prassi della quale devono rispondere gli organi di vertice e quindi anche i nuovi componenti del collegio sindacale (v. le pagg. 31 e 32 della sentenza impugnata), e che i fenomeni delle numerose promesse di indennizzo e dei rimborsi contabili sono pienamente riferibili al periodo della carica (pagg. 39-40), come l’omesso controllo sulla correttezza del trasferimento delle azioni (pagg. 46 e 47). La Corte d’Appello ha evidenziato che i componenti del collegio sindacale si erano richiamati a una serie di interventi miranti a porre rimedio alle lacune, avendo sottolineato sin dal 17 giugno 2014 l’opportunità di una policy per la gestione degli ordini, senza che però risultino richieste di specifiche misure da adottare in via di urgenza (pag. 47 della sentenza), che in relazione alla carenza di procedure adeguate in materia di pricing i rilievi critici svolti dal collegio sindacale si sono rivelati privi di efficacia e comunque non tempestivi, essendo le carenze perdurate fino ad aprile 2015 (pag. 51) e che, in relazione alla quinta violazione, i componenti del collegio sindacale erano in carica quando il 29 agosto 2014 è stata inviata a CONSOB, in risposta alla sua richiesta del 26 giugno 2014, una comunicazione non veritiera della Banca (pagg. 54 e 55; su quest’ultimo punto cfr. infra).
Il decimo motivo è in particolare diretto a contestare l’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello in relazione alla quinta violazione, attinente al contenuto non veritiero della comunicazione inviata da Veneto Banca in data 29 agosto 2014, in risposta alla richiesta della CONSOB del 26 giugno 2014, accertamento che sarebbe affetto da travisamento della prova.
Rileva però il Collegio che, come hanno di recente precisato le sezioni unite, il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio e trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4 o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass., sez. un., n. 5792/2024). Il vizio non è ravvisabile nell’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello. Il giudice di merito sottolinea come nella nota del 29 agosto 2014 la Banca si sia limitata a riferire che “sono emerse alcune criticità di modesto rilievo”, così rappresentando a CONSOB un quadro operativo di normalità, ben diverso da quello in concreto riscontrato a seguito degli accertamenti ispettivi avviati da CONSOB, dando così una risposta “del tutto elusiva rispetto alla realtà dei fatti”, realtà dei fatti che “non poteva essere ignorata dai nuovi componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale”, anche alla luce del report dell’Internal Audit del 21 agosto 2014, e che risulta invece “minimizzata nella nota del 29 agosto 2014”; in definitiva – ha concluso il giudice di merito – la violazione è correttamente ascrivibile anche ai componenti del collegio sindacale, le cui difese al riguardo “appaiono prive di ogni concretezza, non risultando in ogni caso idonee a scalfire la rilevanza della specifica contestazione, in relazione al contenuto della nota del 29 agosto 2014”.
Ad avviso dei ricorrenti tale accertamento sarebbe affetto da travisamento della prova perché la Corte d’Appello, riprendendo acriticamente gli assunti della CONSOB, ha affermato che le risultanze di cui al report dell’Internal Audit “non hanno trovato menzione nella nota del 29 agosto indirizzata dal presidente del collegio sindacale al presidente del consiglio di amministrazione di Veneto Banca, allegata alla nota inviata in parti data dalla Banca alla CONSOB”, affermazione non vera in quanto la nota del collegio sindacale contiene, oltre alla richiesta di assumere idonee iniziative, un estratto del report dell’Internal Audit (pagg. 93 e 94 del ricorso). Il ragionamento dei ricorrenti non può essere seguito: il passaggio da loro riportato non è infatti presente nella motivazione della pronuncia impugnata, che fa riferimento unicamente alla nota inviata dalla Banca, ma – secondo quanto da essi stessi indicato – è presente in una annotazione a piè di pagina della lettera di contestazione della CONSOB, così che il vizio di travisamento della prova non può essere ascritto alla Corte d’Appello.
11. L’undicesimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 190 TUF, 3 della legge 689/1981, 2407 omissis, 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente l’imputabilità soggettiva in relazione a tutte le violazioni con statuizione erronea e comunque apodittica, fondata su una motivazione del tutto apparente rispetto al contenuto della censura formulata dai ricorrenti, senza considerare le peculiarità del caso di specie.
Il motivo è infondato. Proprio con riferimento alla delibera in esame, questa Corte (Cass. n. 3243/2022, già menzionata) ha affermato che “l’art. 190 T.U.F., in base alla versione applicabile ratione temporis anteriormente alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 72 del 2015, nel sanzionare le violazioni poste in essere dai “soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione e i dipendenti di società o enti abilitati’, adotta un criterio di responsabilità effettiva dei soggetti che agiscono nell’ambito dell’organizzazione dell’intermediario, individuando una serie di fattispecie destinate a salvaguardare procedure e funzioni e incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, che ricollega il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limita l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, sicché, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza”. La Corte d’Appello ha ritenuto non raggiunta da parte dei ricorrenti la prova di avere agito in assenza di colpevolezza, se non per il profilo comportamentale della prima violazione, e ha motivato tale suo convincimento con argomenti specifici e non meramente apparenti come sostengono i ricorrenti (cfr. le pagg. 28, 29, 46, 47, 51 e 58 della sentenza impugnata), come tali non censurabili da parte di questa Corte di legittimità.
12. Il dodicesimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c.: la Corte d’Appello ha rigettato il motivo di opposizione con il quale i ricorrenti hanno lamentato la violazione del principio della comparazione equitativa tra la sanzione comminata e l’entità dell’infrazione e del principio della graduazione della colpa, controllo non esercitato dalla Corte di appello che si è limitata a ridurre la sanzione comminata ai ricorrenti per la prima violazione.
Il motivo è infondato e non sono ravvisabili i vizi di omessa pronuncia e di apparenza della motivazione. La Corte d’Appello ha sottolineato che la sanzione doveva essere calibrata in relazione alla gravità delle loro violazioni, alla lora natura, in rapporto al periodo di carica dei ricorrenti, tenuto conto della funzione e della concreta condotta dei medesimi, della loro personalità, atteso che la sanzione era all’epoca stabilita nella forbice tra un minimo di Euro 2.500 e un massimo di Euro 250.000 e, alla luce della valutazione di tali parametri, ha riesaminato la sanzione comminata con riferimento alle singole contestazioni, con giudizio non sindacabile da parte di questa Corte. Nel procedimento di opposizione concernente l’entità della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata per violazione del TUB o del TUF, il giudice ha il potere discrezionale di quantificare l’entità della sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi e senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga che, nella determinazione della sanzione, si è tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981 (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 19716/2024).
13. Il tredicesimo ed ultimo motivo contesta, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 195, comma 7 TUF, 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c.: nonostante l’espressa richiesta, la Corte d’Appello ha ritenuto superfluo disporre l’audizione personale dei ricorrenti.
Il motivo è infondato.
È vero che l’art. 195, comma 7, TUF dispone che “all’udienza la Corte d’Appello dispone, anche d’ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari, nonché l’audizione personale delle parti che ne abbiano fatto richiesta”. La Corte d’Appello di Venezia ha però motivato il mancato accoglimento dell’istanza di audizione personale dei ricorrenti, sottolineando che non sono state indicate le ragioni (istruttorie o di altra natura) sottese alla richiesta, “a fronte della compiutezza degli elementi esposti dalle difese”, e “all’ingente mole” della documentazione prodotta dalle parti. Questa Corte ha d’altro canto precisato come la formulazione di cui all’art. 195, comma 7, non lasci intendere l’esistenza di un diritto soggettivo all’audizione, trattandosi anche in tale ipotesi di un mezzo istruttorio rimesso al vaglio di necessarietà da parte del giudice, essendo l’ammissione della prova richiesta dalla parte sempre subordinata alla valutazione di rilevanza e ammissibilità della medesima (così Cass. n. 16517/2020 e Cass. n. 1740/2022).
In con conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente, che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, in data 13 marzo 2025.