DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. â Natura â Atto privato â Termine perentorio per lâesercizio del potere inibitorio â Silenzio dellâamministrazione â Silenzio rifiuto o inadempimento â Silenzio accoglimento â Differenza â Tutela del terzo interessato â Azione impugnatoria ex art. 29 cod. proc. amm. â Termine decadenziale â Decorrenza â Azione di adempimento â AmmissibilitĂ â Fondamento â D.I.A. e S.C.I.A. â D.I.A. a legittimazione immediata â DIA a legittimazione differita – AttivitĂ iniziata anteriormente alla formazione del provvedimento suscettibile di impugnazione – Tutela del terzo interessato âAzione atipica di accertamento â Ricorsi proposti anteriormente allâesercizio del potere inibitorio â Presupposti processuali e condizioni dellâazione â Scadenza del termine di conclusione del procedimento â Condizione dellâazione – Adozione delle misure cautelari necessarie â Misure cautelari ante causam â Successiva adozione del provvedimento di divieto â Cessazione della materia del contendere â Mancata adozione â Pronuncia sul merito â Scadenza del termine per la definizione del procedimento â Principio di economia processuale â Automatica conversione in domanda di impugnazione â Articolazione di motivi aggiunti.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: Adunanza Plenaria
Regione:
CittĂ :
Data di pubblicazione: 29 Luglio 2011
Numero: 15
Data di udienza: 4 Luglio 2011
Presidente: De Lise
Estensore: Caringella
Premassima
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. â Natura â Atto privato â Termine perentorio per lâesercizio del potere inibitorio â Silenzio dellâamministrazione â Silenzio rifiuto o inadempimento â Silenzio accoglimento â Differenza â Tutela del terzo interessato â Azione impugnatoria ex art. 29 cod. proc. amm. â Termine decadenziale â Decorrenza â Azione di adempimento â AmmissibilitĂ â Fondamento â D.I.A. e S.C.I.A. â D.I.A. a legittimazione immediata â DIA a legittimazione differita – AttivitĂ iniziata anteriormente alla formazione del provvedimento suscettibile di impugnazione – Tutela del terzo interessato âAzione atipica di accertamento â Ricorsi proposti anteriormente allâesercizio del potere inibitorio â Presupposti processuali e condizioni dellâazione â Scadenza del termine di conclusione del procedimento â Condizione dellâazione – Adozione delle misure cautelari necessarie â Misure cautelari ante causam â Successiva adozione del provvedimento di divieto â Cessazione della materia del contendere â Mancata adozione â Pronuncia sul merito â Scadenza del termine per la definizione del procedimento â Principio di economia processuale â Automatica conversione in domanda di impugnazione â Articolazione di motivi aggiunti.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. â 29 luglio 2011, n. 15
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. â Natura â Atto privato.
La denuncia di inizio attivitĂ non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dĂ luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare lâintenzione di intraprendere unâattivitĂ direttamente ammessa dalla legge.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. â Termine perentorio per lâesercizio del potere inibitorio â Silenzio dellâamministrazione â Silenzio rifiuto o inadempimento â Differenza.
Il silenzio osservato allâamministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per lâesercizio del potere inibitorio a fronte di una d.i.a. si distingue dal silenzio-rifiuto (o inadempimento) in quanto, mentre questâultimo non conclude il procedimento amministrativo ed integra una mera inerzia improduttiva di effetti costitutivi, il decorso del termine in esame pone fine al procedimento amministrativo diretto allâeventuale adozione dellâatto di divieto; a differenza del silenzio rifiuto che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale, il silenzio di che trattasi, producendo lâesito negativo della procedura finalizzata allâadozione del provvedimento restrittivo, integra lâesercizio del potere amministrativo attraverso lâadozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dellâadozione del provvedimento inibitorio. Trattasi, quindi, di un provvedimento per silentium con cui la p.a., esercitando in senso negativo il potere inibitorio, riscontra che lâattività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedire lâinizio o la protrazione dellâattivitĂ dichiarata.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. â Termine perentorio per lâesercizio del potere inibitorio â Silenzio dellâamministrazione â Silenzio accoglimento â Differenza.
Il silenzio osservato allâamministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per lâesercizio del potere inibitorio a fronte di una d.i.a. si differenzia dal silenzio accoglimento (o assenso) di cui allâarticolo 20 della legge n. 241/1990 perchĂŠ si riferisce al potere inibitorio mentre il silenzio assenso presuppone la sussistenza di un potere ampliativo di stampo autorizzatorio o concessorio. Ne consegue che mentre nel silenzio assenso il titolo abilitativo è dato dal provvedimento tacito dellâautoritĂ , nella fattispecie in esame il titolo abilitante è rappresentato dallâatto di autonomia privata che, grazie alla previsione legale direttamente legittimante, consente lâesercizio dellâattivitĂ dichiarata senza il bisogno dellâintermediazione preventiva di un provvedimento amministrativo.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. â Tutela del terzo interessato â Azione impugnatoria ex art. 29 cod. proc. amm. â Termine decadenziale â Decorrenza.
La tutela del terzo controinteressato allâesercizio dellâattivitĂ denunciata, venendo in rilievo un provvedimento per silentium, sarĂ affidata primariamente allâesperimento di unâazione impugnatoria, ex art. 29 del codice del processo amministrativo, da proporre nellâordinario termine decadenziale. Quanto al dies a quo del ricorso per annullamento, il termine decadenziale di sessanta giorni per proporre l’azione prende a decorrere solo dal momento della piena conoscenza dellâadozione dellâatto lesivo (cfr. art. 41, comma 2, del codice). In particolare, in materia edilizia, la decorrenza del termine decadenziale non può essere di norma fatta coincidere con la data in cui i lavori hanno avuto inizio, in quanto il termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformitĂ della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica (Cons. Stato, Sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 18). Nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della d.i.a. avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per lâesercizio del potere inibitorio, il dies a quo coinciderĂ con il decorso del termine per lâadozione delle doverose misure interdittive.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. â Tutela del terzo interessato â Azione di adempimento â AmmissibilitĂ â Fondamento.
Il terzo è legittimato allâesercizio, a completamento ed integrazione dellâazione di annullamento del silenzio significativo negativo, dellâazione di condanna pubblicistica (cd. azione di adempimento) tesa ad ottenere una pronuncia che imponga allâamministrazione lâadozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dellâart. 19 della legge n. 241/1990. La proposizione di detta azione è, infatti, coerente, sul piano processuale, con il disposto dellâart. 30, comma 1, del codice del processo amministrativo, trattandosi di domanda proposta contestualmente a quella di annullamento. Risultano rispettati anche i limiti posti dallâart. 31, comma 3, visto che lo jussum giurisdizionale non produce unâindebita ingerenza nellâesercizio di poteri discrezionali riservati alla pubblica soluzione, anticipando alla fase della cognizione un effetto conformativo da far valere altrimenti nel giudizio di ottemperanza, consente unâaccelerazione della tutela coerente, oltre che con il generale principio di effettivitĂ della tutela giurisdizionale, con la stessa propensione mostrata dal codice (cfr. art. 34, comma 1, lett. e) a trasfondere nel contenuto della sentenza di cognizione lâadozione di misure attuative tradizionalmente proprie dellâesecuzione.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. e S.C.I.A. â D.I.A. a legittimazione immediata â DIA a legittimazione differita – AttivitĂ iniziata anteriormente alla formazione del provvedimento suscettibile di impugnazione – Tutela del terzo interessato âAzione atipica di accertamento.
Specie alla luce dellâintroduzione della d.i.a. a legittimazione immediata e dellâavvento della s.c.i.a., è possibile che lâattivitĂ denunciata abbia inizio prima della formazione del provvedimento negativo suscettibile di impugnazione. Detta eventualità è configurabile anche con riguardo al generale modello della d.i.a. a legittimazione differita di cui al previgente art. 19 della legge n. 241/1990, in virtĂš del quale il dichiarante è legittimato allâesercizio dellâattivitĂ trenta giorni dopo la presentazione della dichiarazione mentre il potere inibitorio è esercitabile entro i trenta giorni dalla comunicazione dellâavvenuto inizio dellâattivitĂ stessa. Non essendosi ancora perfezionato il provvedimento amministrativo tacito e non venendo in rilievo un silenzio-rifiuto, lâunica azione esperibile è lâazione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi lâinsussistenza dei presupposti di legge per lâesercizio dellâattivitĂ oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti allâautoritĂ amministrativa. Detta azione atipica deve ritenersi ammissbile: lâassenza di una previsione legislativa espressa non osta infatti allâesperibilitĂ di unâazione di tal genere quante volte detta tecnica di tutela sia lâunica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dellâinteresse legittimo.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
DIRITTO URBANISTICO â D.I.A. e S.C.I.A. – AttivitĂ iniziata anteriormente alla formazione del provvedimento suscettibile di impugnazione â Ricorsi proposti anteriormente allâesercizio del potere inibitorio â Presupposti processuali e condizioni dellâazione â Scadenza del termine di conclusione del procedimento â Condizione dellâazione – Adozione delle misure cautelari necessarie â Misure cautelari ante causam â Successiva adozione del provvedimento di divieto â Cessazione della materia del contendere â Mancata adozione â Pronuncia sul merito.
Per i ricorsi proposti anteriormente allâesercizio del potere inibitorio e a partire dal momento in cui la d.i.a. produce effetti giuridici legittimanti si deve fare applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale che distingue tra i presupposti processuali – ossia i requisiti che devono sussistere ai fini della instaurazione del rapporto processuale – che devono esistere sin dal momento della domanda, e le condizioni dellâazione – ossia i requisiti della domanda che condizionano la decidibilitĂ della controversia nel merito – che devono esistere al momento della decisione (cfr. Cass., sez. I, 9 ottobre 2003, n. 15082; conf. Cass. 8338/2000; 4985/1998; Sez. un. 1464/1983; 3940/1988; Cass., Sez. lav., n. 1052/1995). Nella specie, la scadenza del termine di conclusione del procedimento è un fatto costitutivo integrante una condizione dellâazione che, ai sensi del disposto dellâart. 34, comma 2, cit., deve esistere al momento della decisione. Ne deriva che lâassenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude lâesperimento dellâazione giudiziaria anche se impedisce lâadozione di una sentenza di merito. Per converso, in ossequio ai principi in tema di effettivitĂ e di pienezza della tutela giurisdizionale, di cui la tutela interinale è declinazione fondamentale, il giudice amministrativo può adottare, nella pendenza del giudizio di merito, le misure cautelari necessarie, ai sensi dellâart. 55 del cod. proc. amm., al fine di impedire che, nelle more della definizione del procedimento amministrativo di controllo e della conseguente maturazione della condizione dellâazione, lâesercizio dellâattivitĂ denunciata possa infliggere al terzo un pregiudizio grave ed irreparabile. Sono adottabili, a fortiori, misure cautelari ante causam, in presenza dei presupposti allâuopo sanciti dallâart. 61 del codice del processo amministrativo. La proposizione della domanda ante causam può essere idonea a soddisfare lâesigenza di piena tutela del terzo anche senza la proposizione dellâazione di accertamento laddove i termini di legge (art. 61, comma 5) entro i quali la misura provvisoria conserva i suoi effetti prima dellâintroduzione del giudizio di merito relativo al silenzio provvedimentale, siano in concreto compatibili con la preservazione delle ragioni interinali del terzo. Una volta spirati i termini di legge per la definizione del procedimento con il conseguente pieno esercizio del potere amministrativo, verrĂ a configurarsi la condizione dellâazione mancante, con conseguente rimozione dellâostacolo frapposto dallâarticolo 34, comma 2, alla definizione del giudizio. Occorre allâuopo distinguere a seconda che la p.a. adotti o meno il provvedimento di divieto, satisfattorio dellâinteresse del terzo. In caso positivo si registrerĂ la cessazione della materia del contendere, ex art. 34, comma 5, del codice del processo. In caso negativo il giudice potrĂ pronunciarsi sul merito del ricorso senza che sia allâuopo necessaria la proposizione, da parte del terzo ricorrente, di motivi aggiunti, exart. 43 del codice.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
DIRITTO URBANISTICO â DIA e SCIA â Proposizione di unâazione di accertamento â Scadenza del termine per la definizione del procedimento â Principio di economia processuale â Automatica conversione in domanda di impugnazione â Articolazione di motivi aggiunti.
In forza del principio di economia processuale, lâazione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in quanto la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire in pieno, sul piano del petitum sostanziale e della causa petendi, la decisione della pubblica amministrazione di non adottare il provvedimento inibitorio. E tanto specie se si considera che detto silenzio provvedimentale non introduce, per sua natura, elementi motivazionali che richiedano una specifica contestazione con una nuova iniziativa processuale. Resta salva la facoltĂ dellâarticolazione di motivi aggiunti suggeriti dalle risultanze dellâistruttoria svolta dallâamministrazione o dalla sopravvenienza di nuovi elementi. La proposizione di motivi aggiunti sarĂ invece onerosa, pena lâimprocedibilitĂ del ricorso giĂ presentato, nellâipotesi in cui la pubblica amministrazione, allâesito del procedimento amministrativo inaugurato con la presentazione della d.i.a., adotti un atto espresso che evidenzi le ragioni della mancata adozione della determinazione inibitoria.
Pres. De Lise, Est. Caringella âS. s.r.l. (avv.ti Bucci e Fiorilli) c. D.G. (avv.ti Iaderosa, Giovanni Minelli e Stella Richter) â (Conferma T.A.R. VENETO, Sez. II n. 3881/2008)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. â 29 luglio 2011, n. 15SENTENZA
N. 00015/2011/REG.PROV.COLL.
N.00001/2011 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1 di A.P. del 2011, proposto da:
Serma Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Raffaele Bucci, Paolo Fiorilli, con domicilio eletto presso Paolo Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo 180;
contro
Dovesi Giancarlo, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Iaderosa, Giovanni Minelli, Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini N.11;
nei confronti di
Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maurizio Ballarin, Giulio Gidoni, Antonio Iannotta, M.M. Morino, Nicoletta Ongaro, Nicolo’ Paoletti, Giuseppe Venezian, con domicilio eletto presso Niccolo’ Paoletti in Roma, via B. Tortolini N. 34; Masiero Marco;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Lavitola, con domicilio eletto presso Giuseppe Lavitola in Roma, via Costabella 23;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA: SEZIONE II n. 03881/2008, resa tra le parti, concernente DIA IN VARIANTE AL PERMESSO DI COSTRUIRE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 maggio 2011 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Fiorilli, Minelli, Stella Richter, Paoletti e Lavitola.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Serma Costruzioni srl, proprietaria di due distinti immobili affacciati sui lati opposti di via S. Elena nel territorio del Comune di Venezia, veniva autorizzata, con permesso di costruire n.84298 del 2003, alla ristrutturazione e al risanamento conservativo di entrambi gli edifici.
Sia la galleria che un porticato ovest-est erano interamente gravati da servitĂš di pubblico passaggio pedonale in forza di atto notarile del 16 luglio 1956; il porticato, in particolare, risultava essere, per tutta la sua lunghezza e metĂ della sua larghezza, di proprietĂ Serma e per lâaltra metĂ (longitudinale) di proprietĂ Dovesi.
Il Dovesi contestava dapprima il permesso di costruire n. 84198 del 2003 che, autorizzando il transito nel portico anche con automezzi, aveva aggravato la servitĂš da pedonale a carrabile; a seguito di tale contestazione, la societĂ Serma produceva la DIA n.403111/2004 con cui, in variante al primo titolo abilitativo, ripristinava lâuso esclusivamente pedonale del portico.
Con lâultima denuncia di inizio attivitĂ n.197703 del 2007, presentata in variante al permesso di costruire n. 84298/2003, la societĂ Serma dichiarava di voler effettuare lavori edilizi volti, tra lâaltro, a rendere carrabile la propria metĂ (longitudinale) del porticato ed a realizzare un marciapiede sul fronte est della via S.Elena dalla via Miranese al porticato stesso.
Con il ricorso di primo grado il sig. Dovesi impugnava tale ultima DIA, sostenendo che, a mezzo di tali lavori, si sarebbe prodotto un aggravio della servitĂš di passaggio sul suolo di sua proprietĂ in violazione del disposto dellâart. 1067 c.c.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso pervenendo allâannullamento della DIA.
Secondo la sentenza impugnata, la trasformazione della servitĂš, da pedonale in carrabile, gravante sulla porzione longitudinale del portico di proprietĂ Serma, avrebbe aggravato lâesercizio della servitĂš pedonale alla quale era assoggettato lâintero portico. In tal modo, infatti, non si sarebbe aggravato soltanto il peso della servitĂš sul fondo Serma, ma si sarebbe imposto abusivamente a carico del fondo Dovesi un peso diverso da quello originariamente costituito per contratto.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la societĂ Serma Costruzioni srl, deducendo che:
1) la denuncia di inizio attivitĂ non costituisce atto amministrativo impugnabile, trattandosi di attivitĂ del privato e non assumendo essa valore provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi erronea laddove ha ritenuto direttamente impugnabile la denuncia di inizio di attivitĂ .
Secondo la societĂ , lâunico rimedio avverso la d.i.a. (atto di parte privato), consisterebbe nel rivolgere formale istanza allâamministrazione e nellâimpugnare lâeventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi. Il primo giudice avrebbe dovuto concludere per la inammissibilitĂ della impugnativa della denuncia di inizio attivitĂ ;
2) la sentenza sarebbe errata anche nel punto in cui ha individuato, a fondamento dellâillegittimitĂ della denuncia di inizio di attivitĂ , una mera violazione di tipo civilistico, attinente ai rapporti privatistici fra le parti. Tale doglianza avrebbe potuto proporsi soltanto dinanzi al giudice ordinario alla cui cognizione spettano le controversie circa lâesistenza di diritti di uso pubblico su strade private.
Si è costituito lâappellato Dovesi, chiedendo il rigetto dellâappello. Ha proposto altresĂŹ ricorso incidentale subordinato, rispetto ai motivi proposti in prime cure, deducendo vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.
Si è costituito anche il Comune di Venezia, rimettendosi alla decisione di questo Consesso.
La Sezione rimettente ha sottoposto il ricorso alla cognizione dellâAdunanza Plenaria, ex art. 99 del codice del processo amministrativo, ai fini della soluzione delle questioni di diritto, di particolare importanza e fonti di contrasti giurisprudenziali, relative alla natura giuridica della dichiarazione di inizio attivitĂ ed alle conseguenti tecniche di tutela sperimentabili dal terzo leso dallo svolgimento dellâattivitĂ denunciata.
Ha inoltre spiegato intervento ad opponendum lâOrdine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia.
Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie lâulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.
Allâudienza pubblica del 2 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La Sezione rimettente sottopone al vaglio dellâAdunanza Plenaria le questioni di diritto relative alla natura giuridica della denuncia di inizio attivitĂ ed alle tecniche di tutela azionabili dal terzo che deduca un pregiudizio per effetto dellâillegittimo svolgimento dellâattivitĂ denunciata.
2. Ai fini dellâesame dei quesiti sottoposti dallâordinanza di rimessione, si deve, in via preliminare, esaminare e confutare il motivo dâappello con cui la parte ricorrente eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Eâ sufficiente, allâuopo, ribadire che, ai sensi dellâart. 133, comma 1, lett. a, n. 3, del codice del processo amministrativo, in materia di dichiarazione di inizio attivitĂ sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che, in ogni caso, lâiniziativa proposta nel caso di specie da parte del terzo mira a far valere lâinteresse legittimo leso dal non corretto esercizio del potere amministrativo di verifica della conformitĂ dellâattivitĂ dichiarata rispetto al paradigma normativo, nella specie rappresentato dal divieto di aggravio della servitĂš ai sensi dellâart. 1067 del codice civile. La controversia sottoposta alla cognizione di questo Giudice non riguarda, quindi, un rapporto meramente privatistico, ossia il conflitto tra il denunciante che intenda svolgere lâattivitĂ oggetto della dichiarazione ed il terzo che lamenti lâindebita ingerenza nella sua sfera giuridica, ma si appunta su un rapporto amministrativo che ha come fulcro il corretto e tempestivo esercizio del potere amministrativo di controllo circa la conformitĂ dellâattivitĂ dichiarata al paradigma normativo, con conseguente adozione delle misura inibitoria in caso di esito negativo del riscontro. Il contenzioso ha quindi come oggetto lâesercizio di un potere pubblicistico finalizzato alla tutela di interessi pubblici, in coerenza con il disposto dellâart. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo, che assegna alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione delle controversie concernenti lâesercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo.
Eâ pur vero che il ricorrente avrebbe potuto contestare direttamente allâautore della d.i.a. la violazione della servitĂš, ma ciò, in base al noto principio giurisprudenziale della doppia tutela, non esclude che egli possa avere invece interesse â legittimo in senso tecnico â a pretendere lâintervento repressivo dellâamministrazione in una piĂš ampia e piĂš efficace prospettiva di tutela degli interessi pubblici coinvolti. Basti a tal fine considerare che lâaccesso in auto invece che pedonale non è certo circostanza irrilevante dal punto di vista urbanistico.
3. Eâ possibile ora passare allâesame del motivo di appello con il quale la societĂ appellante deduce lâerroneitĂ della sentenza impugnata, nella parte in cui ha annullato la denuncia di inizio attivitĂ .
Secondo lâappellante la denuncia di inizio attivitĂ non costituirebbe atto amministrativo suscettibile di rimedi demolitori (pagine 20 e 21 dellâappello), trattandosi di attivitĂ del privato e non assumendo essa valore provvedimentale. Lâunico rimedio esperibile avverso un titolo abilitativo derivante da una denunzia di inizio attivitĂ consisterebbe, quindi, nella sollecitazione della successiva attivitĂ dellâ amministrazione nel senso che il terzo potrebbe agire, con il rimedio del silenzio, per rimuovere lâeventuale inerzia amministrativa o impugnare i successivi atti amministrativi eventualmente adottati a fronte delle istanze a tal fine formulate.
LâAdunanza rileva che le problematiche giuridiche sottoposte al suo esame hanno dato luogo ad un articolato dibattito giurisprudenziale, puntualmente analizzato dallâordinanza di rimessione, sulle questioni relative alla natura sostanziale dellâistituto della denuncia di inizio attivitĂ ed alle conseguenti tecniche di tutela azionabili dai terzi.
4. Prima di passare allâesame delle questioni di diritto rimesse al vaglio dellâAdunanza, occorre analizzare il quadro normativo al fine di delimitare lâoggetto del presente giudizio.
Va ricordato che la DIA è stata introdotta, in via generale, dallâart. 19 della 7 agosto 1990, n. 241 e, con riferimento alla materia edilizia, dagli artt. 22 e 23 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Il modello della dichiarazione di inizio attività è stato inoltre recepito dallâart. 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, in materia di promozione dellâenergia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, dagli artt. 87 e 87 bis del D. Lgs. 1° agosto 2003, n. 259, in materia di comunicazioni elettroniche, dallâart. 38 del D.L, 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in materia di attivitĂ produttive, e dagli articoli 8, 17 e 64 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, in materia di attivitĂ imprenditoriali e professionali.
Va, in particolare, osservato che il modello della d.i.a., come regolato dalle leggi nn. 15 e 80/2005 e n. 69/2009, prima delle modifiche da ultimo apportate dalla legge n. 122/2010 di cui si dirĂ in seguito, si articola in una d.i.a. a legittimazione differita, per effetto della quale lâattivitĂ denunciata può essere intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla comunicazione (art.19, comma 2, primo periodo, della legge n. 241/1990) e in una d.i.a. a legittimazione immediata, che consente lâesercizio dellâattivitĂ sin dalla data di presentazione della dichiarazione (art. 19, comma 2, secondo periodo, con riferimento allâesercizio delle attivitĂ di impianti produttivi di beni e di prestazioni di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE, compresi gli atti che dispongono lâiscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia abilitante). Ai sensi del comma 3 dellâart. 19 cit. lâamministrazione competente, in caso di dichiarazione presentata in assenza delle condizioni, modalitĂ e fatti legittimanti, adotta provvedimenti motivati di divieto dellâesercizio di detta attivitĂ nel termine di trenta giorni, decorrente, per la denuncia ad efficacia differita, dalla comunicazione dellâavvenuto inizio dellâattivitĂ e, per la d.i.a. ad efficacia immediatamente legittimante, dalla presentazione dellâoriginaria denuncia. In materia edilizia tale potere inibitorio è esercitabile nel termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, che, a sua volta, deve precedere di almeno trenta giorni lâinizio concreto dellâattivitĂ edificatoria (art. 23, commi 1 e e 6, del d.P.R. n. 380/2001).
Decorso senza esito il termine per lâesercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere di autotutela ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Restano inoltre salve, ai sensi dellâart. 21 della legge n. 241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci nonchĂŠ le attivitĂ svolte in contrasto con la normativa vigente, cosĂŹ come sono impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore.
Da ultimo, si deve considerare lâulteriore evoluzione dellâordinamento che, a seguito delle modifiche apportate allâart. 19 della legge n. 241/1990 dal D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010, consente sempre lâimmediato inizio dellâattivitĂ oggetto dellâinformativa a seguito della presentazione della segnalazione certificata di inizio attivitĂ (cd. s.c.i.a.). Restano salvi, anche nella rinnovata architettura normativa, il potere dellâamministrazione di vietare, entro il modificato termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, lâesercizio dellâattivitĂ in assenza delle condizioni di legge, nonchĂŠ il potere di autotutela esercitabile in caso di decorso infruttuoso di tale termine e dei poteri sanzionatori e di vigilanza di cui al rammentato art. 21.
Il modello della s.c.i.a. è stato recepito dal d.P.R. 9 luglio 2010, n. 159, in materia di accreditamento delle agenzie delle imprese, e dal d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, in tema di sportello unico delle attività produttive.
Orbene, se da un canto va precisato che il giudizio in esame concerne, una fattispecie anteriore a dette ultime modifiche e che quindi esulano dallâoggetto del presente giudizio le novitĂ apportate con lâintroduzione della s.c.i.a. per effetto della legge n. 122/2010 nonchĂŠ la tematica dellâapplicabilitĂ di detto modello alla materia edilizia (tematica sulla quale è da ultimo intervenuto il legislatore con lâart. 5 del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106), dallâaltro è pur vero che le problematiche affrontate e le relative soluzioni non possono non trovare fondamento in una ricostruzione degli istituti in questione di portata generale e quindi valevole anche per il futuro.
5. CosĂŹ delimitata la portata delle questioni sulle quali lâAdunanza Plenaria è chiamata a pronunciarsi, si deve muovere dallâanalisi della problematica preliminare della natura giuridica dellâistituto della dichiarazione di inizio attivitĂ (dâora in poi d.i.a.).
5.1. Secondo un primo approccio ermeneutico (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2558; 24 maggio 2010, n, 3263; 8 marzo 2011, n. 1423), sostenuto anche dallâinterventore ad opponendum, la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione imperniato sullâabilitazione legale allâesercizio di attivitĂ affrancate dal regime autorizzatorio pubblicistico ma rappresenta un modulo di semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire, per effetto di unâinformativa equiparabile ad una domanda, un titolo abilitativo costituito da unâautorizzazione implicita di natura provvedimentale che si perfeziona a seguito dellâinfruttuoso decorso del termine previsto dalla legge per lâadozione del provvedimento di divieto.
Trattasi, quindi, di una fattispecie a formazione progressiva che, per effetto del susseguirsi dellâinformativa del privato e del decorso del tempo per lâesercizio del potere inibitorio, culmina in un atto tacito di assenso, soggettivamente e oggettivamente amministrativo.
Corollario processuale di detta tesi è lâaffermazione secondo cui i terzi lesi dal silenzio serbato dallâamministrazione a fronte della presentazione della d.i.a. sono legittimati a reagire con le forme e nei tempi del ricorso ordinario di annullamento del provvedimento amministrativo (art. 29 e 41 del codice del processo amministrativo).
5.1.1. Un primo argomento a sostegno della valenza provvedimentale dellâistituto è desunto dalla previsione espressa del potere amministrativo di assumere, una volta decorso il termine per lâesplicazione del potere inibitorio, determinazioni in via di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990 (art. 19, comma 3, come mod. dallâart. 3 del D.L. 14 maggio 2005, n. 35, conv. dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 e, poi, dallâart. 9 della legge 18 giugno 2009, n. 69). Tale riferimento all’autotutela decisoria di secondo grado, con esito di ritiro, sembra, invero, presupporre, ad avviso di tale ricostruzione, un provvedimento, o comunque un titolo, su cui sono destinati ad incidere, secondo la logica propria del contrarius actus, i provvedimenti di revoca o di annullamento.
Come è stato rilevato, inoltre, se è ammesso l’annullamento d’ufficio, parimenti, e tanto piĂš, deve essere consentita l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo (Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550).
Un ulteriore referente normativo a supporto della tesi della sostanziale equiparabilitĂ della d.i.a. al silenzio assenso è rinvenuto nel disposto dellâart. 21, comma 2 bis, della stessa legge n. 241/1990- comma aggiunto dall’articolo 3, comma 6-nonies, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni, in legge 14 maggio 2005, n. 80- secondo cui ârestano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attivitĂ soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attivitĂ ai sensi degli articoli 19 e 20â.
Si aggiunge, poi, che lâaccoglimento della tesi del provvedimento implicito coniuga lâesigenza di piena tutela del terzo, legittimato a reagire in sede giurisdizionale a seguito della formazione del titolo senza bisogno dellâattivazione della procedura finalizzata alla formazione del silenzio-rifiuto (o inadempimento), con i principi di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dellâaffidamento legittimo in capo al denunciante, soddisfatti dallâapplicazione dei termini del giudizio impugnatorio che precludono la contestazione giudiziaria dellâassetto impresso dal titolo amministrativo, ancorchĂŠ perfezionatosi per silentium, a seguito del decorso del termine decadenziale di sessanta giorni, decorrente dalla piena conoscenza del silenzio significativo.
5.1.2. Ulteriori elementi a sostegno della ricostruzione provvedimentale si ricaverebbero, con particolare riferimento alla d.i.a in materia edilizia, da alcune norme contenute nel testo unico approvato con D.P.R. n. 380/2001.
In prima battuta, si sottolinea che il titolo II del testo unico annovera tra i âTitoli abilitativiâ sia la denunzia di inizio di attivitĂ che il permesso di costruire.
Gli articoli 22 e 23 del testo unico considerano, poi, la d.i.a. quale titolo che abilita allâintervento edificatorio. Ebbene, in teoria generale, il titolo è lâatto o fatto giustificativo dellâacquisto di una posizione soggettiva e il provvedimento è, ad avviso della dottrina tradizionale, lâatto che costituisce, modifica o estingue una posizione giuridica amministrativa.
Rilevante viene considerato, in particolare, lâart. 22 del d.P.R. n. 380/2001, il quale stabilisce che il confine tra l’ambito di operativitĂ della d.i.a. e quello del permesso di costruire non è fisso: le Regioni possono, infatti, ampliare o ridurre l’ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4), ed è comunque fatta salva la facoltĂ dell’interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7).
Per la tesi in esame, una simile previsione dimostrerebbe che d.i.a. e permesso di costruire sono titoli abilitativi di analoga natura, che si diversificano solo per il procedimento da seguire. Sarebbe, infatti, irragionevole, oltre che lesivo del canone costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, reputare che il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda del tipo di titolo abilitativo, che può dipendere da una scelta della parte o da una diversa normativa regionale.
Viene poi in considerazione il comma 2-bis dell’art. 38 che, prevedendo la possibilitĂ di “accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo”, equipara detta ipotesi ai casi di “permesso annullato”, in modo da avallare la costruzione che configura d.i.a alla stregua di titolo suscettibile di annullamento.
Sulla stessa linea si pone l’art. 39, comma 5-bis, che consente l’annullamento straordinario della d.i.a. da parte della Regione, confermando, cosĂŹ, che la denuncia viene considerata dal legislatore come un titolo passibile di annullamento (in sede amministrativa e, quindi, a maggior ragione, in sede giurisdizionale).
5.2. La tesi esposta, seppure sostenuta dalla condivisibile esigenza di evitare che l’introduzione della d.i.a. possa sortire l’effetto di assottigliare gli spazi di tutela giurisdizionale offerti al terzo controinteressato, si presta, tuttavia, ad alcune considerazioni critiche.
Un primo profilo di debolezza strutturale della tesi del silenzio significativo con effetto autorizzatorio è dato dal rilievo che detta soluzione elimina ogni differenza sostanziale tra gli istituti della d.i.a. e del silenzio-assenso e, quindi, si pone in distonia rispetto al dato normativo che considera dette fattispecie diverse con riguardo sia allâambito di applicazione che al meccanismo di perfezionamento. Infatti, la legge n. 241/1990, agli articoli 19 e 20, manifesta il chiaro intento di tenere distinte le due fattispecie, considerando la d.i.a. come modulo di liberalizzazione dell’attivitĂ privata non piĂš soggetta ad autorizzazione ed il silenzio assenso quale modello procedimentale semplificato finalizzato al rilascio di un pur sempre indefettibile titolo autorizzatorio. Anche la disciplina recata dagli artt. 20 e segg. del testo unico sullâedilizia di cui al citato d.P.R. n. 380/2001, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge n. 70/2011, distingue il modello provvedimentale del permesso di costruire che si perfeziona con il silenzio assenso ed i moduli (d.i.a. e s.c.i.a.) fondati sullâinoltro di unâinformativa circa lâesercizio dellâattivitĂ edificatoria.
A sostegno dellâassunto depone, poi, la formulazione letterale del primo comma dellâart. 19 della legge n. 241/1990, che, seguendo un disegno che contrappone la d.i.a. al provvedimento amministrativo di stampo autorizzatorio, sostituisce, in una logica di eterogeneitĂ , ogni autorizzazione comunque denominata (quando il rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti o presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio) con una dichiarazione del privato ad efficacia (in via immediata o differita) legittimante.
La principale caratteristica dell’istituto, di recente accentuata dallâintroduzione di denunce ad efficacia legittimante immediata, risiede, quindi, nella sostituzione dei tradizionali modelli provvedimentali autorizzatori con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attivitĂ economiche private consentite dalla legge in presenza dei presupposti fattuali e giuridici normativamente stabiliti (cosĂŹ giĂ il parere 19 febbraio 1987, n. 7, reso dallâ Adunanza Generale del Consiglio di Stato sul disegno di legge poi confluito nella legge n. 241/1990).
LâattivitĂ dichiarata può, quindi, essere intrapresa senza il bisogno di un consenso dellâamministrazione, surrogato dallâassunzione di auto-responsabilitĂ del privato, insito nella denuncia di inizio attivitĂ , costituente, a sua volta, atto soggettivamente ed oggettivamente privato (in questi termini, Cons. Stato. Sez. VI, 9 febbraio 2009, n, 717 e 15 aprile 2010, n., 2139; Sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919).
In questo assetto legislativo non câè quindi spazio, sul piano concettuale e strutturale, per alcun potere preventivo di tipo ampliativo (autorizzatorio, concessorio e, in senso lato, di assenso), sostituito dallâattribuzione di un potere successivo di verifica della conformitĂ a legge dellâattivitĂ denunciata mediante lâuso degli strumenti inibitori e repressivi.
Il denunciante è, infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per lâesercizio dellâattivitĂ e purchĂŠ la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dallâamministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge, decorso il quale si consuma, in ragione dellâesigenza di certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il discrezionale potere di autotutela.
Eâ a questo punto chiaro che detta liberalizzazione dei settori economici in esame ha carattere solo parziale in quanto il principio di autoresponsabilità è temperato dalla persistenza del potere amministrativo di verifica dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dellâattivitĂ denunciata. Trattasi, in sostanza, di attivitĂ ancora sottoposte ad un regime amministrativo, pur se con la significativa differenza che detto regime non prevede piĂš un assenso preventivo di stampo autorizzatorio ma un controllo -a seconda dei casi successivo alla presentazione della d.i.a. o allo stesso inizio dellâattivitĂ dichiarata-, da esercitarsi entro un termine perentorio con lâattivazione ufficiosa di un doveroso procedimento teso alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per lâesercizio dellâattivitĂ dichiarata. Nella stessa prospettiva della sostituzione dellâassenso preventivo con la vigilanza a valle, lâultimo periodo del primo comma dellâart. 19 stabilisce che i pareri e le verifiche a carattere preventivo di organi o enti sono sostituiti dalle certificazioni variamente denominate presentate dal privato, con salvezza delle verifiche successive da parte delle amministrazioni competenti.
Analizzando il fenomeno dallâangolazione del denunciante, si può affermare che costui è titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dallâordinamento, che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante lâinoltro dellâinformativa. Il privato è, poi, titolare di un interesse oppositivo a contrastare le determinazioni per effetto delle quali lâamministrazione, esercitando il potere inibitorio o di autotutela, incida negativamente sullâagere licere oggetto della denuncia. Per converso, il terzo pregiudicato dallo svolgimento dellâattivitĂ denunziata è titolare di una posizione qualificabile come interesse pretensivo allâesercizio del potere di verifica previsto dalla legge.
5.2.1. La tesi della formazione del silenzio significativo positivo è anche incompatibile, sul piano logico e ontologico, con lâavvento del modello della d.i.a. a legittimazione immediata (oggi generalizzato con lâintroduzione della s.c.i.a.), nonchĂŠ con il modello a legittimazione differita in cui il termine per lâesercizio del potere inibitorio si esaurisce dopo la comunicazione dellâavvenuto inizio dellâattivitĂ . In tali ipotesi la legge, infatti, consente lâinizio dellâattivitĂ in un torno di tempo anteriore allo spirare del termine per lâesercizio del potere inibitorio e alla conseguente formazione del preteso titolo tacito. Ne deriva che, salvo accedere alla complessa configurazione di un silenzio assenso con efficacia retroattiva o alla tesi, ancora piĂš opinabile, secondo cui il silenzio assenso si perfezionerebbe prima del decorso del termine per lâesercizio del potere inibitorio, in tali casi il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce lâinibizione di unâattivitĂ giĂ intrapresa in un momento anteriore.
5.2.2. Non assume poi particolare rilievo, al fine di infirmare la ricostruzione offerta e di suffragare la tesi del silenzio-assenso, la circostanza che la scelta tra detti due opposti moduli di intervento amministrativo â lâautorizzazione preventiva ed il controllo successivo – sia, in materia edilizia, rimessa alla normativa regionale o addirittura allâiniziativa del privato (art. 22 del D.P.R. 380/2001).
I dubbi sollevati circa la coerenza di tale sistema duttile con lâesigenza di assicurare una tutela adeguata ed efficace del terzo anche con riguardo al modulo della denuncia legittimante, sono fugati dal riconoscimento giurisprudenziale della praticabilitĂ di tecniche di tutela efficaci ed adeguate anche in caso di configurazione della d.i.a. come modello di liberalizzazione.
5.2.3. La lettura dellâistituto in termini di provvedimento tacito di assenso non è giustificata neanche dal richiamo legislativo allâesercizio dei poteri di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990.
Come giĂ osservato da questo Consiglio (Sez. VI, n. 717/2009; 2139/2010, citt.), con tale prescrizione il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell’istituto a favore della tesi del silenzio assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per lâesercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela. Detto potere, con cui lâamministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessitĂ dellâavvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessitĂ di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dellâaffidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio.
5.3. Lâiscrizione dellâart. 19 della legge n. 241/1990 in una logica di liberalizzazione impedisce anche di dare ingresso alla tesi secondo cui, pur dovendosi escludere che per effetto del silenzio dell’amministrazione si formi uno specifico ed autonomo provvedimento di assenso, sarebbe la denuncia stessa a trasformarsi da atto privato in titolo idoneo ad abilitare sul piano formale lo svolgimento dellâattivitĂ .
Secondo questo approccio ricostruttivo, cioè, la norma prefigurerebbe una fattispecie a formazione progressiva per effetto della quale, in presenza di tutti gli elementi costitutivi, verrebbe a formarsi un titolo costitutivo che non proviene dall’amministrazione ma trae origine direttamente dalla legge. Tali elementi sarebbero la denuncia presentata dal privato, accompagnata dalla prescritta documentazione, il decorso del termine fissato dalla legge per lâesercizio del potere inibitorio ed il silenzio mantenuto dall’amministrazione in tale periodo di tempo.
Nella concomitanza di questi tre elementi, sarebbe, dunque, la legge stessa a conferire alla denuncia del privato la natura di “titolo” abilitante all’avvio delle attivitĂ in essa contemplate, senza bisogno di ulteriori intermediazioni provvedimentali, esplicite od implicite, dell’amministrazione.
Ritiene il Collegio che anche tale tesi sia incompatibile con il rammentato assetto legislativo che rinviene il fondamento giuridico diretto dell’attivitĂ privata nella legge e non in un apposito titolo costitutivo, sia esso rappresentato dall’intervento dell’amministrazione o dalla denuncia stessa come atto di auto-amministrazione integrante esercizio privato di pubbliche funzioni (cd. âd.i.a. vestita in forma amministrativaâ).
Del resto, la sussistenza di un potere inibitorio, qualitativamente diverso e cronologicamente anteriore al potere di autotutela, è incompatibile con ogni valenza provvedimentale della d.i.a. in quanto detto potere non potrebbe certo essere esercitato in presenza di un atto amministrativo se non previa la sua rimozione. Il riconoscimento di un potere amministrativo di divieto, da esercitare a valle della presentazione della d.i.a. e senza necessitĂ della rimozione di questâultima secondo la logica del contrarius actus, dimostra, in definitiva, lâinsussistenza di un atto di esercizio privato del potere amministrativo e lâadesione ad un modello di liberalizzazione temperata che sostituisce lâassenso preventivo con il controllo successivo.
6. Appurato che la denuncia di inizio attivitĂ non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dĂ luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare lâintenzione di intraprendere unâattivitĂ direttamente ammessa dalla legge, si devono ora analizzare, al fine di rispondere al secondo quesito sottoposto allâAdunanza Plenaria, gli strumenti di tutela a disposizione del terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dellâattivitĂ dichiarata e dal mancato esercizio del potere inibitorio.
6.1. Secondo una tesi in passato maggioritaria il terzo potrebbe invocare la tutela dellâinteresse legittimo pretensivo di cui è titolare con lâesercizio dellâazione nei confronti del silenzio-rifiuto (o inadempimento), oggi disciplinata dagli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo (cosĂŹ, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948; Sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453).
Una prima impostazione, inquadrabile in questa linea di pensiero, reputa che detto silenzio-rifiuto (o inadempimento) si configuri con riferimento allâesercizio del doveroso potere inibitorio. Ad avviso di unâaltra lettura, invece, il terzo, decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, sarebbe legittimato a richiedere all’Amministrazione lâadozione dei provvedimenti di “autotutela”, attivando, in caso di inerzia, il rimedio di cui alle richiamate norme del codice del processo amministrativo. Non manca, infine, chi fa riferimento al silenzio-rifiuto maturato in ordine allâesplicazione del potere sanzionatorio di cui allâart. 21 della legge n. 241/1990.
Nessuna delle esposte ricostruzioni risulta dogmaticamente ineccepibile e, soprattutto, idonea a garantire al terzo, titolare di una situazione giuridica differenziata e qualificata, una tutela piena, immediata ed efficace.
6.1.1. Lâapplicazione del rito del silenzio allâomesso esercizio del potere inibitorio doveroso è resa problematica dalla circostanza che il silenzio-rifiuto postula, sul piano strutturale, la sopravvivenza del potere al decorso del tempo fissato per la definizione del procedimento amministrativo, mentre, nella specie, lo spirare del termine perentorio di legge implica la definitiva consumazione del potere in esame. In altre parole, nel silenzio-inadempimento lo spirare del termine di legge non conclude il procedimento ma accentua il dovere della p.a. di porre fine allâillecito comportamentale permanente, al contrario di quanto accade nel caso di specie dove lâinerzia dellâamministrazione che si protragga oltre i confini di cui allâart. 19, comma 3, della legge n. 241/1990, conclude il procedimento estinguendo il potere amministrativo di divieto. Ne consegue che, anche a voler ritenere che lâazione nei confronti del silenzio-rifiuto sia proponibile, in conformitĂ allâampio tenore letterale dellâart. 31, comma 1, del codice del processo amministrativo, con riguardo ad un potere ufficioso, nel caso in esame il decorso del tempo non configura una mera inerzia nellâesercizio di un potere ancora esistente – ossia una violazione del permanente obbligo di definizione della procedura, stigmatizzabile con un ricorso, proposto nel termine annuale di cui allâart. 31, comma 2, del codice del processo amministrativo, al fine di sollecitare una risposta esplicita dellâamministrazione ancora titolare del potere – ma produce un esito negativo della procedura, sotto il profilo della definitiva preclusione dellâesercizio del potere inibitorio.
La protrazione del silenzio amministrativo dĂ luogo, quindi, ad un esito negativo del procedimento che produce la lesione dellâinteresse pretensivo del terzo al conseguimento della misura inibitoria (con correlato consolidamento della legittimazione del denunciante a porre in essere lâattivitĂ ), non tutelabile con il rimedio congegnato dal legislatore con riguardo al silenzio-inadempimento.
6.1.2. Non è persuasiva neanche la ricostruzione che, proprio prendendo le mosse da tali considerazioni, reputa praticabile il rimedio avverso il silenzio non significativo mantenuto dallâamministrazione a fronte dellâistanza proposta dal terzo al fine di eccitare lâesercizio del potere di autotutela di cui si è detto.
Anche questa soluzione non coglie nel segno perchÊ non è idonea a tutelare in modo efficace la sfera giuridica del terzo.
Innanzitutto, questi avrebbe l’onere, prima di agire in giudizio, di presentare apposita istanza sollecitatoria alla P.A., cosĂŹ subendo una procrastinazione del momento dellâaccesso alla tutela giurisdizionale, e, quindi, specie con riguardo alla d.i.a. ad efficacia immediata, unâincisiva limitazione dellâeffettivitĂ della tutela giurisdizionale in spregio ai principi di cui agli artt. 24, 103 e 113 Cost.
Inoltre, e soprattutto, l’istanza sarebbe diretta ad eccitare non il potere inibitorio di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di legge), ma il c.d. potere di autotutela evocato dallâart. 19, comma 3, della legge n. 241/1990 tramite il richiamo ai principi sottesi agli artt. 21-quinquies e 21-nonies. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale in quanto postula la rammentata ponderazione comparativa, da parte dellâamministrazione, degli interessi in conflitto, con precipuo riferimento al riscontro di un interesse pubblico concreto e attuale che non coincide con il mero ripristino della legalitĂ violata. Nell’eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto, quindi, il giudice amministrativo non potrebbe che limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare. Evidente risulta, allora, la compressione dellâinteresse del terzo ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di unâattivitĂ illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca lâintermediazione aleatoria dellâesercizio di un potere discrezionale.
In definitiva, se la lesione dellâinteresse pretensivo del terzo è ascrivibile alla mancata adozione di un provvedimento inibitorio doveroso, è incongruo che la tutela debba riguardare l’esercizio del diverso e piĂš condizionato potere discrezionale di autotutela.
6.1.3. Non è immune da censure neanche la tesi che postula lâattivazione del rito del silenzio rifiuto al fine di contrastare lâomessa adozione dei provvedimenti sanzionatori, posto che il potere richiamato dallâarticolo 21 della legge n. 241/1990 è soggetto a stringenti limiti che lo rendono inidoneo a soddisfare, in modo effettivo e pieno, la posizione del terzo. Si consideri, in particolare, che la legislazione di settore consente allâamministrazione lâadozione di sanzioni pecuniarie che, per loro natura, sono inidonee a soddisfare lâinteresse del terzo ad ottenere una misura che impedisca lâattivitĂ denunciata e neutralizzi gli effetti dalla stessa giĂ prodotti.
La sincronizzazione del meccanismo di tutela con i connotati della posizione soggettiva lesa, ossia lâinteresse pretensivo ad ottenere una concreta misura interdittiva, esige allora, in unâottica costituzionalmente orientata, di accedere ad una lettura del sistema delle tutele che consenta al terzo di esperire unâazione idonea ad ottenere il risultato della cessazione dellâattivitĂ lesiva non consentita dalla legge mediante il doveroso intervento dellâamministrazione titolare del potere di inibizione.
6.2. Ai fini dello scrutinio delle tecniche di tutela praticabili dal terzo si deve allora approfondire la questione della natura giuridica del silenzio osservato dallâamministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per lâesercizio del potere inibitorio.
6.2.1. Riprendendo le considerazioni in precedenza svolte sul tema, detto silenzio si distingue dal silenzio-rifiuto (o inadempimento) in quanto, mentre questâultimo non conclude il procedimento amministrativo ed integra una mera inerzia improduttiva di effetti costitutivi, il decorso del termine in esame pone fine al procedimento amministrativo diretto allâeventuale adozione dellâatto di divieto; pertanto, nella fattispecie in esame, il silenzio produce lâeffetto giuridico di precludere allâamministrazione lâesercizio del potere inibitorio a seguito dellâinfruttuoso decorso del termine perentorio allâuopo sancito dalla legge. In definitiva, a differenza del silenzio rifiuto che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale, il silenzio di che trattasi, producendo lâesito negativo della procedura finalizzata allâadozione del provvedimento restrittivo, integra lâesercizio del potere amministrativo attraverso lâadozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dellâadozione del provvedimento inibitorio.
Che detta inerzia costituisca un silenzio significativo negativo lo si ricava anche dalla considerazione che lâattivazione di un procedimento doveroso finalizzato allâadozione della determinazione inibitoria implica lâesistenza di un potere il quale, allâesito della verifica circa la sussistenza dei presupposti per lâesercizio dellâattivitĂ denunciata, può naturalmente essere speso tanto in senso positivo, con lâadozione dellâatto espresso di interdizione, quanto con una determinazione negativa tacita alternativa allâesito provvedimentale espresso. Trattasi, quindi, di un provvedimento per silentium con cui la p.a., esercitando in senso negativo il potere inibitorio, riscontra che lâattività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedire lâinizio o la protrazione dellâattivitĂ dichiarata.
La disciplina in esame può essere accostata a fattispecie concettualmente analoghe, con particolare riguardo a quelle prese in esame dallâindirizzo giurisprudenziale che ammette l’impugnabilitĂ , da parte dei terzi controinteressati, dei c.d. provvedimenti negativi, con cui l’AutoritĂ Garante della Concorrenza e del Mercato archivia una determinata denuncia o comunque rifiuta di esercitare il proprio potere interdittivo o sanzionatorio (Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4597; 3 febbraio 2005, n. 280).
Sul piano delle situazioni soggettive detto atto tacito consolida lâaffidamento del denunciante circa la legittimazione allo svolgimento dellâattivitĂ , lasciando detto soggetto esposto al rischio del piĂš limitato potere di autotutela. Al tempo stesso il silenzio frustra lâinteresse pretensivo del terzo, portatore di una posizione differenziata e qualificata, ad ottenere lâadozione del provvedimento interdittivo nel rispetto del principio di imparzialitĂ dellâazione amministrativa.
Detto silenzio significativo negativo si differenzia dal silenzio accoglimento (o assenso) di cui allâarticolo 20 della legge n. 241/1990 perchĂŠ si riferisce al potere inibitorio mentre il silenzio assenso presuppone la sussistenza di un potere ampliativo di stampo autorizzatorio o concessorio che nella specie si è visto non ricorrere. Ne consegue che mentre nel silenzio assenso il titolo abilitativo è dato dal provvedimento tacito dellâautoritĂ , nella fattispecie in esame il titolo abilitante è rappresentato dallâatto di autonomia privata che, grazie alla previsione legale direttamente legittimante, consente lâesercizio dellâattivitĂ dichiarata senza il bisogno dellâintermediazione preventiva di un provvedimento amministrativo.
Va ancora osservato che la qualificazione del silenzio in parola alla stregua di atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio chiarisce la portata del richiamo dellâarticolo 19, comma 3, della legge n. 241/1990 alle disposizioni di cui allâart. 21 quinquies e 21 nonies in quanto lâesercizio del potere di autotutela si traduce nel superamento della precedente determinazione favorevole al denunciante.
Da ultimo, la qualificazione del silenzio in esame come provvedimento tacito, onerando il terzo portatore dellâinteresse pretensivo leso al rispetto del termine decadenziale di impugnazione, soddisfa lâesigenza di certezza dei rapporti giuridici ed il principio comunitario di tutela dellâaffidamento legittimo del denunciante consolidatosi a seguito del decorso del tempo.
6.3. La configurazione del silenzio in esame alla stregua di silenzio significativo produce, infatti, precise conseguenze in merito alle tecniche di tutela praticabili del terzo controinteressato allâesercizio dellâattivitĂ denunciata.
Venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo sarĂ affidata primariamente allâesperimento di unâazione impugnatoria, ex art. 29 del codice del processo amministrativo, da proporre nellâordinario termine decadenziale.
Quanto al dies a quo del ricorso per annullamento, ai sensi di legge il termine decadenziale di sessanta giorni per proporre l’azione prende a decorrere solo dal momento della piena conoscenza dellâadozione dellâatto lesivo (cfr. art. 41, comma 2, del codice).
A tale proposito, ai fini dellâaccertamento della conoscenza dellâatto lesivo, trovano applicazione i principi interpretativi consolidati, elaborati in materia di impugnazione di provvedimenti in materia edilizia e urbanistica.
Alla stregua del condivisibile orientamento interpretativo di questo Consiglio (Sez. VI, n. 717/2009 cit.), la decorrenza del termine decadenziale, in materia edilizia, non può essere di norma fatta coincidere con la data in cui i lavori hanno avuto inizio, in quanto, come la giurisprudenza ha giĂ specificato per l’impugnazione dei titoli abilitativi edilizi, il termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformitĂ della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica. Ne deriva che, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine per lâimpugnazione decorre non con il mero inizio dei lavori, bensĂŹ con il loro completamento (cosĂŹ Cons. Stato, Sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 18, secondo cui il termine per ricorrere in sede giurisdizionale da parte dei terzi avverso atti abilitativi dell’edificazione decorre da quando sia percepibile la concreta entitĂ del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica; Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705, ad avviso della quale il completamento dei lavori è considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata).
Va soggiunto che, nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della d.i.a. avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per lâesercizio del potere inibitorio, il dies a quo coinciderĂ con il decorso del termine per lâadozione delle doverose misure interdittive.
6.4. Ci si deve chiedere, a questo punto, se lâazione di annullamento proposta dal terzo possa essere ritualmente accompagnata, ai fini del completamento della tutela, dallâesercizio di unâazione di condanna dellâamministrazione allâesercizio del potere inibitorio.
6.4.1. Con la decisione 23 marzo 2011, n. 3, questa Adunanza, nel dare risposta positiva al quesito generale relativo allâesperibilitĂ di unâazione di condanna pubblicistica allâesercizio del potere autoritativo in materia di interessi pretensivi, ha fatto leva sulla disciplina dettata dal codice del processo amministrativo in materia di tecniche di tutela dellâinteresse legittimo.
Il codice, infatti, portando a compimento un lungo e costante processo evolutivo e dando attuazione armonica ai principi costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettivitĂ della tutela giurisdizionale, oltre che ai criteri di delega fissati dall’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha ampliato le tecniche di tutela dell’interesse legittimo mediante l’introduzione del principio della pluralitĂ delle azioni. Si sono, quindi, aggiunte alla tutela di annullamento la tutela di condanna (risarcitoria e reintegratoria ex art. 30), la tutela dichiarativa (con l’azione di nullitĂ del provvedimento amministrativo ex art. 31, comma 4) e, in materia di silenzio-inadempimento, l’azione di condanna (cd. azione di esatto adempimento) all’adozione del provvedimento, anche previo accertamento, nei casi consentiti, della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (art. 31, commi da 1 a 3).
Si è nellâoccasione osservato che il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sia pure in maniera non esplicita, ha ritenuto esperibile, anche in presenza di un provvedimento espresso di rigetto e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalitĂ amministrativa o tecnica, l’azione di condanna volta ad ottenere l’adozione dell’atto amministrativo richiesto. Ciò alla stregua del combinato disposto dell’art. 30, comma 1, che fa riferimento all’azione di condanna senza la tipizzazione dei relativi contenuti (sull’atipicitĂ di detta azione si sofferma la relazione governativa di accompagnamento al codice) e dell’art. 34, comma 1, lett. c), ove si stabilisce che la sentenza di condanna deve prescrivere l’adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio (cfr., con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio 2009, n. 717).
In definitiva, lâarchitettura del codice, in coerenza con il criterio di delega fissato dall’art. 44, comma 2, lettera b, n. 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l’esperibilitĂ di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa.
Di qui, la trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilitĂ di attivitĂ discrezionali riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la legittimitĂ alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata.
Va poi osservato che, secondo la ricostruzione offerta dalla richiamata decisione dellâAdunanza Plenaria, alla stregua dell’inciso iniziale del comma 1 dell’art. 30, salvi i casi di giurisdizione esclusiva del giudizio amministrativo (segnatamente, con riferimento alle azioni di condanna a tutela di diritti soggettivi) ed i casi di cui al medesimo articolo (relativi proprio alle domande di risarcimento del danno ingiusto di cui ai successivi commi 2 e seguenti), la domanda di condanna può essere proposta solo contestualmente ad altra azione in guisa da dar luogo ad un simultaneus processus che obbedisce ai principi di concentrazione processuale ed economia dei mezzi giuridici. Ne deriva che la domanda tesa ad una pronuncia che imponga l’adozione del provvedimento satisfattorio non è ammissibile se non accompagnata dalla rituale e contestuale proposizione della domanda di annullamento del provvedimento negativo (o del rimedio avverso il silenzio ex art. 31).
6.4.2. Applicando dette coordinate ermeneutiche al caso che ne occupa si deve concludere che il terzo è legittimato allâesercizio, a completamento ed integrazione dellâazione di annullamento del silenzio significativo negativo, dellâazione di condanna pubblicistica (cd. azione di adempimento) tesa ad ottenere una pronuncia che imponga allâamministrazione lâadozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dellâart. 19 della legge n. 241/1990.
La proposizione di detta azione è, infatti, coerente, sul piano processuale, con il ricordato disposto dellâart. 30, comma 1, del codice, trattandosi di domanda proposta contestualmente a quella di annullamento.
Risultano rispettati anche i limiti posti dallâart. 31, comma 3, visto che lo jussum giurisdizionale non produce unâindebita ingerenza nellâesercizio di poteri discrezionali riservati alla pubblica amministrazione ma, sulla scorta dellâaccertamento dellâesistenza dei presupposti per il doveroso potere inibitorio, impone una determinazione amministrativa non connotata da alcun profilo di discrezionalitĂ .
Si deve soggiungere che tale soluzione, anticipando alla fase della cognizione un effetto conformativo da far valere altrimenti nel giudizio di ottemperanza, consente unâaccelerazione della tutela coerente, oltre che con il generale principio di effettivitĂ della tutela giurisdizionale, con la stessa propensione mostrata dal codice (cfr. art. 34, comma 1, lett. e) a trasfondere nel contenuto della sentenza di cognizione lâadozione di misure attuative tradizionalmente proprie dellâesecuzione.
Alla stregua di consolidati principi giurisprudenziali, la proposizione di detta azione di condanna, in aggiunta e a completamento di quella di annullamento, deve essere valutata sulla scorta dellâapprezzamento della portata effettiva del ricorso alla luce del petitum sostanziale in esso contenuto.
6.5. Tanto detto circa le coordinate della tutela azionabile dal terzo dopo il perfezionamento della decisione amministrativa di non adottare la misura inibitoria, si pone lâulteriore problema relativo agli spazi di accesso alla giustizia amministrativa rivendicabili dal terzo che subisca una lesione in un arco di tempo anteriore al decorso del termine perentorio fissato dalla legge per lâesercizio di tale potere.
Infatti, specie alla luce dellâintroduzione della d.i.a. a legittimazione immediata e dellâavvento della s.c.i.a., è possibile che lâattivitĂ denunciata abbia inizio prima della formazione del provvedimento negativo suscettibile di impugnazione. Detta eventualità è peraltro configurabile anche con riguardo al generale modello della d.i.a. a legittimazione differita di cui al previgente art. 19 della legge n. 241/1990, in virtĂš del quale il dichiarante è legittimato allâesercizio dellâattivitĂ trenta giorni dopo la presentazione della dichiarazione mentre il potere inibitorio è esercitabile entro i trenta giorni dalla comunicazione dellâavvenuto inizio dellâattivitĂ stessa.
Ci si deve allora chiedere se il terzo possa agire in giudizio, nello spatium temporis che separa il momento in cui la d.i.a. produce effetti legittimanti dalla scadenza del termine per lâesercizio del potere inibitorio, al fine di ottenere una pronuncia che impedisca lâinizio o la prosecuzione, con effetti anche irrimediabilmente lesivi dellâattivitĂ dichiarata, non essendo accettabile in linea di principio che vi possa essere un âperiodo mortoâ (non coperto cioè neanche dalla tutela ante causam di cui si dirĂ in seguito) in cui un interesse rimanga privo di tutela. Unâazione deve essere dunque esperibile per garantire la verifica dei presupposti di legge per lâesercizio dellâattivitĂ oggetto di denuncia. Osserva il Collegio che, non essendosi ancora perfezionato il provvedimento amministrativo tacito e non venendo in rilievo un silenzio-rifiuto, lâunica azione esperibile è lâazione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi lâinsussistenza dei presupposti di legge per lâesercizio dellâattivitĂ oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti allâautoritĂ amministrativa.
LâAdunanza deve al riguardo farsi carico del duplice problema dellâammissibilitĂ di unâazione atipica e della compatibilitĂ di detta azione, nel caso di specie, con il limite fissato dal comma 2 dellâart. 34 del codice del processo in punto di divieto dellâadozione di pronunce con riguardo a poteri non ancora esercitati.
6.5.1. Quanto al primo aspetto, lâAdunanza, in adesione alla tesi giĂ sostenuta da questo Consiglio, con riguardo al panorama normativo anteriore al decreto legislativo n. 104/2010 (Sez. VI, decisioni n. 717/2009, 2139/2010, citt.), reputa che lâassenza di una previsione legislativa espressa non osti allâesperibilitĂ di unâazione di tal genere quante volte, come nella specie, detta tecnica di tutela sia lâunica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dellâinteresse legittimo.
Sviluppando il discorso giĂ avviato dallâAdunanza Plenaria con la richiamata decisione n. 3/2011, si deve, infatti, ritenere che, nellâambito di un quadro normativo sensibile allâesigenza costituzionale di una piena protezione dellâinteresse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dellâazione generale di accertamento non precluda la praticabilitĂ di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate, ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dellâinteresse legittimo (artt. 24, 103 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilitĂ dell’azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente.
A tale risultato non può del resto opporsi il principio di tipicitĂ delle azioni, in quanto corollario indefettibile dell’effettivitĂ della tutela è proprio il principio della atipicitĂ delle forme di tutela.
In questo quadro la mancata previsione, nel testo finale del codice, di una norma esplicita sullâazione generale di accertamento, non è sintomatica della volontĂ legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalitĂ , ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale allâadozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta, per cosĂŹ dire, allo stato puro, ossia senza sovrapposizione di altre funzioni. Ne deriva, di contro, che, ove dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, lâazione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui allâart. 44 della legge n. 69/2009.
Tale evenienza ricorre proprio con riguardo alla tutela invocata dal terzo al cospetto della presentazione di una denuncia pregiudizievole, quante volte la denuncia, producendo un effetto legittimante istantaneo, o comunque anticipato rispetto al decorso del termine per lâesercizio del potere inibitorio, possa produrre effetti lesivi che fanno nascere lâinteresse ad agire in giudizio in un momento anteriore alla definizione del procedimento amministrativo.
La soluzione è suffragata anche da unâinterpretazione sistematica delle norme dettate dal codice del processo amministrativo che, pur difettando di una disposizione generale sullâazione di mero accertamento, prevedono la definizione del giudizio con sentenza di merito puramente dichiarativa agli artt. 31, comma 4 (sentenza dichiarativa della nullitĂ ), 34, comma 3 (sentenza dichiarativa dellâillegittimitĂ quante volte sia venuto meno lâinteresse allâannullamento e persista lâinteresse al risarcimento), 34, comma 5 (sentenza di merito dichiarativa della cessazione della materia del contendere), 114, comma 4, lett. b (sentenza dichiarativa della nullitĂ degli atti adottati in violazione od elusione del giudicato).
Soprattutto, lâazione di accertamento è implicitamente ammessa dallâart. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo, secondo cui âin nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitatiâ. Detta disposizione, che riproduce lâidentica formulazione contenuta nella soppressa norma del testo approvato dalla Commissione del Consiglio di Stato, dedicata allâazione generale di accertamento, vuole evitare, in omaggio al principio di separazione dei poteri, che il giudice si sostituisca alla pubblica amministrazione esercitando una cognizione diretta di rapporti amministrativi non ancora sottoposti al vaglio della stessa. Detta disposizione non può che operare per lâazione di accertamento, per sua natura caratterizzata da tale rischio di indebita ingerenza, visto che le altre azioni tipizzate dal codice sono per definizione dirette a contestare lâintervenuto esercizio (od omesso esercizio) del potere amministrativo.
6.5.2. Si deve a questo punto valutare se, nel caso della d.i.a., lâesperimento, da parte del terzo, di unâazione di accertamento volta ad evitare gli effetti lesivi derivanti dallâesercizio dellâattivitĂ nel limitato arco di tempo prima descritto, violi il limite sancito dal citato art. 34, comma 2, del codice.
Tale norma è contenuta in una disposizione relativa alle sentenze di merito e fa divieto al giudice di pronunciare su âpoteri non ancora esercitatiâ.
Eâ indubbio, quindi, che fino al termine di conclusione del procedimento il giudice non possa adottare una pronuncia di merito. Tale impedimento cessa però alla scadenza del termine predetto, che implica la definizione della procedura con lâesercizio del potere nei sensi prima esposti.
Per i ricorsi proposti anteriormente allâesercizio del potere inibitorio e a partire dal momento in cui la d.i.a. produce effetti giuridici legittimanti si deve fare applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale che distingue tra i presupposti processuali – ossia i requisiti che devono sussistere ai fini della instaurazione del rapporto processuale – che devono esistere sin dal momento della domanda, e le condizioni dellâazione – ossia i requisiti della domanda che condizionano la decidibilitĂ della controversia nel merito – che devono esistere al momento della decisione (cfr. Cass., sez. I, 9 ottobre 2003, n. 15082; conf. Cass. 8338/2000; 4985/1998; Sez. un. 1464/1983; 3940/1988; Cass., Sez. lav., n. 1052/1995).
Nella specie, la scadenza del termine di conclusione del procedimento è un fatto costitutivo integrante una condizione dellâazione che, ai sensi del disposto dellâart. 34, comma 2, cit., deve esistere al momento della decisione.
Ne deriva che lâassenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude lâesperimento dellâazione giudiziaria anche se impedisce lâadozione di una sentenza di merito ai sensi del citato capoverso dellâart. 34.
Per converso, in ossequio ai principi prima ricordati in tema di effettivitĂ e di pienezza della tutela giurisdizionale, di cui la tutela interinale è declinazione fondamentale, il giudice amministrativo può adottare, nella pendenza del giudizio di merito, le misure cautelari necessarie, ai sensi dellâart. 55 del codice del processo amministrativo, al fine di impedire che, nelle more della definizione del procedimento amministrativo di controllo e della conseguente maturazione della condizione dellâazione, lâesercizio dellâattivitĂ denunciata possa infliggere al terzo un pregiudizio grave ed irreparabile.
Sono adottabili, a fortiori, misure cautelari ante causam, al fine di assicurare gli effetti della sentenza di merito, in presenza dei presupposti allâuopo sanciti dallâart. 61 del codice del processo amministrativo. La proposizione della domanda ante causam può essere idonea a soddisfare lâesigenza di piena tutela del terzo anche senza la proposizione dellâazione di accertamento laddove i termini di legge (art. 61, comma 5) entro i quali la misura provvisoria conserva i suoi effetti prima dellâintroduzione del giudizio di merito relativo al silenzio provvedimentale, siano in concreto compatibili con la preservazione delle ragioni interinali del terzo.
La possibilitĂ di adottare misure cautelari prima della definizione del procedimento amministrativo è confortata anche dalla considerazione che la misura provvisoria si appunta su un rapporto amministrativo giĂ sottoposto al vaglio della pubblica amministrazione con la presentazione della denuncia di inizio attivitĂ e con la conseguente attivazione della procedura amministrativa finalizzata allâadozione degli eventuali provvedimenti inibitori. Se si aggiunge che lâinteresse del terzo ad agire insorge sin da quanto il denunciante è abilitato allâesercizio dellâattivitĂ lesiva, si deve concludere che lâazione di accertamento proposta in via anticipata consente lâadozione di misure cautelari che, lungi dallâimplicare una non consentita sostituzione nellâesercizio del potere di controllo, mira ad evitare che lâutilitĂ dellâeventuale adozione della misura inibitoria adottata allâesito dellâesercizio del potere possa essere vanificata dagli effetti medio temporesortiti dallâesplicazione dellâattivitĂ denunciata.
6.5.3. Una volta spirati i termini di legge per la definizione del procedimento con il conseguente pieno esercizio del potere amministrativo, verrĂ a configurarsi la condizione dellâazione mancante, con conseguente rimozione dellâostacolo frapposto dallâarticolo 34, comma 2, alla definizione del giudizio.
Occorre allâuopo distinguere a seconda che la p.a. adotti o meno il provvedimento di divieto, satisfattorio dellâinteresse del terzo.
In caso positivo si registrerĂ la cessazione della materia del contendere, ex art. 34, comma 5, del codice del processo, in ragione della piena soddisfazione della pretesa del ricorrente ad evitare lo svolgimento dellâattivitĂ dichiarata.
In caso negativo il giudice potrĂ pronunciarsi sul merito del ricorso senza che sia allâuopo necessaria la proposizione, da parte del terzo ricorrente, di motivi aggiunti, exart. 43 del codice.
Va, infatti, osservato che oggetto dellâaccertamento invocato con lâazione iniziale non può essere solo la mera sussistenza o insussistenza dei presupposti per svolgere l’attivitĂ sulla base di una semplice denuncia ma, in coerenza con i caratteri della giurisdizione amministrativa come giurisdizione avente ad oggetto lâesercizio del potere amministrativo ai sensi dellâarticolo 7, comma 1, del codice, la sussistenza o lâinsussistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti interdittivi doverosi, e, quindi, la fondatezza dellâ interesse pretensivo allâuopo azionato del terzo. Si tratta, del resto, di due aspetti strettamente connessi visto che alla verifica dellâinesistenza dei presupposti previsti dalla legge per lo svolgimento dellâattivitĂ dichiarata segue, in via indefettibile, in mancanza di spazi per la regolarizzazione, lâintervento della vincolata determinazione interdittiva.
Ne deriva che, in forza del principio di economia processuale, lâazione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in quanto la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire in pieno, sul piano del petitum sostanziale e della causa petendi, la decisione della pubblica amministrazione di non adottare il provvedimento inibitorio. E tanto specie se si considera che detto silenzio provvedimentale non introduce, per sua natura, elementi motivazionali che richiedano una specifica contestazione con una nuova iniziativa processuale. Resta salva la facoltĂ dellâarticolazione di motivi aggiunti suggeriti dalle risultanze dellâ istruttoria svolta dallâamministrazione o dalla sopravvenienza di nuovi elementi. La proposizione di motivi aggiunti sarĂ invece onerosa, pena lâimprocedibilitĂ del ricorso giĂ presentato, nellâipotesi in cui la pubblica amministrazione, allâesito del procedimento amministrativo inaugurato con la presentazione della d.i.a., adotti un atto espresso che evidenzi le ragioni della mancata adozione della determinazione inibitoria.
7. Applicando le coordinate fin qui esposte al caso di specie si deve pervenire al rigetto dellâappello.
Non merita, infatti, accoglimento il motivo con cui si pretende di ricavare dalla pur corretta premessa della qualificazione della d.i.a. come atto oggettivamente e soggettivamente privato la conseguenza dellâinammissibilitĂ della domanda di annullamento proposta in prime cure dallâodierno appellato.
In applicazione della regola oggi sancita dallâart. 32, comma 2, del codice del processo amministrativo, ricognitiva di un principio giĂ elaborato dalla giurisprudenza, la domanda di primo grado, pur essendo atecnicamente rivolta allâimpugnazione della d.i.a., è riqualificabile, contenendone tutti elementi formali e sostanziali, come domanda che, sulla scorta dellâaccertamento dellâillegittimitĂ dellâattivitĂ denunciata, mira a contestare la decisione della pubblica amministrazione di non vietare lâattivitĂ oggetto della dichiarazione.
Ne deriva che va confermato lâaccoglimento della domanda sancito con la sentenza appellata, pur con la suddetta riqualificazione della domanda stessa e la conseguente correzione della motivazione della sentenza.
8. Lâappello non reca invece alcuna censura in ordine ai motivi sostanziali che hanno condotto allâaccoglimento del ricorso in primo grado in relazione alla violazione del divieto di aggravamento della servitĂš. La sentenza deve quindi essere, sotto tale aspetto, integralmente confermata. Ne consegue lâimprocedibilitĂ del ricorso incidentale subordinato proposto dal Dovesi.
9. La complessitĂ delle questioni di diritto affrontate, fonte di contrasti giurisprudenziali, giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma, con diversa motivazione, la sentenza appellata.
Dichiara lâimprocedibilitĂ del ricorso incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autoritĂ amministrativa.
CosĂŹ deciso in Roma, nelle camera di consiglio del 2 maggio e del 4 luglio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pasquale de Lise, Presidente del Consiglio di Stato
Giancarlo Coraggio, Presidente di Sezione
Gaetano Trotta, Presidente di Sezione
Stefano Baccarini, Presidente
Pier Luigi Lodi, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Marco Lipari, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere, Estensore
Anna Leoni, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI STATO
L’ESTENSORE
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/07/2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione