+39-0941.327734 info@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto dell'energia Numero: 9156 | Data di udienza: 5 Febbraio 2025

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – D.M. 21 giugno 2024 – Divieto di installazione in aree classificate come agricole – Questione di legittimità costituzionale – Rilevanza e non manifesta infondatezza – Rimessione alla Corte Costituzionale.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 13 Maggio 2025
Numero: 9156
Data di udienza: 5 Febbraio 2025
Presidente: Stanizzi
Estensore: Stanizzi


Premassima

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – D.M. 21 giugno 2024 – Divieto di installazione in aree classificate come agricole – Questione di legittimità costituzionale – Rilevanza e non manifesta infondatezza – Rimessione alla Corte Costituzionale.



Massima

TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ – 13 maggio 2025, n. 9156

DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – D.M. 21 giugno 2024 – Divieto di installazione in aree classificate come agricole – Questione di legittimità costituzionale – Rilevanza e non manifesta infondatezza – Rimessione alla Corte Costituzionale.

Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità dell’art. 5, comma 1 e 2, del decreto legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, nonché dell’art. 2, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. n. 190/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonché dal Regolamento (UE) 2021/1119

Massime in lavorazione


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ - 13 maggio 2025, n. 9156

SENTENZA

Pubblicato il 13/05/2025

N. 09156/2025 REG.PROV.COLL.

N. 08718/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8718 del 2024, proposto da
Ecotec S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Comande’, Enzo Puccio, Serena Caradonna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ministero dell’Agricoltura della Sovranita’ Alimentare e delle Foreste, Ministero della Cultura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Giunta Regionale della Regione Siciliana, Presidenza della Regione Siciliana, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– degli artt. 1, 3 e 7 del Decreto Ministeriale 21 giugno 2024 recante “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili” adottato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica di concerto con il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste e pubblicato sulla G.U. della Repubblica Italiana, Serie Generale n.153 del 2 luglio 2024, nonché i relativi allegati;

– di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura, del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, del Ministero dell’Agricoltura della Sovranita’ Alimentare e delle Foreste e della Regione Siciliana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2025 la dott.ssa Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1 – Premette in fatto la società odierna ricorrente di operare nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, in particolare da fonte solare.

Rappresenta, al riguardo, che tra le iniziative in corso di sviluppo vi è la predisposizione di un progetto per la realizzazione di un impianto agrivoltaico, denominato “Circo” da realizzarsi nella Regione Sicilia, di potenza 2,5 MW, con riferimento al quale ha già ottenuto il preventivo di connessione nonché la disponibilità delle aree di sedime, per il quale deve essere avviata la procedura per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione ed esercizio.

2 – Sostiene parte ricorrente che le previsioni dettate dagli artt. 1, 3 e 7 del decreto impugnato, adottato dal Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (“Mase”), di concerto con il Ministro della cultura (“Mic”) e con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (“Masaf”) nel formale esercizio della delega di cui all’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021 con il fine di stabilire principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, avrebbero di fatto introdotto criteri asseritamente illegittimi e lesivi della sua posizione giuridica, in quanto suscettibili di pregiudicare l’autorizzazione del progetto di impianto agrivoltaico in corso di elaborazione.

Solleva, quindi, parte ricorrente, a sostegno della proposta azione impugnatoria, i seguenti motivi di censura inerenti plurimi profili di violazione di legge ed eccesso di potere:

I – Con riferimento agli articoli 1 e 7 del D.M.: violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, commi 1, 2, 3 e 8 del D.Lgs. n. 199/2021 – Violazione e falsa applicazione delle linee guida emanate con decreto del ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 – Violazione della delega – Eccesso di potere – Manifesta irragionevolezza – Violazione della direttiva 2009/28/CE, della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2018/2001/UE.

I.1 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 20, comma 3 del D.Lgs. 199/2021 e dell’articolo 5 della legge n. 53/2021.

Il decreto impugnato avrebbe mancato di definire i criteri omogenei per l’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili (“FER”), essendosi limitato a riprodurre principi di massima che sarebbero esattamente e testualmente riproduttivi di quelli individuati dalla fonte delegante all’art. 20, comma 3, D.Lgs. n. 199/2021 (e, ancor prima, l’articolo 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53), di carattere meramente programmatico. Ne deriverebbe il conferimento alle regioni di una delega sostanzialmente in bianco, in contrasto con l’insegnamento della Corte Costituzionale, che avrebbe sempre rivendicato l’importanza della uniformità della “materia energia” sul territorio nazionale.

I.2 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, c. 1, del D.lgs. 199/2021.

Nel ricordare parte ricorrente come ai sensi di quanto previsto dall’articolo 20, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 199/2021, i Ministeri resistenti, mediante l’adozione di uno o più decreti delegati, erano tenuti in via prioritaria a “dettare i criteri per l’individuazione delle aree idonee all’installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalità per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unità di superficie, nonché dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione di energia elettrica già installati e le superfici tecnicamente disponibili” contesta l’attuazione che di tale norma è stata operato con il gravato decreto.

Lamenta in particolare parte ricorrente che l’articolo 7, comma 2, lett. b) del D.M. 21 giugno 2024 – laddove prevede che le Regioni, nell’individuazione delle aree idonee, debbano tener conto “della possibilità di classificare le superfici o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto” – conterrebbe indicazioni generiche ed un mero richiamo al sintetico principio di differenziazione, insuscettibili come tali di fornire alle Regioni gli indirizzi necessari ed idonei a orientare l’esercizio della potestà regionale anche quanto ad individuazione del mix di fonti energetiche richiesto dalla normativa primaria, da porre in correlazione con le caratteristiche dei territori.

La norma del gravato decreto, pertanto, sarebbe illegittima per aver abdicato alla propria funzione di individuazione dei principi e criteri per l’individuazione delle aree idonee, violando la delega legislativa conferita con il d.lgs. n. 199/2021, per effetto della quale il decreto avrebbe dovuto “dettare i criteri per l’individuazione delle aree idonee all’installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalità per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unità di superficie, nonché dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione di energia elettrica già installati e le superfici tecnicamente disponibili”.

I.3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, c. 8, del D.lgs. 199/202.

Denuncia parte ricorrente l’illegittimità della previsione, contenuta nell’art. 7, lettera c) del D.M. impugnato, che assegna una mera “possibilità” alle Regioni, in sede di emanazione delle leggi regionali, di fare salve le aree nelle more ritenute idonee dall’art. 20, comma 8, del D.Lgs. n. 199/2021, con classificazione da ritenersi, secondo parte ricorrente, anticipatoria e vincolante per la futura normazione regionale. Tale norma si porrebbe in contrasto con il dato normativo e consentirebbe alle Regioni di non tener conto, in sede di normazione, delle aree idonee individuate dal legislatore nazionale, rimettendosi alle Regioni la potestà di prevedere che aree che, fino ad oggi, sono state indiscussamente idonee, ai sensi del comma 8, diventino “aree ordinarie” o addirittura “aree non idonee”, con impatti negativi in termini di affidamento degli investimenti ed incertezza del quadro giuridico di riferimento, senza peraltro prevedere una disciplina transitoria per i procedimenti autorizzativi avviati in data anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni regionali.

II – Con riferimento all’illegittimità degli articoli 1, 3 e 7 del D.M.: violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, commi 1, 2, 3, 4, 7 e 8 del D.Lgs. n. 199/2021 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 – Violazione e falsa applicazione delle linee guida emanate con decreto del ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 – Eccesso di potere – Manifesta irragionevolezza – Violazione della direttiva 2009/28/CE, della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2018/2001/UE – Violazione del principio della massima diffusione degli impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili.

II.1 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, c. 4 del D.lgs. 199/2021, dell’art.12 del D.lgs. 387/2003, delle Linee Guida e del principio della massima diffusione degli impianti FER.

Sostiene parte ricorrente che l’art. 20, comma 4, del D.Lgs. n. 199/2021 prevedrebbe una competenza regionale, da esercitare mediante legge, unicamente per la disciplina delle aree idonee. Il decreto, invece, affidando alle regioni il compito di individuare con legge anche le aree non idonee, si porrebbe in contrasto, oltre che con tale norma primaria, anche con l’art. 12, comma 10, del D.Lgs. 387/2003 e con le successive Linee Guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, che prevedono l’individuazione delle “aree non idonee” all’esito di un apposito procedimento amministrativo, nel cui ambito, attraverso adeguata istruttoria, poter operare un bilanciamento in concreto degli interessi strettamente aderenti alla specificità dei luoghi, senza poter imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale, in violazione peraltro del principio della riserva di procedimento amministrativo.

II.2 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, c. 4 del D.lgs. 199/2004, dell’art.12 del D.lgs. 387/2003, delle Linee Guida e del principio della massima diffusione degli impianti FER.

Nel definire le aree non idonee come aree “incompatibili con l’installazione di specifiche tipologie di impianti”, il decreto introdurrebbe un vero e proprio divieto di installazione di impianti FER in dette aree, in contrasto con i principi dettati dalle Linee Guida, che pure vengono dalla disposizione in questione richiamati, in base alle quali “L’individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve configurarsi come divieto preliminare” all’installazione degli impianti, costituendo solo una valutazione di primo livello cui deve eseguire una valutazione in concreto circa la realizzabilità dell’impianto.

II.3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, commi 1, 7 e 8 del D.lgs. 199/2021, dell’art.12 del D.lgs. 387/2003, delle Linee Guida e del principio della massima diffusione degli impianti FER nonché del D.lgs. 42/2004 e dell’art. 117 c. 2 lett. s) Cost..

Nel prevedere che “Sono considerate non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi dell’art. 10 e dell’art. 136, comma 1, lettere a) e b) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, il decreto si porrebbe in contrasto con la normativa europea e nazionale, nonché con quella prevista per i beni soggetti a tutela paesaggistica e culturale, introducendo un divieto esorbitante e del tutto irragionevole, in quanto di fatto inibirebbe in tutte le aree vincolate la realizzazione degli impianti, a prescindere da qualsiasi specifica valutazione in ordine alle effettive e concrete esigenze di tutela di ciascun bene vincolato e, correlativamente, da qualsiasi verifica in ordine alla sussistenza di una effettiva incompatibilità dell’intervento con la tutela paesaggistica o culturale da assicurare. Del pari illegittima sarebbe la previsione secondo cui “Le regioni possono individuare come non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, nonché “stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un massimo di 7 chilometri”, in quanto assegnerebbe poteri alle Regioni in contrasto con la competenza statale in materia di paesaggio e beni culturali, che impone uniformi livelli di tutela in tutto il territorio nazionale.

III – Con riferimento all’illegittimità dell’art. 1, comma 2, lettera d) del D.M.: violazione e falsa applicazione dell’art. 20, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 199/2021 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 del d.lgs. n. 387/2003 – Violazione e falsa applicazione delle linee guida emanate con decreto del ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 – Violazione della delega – Eccesso di potere – Manifesta irragionevolezza – Violazione della direttiva 2009/28/CE, della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2018/2001/UE.

III.1 – Violazione dell’art. 20, co. 1, D.Lgs. n. 199/2021.

Nell’individuare le aree agricole come aree in cui è vietata l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, per le quali vige il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra ai sensi dell’art. 20, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 199/2021, l’art. 1 del decreto contravverrebbe alla delega, che non avrebbe contemplato la possibilità di individuare aree “in cui è vietata” la installazione di impianti fotovoltaici a terra, sicché il D.M. non avrebbe potuto essere utilizzato per dare attuazione al citato comma 1-bis.

III.2 – Manifesta irragionevolezza – Violazione della Direttiva 2009/28/CE, della Direttiva 2001/77/CE e della Direttiva 2018/2001/UE.

La delega di cui all’art. 1, comma 2, lett. d) del D.M. impugnato sarebbe irragionevole ed illegittima anche in ragione del fatto che, nel vietare la collocazione di impianti FTV a terra in aree agricole, non precisa che da tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici. Invero, sia gli impianti fotovoltaici con moduli a terra che gli agrivoltaici hanno in comune la collocazione sul suolo di moduli recanti pannelli fotovoltaici. Tuttavia, la giurisprudenza ne avrebbe evidenziato la differenza, in quanto nei primi la crescita della vegetazione può ostare con la produzione di energia e quindi è oggetto di interventi volti a limitare o impedire la collocazione di tale tipologia di impianti, mentre, nel caso dell’agrivoltaico, l’impianto (sia avanzato che base) sarebbe strutturato in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola ovvero il pascolo degli animali, di talché la superficie del terreno resta permeabile e quindi raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola. La previsione in esame, non operando alcuna distinzione in merito, introdurrebbe un divieto concreto, indiscriminato e generalizzato ad ogni tipo di impianto che usa tale tecnologia, inclusi gli agrivoltaici base o avanzati che siano.

La previsione sarebbe inoltre in contrasto con l’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 che consente la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica anche in zone classificate agricole.

IV – Illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1-bis del D.Lgs. n. 199/2021, introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.l. n. 63/2024, convertito con modifiche con l. 22 n. 101/2024, per violazione e falsa applicazione dell’art. 77, comma secondo, della Costituzione.

Per l’ipotesi in cui non sia possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. n. 199/2021, la ricorrente ne ha prospettato l’illegittimità costituzionale.

Dalla disamina del “Preambolo” al D.L. Agricoltura n. 63/2024, convertito in legge con legge n. 101/2024, si evincerebbe che l’iniziativa governativa da cui ha preso le mosse l’approvazione dell’art. 5, comma 1, del menzionato D.L., che ha introdotto il comma 1-bis dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, è stata motivata in ragione della ritenuta straordinaria necessità e urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola. Tale presupposto, tuttavia, secondo parte ricorrente, non sarebbe sussistente, in quanto nel territorio italiano la Superficie Agricola Totale (SAT) è pari a 16 milioni di ettari, mentre la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) è pari a 12,5 milioni di ettari. Inoltre, 4 milioni di ettari di terreni agricoli sono attualmente abbandonati. Al 2023 sono stati installati impianti pari a una potenza di 30,3 GW. Di questi, secondo il GSE, 9,2 GW sono impianti FTV a terra che utilizzano 16.400 ettari, che equivalgono solo allo 0,05% del territorio nazionale oppure allo 0,13% della SAU. Installare gli 84 GW di cui al Piano elettrico 2030/REPowerEU richiederebbe fino a 70.000 ettari – considerando l’ipotesi più estensiva secondo cui l’intero obiettivo fosse perseguito mediante l’utilizzo della sola tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici collocati a terra e senza considerare la quota installabile su edifici – che equivalgono allo 0,2% del territorio italiano ovvero allo 0,4% della SAT. Si tratterebbe di una porzione marginale di suoli agricoli anche se paragonata ai 4 milioni di ettari di terreni agricoli abbandonati e ai 12,5 milioni di ettari di SAU. Sarebbero stati, pertanto, in origine carenti i requisiti di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost. che avrebbero giustificato il ricorso allo strumento eccezionale della decretazione d’urgenza.

V. Illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1-bis del D.Lgs. n. 199/2021, introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.l. n. 63/2024 (c.d. d.l. agricoltura), convertito con modifiche con l. n. 101/2024, per violazione e falsa applicazione degli artt. 117, commi primo e terzo, della costituzione, in relazione, rispettivamente, alla direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e all’art. 12 del Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (attuazione della direttiva 2001/77/CE).

La norma contestata di cui all’art. 20, comma 1-bis del D.Lgs. n. 199/2021, nel prevedere il divieto di installazione di nuovi impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e, in particolare, con l’obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva 2001/77/CE, nonché dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della quale è stato emanato il D.Lgs. n. 199/2021.

Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi generali dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare con l’art. 12, comma 7, del D.Lgs. n. 387/2003, ai sensi del quale “Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici”, e con le Linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, secondo le quali le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei e l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non può riguardare porzioni significative del territorio. Per contro, una norma che introduce un divieto generalizzato a realizzare una tipologia di impianto FER su qualsiasi area agricola – a prescindere anche da una previa indagine in merito alle tecnologie utilizzate, in specie gli agrivoltaici, alle specifiche qualità del sito agricolo ovvero alle colture ivi condotte – si porrebbe in conflitto con i summenzionati principi fondamentali di cui all’art. 117, comma 1, Cost. ed all’art. 12, comma 7, del D.Lgs. n. 387/2003, attuativi di direttive dell’Unione europea e che riflettono anche impegni internazionali volti a favorire l’energia prodotta da fonti rinnovabili.

La previsione si porrebbe, inoltre, in contrasto con la Raccomandazione della Commissione UE 2024/1343 volta a limitare al minimo le zone di esclusione per l’installazione di impianti di energia rinnovabile.

VI – Sotto altro profilo: illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1-bis del D.Lgs. n. 199/2021, introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.l. n. 63/2024 (c.d. d.l. agricoltura), convertito con modifiche con l. n. 101/2024, per: Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 Cost. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili – Violazione del principio di proporzionalità – Violazione dell’art. 11 del TFUE – Violazione dell’art. 41 Cost.

La scelta di introdurre un generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con moduli a terra su aree urbanisticamente classificate come “agricole” risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela dell’ambiente perseguiti. Sul punto, l’art. 15 della direttiva 2018/2001 prevede che “Gli Stati membri prendono in particolare le misure appropriate per assicurare che: b) le norme in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano oggettive, trasparenti e proporzionate …”. La norma censurata sarebbe tutt’altro che una forma di esercizio “proporzionato” della potestà legislativa. La norma, inoltre, violerebbe il principio di integrazione delle tutele – riconosciuto, sia a livello europeo (art. 11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del D.Lgs. n. 152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo sottintende) – in virtù del quale le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.

Se il principio di proporzionalità rappresenta il criterio alla stregua del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori costituzionali all’interno di un quadro argomentativo razionale, il principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La tutela dell’ambiente e del paesaggio (nello specifico dell’ambiente e del contesto agricolo) non potrebbero essere visti quali valori contrapposti rispetto alla diffusione delle fonti rinnovabili, sia sotto il profilo della tutela dell’ambiente che sotto quello della tutela dell’iniziativa economica privata.

Lo stesso art. 9 della Costituzione sancisce che la tutela dei valori ambientali deve essere perseguita “anche nell’interesse delle future generazioni”. Al contrario, la disposizione in esame muoverebbe dall’assunto di un aprioristico conflitto tra la conservazione delle aree agricole e l’autorizzazione di impianti per la produzione di energia mediante collocazione di pannelli fotovoltaici a terra, come se le descritte finalità non fossero tra loro contemperabili mediante la introduzione di parametri di valutazione idonei a stabilire, caso per caso, quando e dove consentire o meno la collocazione di impianti che utilizzano la tecnologia fotovoltaica a terra (inclusi gli agrivoltaici base o avanzati) in area agricola.

3 – Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, dapprima con formula di rito, mentre con successiva memoria i Ministeri intimati hanno sostenuto l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, con richiesta di corrispondente pronuncia, rilevando che i presupposti ricostruttivi e teorici su cui la ricorrente fonda le proprie deduzioni sarebbero smentiti dalla lettura della normativa di riferimento.

3.1.- In particolare, la necessità di individuare criteri omogenei per la definizione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili sarebbe stata introdotta dall’articolo 5, comma 1, lettera a) della legge 22 aprile 2021, n. 53, “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea” (legge di delegazione europea 2019-2020), che dettava criteri di delega per il recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (RED II). Successivamente, il decreto legislativo n. 199 del 2021, con l’articolo 20, ha individuato il percorso per l’individuazione delle superfici e aree idonee e non idonee alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili, prevedendo un coinvolgimento, in prima battuta, del MASE, del MIC e del MASAF d’intesa con le Regioni, al fine di definire criteri e principi omogenei e rinviando a successive leggi regionali per l’individuazione su ciascun territorio delle superfici e delle aree idonee e non idonee. Nello specifico, la disciplina prevede:

– al comma 5 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, che nel percorso di individuazione delle aree idonee siano rispettati i principi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030;

– ai commi 6 e 7, rispettivamente, che nelle more dell’individuazione delle aree idonee non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione e che le aree non incluse nel novero delle aree idonee non possono essere dichiarate non idonee in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee;

– al comma 8 che “nelle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini di cui al comma 1 del presente articolo […]” una lista specifica di aree immediatamente idonee (c.d. aree idonee ex-lege).

3.2 – In secondo luogo, il decreto ministeriale impugnato, lungi dal voler introdurre barriere alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, sarebbe finalizzato all’individuazione di quelle aree o superfici ove poter usufruire di procedimenti autorizzativi più veloci e snelli ai fini dell’ottenimento del relativo titolo autorizzativo, con individuazione altresì delle zone dove invece tali accelerazioni non sono presenti o che richiederanno una valutazione più attenta in ragione di specifiche tutele che interessano l’area dell’intervento.

La definizione di “area idonea” e “non idonea” contenuta nel suddetto decreto, infatti, sarebbe strettamente legata alla individuazione delle semplificazioni di cui poter beneficiare ai fini autorizzativi, fermo restando che anche nelle “aree non idonee” nulla vieterebbe agli operatori di poter realizzare impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.

Il che troverebbe conferma nella previsione dettata dall’art. 20, comma 7, del D.Lgs. 199/2021 che vieta esplicitamente alle regioni, in sede di pianificazione, di considerare le aree non idonee come inibite in assoluto alla realizzazione di impianti FER, mentre l’art. 1, comma 2, lett. b), del D.M. impugnato, nel richiamare le linee guida di cui al paragrafo 17 del D.M. 10 settembre 2010, le identificherebbe come quelle aree in cui si individuano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, “i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità (non certezza) di esito negativo delle valutazioni in sede di autorizzazione”.

3.3 – Quanto all’individuazione tramite legge regionale delle aree idonee, la competenza normativa in materia sarebbe già riconosciuta dalla Costituzione (art. 117, terzo comma, in tema di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”), per cui non sarebbe necessaria alcuna espressa “delega” alle regioni, nel momento in cui il D.Lgs. 199 del 2021, base giuridica del decreto in esame, costituirebbe una chiara “legge cornice”, individuando principi e criteri omogenei per l’individuazione anche delle aree non idonee. Per poter legiferare anche su tali aree non sarebbe stato necessario, pertanto, alcun espresso “mandato normativo” statale.

3.4 – Sarebbe, altresì, infondata la contestazione dell’esistenza di un c.d. “delega in bianco”: il D.M. impugnato, infatti, indicherebbe all’articolo 7 i principi e criteri omogenei (in linea con l’articolo 20, commi 1 e 2, del D.lgs. n. 199 del 2021) lasciando alle Regioni, tramite le proprie leggi, l’individuazione delle aree idonee e non idonee al fine di garantire il rispetto delle competenze legislative nella materia concorrente della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione.

3.5 – Con riferimento alla previsione per cui “Sono considerate non idonee le superficie e le aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi dell’art. 10 e dell’art. 136, comma 1, lettere a) e b) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, sostengono le parti resistenti che si tratterebbe di parametro non irragionevole, né indiscriminato, posto che la inidoneità concernerebbe unicamente le aree ricomprese nel perimetro di beni di interesse pubblico che richiedono una protezione forte da parte dell’ordinamento.

3.6 – In merito all’art. 7, comma 3, del D.M. impugnato, laddove è previsto che “Le regioni possono individuare come non idonee le superficie le aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del 8 medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Le regioni possono stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un massimo di 7 chilometri”, la previsione sarebbe in linea con quanto contenuto nelle Linee Guida (D.M. 10 settembre 2010), che all’Allegato 3 chiariscono che le “Regioni, con le modalità di cui al paragrafo 17, possono procedere ad indicare come aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o del paesaggio”, quali, tra l’altro, “le aree ed i beni di notevole interesse culturale di cui alla Parte Seconda del D.lgs. 42 del 2004, nonché gli immobili e le aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 dello stesso decreto legislativo” ovvero le “zone individuate ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. 42 del 2004 valutando la sussistenza di particolari caratteristiche che le rendano incompatibili con la realizzazione degli impianti”.

3.7 – Con riguardo all’articolo 1, comma 2, lettera d), del D.M., secondo cui le Regioni individuano, tra le altre, le “aree in cui è vietata l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra: le aree agricole per le quali vige il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra ai sensi dell’art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199”, la previsione non sarebbe strumento di “attuazione” dell’articolo 20, comma 1-bis, perché gli effetti di tale disposizione verrebbero già spiegati autonomamente all’interno del D.Lgs. n. 199 del 2021, con previsione di rango primario introdotta successivamente con la legge ordinaria di conversione del D.L. Agricoltura n. 63/2024. Piuttosto il rimando operato nel D.M. Aree idonee a tale previsione, lungi dal volere introdurre un divieto generalizzato di portata innovativa, troverebbe ragione in forza della ratio del medesimo provvedimento impugnato diretto a voler fornire, tra l’altro, agli operatori del settore, chiare indicazioni sulla individuazione delle superfici e aree ove poter ubicare i progetti di impianti FER e di quelle in cui ciò è precluso.

4 – Con ordinanza n. 4182 del 9 settembre 2024 è stata rigettata l’istanza cautelare proposta dal ricorrente, ritenendo insussistente il profilo del danno grave ed irreparabile.

5 – Con decreto presidenziale n. 4473 del 21 ottobre 2024 è stata disattesa la richiesta di anticipazione dell’udienza, già fissata alla data del 5 febbraio 2025 – formulata sulla base delle indicazioni contenute nell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 3868/2024 del 17 ottobre 2024 contenenti la prescrizione, in applicazione dell’art. 55, comma 10, c.p.a., della “rifissazione” dell’udienza pubblica calendarizzata per il giorno 5 febbraio 2025 “con la massima anticipazione possibile”, anche mediante lo strumento di cui all’art. 53 c.p.a. per l’abbreviazione dei termini – nella considerazione che l’urgenza della definizione delle questioni controverse aveva già comportato la celere fissazione d’ufficio dell’udienza e i ruoli di udienza erano già saturi.

6 – In vista dell’udienza, parte ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie deduzioni.

7 – All’udienza pubblica del 5 febbraio 2025 il Collegio ha prospettato alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., la sussistenza di possibili profili di parziale inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse, come riportato a verbale. La causa, previa discussione delle parti, è stata, quindi, trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – Il ricorso, del cui contenuto si è dato atto in parte narrativa, rivolto avverso talune previsioni contenute nel D.M. 21 giugno 2024, recante la “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”, può essere definito solo parzialmente, ritenendo il Collegio rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate da parte ricorrente con riferimento al divieto di installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree classificate come agricole, di cui ai motivi di censura V e VI, dovendosi pertanto, con riferimento a tali profili e per le considerazioni che in seguito si andranno ad illustrare, disporre la rimessione della relativa questione alla Corte Costituzionale, contestualmente procedendo alla sospensione del giudizio per la sola parte coinvolta da tale questione, la cui soluzione ne condiziona il parziale esito.

Possono invece essere esaminati e decisi i diversi profili di censura non incisi dalla predetta questione.

2 – Tanto precisato quanto al perimetro della presente decisione, la disamina della proposta azione transita attraverso il preliminare vaglio della sussistenza e consistenza dell’interesse posto a fondamento del ricorso, la cui possibile mancanza – refluente in ipotesi di inammissibilità parziale della proposta azione – è stata oggetto di rilievo officioso in udienza, in ordine al quale le parti hanno svolto le proprie deduzioni, senza chiedere un termine per dedurre in ordine a tale rilievo.

2.1 – Anticipando le conclusioni che, alla luce delle considerazioni che si andranno ad esporre, il Collegio intende trarre, il ricorso in esame deve essere dichiarato, in parte, inammissibile, in quanto non è ravvisabile in capo alla società ricorrente un interesse attuale e concreto all’annullamento delle gravate previsioni dettate dal decreto ministeriale del 21 giugno 2024.

2.2 – Tale scrutinio in ordine alla sussistenza, in capo alla società ricorrente, dell’interesse alla proposizione di determinate censure richiede che siano preliminarmente chiariti i termini in cui debba essere declinato il concetto di area non idonea all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili (“FER”) nel regime introdotto dalla disciplina di cui all’art. 20 D.Lgs. n. 199/2021 e successivamente precisato con il gravato D.M., sulla cui base poter riscontrare l’affermato effettivo carattere lesivo delle disposizioni ministeriali contestate.

2.3 – L’esigenza di tale accertamento risiede nel tenore delle censure articolate con il ricorso, ed è alle stesse intrinsecamente correlata.

Per come esposto in parte narrativa, la società ricorrente ha in sostanza contestato con i motivi da I a III:

– l’indebita contemplazione, nell’ambito della disciplina posta dal decreto ministeriale, della materia delle aree non idonee;

– la configurazione delle aree non idonee quali aree incompatibili e, quindi, sostanzialmente preclusive rispetto alla installazione di impianti FER;

– la genericità dei criteri posti dal decreto ministeriale a fini di indirizzo della successiva attività pianificatoria regionale;

– l’abnorme estensione del perimetro di possibile individuazione delle aree non idonee;

– l’individuazione delle aree non idonee con legge regionale, e non più in sede procedimentale attraverso la riserva di procedimento amministrativo con valutazione caso per caso;

– la mancanza di una disciplina di salvaguardia per le iniziative già avviate in funzione dell’elencazione delle aree idonee ai sensi del comma 8 del richiamato articolo 20 D.Lgs. n. 199/2021.

2.4 – A tale riguardo occorre evidenziare che il presupposto teorico e ricostruttivo delle censure proposte è che, avendo il decreto qualificato le aree non idonee come aree incompatibili con l’installazione di impianti FER – precludendone in assoluto la loro installazione, senza alcuna distinzione in base alla tipologia di impianti e di potenza e senza distinzione quanto a caratteristiche specifiche delle aree – il concetto di area non idonea, coincidente con un divieto assoluto, sarebbe stato completamente stravolto rispetto al regime previgente (di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 387del 2003 ed alle linee guida approvate con D.M. 10 settembre 2010), nell’ambito del quale la non idoneità dell’area era stabilita in funzione meramente acceleratoria dei singoli procedimenti autorizzativi, senza alcuna preclusione assoluta.

In particolare, prima dell’adozione del gravato decreto ministeriale, la qualificazione di un’area come non idonea comportava come unica conseguenza che il soggetto proponente non potesse accedere alla accelerazione procedimentale dell’iter autorizzativo propedeutico alla realizzazione ed esercizio dell’impianto FER, accelerazione che, viceversa, avrebbe operato nel caso di localizzazione dell’impianto in area idonea. Per converso, nessuna preclusione, aprioristica ed assoluta, alla realizzazione di tali impianti risultava discendere dalla loro localizzazione in aree qualificate come non idonee.

2.5 – Secondo la prospettazione della società ricorrente, con l’adozione del gravato decreto ministeriale sarebbe stata, invece, introdotta una preclusione aprioristica ed assoluta all’installazione di impianti FER nelle aree classificate come non idonee, discendendo da tale assunto l’illegittimità delle relative previsioni, capaci di incidere immediatamente sulla posizione rivestita.

La ricostruzione operata da parte ricorrente quanto a valenza ed effetti discendenti dalla qualificazione di aree come non idonee – la cui nozione andrebbe a coincidere con quella di aree vietate o comunque precluse all’installazione di impianti FER – non può essere condivisa per le ragioni di seguito precisate, sulla cui base è possibile delibare il carattere non immediatamente lesivo del gravato D.M.

2.6 – Sotto il profilo ricostruttivo del quadro normativo di riferimento, va ricordato che con l’art. 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, sono state introdotte disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

A tal fine, al comma 10, è stato previsto che “In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3 [autorizzazione unica]. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”.

2.7 – Le linee guida previste dal citato art. 12, comma 10, sono state adottate con D.M. 10 settembre 2010, il quale stabilisce:

– al paragrafo 17, che “Al fine di accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all’Allegato 3. L’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli esiti dell’istruttoria, da richiamare nell’atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate. […]. Le aree non idonee sono […] individuate dalle Regioni nell’ambito dell’atto di programmazione con cui sono definite le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati in attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione individua le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente già previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico obiettivo assegnatole”;

– all’allegato 3, viene previsto che “L’individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti. L’individuazione delle aree non idonee dovrà essere effettuata dalle Regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, secondo le modalità indicate al paragrafo 17”, nonché sulla base di principi e criteri, individuati dal medesimo allegato, in ragione dei quali, tra l’altro: “a) l’individuazione delle aree non idonee deve essere basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi legati ad aspetti di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale, connessi alle caratteristiche intrinseche del territorio e del sito; b) l’individuazione delle aree e dei siti non idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto; […] d) l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non può riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, né tradursi nell’identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela. La tutela di tali interessi è infatti salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate, nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle Regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all’uopo preposte, che sono tenute a garantirla all’interno del procedimento unico e della procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale nei casi previsti. L’individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di accelerazione e semplificazione dell’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio, anche in termini di opportunità localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio”.

2.8 – Nel contesto del sistema delineato dall’art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, le citate linee guida sono “poste a completamento della normativa primaria «in settori squisitamente tecnici» (sentenze n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 e n. 86 del 2019, nonché n. 69 del 2018) e connotate dal carattere della inderogabilità a garanzia di una disciplina «uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018)» (sentenza n. 106 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)” (Corte Cost., sentenza n. 27/2023).

Con tali linee guida sono stati introdotti criteri strettamente connessi e funzionali al procedimento autorizzatorio, assurgendo a elemento qualificante del sistema, intercettando esigenze di certezza degli investimenti e di tutela dei concorrenti interessi pubblici

La Corte Costituzionale, con riferimento alle disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 199/2921 ha chiarito che “il legislatore statale ha inteso superare il sistema dettato dall’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e dal conseguente decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione delle aree non idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a individuare le aree «idonee» all’installazione degli impianti, sulla scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20 […]. Inoltre, l’individuazione delle aree idonee dovrà avvenire non più in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in relazione a quelle non idonee, bensì «con legge» regionale, secondo quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20” (Corte Cost., sentenza n. 103/2024).

2.9- Alla luce dei richiamati orientamenti giurisprudenziali, discende che nell’applicazione del rinnovato quadro normativo, inerente la materia della realizzazione degli impianti FER, non possano sic et simpliciter essere trasposti, in maniera acritica e meccanica, i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione al pregresso assetto normativo e regolatorio.

Infatti, laddove si aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica – ovvero quella sostanzialmente prospettata dalla società ricorrente – si finirebbe per obliterare indebitamente la portata del vigente contesto normativo, avuto specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito, l’articolo 20, comma 1, del D.Lgs. n. 199/2021 espressamente dispone che sia il MASE, di concerto con il MIC e il MASAF, a stabilire con decreto i principi e i criteri omogenei strumentali all’individuazione delle aree idonee e non idonee.

La portata del rinnovato quadro normativo non può, quindi, essere enucleata e vagliata mediante mera trasposizione dei principi inerenti il pregresso assetto regolatorio, essendo ora necessario riportarsi, quanto alla ricostruzione dei criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee, alla specifica disciplina recata dal decreto previsto dal comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021.

2.10 – Sulla scorta delle scelte sottese all’adozione del gravato decreto ministeriale – condivise con gli enti territoriali tramite lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza unificata – emerge come, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, nel complessivo nuovo impianto normativo e regolamentare sia sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e finalità, la portata precettiva del concetto di “area non idonea”.

Infatti, l’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024 ha definito le “superfici e aree non idonee” come “aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con l’installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall’allegato 3 delle linee guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 settembre 2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni”.

Contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente – secondo la quale la definizione di area non idonea come area incompatibile equivarrebbe alla introduzione di un divieto assoluto alla installazione di impianti FER – occorre ricordare che il paragrafo 17 delle Linee Guida già per il passato specificava che il processo di ricognizione delle aree non idonee dovesse avvenire prendendo in considerazione gli “obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti”.

Emerge, quindi, come già nel contesto previgente all’adozione del gravato decreto ministeriale le aree non idonee si caratterizzassero per essere aree incompatibili con il soddisfacimento degli obiettivi di protezione che l’ordinamento intende perseguire. Tale forma di incompatibilità, quale tratto caratterizzante delle aree non idonee, non si traduceva in una preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo ad indicare la sussistenza di “una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione”.

L’analisi diacronica sinteticamente svolta consente di affermare che, sotto l’esaminato profilo della “incompatibilità”, la definizione di “aree non idonee” contenuta nell’articolo 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto ministeriale non possiede un carattere innovativo, risultando sostanzialmente invariata, quoad effectum, la portata del concetto di “area non idonea”, per come declinato dal D.M. del 21 giugno 2024, rispetto a quella scaturente dalle Linee Guida di cui al D.M. 2010.

2.11 – A sostegno di tale conclusione, d’altronde, milita anche il fatto che lo stesso articolo 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto ministeriale declini la dichiarata incompatibilità “secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall’allegato 3 delle linee guida”.

Benché l’ordito normativo, con il previsto aggiornamento delle Linee Guida “A seguito dell’entrata in vigore della disciplina statale e regionale per l’individuazione di superfici e aree idonee ai sensi dell’articolo 20”, presenti indubbi elementi di circolarità che rendono non del tutto chiaro il ruolo che le medesime Linee Guida sono ad oggi chiamate a svolgere in subiecta materia, è preferibile ritenere che il richiamo alle modalità stabilite dalle Linee Guida sia da intendersi nel senso che il legislatore abbia optato per il consolidamento, anche rispetto al nuovo regime, delle acquisizioni, in termini di significato e declinazione delle aree non idonee, già raggiunte nel previgente assetto normativo in applicazione delle previsioni dettate dalle Linee Guida di cui al D.M. 2010.

Tale opzione esegetica può essere legittimamente percorsa in ossequio al canone ermeneutico dell’interpretazione conservativa di cui all’articolo 1367 codice civile – pacificamente applicabile anche agli atti amministrativi, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 5358 del 4 settembre 2020 e riferimenti ivi citati).

Infatti, mediante l’impiego di tale criterio interpretativo, nel nostro ordinamento giuridico è possibile preservare atti e valori giuridici non affetti da vizi di legittimità (ut res magis valeat quam pereat), risultando ciò confacente, peraltro, ai principi di economicità ed efficacia dell’attività amministrativa sanciti dall’articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui il criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione.

2.12 – Se è vero che non può essere sottaciuto il fatto che l’articolo 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale dispone che le Regioni provvedono con legge alla individuazione (anche) delle aree non idonee – e non più nell’ambito di un apposito procedimento amministrativo, come previsto dalle Linee Guida – è del pari vero che, in disparte gli eventuali profili di illegittimità di tale scelta, non v’è alcun indice normativo che faccia ritenere che a tale cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata dalla società ricorrente.

Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo giuridico di approvazione della classificazione delle aree potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e messa in esercizio di un impianto FER, non risulta accompagnato da alcuna radicale trasfigurazione del significato che il concetto giuridico di “aree non idonee” esprime nell’ambito della pianificazione del territorio necessaria al raggiungimento degli obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili.

Ad avviso del Collegio, l’interpretazione sin qui proposta trova anche il conforto della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la “necessità di garantire la «massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili» (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n. 216 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011) «nel comune intento ‘di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra’ (sentenza n. 275 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012), onde contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici (sentenza n. 77 del 2022)” (Corte cost., sent. n. 27/2023).

Va, quindi, radicalmente escluso che le “aree non idonee” possano essere considerate aree del tutto interdette alla installazione di impianti FER, poiché opinando diversamente potrebbe essere seriamente pregiudicato il conseguimento degli obiettivi energetici strumentali al rispetto degli impegni assunti dall’Italia a livello sovranazionale, tenuto anche conto della particolare ampiezza dei margini di manovra consentiti alle Regioni dal decreto ministeriale impugnato.

Viceversa, l’interpretazione dell’articolo 1, comma 2, lett. b), del gravato D.M. del 21 giugno 2024, che il Collegio intende adottare in quanto ritenuta più conforme al quadro generale di riferimento, partendo dall’assunto che il carattere di non idoneità di un’area non precluda in radice la realizzazione di impianti FER – è atta a porre in rilievo come l’individuazione con legge regionale delle aree non idonee non esclude che le amministrazioni, nell’ambito degli specifici procedimenti amministrativi di valutazione delle istanze di autorizzazione alla realizzazione di impianti FER, siano necessariamente tenute ad apprezzare in concreto l’impatto dei progetti proposti sulle esigenze di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali, anche laddove l’area interessata rientri tra quelle classificate come non idonee.

2.13 – Ad avvalorare tale conclusione depone anche la classificazione delle aree contenuta nell’art. 1 del D.M. 21 giugno 2024, riferita – rispettivamente – alle aree idonee, alle aree non idonee, alle aree ordinarie e alle aree vietate (id est: agricole), ricollegando la qualificazione come aree idonee alla possibilità di accedere ad un iter accelerato ed agevolato, mentre con riferimento alle aree ordinarie è prevista l’applicazione dei regimi autorizzativi ordinari, potendosi da ciò desumere come la classificazione delle aree sia funzionale alla individuazione del regime autorizzativo applicabile e non già ad individuare preclusioni generalizzate (ad eccezione per le aree vietate) alla realizzazione di impianti FER.

3 – Il Collegio, chiariti i termini in base ai quali delineare la nozione giuridica di “aree non idonee” alla realizzazione degli impianti FER, ritiene di poter quindi procedere all’esame dei profili inerenti l’attualità e concretezza dell’interesse a ricorrere, la cui sussistenza costituisce condizione di ammissibilità del presente gravame.

Si evidenzia, sin da ora, che non si reputa sussistente in capo alla società ricorrente il necessario interesse a ricorrere richiesto dalla legge per conseguire l’annullamento giudiziale del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, dal momento che l’inclusione di determinate porzioni di territorio tra le aree non idonee non costituisce un impedimento assoluto alla realizzazione di progetti per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili, in quanto sarà sempre necessaria la verifica, nell’ambito del singolo procedimento autorizzatorio, della compatibilità dell’intervento con il complessivo assetto del territorio e degli interessi coinvolti.

3.1 – In proposito, giova preliminarmente evidenziare che l’interesse a ricorrere, quale condizione dell’azione concettualmente autonoma dalla legittimazione ad agire, trova il suo fondamento nell’art. 100 del codice di procedura civile, rubricato “Interesse ad agire” e applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno disposto dall’articolo 39 c.p.a.

In particolare, atteso che l’articolo 100 c.p.c. stabilisce che “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa è necessario avervi interesse”, l’interesse a ricorrere si caratterizza per la “prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4).

Ciò, invero, risulta coerente con la funzione svolta dalle condizioni dell’azione nei processi di parte, innervati dal principio della domanda e dal principio dispositivo (cfr. Cass. civ., SS.UU., 22 aprile 2013 n. 9685; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2015, n. 4228; Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542).

L’interesse a ricorrere, inoltre, è espressione della concezione soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 4 del 7 aprile 2011) e ad esso è attribuita una funzione di filtro processuale, fino a divenire strumento di selezione degli interessi meritevoli di tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 22 del 9 dicembre 2021).

3.2 – L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, proprio con riferimento a tale condizione dell’azione, ha ulteriormente chiarito che “Il codice del processo amministrativo fa più volte riferimento, direttamente o indirettamente, all’interesse a ricorrere: all’art. 35, primo comma, lett. b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13, comma 4-bis e, in modo più sfumato, all’art. 31, primo comma, sembrando confermare, con l’accentuazione della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e l’arricchimento delle tecniche di tutela, la necessità di una verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che ‘la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione’ ma non anche che ‘abbia subito’ una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 22/2021, cit.).

3.3 – Poste tali premesse, osserva il Collegio come nel caso in esame venga in rilievo una controversia in cui sono censurate previsioni normative generali e rispetto alla quale l’interesse al bene (i.e., l’utilità finale o petitum mediato) correlato alla situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio dalla società ricorrente non è riconducibile a provvedimenti di autorizzazione alla realizzazione dei propri impianti o interventi, in ipotesi negati dalla amministrazione competente, bensì da futuri provvedimenti di autorizzazione il cui rilascio potrebbe essere precluso per effetto delle gravate previsioni del D.M. del 21 giugno 2024.

Nel caso di specie, invero, le amministrazioni competenti ad assentire i progetti che la società ricorrente sta elaborando non hanno ancora avuto modo di pronunciarsi sugli stessi, atteso che, al momento della proposizione del presente ricorso, non risultava proposta alcuna istanza di autorizzazione, per come affermato dalla stessa società ricorrente.

La valutazione inerente la sussistenza del necessario interesse a ricorrere, pertanto, non può prescindere dalla considerazione della assenza di correlazione tra l’attività amministrativa contestata e l’utilità giuridica finale che la società ricorrente intende conseguire.

In proposito occorre evidenziare che le impugnate prescrizioni del D.M. del 21 giugno 2024 sono destinate ad assumere, rispetto ai singoli procedimenti di autorizzazione degli impianti FER, il ruolo di parametri di legittimità dell’agere delle amministrazioni procedenti, atteso che con le stesse sono stati fissati principi e criteri generali e sono state enucleate definizioni di istituti giuridici e non, invece, comandi e divieti inderogabili, ex se ostativi all’esercizio dell’attività imprenditoriale che parte ricorrente intende svolgere.

Posto che l’interesse a ricorrere che sorregge la presente iniziativa giudiziale deve essere traguardato alla luce della possibilità di lesione che la società ricorrente potrebbe subire per effetto della applicazione delle gravate previsioni ministeriali, assume rilievo centrale la circostanza per cui dette previsioni si collocano a monte dell’attività amministrativa di autorizzazione ancora non esercitata, la quale sola è destinata ad impattare concretamente nella sfera giuridica della parte ricorrente, in quanto, in caso di esito negativo, suscettibile di arrecare alla stessa un pregiudizio in via immediata e diretta.

Lo iato esistente tra l’agere ministeriale e l’attività amministrativa di autorizzazione si ripercuote sull’apprezzamento dell’interesse a ricorrere, rendendo più rarefatta e remota la possibilità di incisione negativa dell’interesse al bene finale laddove si controverta della legittimità del parametro (di legittimità) che concorre a formare la cornice di legalità dell’azione amministrativa finalizzata alla rimozione degli ostacoli ordinamentali allo svolgimento di attività economiche non liberalizzate, come quelle che rilevano nella fattispecie in esame.

Sulla scorta delle pregresse considerazioni discende che per valutare la sussistenza dell’interesse della parte ricorrente a contestare le previsioni del D.M. del 21 giugno 2024 manca la lesione discendente da un concreto esito procedimentale dell’iter di autorizzazione che, nel caso di specie, non risulta essere stato avviato per nessuna iniziativa della società ricorrente, stante la mancata presentazione delle relative istanze.

Plurime sono le ragioni ostative al positivo riscontro della sussistenza dell’interesse ad agire conseguente ad una specifica lesione, tra le quali la più evidente è quella che risiede nel fatto che, ad opinare diversamente, si finirebbe per violare il divieto sancito dall’articolo 34, comma 2, c.p.a.

Ad avviso del Collegio, quindi, per poter riconoscere alle contestate previsioni del D.M. 21 giugno 2024 la prospettata, diretta, immediata e concreta valenza pregiudizievole predicata dalla società ricorrente, occorrerebbe che le stesse siano, ex se, automaticamente preclusive delle iniziative economiche che quest’ultima, quale operatore attivo nel mercato della produzione di energia da fonti rinnovabili, intende intraprendere (condizione, questa, che sussiste solo con riferimento al divieto inerente le aree agricole, di cui i tratterà più avanti).

Ne discende che, sulla base della prospettata interpretazione della portata delle previsioni dettate dagli articoli 1, 3 e 7 del gravato decreto ministeriale, le stesse non siano immediatamente lesive della sfera giuridica della società ricorrente, donde l’inammissibilità del presente ricorso.

3.4 – Invero, siccome il fulcro delle censure proposte dalla società ricorrente ruota intorno alla prospettata lesività del nuovo assetto regolamentare per effetto della rivisitazione del previgente sistema e del ruolo che l’istituto delle “aree non idonee” è destinato a giocare, anche per ciò che concerne gli aspetti inerenti alle modalità della loro determinazione, dall’analisi svolta in precedenza, e che deve intendersi qui integralmente richiamata, emerge come la qualificazione di determinate porzioni di territorio in termini di “aree non idonee” non costituisce un impedimento assoluto alla realizzazione di progetti tesi alla costruzione e all’esercizio di impianti FER, dal che discende la radicale insussistenza, anche in una prospettiva valutativa di carattere prognostico, della lesione lamentata dalla società ricorrente.

A tale riguardo, giova evidenziare che la localizzazione di un impianto FER in un’area non idonea non osta a che gli operatori economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell’ambito dei singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia compatibile con il complessivo assetto degli interessi coinvolti, ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 e, dall’altro, con il raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da traguardare al 2030 in base a quanto previsto dalla Tabella A dell’articolo 2 del D.M. del 21 giugno 2024.

Tali considerazioni trovano espresso conforto nelle previsioni del gravato decreto ministeriale, laddove, all’articolo 7, comma 3, in fine, si dispone che “Nell’applicazione del presente comma deve essere contemperata la necessità di tutela dei beni con la garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A dell’art. 2 del presente decreto”.

3.5 – Il pregiudizio lamentato dalla società ricorrente, peraltro, neppure può farsi discendere dal fatto che, in base al nuovo assetto normativo e regolamentare culminato con l’adozione del gravato decreto ministeriale, anche l’individuazione delle “aree non idonee” debba essere determinata mediante legge regionale e non invece, come avveniva con il previgente regime, con atti di programmazione e all’esito di una precipua istruttoria procedimentale (cfr. paragrafo 17 delle Linee Guida).

A tal proposito, infatti, vale considerare che anche ipotizzando che l’individuazione delle aree non idonee possa, in alcuni casi, scontare in sede di legislazione regionale una carente caratterizzazione in ragione del diverso atteggiarsi dei lavori preparatori di un provvedimento legislativo rispetto alla fase istruttoria di un procedimento amministrativo, ciò non risulterebbe di per sé suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale agli interessi degli operatori economici che intendono realizzare impianti FER in siti classificati come “aree non idonee”.

Infatti, la conseguenza giuridica che può farsi discendere dalla concretizzazione dell’ipotesi innanzi prospettata, consiste in un mero aggravamento dell’onere motivazionale a carico dell’amministrazione competente a pronunciarsi sulle istanze di autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER.

In particolare, l’amministrazione procedente, all’esito dell’iter di autorizzazione, non potrà giustificare l’eventuale ritenuta incompatibilità del progetto solo in virtù del fatto che l’impianto sia localizzato in un’area classificata come non idonea – motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel caso in cui la caratterizzazione delle aree non idonee sia stata puntualmente svolta dal legislatore regionale, in quanto la qualificazione di non idoneità non si traduce in un divieto assoluto di installazione di impianti FER, come già accennato in precedenza – ma dovrà necessariamente fondare il proprio diniego dando conto in maniera adeguata, ancorché in ipotesi sintetica, delle intrinseche caratteristiche del progetto e delle aree interessate, traguardate alla luce della comparazione dei contrapposti interessi in giuoco.

Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, nessun pregiudizio attuale e concreto può farsi discendere dal fatto che sia stato previsto che l’individuazione delle “aree non idonee” debba avvenire con legge regionale. Per converso, un siffatto pregiudizio è suscettibile di venire ad esistenza solo in caso di esito negativo del procedimento di autorizzazione e solo nella misura in cui risulti che l’amministrazione procedente non abbia esercitato correttamente il potere amministrativo di carattere tecnico-discrezionale ad essa attribuito dalla legge.

3.6 – Ad avviso del Collegio, sempre sulla scorta della chiarita portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di “aree non idonee” nell’ambito dell’attuale contesto normativo e regolamentare, il gravato decreto ministeriale si appalesa privo di immediata e concreta lesività anche relativamente alle prescrizioni con le quali esso stesso classifica determinate aree come non idonee, così come nella parte in cui non prevede alcun regime transitorio di salvaguardia delle iniziative in corso.

3.6.1 – Per ciò che concerne il primo profilo di doglianza testé menzionato, la circostanza per cui il gravato decreto ministeriale qualifichi come non idonee le aree ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 42/2004 (articolo 7, comma 3), non vale a mutare la portata generale del concetto di “aree non idonee”, convertendolo in un istituto a geometrie variabili che, ove direttamente applicato dall’amministrazione ministeriale, sia tale da determinare una aprioristica e radicale sottrazione, ex voluntate administrationis, dell’area non idonea alla realizzazione degli impianti FER.

Invero, sia in tal caso, sia nell’altro (cioè, quando l’individuazione delle “aree non idonee” avviene con legge regionale), la localizzazione dell’impianto all’interno di un sito ritenuto non idoneo non costituisce mai ragione di per sé sufficiente a precludere in radice la realizzazione del progetto proposto dall’operatore economico istante, potendosi giungere a tale esito procedimentale solo nel caso in cui il progetto venga in concreto reputato incompatibile, dall’amministrazione procedente, con gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie.

La parte ricorrente, viceversa, con l’impostazione impressa al ricorso in esame ha tentato di far retrocedere una siffatta – e meramente eventuale – lesione ad una fase prodromica rispetto alla valutazione in concreto dei progetti tesi alla realizzazione di impianti FER, tale in quanto unicamente riservata alla determinazione dei criteri e alle modalità di individuazione delle “aree non idonee”.

Tuttavia, sulla scorta delle regole che governano il processo amministrativo e in considerazione del fatto che la giurisdizione amministrativa di legittimità costituisce pur sempre una giurisdizione di diritto soggettivo, non è possibile accordare alla parte ricorrente una tutela anticipata di merito, ossia una tutela giudiziale del tutto sganciata dalla sussistenza di una possibile incisione negativa della sua sfera giuridica che, per le ragioni innanzi esposte e alla luce della effettiva portata prescrittiva delle gravate disposizioni del D.M. del 21 giugno 2024, può predicarsi solo rispetto ad un esito negativo dei procedimenti autorizzativi e solo laddove ciò consegua al cattivo esercizio del potere da parte dell’amministrazione procedente.

3.6.2 – In relazione al secondo profilo in contestazione, sulla scorta delle considerazioni svolte in precedenza e alle quali integralmente si rimanda in ossequio al principio di sinteticità degli atti processuali sancito dal codice di rito, è sufficiente porre in rilievo che l’eventuale mutamento della classificazione di un’area, in precedenza non qualificata come non idonea, non è ex se atto a condizionare, in maniera indefettibile e in senso sicuramente negativo, l’iter procedimentale di autorizzazione all’installazione e all’esercizio di impianti FER.

Pertanto, neppure la mancata previsione di un regime transitorio di salvaguardia delle iniziative in corso vale a dimostrare che le previsioni del gravato decreto ministeriale possano arrecare alla società ricorrente il pregiudizio da essa lamentato.

Peraltro, rispetto a tale profilo di doglianza, la carenza di interesse al ricorso sussisterebbe anche per un ulteriore e concorrente profilo, dato dal fatto che la mera intenzione di presentare una istanza di autorizzazione per la realizzazione di impianti FER non può considerarsi sufficiente a qualificare la fase di elaborazione progettuale come iniziativa in corso, ragione per cui la società ricorrente non potrebbe validamente dolersi della mancanza di un regime transitorio, non potendo essa accedere a un siffatto regime ove in ipotesi previsto.

4 – Ad avviso del Collegio, l’iniziativa giudiziale promossa dalla società ricorrente non risulta sorretta dal necessario interesse a ricorrere anche in relazione alle censure articolate con il primo motivo di ricorso, ossia quelle tese a contestare le previsioni del D.M. 21 giugno 2024 con le quali sono stati fissati i criteri per la individuazione delle aree idonee ed è stata concessa alle Regioni la mera facoltà di far salve le aree considerate idonee ope legis ai sensi dell’articolo 20, comma 8, del D.Lgs. n. 199/2021.

4.1 – In proposito, è sufficiente rinviare alle considerazioni già espresse in precedenza in quanto, anche in relazione a tali censure, l’interesse a ricorrere potrebbe dirsi sussistente solo nel caso in cui le gravate prescrizioni sulle “aree idonee” fossero tali da arrecare, ex se e immediatamente, un pregiudizio alla società ricorrente.

Il Collegio, tuttavia, non ritiene che la possibilità di lesione prospettata dalla società ricorrente sia riscontrabile ex ante in un’ottica prognostica, in quanto l’effetto giuridico discendente dalla qualificazione di una superficie come “area idonea” alla realizzazione ed esercizio di un impianto FER delle aree idonee, è essenzialmente limitato al solo riconoscimento di un vantaggio procedimentale.

Pertanto, la società ricorrente non possiede il necessario interesse ad azionare in giudizio una posizione giuridica sostanzialmente consistente nell’interesse a non vedersi aggravato l’iter procedimentale di autorizzazione (laddove, in futuro, si determini a presentare la dovuta istanza all’amministrazione), a che venga mantenuto il precedente impianto normativo e a che vengano considerate come “aree idonee” ex lege, superfici che tali sono state considerate dal legislatore, “nelle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti di cui al comma 1 [dell’articolo 20 del d.lgs. n. 199/2021, n.d.r.]”.

Al pari di quanto rilevato in relazione alle gravate previsioni sulle “aree non idonee”, anche con riferimento a questo ulteriore gruppo di censure proposte dalla società ricorrente, non risulta che le amministrazioni resistenti abbiano dettato prescrizioni cogenti e introdotto divieti assoluti e aprioristici, dalla cui applicazione discenda con assoluta certezza la radicale preclusione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER.

In definitiva, non venendo in rilievo prescrizioni suscettibili di impedire alla società ricorrente, in via immediata e diretta, lo svolgimento della propria attività di realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, deve ritenersi insussistente l’interesse processuale richiesto dalla legge per conseguire l’annullamento giudiziale del gravato decreto ministeriale.

5 – A ben vedere, e fermo restando il carattere assorbente delle anzidette considerazioni, la decidibilità nel merito del presente gravame risulterebbe preclusa anche dalla natura della posizione dedotta in giudizio dalla società ricorrente.

Infatti, ad essere stata azionata risulta essere una mera aspettativa di fatto al corretto esercizio sia della funzione amministrativa, sia della funzione legislativa delle Regioni, ossia una situazione del tutto priva della specifica connessione a un bene della vita che costituisce il proprium delle situazioni giuridiche soggettive che l’ordinamento reputa meritevoli di tutela.

6 – Ad abundantiam, vale anche osservare che, alla luce della natura della posizione azionata, la circostanza per cui la società ricorrente sia un operatore attivo nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili non costituisce elemento sufficiente a rendere differenziata e normativamente qualificata la sua posizione, la quale, pertanto, non risulta distinguibile da quella del quisque de populo.

D’altronde, anche volendo attribuire alla posizione azionata dalla società ricorrente la consistenza di interesse diffuso e metaindividuale, il ricorso in esame non risulterebbe esaminabile nel merito per carenza di legittimazione attiva, atteso che una siffatta situazione giuridica soggettiva può essere fatta valere in giudizio esclusivamente dai soggetti giuridici statutariamente o istituzionalmente preposti a rappresentare interessi omogenei di specifiche categorie, attribuzione, questa, che esula dalla sfera giuridica del singolo individuo o, come nel caso di specie, operatore economico attivo nel mercato.

6.1 – Ne consegue che “in sé considerata, la semplice possibilità di ricavare dall’invocata decisione di accoglimento una qualche utilità pratica, indiretta ed eventuale, ricollegabile in via meramente contingente ed occasionale al corretto esercizio della funzione pubblica censurata, non dimostra la sussistenza della posizione legittimante, nel senso che siffatto possibile vantaggio ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta idoneo a determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione differenziata, fondante la legittimazione al ricorso; occorre, invece, una ulteriore condizione-elemento che valga a differenziare il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che avrebbero un generico interesse alla legalità dell’azione amministrativa, essendo quest’ultimo interesse riconosciuto non al quisque de populo, ma solamente a quel soggetto che si trovi, rispetto alla generalità, in una posizione legittimante differenziata” (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 265 del 27 gennaio 2016).

6.2 – Tale condizione-elemento non può essere rintracciata nell’aspirazione a una determinata configurazione del procedimento amministrativo per effetto della qualificazione delle aree di localizzazione degli impianti FER, che si traduce nella pretesa ad una inammissibile conformazione dei poteri pubblici per mano dei soggetti privati, strumentale ad asservire le scelte dell’amministrazione (e, nel caso di specie, anche del legislatore regionale) ad interessi di natura egoistica – come tali slegati dalle esigenze di carattere pubblicistico che l’amministrazione deve curare – e ai desiderata, modali e metodologici, degli operatori del settore.

6.3 – La prospettazione della società ricorrente, anche sotto tale ultimo divisato profilo, non merita di essere condivisa, in quanto il giudice amministrativo non può accordare tutela a situazioni del tutto sui generis rispetto a quelle di interesse legittimo, nonché di diritto soggettivo nei soli casi di giurisdizione esclusiva.

La situazione dedotta in giudizio dalla società ricorrente, invero, non possiede la consistenza di interesse legittimo, il quale come noto sottende “un rapporto diretto ed immediato tra l’esercizio del potere amministrativo (e ciò in cui esso si sostanzia, cioè il provvedimento amministrativo) e l’interessato all’esercizio del potere medesimo”, che “si concretizza nel fatto che il provvedimento amministrativo ed suoi effetti interessano direttamente (ed univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in senso compressivo o ampliativo” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 1403 del 7 marzo 2013).

Nel caso di specie, le gravate previsioni del decreto ministeriale in materia di aree idonee e non idonee, non sono atte ad arrecare alcun pregiudizio immediato e diretto nella sfera giuridica della società ricorrente, le cui aspettative in relazione a progetti di realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – ancora in fase di elaborazione al momento della proposizione del presente gravame – si conservano integre sino alla definizione del procedimento autorizzativo che verrà avviato al momento della presentazione dell’istanza all’amministrazione competente.

7 – In definitiva, sulla scorta delle anzidette considerazioni, il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile per carenza originaria di interesse alla sua proposizione.

8 – A diverse conclusioni deve giungersi quanto alle censure formulate nel III motivo, che vanno esaminate congiuntamente alle questioni sollevate con il IV, V e VI motivo, con cui la parte ricorrente solleva questioni di costituzionalità dell’art. 5, comma 1, del decreto legge 15 maggio 2024, n. 63 – c.d. Decreto Agricoltura – convertito, con modificazioni, con legge 12 luglio 2024, n. 101.

Il citato art. 5, comma 1, D.L. n. 63/2024 ha introdotto il comma 1-bis all’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, il quale stabilisce che “L’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell’area occupata, c), incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell’articolo 31 del presente decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell’8 dicembre 2023, e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui all’articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR”.

Il successivo comma 2 ha previsto che tale disciplina non si applichi “ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto [16 maggio 2024], sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all’ottenimento dei titoli per la costruzione e l’esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi”.

8.1 – Parte ricorrente allega di aver elaborato una specifica iniziativa relativa ad un progetto di impianto c.d. agrivoltaico che sarebbe inciso dalla richiamata disciplina, non essendo stato ancora avviato il relativo iter autorizzatorio – non ricadendo, quindi, nella clausola di salvezza prevista per i progetti per i quali è stata avviata almeno una delle procedure amministrative necessarie all’ottenimento dei titoli autorizzativi entro il termine di cui all’art. 5, comma 2, D.L. n. 63/2024 – ed essendo conseguentemente soggetto al sopravvenuto divieto di installazione di zona agricola di cui all’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. n. 199/2021.

8.2 – Il decreto impugnato prevede, all’art. 1, comma 2, che le Regioni individuino sul rispettivo territorio, tra l’altro, le “aree in cui è vietata l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”, definite come “le aree agricole per le quali vige il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra ai sensi dell’art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199”, in tal modo dando pedissequa applicazione alla fonte sovraordinata di cui costituisce mero recepimento.

Trattasi, quindi, di previsione che, diversamente da quanto ritenuto dalla difesa erariale, introduce uno specifico divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, costituendo strumento di attuazione, per quanto del tutto vincolato nel contenuto, della norma primaria.

Va rilevato, infatti, che il comma 1-bis dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in cui è consentita l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree idonee come prevista dal comma 8 del medesimo articolo 20 nelle more dell’adozione della disciplina di cui al comma 1.

In tale contesto, il decreto ministeriale impugnato ribadisce che il divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro regolatorio e vincola la potestà legislativa regionale: ai sensi dell’art. 3, comma 1, infatti, le Regioni sono chiamate a individuare con legge, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le aree di cui all’art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle in cui è vietata l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra.

Il decreto impugnato costituisce anche l’unico atto amministrativo che interviene nel processo di implementazione del divieto, atteso che:

– esso è stabilito direttamente dalla legge statale;

– secondo quanto previsto dal decreto, l’individuazione delle aree in questione avviene con legge regionale;

– le aree così individuate non sono “non idonee”, ma assolutamente vietate, con la conseguenza che è finanche preclusa la valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilità dell’intervento con i valori confliggenti.

8.3 – Va, pertanto, richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “un atto generale […] è immediatamente impugnabile quando incide senz’altro – senza la necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi – sui comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari” (Cons. St., IV, 17.3.2022, n. 1937). Nel caso di specie l’incidenza sui comportamenti degli operatori è indubbia, derivando dal divieto così previsto l’incondizionata preclusione agli interventi di nuova installazione sulle aree indicate dall’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. n. 199/2021, come pure degli interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati che non siano collocati nelle aree di cui alla lettera dell’art. 20, comma 8, D.Lgs. n. 199/2021 e che comportino un incremento dell’area occupata.

Deriva da ciò la sussistenza dell’interesse ad agire e la legittimazione all’impugnazione immediata della disposizione normativa generale.

9 – Premessa, quindi, l’ammissibilità delle censure, deve innanzitutto reputarsi infondata la doglianza secondo la quale, concernendo la disciplina rimessa alla determinazione ministeriale l’adozione di principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee, non sarebbe stata prevista alcuna delega a individuare le aree “in cui è vietata” la installazione di impianti fotovoltaici a terra (di seguito “FTV”).

Al riguardo, deve rilevarsi che per effetto della sopravvenienza normativa costituita dal disposto dell’art. 5 del D.L. n. 63/2024, il decreto adottato ai sensi del comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021 non avrebbe potuto che prendere atto dei divieti così introdotti e ribadire, anche nel contesto della disciplina secondaria da esso dettata, le relative preclusioni.

Nel momento in cui il legislatore ha inteso vietare ulteriori interventi concernenti impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra nelle aree classificate agricole, tale innovativa previsione primaria si è inevitabilmente sovrapposta alle previgenti norme in materia di individuazione delle aree idonee, sicché ai fini della relativa implementazione non era necessaria alcuna espressa e specifica delega, potendone e dovendone l’Autorità amministrativa soltanto prendere atto.

10 – Con una seconda censura la società ricorrente contesta l’art. 1, comma 2, lett. d), del decreto impugnato nella parte in cui non esclude dall’applicazione del divieto di installazione su aree agricole gli impianti agrivoltaici, sostenendo, al riguardo, che tale tipologia di impianti – avanzati o di base – sarebbero pienamente compatibili con la destinazione e l’uso agricolo delle aree sulle quali andrebbero ad insistere, risultando quindi ingiustificata l’applicazione del divieto di installazione su aree agricole per siffatta tipologia di impianti.

Anche tale doglianza deve ritenersi infondata.

10.1 – Al riguardo, è sufficiente rilevare che l’ambito di applicazione del divieto posto dall’art. 5 del D.L. n. 63/2024 è definito direttamente dalla norma primaria – genericamente ed estensivamente riferita a tutti gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra – e la relativa individuazione appartiene all’ordinaria attività di interpretazione degli enunciati normativi.

Con la conseguenza che la mancata, ulteriore specificazione del medesimo da parte di un atto applicativo non integra, sotto alcun profilo, un vizio di legittimità di quest’ultimo laddove sia conforme, come nel caso in esame, alla norma primaria, che non demanda alla fonte secondaria alcuna ulteriore individuazione e specificazione, venendo in rilievo una norma autoapplicativa ed autosufficiente.

11 – Occorre allora procedere all’esame dei profili di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla parte ricorrente in relazione all’art. 5 del decreto legge n. 63/2024, procedendo dapprima a verificare se sia possibile fornire di tale norma un’interpretazione suscettibile di risolvere, già sul piano della corretta delimitazione della portata della norma censurata, i denunciati sospetti di incostituzionalità.

12 – Sull’impossibilità di interpretare l’art. 5 del d.l. n. 63/2024 in modo conforme a Costituzione.

12.1 – Parte ricorrente ha condizionato l’interesse a sollevare l’incidente di costituzionalità all’impossibilità di fornire un’interpretazione della norma in base alla quale ogni tipologia di impianto agrivoltaico sarebbe esclusa dal divieto da essa previsto, in quanto la giurisprudenza avrebbe già riconosciuto la differenza esistente tra la tecnologia agrivoltaica e il tradizionale fotovoltaico. Ciò, tuttavia, come di seguito si passa ad illustrare, non è possibile se non in parte, e comunque in modo non del tutto satisfattivo dell’interesse di parte ricorrente.

12.2 – L’ambito del regime preclusivo introdotto dalla norma va ricostruito a partire dal “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” (art. 12, comma 1, disp. prel. c.c.).

L’oggetto della previsione normativa riguarda specificamente l’installazione degli impianti fotovoltaici “con moduli collocati a terra […] in zone classificate agricole” e si pone in funzione servente rispetto alla dichiarata “straordinaria necessità e urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola”.

Dalle richiamate coordinate normative si ricava, pertanto, che l’oggetto del divieto riguarda gli impianti fotovoltaici caratterizzati da una ben determinata caratteristica – ovvero l’installazione dei moduli a terra – in quanto ritenuta dal legislatore incompatibile con l’utilizzo del suolo per l’agricoltura e, quindi, con la finalità di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola.

12.3 – Le linee guida MITE del 2022 in materia di impianti agrivoltaici individuano come segue i requisiti che tali impianti debbono possedere per rispondere alla finalità per cui sono realizzati:

“- REQUISITO A: Il sistema è progettato e realizzato in modo da adottare una configurazione spaziale ed opportune scelte tecnologiche, tali da consentire l’integrazione fra attività agricola e produzione elettrica e valorizzare il potenziale produttivo di entrambi i sottosistemi;

– REQUISITO B: Il sistema agrivoltaico è esercito, nel corso della vita tecnica, in maniera da garantire la produzione sinergica di energia elettrica e prodotti agricoli e non compromettere la continuità dell’attività agricola e pastorale;

– REQUISITO C: L’impianto agrivoltaico adotta soluzioni integrate innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare le prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che agricoli;

– REQUISITO D: Il sistema agrivoltaico è dotato di un sistema di monitoraggio che consenta di verificare l’impatto sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture e la continuità delle attività delle aziende agricole interessate;

– REQUISITO E: Il sistema agrivoltaico è dotato di un sistema di monitoraggio che, oltre a rispettare il requisito D, consenta di verificare il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici”.

Le medesime linee guida chiariscono, poi, che “Il rispetto dei requisiti A, B è necessario per definire un impianto fotovoltaico realizzato in area agricola come “agrivoltaico”. Per tali impianti dovrebbe inoltre previsto il rispetto del requisito D.2”, mentre il rispetto “dei requisiti A, B, C e D è necessario per soddisfare la definizione di “impianto agrivoltaico avanzato” e, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, classificare l’impianto come meritevole dell’accesso agli incentivi statali a valere sulle tariffe elettriche”.

Dalla classificazione tipologica degli impianti agrivoltaici contenuta nelle linee guida risulta, pertanto, che soltanto per gli impianti agrivoltaici di tipo avanzato è senz’altro soddisfatto il requisito C, consistente nell’utilizzo di moduli elevati da terra. Il suddetto utilizzo, secondo le linee guida, può assumere una delle due seguenti configurazioni:

– “l’altezza minima dei moduli è studiata in modo da consentire la continuità delle attività agricole (o zootecniche) anche sotto ai moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella quale esiste un doppio uso del suolo, ed una integrazione massima tra l’impianto agrivoltaico e la coltura, e cioè i moduli fotovoltaici svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si può esplicare nella prestazione di protezione della coltura (da eccessivo soleggiamento, grandine, etc.) compiuta dai moduli fotovoltaici. In questa condizione la superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell’impianto che poggiano a terra e che inibiscono l’attività in zone circoscritte del suolo”;

– “i moduli fotovoltaici sono disposti in posizione verticale […]. L’altezza minima dei moduli da terra non incide significativamente sulle possibilità di coltivazione (se non per l’ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma può influenzare il grado di connessione dell’area, e cioè il possibile passaggio degli animali, con implicazioni sull’uso dell’area per attività legate alla zootecnia. Per contro, l’integrazione tra l’impianto agrivoltaico e la coltura si può esplicare nella protezione della coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che operano come barriere frangivento”.

12.4 – In considerazione del tenore letterale e della finalità dell’art. 5 del D.L. n. 63/2024, è possibile ritenere che il divieto ivi previsto non si applichi agli impianti agrivoltaici di tipo avanzato, in quanto in relazione ai suddetti impianti, non realizzandosi l’installazione di moduli collocati a terra, non si verifica la sottrazione di suolo agricolo nei termini che la norma intende contrastare.

Tale conclusione è peraltro confermata dallo stesso orientamento assunto in sede ministeriale nell’interpretazione della norma censurata (si veda la risposta del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste all’interrogazione parlamentare n. 3-01225, laddove è stato precisato che “Sarà […] possibile installare pannelli sospesi, il cosiddetto agrivoltaico avanzato, sotto il quale si può coltivare e portare a termine tutti i progetti legati al PNRR” – cfr. il resoconto della seduta n. 297 del 22 maggio 2024 presso la Camera dei Deputati), oltre che dalle attività in corso di implementazione delle misure introdotte dal decreto impugnato (cfr. il disegno di legge della Regione Puglia n. 222/2024, depositato agli atti, che all’art. 8, comma 4, stabilisce che “nel caso di utilizzo della tecnologia fotovoltaica, nelle zone classificate agricole dai piani urbanistici possono essere realizzati esclusivamente impianti agrivoltaici di natura sperimentale”).

12.5 – Se può residuare un margine di incertezza in ordine agli impianti che, in quanto rispondenti ai requisiti di cui alle lett. a), b) e c) delle linee guida, ma non a tutti quelli richiesti dalla lett. d), non sono qualificabili come impianti agrivoltaici avanzati, sebbene utilizzino moduli sollevati da terra, ciò che rileva in questa sede è che parte ricorrente ha allegato agli atti un progetto di agrivoltaico non avanzato, che rientra senz’altro nel divieto previsto dalla norma.

Gli impianti riconducibili a tale tipologia si caratterizzano per l’installazione dei moduli a terra e determinano, in ogni caso, il consumo di suolo a vocazione agricola, sia pure in misura più limitata rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici. Soltanto nel caso degli impianti con moduli sollevati da terra, infatti, “la superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell’impianto che poggiano a terra e che inibiscono l’attività in zone circoscritte del suolo” (cfr. le linee guida, pag. 24).

12.6 – Un’interpretazione diversa, quale quella volta a escludere qualsivoglia tipologia di impianto agrivoltaico dall’applicazione del divieto, si porrebbe in contrasto, oltre che con il dato letterale della norma, anche con le sue finalità e si porrebbe in inammissibile contrasto con i tradizionali e inderogabili criteri di ermeneutica giuridica.

Al riguardo, si deve osservare che:

– “la lettera della norma costituisce il limite cui deve arrestarsi anche l’interpretazione costituzionalmente orientata dovendo, infatti, essere sollevato l’incidente di costituzionalità ogni qual volta l’opzione ermeneutica supposta conforme a Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa” (Cass., S.U., 1.6.2021, n. 15177). Nel caso di specie, non vi è dubbio che gli impianti agrivoltaici di tipo tradizionale, in quanto si risolvano nell’installazione di pannelli collocati a terra, rientrino nella previsione che vieta, per l’appunto, l’installazione di impianti “con moduli collocati a terra”;

– l’ampiezza del divieto introdotto con l’art. 5 del D.L. n. 63/2024, che si risolve nella preclusione assoluta di realizzare impianti con moduli collocati a terra sull’intero territorio nazionale, induce a ritenere che l’obiettivo perseguito dal legislatore fosse quello di contrastare la sia pur minima riduzione del territorio a vocazione agricola per l’effetto dell’installazione di impianti fotovoltaici. Un’interpretazione che escludesse tutte le tipologie di impianti agrivoltaici dall’ambito di applicazione della norma in questione, anche a dispetto di un (pur ridotto) consumo di suolo agricolo, si porrebbe in frontale contrasto con tale obiettivo, quale chiaramente emergente dai presupposti e dall’oggetto dell’enunciato normativo, operazione che non può in alcun modo ritenersi consentita all’interprete.

Per le ragioni sopra indicate neppure è possibile interpretare l’art. 5, comma 1, D.L. n. 63/2024 nel senso che il divieto opererebbe soltanto all’esito di specifica istruttoria nel rispetto delle linee guida. Una siffatta interpretazione, infatti, si risolverebbe in un’interpretatio abrogans della norma e, in ogni caso, contrasta con il chiaro tenore letterale e la finalità perseguita dal legislatore, che ha inteso consentire l’utilizzo delle aree agricole per gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra esclusivamente nei limiti di cui al citato art. 5: l’avverbio “esclusivamente” non lascia spazio a dubbi circa la portata assoluta del divieto che caratterizza i progetti e le aree agricole non contemplati quali eccezioni dall’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. n. 199/2021.

13 – Sulla rilevanza delle questioni.

13.1 – Dall’acclarata non percorribilità di un’interpretazione dell’enunciato normativo integralmente satisfattivo per la parte ricorrente deriva la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale prospettate nei motivi IV, V e VI, ponendosi il divieto previsto dall’art. 5, comma 1, decreto legge. n. 63/2024 quale fattore preclusivo alla realizzabilità del progetto già elaborato da parte ricorrente in ragione della sua concreta localizzazione.

13.2 – Si è già osservato, nell’argomentare sull’interesse alle censure, che il comma 1-bis dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in cui è consentita l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree idonee come prevista dal comma 8 del medesimo articolo 20 nelle more dell’adozione della disciplina di cui al comma 1.

In tale contesto, il decreto ministeriale ribadisce che il divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro regolatorio e vincola la potestà legislativa regionale: ai sensi dell’art. 3, comma 1, infatti, le Regioni sono chiamate a individuare con legge, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le aree di cui all’art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle in cui è vietata l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra.

Si è anche osservato che il decreto impugnato costituisce l’unico atto amministrativo che interviene nel processo di implementazione del divieto, atteso che:

– esso è stabilito direttamente dalla legge statale;

– secondo quanto previsto dal decreto, l’individuazione delle aree in questione avviene con legge regionale;

– le aree così individuate non sono “non idonee”, ma assolutamente vietate, con la conseguenza che è finanche preclusa la valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilità dell’intervento con i valori confliggenti.

E’ stato quindi richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “un atto generale […] è immediatamente impugnabile quando incide senz’altro – senza la necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi – sui comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari” (Cons. St., IV, 17.3.2022, n. 1937), rilevandosi che nel caso di specie l’incidenza sui comportamenti degli operatori è indubbia, derivando dal divieto così previsto l’incondizionata preclusione agli interventi di nuova installazione sulle aree indicate dall’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. n. 199/2021, come pure degli interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati che non siano collocati nelle aree di cui alla lettera dell’art. 20, comma 8, D.Lgs. n. 199/2021 e che comportino un incremento dell’area occupata.

Il decreto impugnato replica, quindi, il divieto sancito dalla norma primaria, demandando alla legge regionale la sua pedissequa trasposizione, che determina ex se l’impossibilità di realizzare il progetto di parte ricorrente.

La perdurante vigenza e validità della norma primaria impedisce qualsivoglia intervento demolitorio da parte del Collegio, recando il decreto una previsione del tutto conforme a legge.

13.3 – In mancanza della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 63/2024, la domanda di annullamento dell’art. 1 del D.M. impugnato, per la parte di interesse, dovrebbe essere rigettata.

Viceversa, laddove la norma incriminata fosse dichiarata incostituzionale, l’art. 1, comma 2, lett. d), del decreto dovrebbe essere annullato, ponendo a quel punto un divieto generalizzato che nessuna norma primaria contemplerebbe o autorizzerebbe e che, per le ragioni che saranno illustrate, collide con il principio di massima diffusione delle energie rinnovabili, quale desumibile dal diritto dell’Unione, dando peraltro luogo a una disciplina che non supera lo scrutinio di proporzionalità e ragionevolezza.

14 – Sulla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale posta con il IV motivo.

14.1 – Con la questione sollevata nell’ambito del IV motivo la parte ricorrente contesta la norma censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 77, comma secondo, della Costituzione. La ricorrente contesta, in particolare, la sussistenza dell’addotta ragione di straordinaria necessità e urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola in ragione del fatto che, posta l’esistenza sul territorio nazionale di una superficie agricola totale di 16 milioni di ettari (di cui solo 12,5 ettari utilizzati), anche nell’ipotesi in cui gli obiettivi energetici nel territorio italiano dovessero essere soddisfatti esclusivamente mediante la sola tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici collocati a terra, si perverrebbe a un utilizzo di appena lo 0,4% della superficie agricola, del tutto marginale rispetto ai 4 milioni di terreni agricoli abbandonati.

14.2 – L’esame della pertinente giurisprudenza costituzionale non autorizza, tuttavia, l’operazione compiuta dalla parte ricorrente.

Dall’esame dell’ampia casistica sottoposta alla Corte si ricava, in primo luogo, che il sindacato relativo alla sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza è circoscritto ai casi di evidente mancanza dei presupposti ovvero di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione (ex plurimis, Corte Cost. n. 170/2017, n. 287 del 2016, n. 72 del 2015, n. 22 del 2012, n. 93 del 2011, n. 355 del 2010; n. 128 del 2008; n. 171 del 2007).

Tale verifica viene, inoltre, condotta, non dissimilmente da quanto accade per il sindacato del giudice amministrativo in materia di eccesso di potere, a partire da profili sintomatici, tra i quali assume preminente rilievo il riscontro (o meno) di una intrinseca coerenza delle norme contenute nel decreto-legge dal punto di vista oggettivo e/o funzionale.

Il presupposto del caso straordinario di necessità e urgenza, infatti, “inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il caso che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale” (Corte Cost., sentenza n. 22/2012).

14.3 – L’art. 5 del decreto legge n. 63/2024 introduce “Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo” ed è inserito in un provvedimento normativo adottato considerando che “la concomitanza di congiunture avverse, quali il perdurare del conflitto in Ucraina e la diffusione di fitopatie, ha indotto il settore primario in una persistente situazione di crisi, determinando gravi ripercussioni sul tessuto economico e sociale”, onde la ritenuta necessità e urgenza di “emanare disposizioni finalizzate a garantire l’approvvigionamento delle materie prime agricole e, in specie, di quelle funzionali all’esercizio delle attività di produzione primaria, a sostenere il lavoro agricolo e le filiere produttive, in particolare quella cerealicola, quella del kiwi, quella della pesca e dell’acquacoltura”, nonché di “contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola”.

Rispetto a tali enunciati presupposti e finalità, la disposizione intesa a vietare l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non si pone in termini di manifesta estraneità, presentando invece un’intrinseca coerenza nell’ambito di un complesso di disposizioni finalizzate al sostegno del settore agricolo.

14.4 – Gli elementi addotti dalla ricorrente a sostegno della ritenuta insussistenza delle ragioni di urgenza, in ragione della limitata porzione di territorio che potrebbe essere occupata per effetto della realizzazione degli impianti oggetto del divieto, non consentono di giungere a conclusioni diverse, costituendo chiaro obiettivo dell’intervento contestato quello di contrastare la sia pur minima riduzione del suolo a vocazione agricola: la misura adottata costituisce, dunque, senz’altro sviluppo delle premesse, che non risultano in alcun modo smentite dalle argomentazioni spese nel ricorso.

14.5 – La questione di illegittimità costituzionale sollevata nel IV motivo risulta, pertanto, manifestamente infondata.

15 – Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità sollevate con il V e il VI motivo.

15.1 – A conclusioni diverse occorre giungere quanto agli ulteriori dubbi di costituzionalità sollevati nell’ambito del V e del VI motivo, con i quali la parte ricorrente ha in sostanza lamentato:

– la violazione dell’art. 117, commi primo e terzo, della Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (attuazione della Direttiva 2001/77/CE): la norma contestata, nel prevedere il divieto di installazione di nuovi impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e, in particolare, con l’obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva 2001/77/CE, nonché dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della quale è stato emanato il D.Lgs. n. 199/2021.

Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi generali dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare con l’art. 12, comma7, del D.Lgs. n. 387/2003, ai sensi del quale “Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici”, e con le Linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei e l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non può riguardare porzioni significative del territorio;

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 Cost., dell’art. 15 della Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, del principio di proporzionalità, dell’art. 11 del TFUE, dell’ art. 41 Cost.: la scelta di introdurre un generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con moduli a terra su aree urbanisticamente campite come “agricole” risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela dell’ambiente perseguiti, dando luogo a una disciplina sproporzionata, in contrasto con il principio di integrazione delle tutele e con la stessa tutela dei valori ambientali.

15.2 – In primo luogo, il Collegio ritiene che la disciplina censurata presenti profili di contrasto con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., sotto il profilo del mancato rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” e, in particolare, del principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea.

15.3 – Occorre al riguardo ricordare, anzitutto, che ai sensi dell’art. 3, par. 5, TUE, “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini” A tal fine essa “Contribuisce […] allo sviluppo sostenibile della Terra”.

L’art. 6, par. 1, TUE precisa che “L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”.

Ai sensi dell’art. 37 della Carta, “Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.

L’art. 11 TFUE esprime la medesima esigenza sancendo che “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile” (c.d. principio di integrazione).

Secondo l’art. 191 TFUE, “La politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:

– salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente;

– protezione della salute umana;

– utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;

– promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.

2. La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga””.

Ai sensi dell’art. 192, par. 1, TFUE, “Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere intraprese dall’Unione per realizzare gli obiettivi dell’articolo 191”.

L’art. 194 TFUE stabilisce, a sua volta, che “Nel quadro dell’instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo conto dell’esigenza di preservare e migliorare l’ambiente, la politica dell’Unione nel settore dell’energia è intesa, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, a […] promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili”.

15.4 – Protezione dell’ambiente e promozione delle c.d. energie rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti e connesse.

Come si ricava dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, l’uso di fonti di energia rinnovabili per la produzione di elettricità è utile alla tutela dell’ambiente in quanto contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che compaiono tra le principali cause dei cambiamenti climatici che l’Unione europea e i suoi Stati membri si sono impegnati a contrastare.

L’incremento della quota di rinnovabili costituisce, in particolare, uno degli elementi portanti del pacchetto di misure richieste per ridurre tali emissioni e conformarsi al protocollo di Kyoto, alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nonché agli altri impegni assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. Ciò, peraltro, è funzionale anche alla tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, nonché alla preservazione dei vegetali (cfr. le sentenze 1.7.2014, C-573/12, 78 ss., e 13 marzo 2001, C-379/98, 73 ss.).

15.5 – La Corte di giustizia ha peraltro precisato che l’art. 191 TFUE si limita a definire gli obiettivi generali dell’Unione in materia ambientale, mentre l’articolo 192 TFUE affida al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea il compito di decidere le azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi.

Di conseguenza, l’art. 191 TFUE non può essere invocato in quanto tale dai privati al fine di escludere l’applicazione di una normativa nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale quando non sia applicabile nessuna normativa dell’Unione adottata in base all’articolo 192 TFUE; viceversa, l’art. 191 TFUE assume rilevanza allorquando esso trovi attuazione nel diritto derivato (cfr. CGUE, sentenza 4.3.2015, C-534/13, 39 ss.).

15.6 – Disposizioni sulla promozione dell’energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell’art. 175 TCE (ora 192 TFUE), sono state introdotte già con la Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.9.2001 e, successivamente, con la Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23.4.2009.

15.7 – Con la Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11.12.2018 si è proceduto alla rifusione e alla modifica delle disposizioni contenute nella Direttiva 2009/28/CE.

Nel dettare la relativa disciplina è stato considerato, tra l’altro, che:

“[…]

(2) Ai sensi dell’articolo 194, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), la promozione delle forme di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della politica energetica dell’Unione. Tale obiettivo è perseguito dalla presente direttiva. Il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili o all’energia rinnovabile costituisce una parte importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni dell’Unione nel quadro dell’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, a seguito della 21a Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («accordo di Parigi»), e il quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030, compreso l’obiettivo vincolante dell’Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L’obiettivo vincolante in materia di energie rinnovabili a livello dell’Unione per il 2030 e i contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote di riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi nazionali generali per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per la politica energetica e ambientale dell’Unione […].

(3) Il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili può svolgere una funzione indispensabile anche nel promuovere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel garantire un’energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo tecnologico e l’innovazione, oltre alla leadership tecnologica e industriale, offrendo nel contempo vantaggi ambientali, sociali e sanitari, come pure nel creare numerosi posti di lavoro e sviluppo regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o nei territori a bassa densità demografica o soggetti a parziale deindustrializzazione.

(4) In particolare, la riduzione del consumo energetico, i maggiori progressi tecnologici, gli incentivi all’uso e alla diffusione dei trasporti pubblici, il ricorso a tecnologie energeticamente efficienti e la promozione dell’utilizzo di energia rinnovabile nei settori dell’energia elettrica, del riscaldamento e del raffrescamento, così come in quello dei trasporti sono strumenti molto efficaci, assieme alle misure di efficienza energetica per ridurre le emissioni a effetto serra nell’Unione e la sua dipendenza energetica.

(5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro normativo per la promozione dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili che fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota di energia rinnovabile nel consumo energetico e nel settore dei trasporti da raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del 22 gennaio 2014, intitolata «Quadro per le politiche dell’energia e del clima per il periodo dal 2020 al 2030» ha definito un quadro per le future politiche dell’Unione nei settori dell’energia e del clima e ha promosso un’intesa comune sulle modalità per sviluppare dette politiche dopo il 2020. La Commissione ha proposto come obiettivo dell’Unione una quota di energie rinnovabili consumate nell’Unione pari ad almeno il 27 % entro il 2030. Tale proposta è stata sostenuta dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre 2014, le quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare i propri obiettivi nazionali più ambiziosi, per realizzare i contributi all’obiettivo dell’Unione per il 2030 da essi pianificati e andare oltre.

(6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del 5 febbraio 2014, «Un quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030», e del 23 giugno 2016, «I progressi compiuti nell’ambito delle energie rinnovabili», si è spinto oltre la proposta della Commissione o le conclusioni del Consiglio, sottolineando che, alla luce dell’accordo di Parigi e delle recenti riduzioni del costo delle tecnologie rinnovabili, era auspicabile essere molto più ambiziosi.

[…]

(8) Appare pertanto opportuno stabilire un obiettivo vincolante dell’Unione in relazione alla quota di energia da fonti rinnovabili pari almeno al 32 %. Inoltre, la Commissione dovrebbe valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo alla luce di sostanziali riduzioni del costo della produzione di energia rinnovabile, degli impegni internazionali dell’Unione a favore della decarbonizzazione o in caso di un significativo calo del consumo energetico nell’Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro contributo al conseguimento di tale obiettivo nell’ambito dei rispettivi piani nazionali integrati per l’energia e il clima in applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio.

[…]

(10) Al fine di garantire il consolidamento dei risultati conseguiti ai sensi della direttiva 2009/28/CE, gli obiettivi nazionali stabiliti per il 2020 dovrebbero rappresentare il contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030. In nessun caso le quote nazionali delle energie rinnovabili dovrebbero scendere al di sotto di tali contributi. […].

(11) Gli Stati membri dovrebbero adottare ulteriori misure qualora la quota di energie rinnovabili a livello di Unione non permettesse di mantenere la traiettoria dell’Unione verso l’obiettivo di almeno il 32 % di energie rinnovabili. Come stabilito nel regolamento (UE) 2018/1999, se, nel valutare i piani nazionali integrati in materia di energia e clima, ravvisa un insufficiente livello di ambizione, la Commissione può adottare misure a livello dell’Unione per assicurare il conseguimento dell’obiettivo. Se, nel valutare le relazioni intermedie nazionali integrate sull’energia e il clima, la Commissione ravvisa progressi insufficienti verso la realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero applicare le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare tale lacuna”.

Le richiamate rationes hanno condotto a introdurre, tra l’altro, un obiettivo vincolante complessivo dell’Unione per il 2030 (art. 3), per cui “Gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione nel 2030 sia almeno pari al 32 %. La Commissione valuta tale obiettivo al fine di presentare, entro il 2023, una proposta legislativa intesa a rialzarlo nel caso di ulteriori sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia rinnovabile, se risulta necessario per rispettare gli impegni internazionali dell’Unione a favore della decarbonizzazione o se il rialzo è giustificato da un significativo calo del consumo energetico nell’Unione”, con la precisazione che “Se, sulla base della valutazione delle proposte dei piani nazionali integrati per l’energia e il clima, presentati ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che i contributi nazionali degli Stati membri sono insufficienti per conseguire collettivamente l’obiettivo vincolante complessivo dell’Unione, la Commissione segue la procedura di cui agli articoli 9 e 31 di tale regolamento”.

15.8 – Il Regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30.6.2021, adottato in forza dell’art. 192 TFUE, ha istituito un quadro per il conseguimento della neutralità climatica, nel presupposto che:

“(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici richiede una maggiore ambizione e un’intensificazione dell’azione per il clima da parte dell’Unione e degli Stati membri. L’Unione si è impegnata a potenziare gli sforzi per far fronte ai cambiamenti climatici e a dare attuazione all’accordo di Parigi adottato nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («accordo di Parigi»), guidata dai suoi principi e sulla base delle migliori conoscenze scientifiche disponibili, nel contesto dell’obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura previsto dall’accordo di Parigi.

[…]

(4) Un obiettivo stabile a lungo termine è fondamentale per contribuire alla trasformazione economica e sociale, alla creazione di posti di lavoro di alta qualità, alla crescita sostenibile e al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto di vista sociale, equo e in modo efficiente in termini di costi l’obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui all’accordo di Parigi.

[…]

(9) L’azione per il clima dell’Unione e degli Stati membri mira a tutelare le persone e il pianeta, il benessere, la prosperità, l’economia, la salute, i sistemi alimentari, l’integrità degli ecosistemi e la biodiversità contro la minaccia dei cambiamenti climatici, nel contesto dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e nel perseguimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi; mira inoltre a massimizzare la prosperità entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza e ridurre la vulnerabilità della società ai cambiamenti climatici. In quest’ottica, le azioni dell’Unione e degli Stati membri dovrebbero essere guidate dal principio di precauzione e dal principio «chi inquina paga», istituiti dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell’efficienza energetica al primo posto e del principio del «non nuocere» del Green Deal europeo.

[…]

(11) Vista l’importanza della produzione e del consumo di energia per il livello di emissioni di gas a effetto serra, è indispensabile realizzare la transizione verso un sistema energetico sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato sulla diffusione delle energie rinnovabili, su un mercato interno dell’energia ben funzionante e sul miglioramento dell’efficienza energetica, riducendo nel contempo la povertà energetica. Anche la trasformazione digitale, l’innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sono fattori importanti per conseguire l’obiettivo della neutralità climatica.

[…]

(20) L’Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro il 2050, un equilibrio all’interno dell’Unione tra le emissioni antropogeniche dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici dai pozzi dei gas a effetto serra di tutti i settori economici e, ove opportuno, raggiungere emissioni negative in seguito. Tale obiettivo dovrebbe comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a livello dell’Unione regolamentati nel diritto dell’Unione. […]

[…]

(25) La transizione verso la neutralità climatica presuppone cambiamenti nell’intero spettro delle politiche e uno sforzo collettivo di tutti i settori dell’economia e della società, come evidenziato nel Green Deal europeo. Il Consiglio europeo, nelle conclusioni del 12 dicembre 2019, ha dichiarato che tutte le normative e politiche pertinenti dell’Unione devono essere coerenti con il conseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica e contribuirvi, nel rispetto della parità di condizioni, e ha invitato la Commissione a valutare se ciò richieda un adeguamento delle norme vigenti.

[…]

(36) Al fine di garantire che l’Unione e gli Stati membri restino sulla buona strada per conseguire l’obiettivo della neutralità climatica e registrino progressi nell’adattamento, è opportuno che la Commissione valuti periodicamente i progressi compiuti, sulla base delle informazioni di cui al presente regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma del regolamento (UE) 2018/1999. […] Nel caso in cui i progressi collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto all’obiettivo della neutralità climatica o all’adattamento siano insufficienti o che le misure dell’Unione siano incoerenti con l’obiettivo della neutralità climatica o inadeguate per migliorare la capacità di adattamento, rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilità, la Commissione dovrebbe adottare le misure necessarie conformemente ai trattati. […]”

Il Regolamento ha quindi sancito (art. 1) “l’obiettivo vincolante della neutralità climatica nell’Unione entro il 2050, in vista dell’obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), dell’accordo di Parigi”, precisando che, onde conseguire tale obiettivo, “il traguardo vincolante dell’Unione in materia di clima per il 2030 consiste in una riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030” (art. 4).

Ai sensi dell’art. 5 del Regolamento “Le istituzioni competenti dell’Unione e gli Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento della capacità di adattamento, nel rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilità ai cambiamenti climatici in conformità dell’articolo 7 dell’accordo di Parigi”, garantendo inoltre che “le politiche in materia di adattamento nell’Unione e negli Stati membri siano coerenti, si sostengano reciprocamente, comportino benefici collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per integrare meglio l’adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e ambientale, se del caso, nonché nell’azione esterna dell’Unione”. A tal fine, “Gli Stati membri adottano e attuano strategie e piani nazionali di adattamento, tenendo conto della strategia dell’Unione sull’adattamento ai cambiamenti climatici […] e fondati su analisi rigorose in materia di cambiamenti climatici e di vulnerabilità, sulle valutazioni dei progressi compiuti e sugli indicatori, e basandosi sulle migliori e più recenti evidenze scientifiche disponibili. Nelle loro strategie nazionali di adattamento, gli Stati membri tengono conto della particolare vulnerabilità dei pertinenti settori, tra cui l’agricoltura, e dei sistemi idrici e alimentari nonché della sicurezza alimentare, e promuovono soluzioni basate sulla natura e l’adattamento basato sugli ecosistemi. Gli Stati membri aggiornano periodicamente le strategie e includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono tenuti a presentare a norma dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2018/1999”.

15.9 – La Direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18.10.2023 ha introdotto, tra l’altro, disposizioni volte a modificare la Direttiva (UE) 2018/2001, il Regolamento (UE) 2018/1999 e la Direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, evidenziando che:

“[…]

(2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel conseguimento di tali obiettivi, dato che il settore energetico contribuisce attualmente per oltre il 75 % alle emissioni totali di gas a effetto serra nell’Unione. Riducendo tali emissioni di gas a effetto serra, le energie rinnovabili possono anche contribuire ad affrontare sfide ambientali come la perdita di biodiversità, e a ridurre l’inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo «Un percorso verso un pianeta più sano per tutti – Piano d’azione dell’UE: Verso l’inquinamento zero per l’aria, l’acqua e il suolo». La transizione verde verso un’economia basata sulle energie da fonti rinnovabili contribuirà a conseguire gli obiettivi della decisione (UE) 2022/591 del Parlamento europeo e del Consiglio, che mira altresì a proteggere, ripristinare e migliorare lo stato dell’ambiente, mediante, tra l’altro, l’interruzione e l’inversione del processo di perdita di biodiversità. […].

(4) Il contesto generale determinato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia di COVID-19 ha provocato un’impennata dei prezzi dell’energia nell’intera Unione, evidenziando in tal modo la necessità di accelerare l’efficienza energetica e accrescere l’uso delle energie da fonti rinnovabili nell’Unione. Al fine di conseguire l’obiettivo a lungo termine di un sistema energetico indipendente dai paesi terzi, l’Unione dovrebbe concentrarsi sull’accelerazione della transizione verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione delle emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i cittadini e le imprese dell’Unione in tutti i settori dell’economia.

(5) Il piano REPowerEU stabilito nella comunicazione della Commissione del 18 maggio 2022 («piano REPowerEU») mira a rendere l’Unione indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030. Tale comunicazione prevede l’anticipazione delle capacità eolica e solare, un aumento del tasso medio di diffusione di tale energia e capacità supplementari di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i colegislatori a valutare la possibilità di innalzare o anticipare gli obiettivi fissati per l’aumento della quota di energia rinnovabile nel mix energetico. […] Al di là di tale livello obbligatorio, gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per conseguire collettivamente l’obiettivo complessivo dell’Unione del 45 % di energia da fonti rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU.

(6) […] È auspicabile che gli Stati membri possano combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di conseguire l’obiettivo dell’Unione di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze nazionali e della struttura delle loro forniture energetiche. Al fine di realizzare tale obiettivo, la diffusione dell’energia rinnovabile nel quadro del più elevato obiettivo generale vincolante dell’Unione dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari di decarbonizzazione che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili che gli Stati membri decidono di perseguire.

[…]

(25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere una più rapida diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile effettuando una mappatura coordinata per la diffusione delle energie rinnovabili e per le relative infrastrutture, in coordinamento con gli enti locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare le zone terrestri, le superfici, le zone sotterranee, le acque interne e marine necessarie per l’installazione degli impianti di produzione di energia rinnovabile e per le relative infrastrutture al fine di apportare almeno i rispettivi contributi nazionali all’obiettivo complessivo riveduto in materia di energia da fonti rinnovabili per il 2030 di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001 e a sostegno del conseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica entro e non oltre il 2050, in conformità del regolamento (UE) 2021/1119. […]. Gli Stati membri dovrebbero garantire che le zone in questione riflettano le rispettive traiettorie stimate e la potenza totale installata pianificata e dovrebbero individuare le zone specifiche per i diversi tipi di tecnologia di produzione di energia rinnovabile stabilite nei loro piani nazionali integrati per l’energia e il clima presentati a norma degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. […].

(26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme di tali aree, specifiche zone terrestri (comprese superfici e sottosuperfici) e marine o delle acque interne come zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in materia di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi di tecnologia, sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di energia da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare un impatto ambientale significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per le energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero evitare le zone protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero poter designare zone di accelerazione specificamente per le energie rinnovabili per uno o più tipi di impianti di produzione di energia rinnovabile e dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti rinnovabili adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Gli Stati membri dovrebbero designare tali zone di accelerazione per le energie rinnovabili per almeno un tipo di tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per le energie rinnovabili, alla luce delle specificità e dei requisiti del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Così facendo, gli Stati membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni combinate di tali zone siano sostanziali e contribuiscano al conseguimento degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001.

(27) L’uso polivalente dello spazio per la produzione di energia rinnovabile e per altre attività terrestri, delle acque interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il ripristino della natura, allentano i vincoli d’uso del suolo, delle acque interne e del mare. In tale contesto la pianificazione territoriale rappresenta uno strumento indispensabile con cui individuare e orientare precocemente le sinergie per l’uso del suolo, delle acque interne e del mare. Gli Stati membri dovrebbero esplorare, consentire e favorire l’uso polivalente delle zone individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali adottate. A tal fine, è auspicabile che gli Stati membri agevolino, ove necessario, i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, purché i diversi usi e attività siano compatibili tra di loro e possano coesistere.

[…]

(36) In considerazione della necessità di accelerare la diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione delle zone di accelerazione per le energie rinnovabili non dovrebbe impedire la realizzazione in corso e futura di progetti di energia rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione. Questi progetti dovrebbero continuare a sottostare all’obbligo di valutazione specifica dell’impatto ambientale a norma della direttiva 2011/92/UE, ed essere soggetti alle procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti in materia di energia rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Per accelerare le procedure di rilascio delle autorizzazioni nella misura necessaria a conseguire l’obiettivo di energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE) 2018/2001, anche le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili dovrebbero essere semplificate e razionalizzate attraverso l’introduzione di scadenze massime chiare per tutte le fasi della procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese le valutazioni ambientali specifiche per ciascun progetto”.

15.10 – In ragione delle considerazioni sopra richiamate, la Direttiva ha introdotto, tra l’altro, disposizioni in materia di mappatura delle zone necessarie per i contributi nazionali all’obiettivo complessivo dell’Unione di energia rinnovabile per il 2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonché di procedure amministrative per il rilascio delle relative autorizzazioni.

15.11 – Il Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11.12.2018, adottato sulla base degli artt. 192 e 194 TFUE, stabilisce la necessaria base legislativa per una governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima affidabile, inclusiva, efficace sotto il profilo dei costi, trasparente e prevedibile che garantisca il conseguimento degli obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino al 2030 dell’Unione dell’energia, in linea con l’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici derivante dalla 21a Conferenza delle parti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, attraverso sforzi complementari, coerenti e ambiziosi da parte dell’Unione e degli Stati membri, limitando la complessità amministrativa.

Nel configurare tale meccanismo è stato considerato, in particolare, che:

“(2) L’Unione dell’energia dovrebbe coprire cinque dimensioni: la sicurezza energetica; il mercato interno dell’energia; l’efficienza energetica; il processo di decarbonizzazione; la ricerca, l’innovazione e la competitività.

(3) L’obiettivo di un’Unione dell’energia resiliente e articolata intorno a una politica ambiziosa per il clima è di fornire ai consumatori dell’UE — comprese famiglie e imprese — energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e di promuovere la ricerca e l’innovazione attraendo investimenti; ciò richiede una radicale trasformazione del sistema energetico europeo. Tale trasformazione è inoltre strettamente connessa alla necessità di preservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente e di promuovere l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, in particolare promuovendo l’efficienza energetica e i risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia rinnovabile […].

[…]

(7) L’obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno il 40 % delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, è stato formalmente approvato in occasione del Consiglio «Ambiente» del 6 marzo 2015, quale contributo previsto determinato a livello nazionale, dell’Unione e dei suoi Stati membri all’accordo di Parigi. L’accordo di Parigi è stato ratificato dall’Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed è entrato in vigore il 4 novembre 2016; sostituisce l’approccio adottato nell’ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che è stato approvato dall’Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio (7) e che non sarà prorogato dopo il 2020. È opportuno aggiornare di conseguenza il sistema dell’Unione per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra.

(8) L’accordo di Parigi ha innalzato il livello di ambizione globale relativo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura mondiale media ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di continuare ad adoperarsi per limitare tale aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.

[…]

(12) Nelle conclusioni del 23 e del 24 ottobre 2014, il Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare un sistema di governance affidabile, trasparente, privo di oneri amministrativi superflui e con una sufficiente flessibilità per gli Stati membri per contribuire a garantire che l’Unione rispetti i suoi obiettivi di politica energetica, nel pieno rispetto della libertà degli Stati membri di stabilire il proprio mix energetico […]

[…]

(18) Il principale obiettivo del meccanismo di governance dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento degli obiettivi dell’Unione dell’energia, in particolare gli obiettivi del quadro 2030 per il clima e l’energia, nei settori della riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, delle fonti di energia rinnovabili e dell’efficienza energetica. Tali obiettivi derivano dalla politica dell’Unione in materia di energia e dalla necessità di preservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente e di promuovere l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, come previsto nei trattati. Nessuno di questi obiettivi, tra loro inscindibili, può essere considerato secondario rispetto all’altro. Il presente regolamento è quindi legato alla legislazione settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di energia e di clima. Gli Stati membri devono poter scegliere in modo flessibile le politiche che meglio si adattano alle preferenze nazionali e al loro mix energetico, purché tale flessibilità sia compatibile con l’ulteriore integrazione del mercato, l’intensificazione della concorrenza, il conseguimento degli obiettivi in materia di clima ed energia e il passaggio graduale a un’economia sostenibile a basse emissioni di carbonio.

[…]

(36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a lungo termine con una prospettiva di almeno 30 anni per contribuire al conseguimento degli impegni da loro assunti ai sensi dell’UNFCCC e all’accordo di Parigi, nel contesto dell’obiettivo dell’accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali nonché delle riduzioni a lungo termine delle emissioni di gas a effetto serra e dell’aumento dell’assorbimento dai pozzi in tutti i settori in linea con l’obiettivo dell’Unione […].

(56) Se l’ambizione dei piani nazionali integrati per l’energia e il clima, o dei loro aggiornamenti, fosse insufficiente per il raggiungimento collettivo degli obiettivi dell’Unione dell’energia e, nel primo periodo, in particolare per il raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo di tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali «divari di ambizione»). Qualora i progressi dell’Unione verso tali obiettivi e traguardi fossero insufficienti a garantirne il raggiungimento, la Commissione dovrebbe, oltre a formulare raccomandazioni, proporre misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per garantire il raggiungimento di detti obiettivi, colmando così eventuali «divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero altresì tenere conto degli sforzi pregressi dagli Stati membri per raggiungere l’obiettivo 2030 relativo all’energia rinnovabile ottenendo, nel 2020 o prima di tale anno, una quota di energia da fonti rinnovabili superiore al loro obiettivo nazionale vincolante oppure realizzando progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per il 2020 o nell’attuazione del loro contributo all’obiettivo vincolante dell’Unione di almeno il 32 % di energia rinnovabile nel 2030. In materia di energia rinnovabile, le misure possono includere anche contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati a un meccanismo di finanziamento dell’energia rinnovabile nell’Unione gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire ai progetti sull’energia rinnovabile più efficienti in termini di costi in tutta l’Unione, offrendo così agli Stati membri la possibilità di contribuire al conseguimento dell’obiettivo dell’Unione al minor costo possibile. Gli obiettivi degli Stati membri in materia di rinnovabili per il 2020 dovrebbero servire come quota base di riferimento di energia rinnovabile a partire dal 2021 e dovrebbero essere mantenuti per tutto il periodo. In materia di efficienza energetica, le misure aggiuntive possono mirare soprattutto a migliorare l’efficienza di prodotti, edifici e trasporti.

(57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di energia rinnovabile per il 2020, di cui all’allegato I della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dovrebbero servire come punto di partenza per la loro traiettoria indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che uno Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza più elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo, una quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente parte della direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo, la quota di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo di energia di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota base di riferimento.

(58) Se uno Stato membro non mantiene la quota base di riferimento misurata in un periodo di un anno, esso dovrebbe adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il divario rispetto allo scenario di riferimento. Qualora abbia effettivamente adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato conforme ai requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal momento in cui il divario in questione si è verificato, sia ai sensi del presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 […]”.

15.12 – Il meccanismo di governance si è tradotto, tra l’altro, nelle seguenti previsioni (come aggiornate con la Direttiva (UE) 2023/2413):

– “Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica alla Commissione un piano nazionale integrato per l’energia e il clima […]” (art. 3):

– “Ciascuno Stato membro definisce nel suo piano nazionale integrato per l’energia e il clima i principali obiettivi, traguardi e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all’allegato I, sezione A, punto 2:

a) dimensione «decarbonizzazione»:

[…]

2) per quanto riguarda l’energia rinnovabile:

al fine di conseguire l’obiettivo vincolante dell’Unione per la quota di energia rinnovabile per il 2030 di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo in termini di quota dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo lordo di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo segue una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18 % dell’aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l’obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il suo contributo all’obiettivo 2030. Entro il 2025, la traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 43 % dell’aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l’obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il suo contributo all’obiettivo 2030. Entro il 2027, la traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 65 % dell’aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l’obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il suo contributo all’obiettivo 2030.

Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve raggiungere almeno il contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato membro prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per il 2020, la sua traiettoria indicativa può iniziare al livello che si aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri, nel loro insieme, concorrono al raggiungimento dei punti di riferimento dell’Unione nel 2022, 2025 e 2027 e all’obiettivo vincolante dell’Unione per la quota di energia rinnovabile per il 2030 di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001. Indipendentemente dal suo contributo all’obiettivo dell’Unione e dalla sua traiettoria indicativa ai fini del presente regolamento, uno Stato membro è libero di stabilire obiettivi più ambiziosi per finalità di politica nazionale” (art. 4);

– “Nel proprio contributo alla propria quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia del 2030 e dell’ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi di cui all’articolo 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro tiene conto degli elementi seguenti:

a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001;

b) misure adottate per conseguire il traguardo di efficienza energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE;

c) altre misure esistenti volte a promuovere l’energia rinnovabile nello Stato membro e, ove pertinente, a livello di Unione;

d) l’obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all’allegato I della direttiva (EU) 2018/2001.

e) le circostanze pertinenti che incidono sulla diffusione dell’energia rinnovabile, quali:

i) l’equa distribuzione della diffusione nell’Unione;

ii) le condizioni economiche e il potenziale, compreso il PIL pro capite;

iii) il potenziale per una diffusione delle energie rinnovabili efficace sul piano dei costi;

iv) i vincoli geografici, ambientali e naturali, compresi quelli delle zone e regioni non interconnesse;

v) il livello di interconnessione elettrica tra gli Stati membri;

vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi pregressi.

[…]

2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la somma dei rispettivi contributi ammonti almeno all’obiettivo vincolante dell’Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il 2030 di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001” (art. 5);

– “Se nel settore dell’energia rinnovabile, in base alla valutazione di cui all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, la Commissione conclude che uno o più punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027, di cui all’articolo 29, paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o più dei rispettivi punti di riferimento nazionali di cui all’articolo 4, lettera a), punto 2, provvedono all’attuazione di misure supplementari entro un anno dal ricevimento della valutazione della Commissione, volte a colmare il divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali:

a) misure nazionali volte ad aumentare la diffusione dell’energia rinnovabile;

b) l’adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili nel settore del riscaldamento e raffreddamento di cui all’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001;

c) l’adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti di cui all’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001;

d) un pagamento finanziario volontario al meccanismo di finanziamento dell’Unione per l’energia rinnovabile istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla Commissione, come indicato all’articolo 33;

e) l’utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla direttiva (UE) 2018/2001” (art. 32).

103. Il d.lgs. n. 199/2021 costituisce “Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili” e si pone (art. 1) “l’obiettivo di accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050”, definendo “gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel rispetto dei criteri fissati dalla legge 22 aprile 2021, n. 53”, recando “disposizioni necessarie all’ attuazione delle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia di energia da fonti rinnovabili, conformemente al Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (di seguito anche: PNIEC), con la finalità di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati, già orientati all’aggiornamento degli obiettivi nazionali da stabilire ai sensi del Regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si prevede, per l’Unione europea, un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 percento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030”.

15.13 – Come ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis, sentenze n. 121 del 2022, n. 77 del 2022, n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011), la normativa eurounitaria (nonché quella nazionale) è ispirata nel suo insieme al principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, che tra l’altro “trova attuazione nella generale utilizzabilità di tutti i terreni per l’inserimento di tali impianti, con le eccezioni […] ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti” (Corte cost., sentenza n. 13 del 2014).

15.14 – La disciplina originariamente contenuta nell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, relativa all’individuazione delle aree idonee e non idonee all’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, non prevedeva alcuna preclusione indiscriminata rispetto all’utilizzo di terreni classificati agricoli.

Il comma 3 del citato art. 20 stabilisce, in effetti, che “nella definizione della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili”. Tale disposizione contempla indubbiamente un’esigenza di tutela delle aree agricole, ma da un lato non pone alcuna preclusione assoluta e, dall’altro, stabilisce chiaramente che le superfici agricole non utilizzabile costituiscono, tra le altre, aree privilegiate per l’installazione degli impianti.

Il comma 7 prevede, a sua volta, che “Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee”.

Il successivo comma 8, inoltre, nell’individuare transitoriamente le aree idonee sino all’entrata in vigore della disciplina prevista dal comma 1, vi include, “fatto salvo quanto previsto alle lettere a), b), c), c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all’articolo 142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto, né ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell’articolo 136 del medesimo decreto legislativo”.

15.15 – Il nuovo comma 1-bis dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, come introdotto dall’art. 5 del d.l. n. 63/2024 (decreto legge Agricoltura), stravolge completamente l’assetto previgente, prevedendo che “L’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell’area occupata, c), incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter, numeri 2) e 3), del comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell’articolo 31 del presente decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell’8 dicembre 2023, e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui all’articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR”.

Sulla base di tale assetto normativo, introdotto dall’art. 5 del d.l. n. 63/2024, gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra possono essere realizzati soltanto:

a) nei siti ove sono già installati impianti della stessa fonte, nei limiti degli interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell’area occupata;

b) presso cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le porzioni di cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento;

c) presso i siti e gli impianti nelle disponibilità delle società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di infrastrutture ferroviarie nonché delle società concessionarie autostradali;

d) presso i siti e gli impianti nella disponibilità delle società di gestione aeroportuale all’interno dei sedimi aeroportuale;

e) nelle aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti e in quelle classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distino non più di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento;

f) nelle aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri.

Dalla richiamata elencazione si desume che, in sostanza, la generalità dei terreni classificati agricoli (circa la metà della superficie del Paese) è preclusa a qualsiasi intervento di installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra che non consista nel mero rifacimento/modifica/ricostruzione, con conseguente preclusione all’utilizzo di nuovo terreno agricolo.

Il divieto non si estende – per espressa previsione – ai soli progetti attuativi di misure finanziate con il PNRR o il PNC, che tuttavia non comprendono tutti i progetti necessari al raggiungimento dei target previsti dal PNIEC, che è lo strumento previsto dalla normativa eurounitaria per conseguire gli obiettivi vincolanti dell’Unione per la quota di energia rinnovabile.

Già tale circostanza evidenzia che un divieto di tale portata rischia di mettere seriamente a rischio il conseguimento di tali obiettivi, nella misura in cui sottrae una larga porzione del territorio a ogni possibile utilizzo della tecnologia fotovoltaica senza che ne siano prevedibili gli effetti in ordine alla possibilità di rispettare le traiettorie stabilite in merito alla quota di energia da fonti rinnovabili.

Tenuto conto dello stato di attuazione della disciplina di cui all’art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 199/2021, nonché degli ampi margini di flessibilità che il decreto ministeriale 21.6.2024 lascia alle regioni per l’individuazione delle aree non idonee, l’impatto di tale divieto è del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un severo limite all’individuazione delle zone disponibili per l’installazione degli impianti che, a termini dell’art. 15-ter, par. 1, secondo periodo, della Direttiva (UE) 2018/2001, devono essere commisurate “alle traiettorie stimate e alla potenza totale installata pianificata delle tecnologie per le energie rinnovabili stabilite nei piani nazionali per l’energia e il clima presentati a norma degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999”.

15.16 – Peraltro, si è già visto che, in forza dell’art. 32 del Regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o più punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o più dei rispettivi punti di riferimento nazionali possono essere tenuti all’adozione di misure supplementari, ivi incluso un pagamento finanziario volontario al meccanismo di finanziamento dell’Unione per l’energia rinnovabile istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla Commissione.

La sottrazione indiscriminata di larga parte del territorio nazionale all’utilizzo della tecnologia fotovoltaica potrebbe, pertanto, implicare l’obbligo di adottare misure supplementari, con impatti anche sulle finanze pubbliche, ove ostacoli il raggiungimento degli obiettivi.

15.17 – La preclusione generalizzata all’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra sembra inoltre contrastare con il principio per cui, nell’ambito del processo di individuazione delle zone necessarie per i contributi nazionali all’obiettivo complessivo dell’Unione di energia rinnovabile per il 2030 ai sensi del paragrafo 1 dell’art. 15-ter della Direttiva (UE) 2018/2001, “Gli Stati membri favoriscono l’uso polivalente delle zone di cui al paragrafo 1. I progetti in materia di energia rinnovabile sono compatibili con gli usi preesistenti di tali zone” (art. 15-ter, par. 3).

Come già rilevato, il considerando (27) della Direttiva precisa che “Gli Stati membri dovrebbero esplorare, consentire e favorire l’uso polivalente delle zone individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali adottate. A tal fine, è auspicabile che gli Stati membri agevolino, ove necessario, i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, purché i diversi usi e attività siano compatibili tra di loro e possano coesistere”.

Il divieto introdotto dall’art. 5 del del decreto-legge n. 63/2024 istituisce, invece, un insanabile conflitto tra l’utilizzo della tecnologia fotovoltaica con moduli collocati a terra e l’uso del suolo a fini agricoli che, tuttavia, non sussiste (o sussiste solo in parte) quantomeno per la tecnologia agrivoltaica (anche non avanzata).

15.18 – Nella misura in cui può ostacolare il raggiungimento degli obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie rinnovabili, il divieto in questione presenta inoltre, profili di criticità rispetto alla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell’Unione.

Come precedentemente ricordato, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento (UE) 2021/1119, “Le istituzioni competenti dell’Unione e gli Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento della capacità di adattamento, nel rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilità ai cambiamenti climatici in conformità dell’articolo 7 dell’accordo di Parigi”. Essi, inoltre, “garantiscono […] che le politiche in materia di adattamento nell’Unione e negli Stati membri siano coerenti, si sostengano reciprocamente, comportino benefici collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per integrare meglio l’adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e ambientale, se del caso, nonché nell’azione esterna dell’Unione”.

15.19 – Come precisato dalla Commissione europea nella Comunicazione COM (2021) 82 final sulla nuova Strategia dell’UE per l’adattamento ai cambiamenti climatici, “Il Green Deal europeo, la strategia di crescita dell’UE per un futuro sostenibile, si basa sulla consapevolezza che la trasformazione verde è un’opportunità e che la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l’UE ha mostrato la propria leadership per scongiurare lo scenario peggiore — impegnandosi a raggiungere la neutralità climatica — e prepararsi al meglio — puntando ad azioni di adattamento più ambiziose che si fondano sulla strategia dell’UE di adattamento del 2013. La visione a lungo termine prevede che nel 2050 l’UE sarà una società resiliente ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti dei cambiamenti climatici. Ciò significa che entro il 2050, anno in cui l’Unione aspira ad aver raggiunto la neutralità climatica, avremo rafforzato la capacità di adattamento e ridotto al minimo la vulnerabilità agli effetti dei cambiamenti climatici, in linea con l’accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima”. Il raggiungimento dei target di potenza installata delle tecnologie rinnovabili costituisce, all’evidenza, un elemento centrale per conseguire nel lungo termine l’obiettivo della neutralità climatica, che potrebbe essere posto seriamente a rischio da una disciplina, come quella censurata, che vieta sul tutto il territorio nazionale la tecnologia fotovoltaica con pannelli collocati a terra su tutti i terreni classificati agricoli, corrispondenti a oltre la metà della superficie nazionale.

15.20 – Il divieto sembra anche contrastare con il principio di integrazione di cui all’art. 11 TFUE e all’art. 37 della Carta di Nizza, secondo cui “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.

L’integrazione ambientale in tutti i settori politici pertinenti (agricoltura, energia, pesca, trasporti, ecc.) è funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e per raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici.

Il divieto introdotto dall’art. 5 del d.l. n. 63/2024, nel contesto di una disciplina di attuazione della Direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili quale obiettivo della politica energetica dell’Unione, solleva sul punto notevoli perplessità:

– da un lato, infatti, si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021 quale corpo tendenzialmente estraneo, tant’è che le relative previsioni non risultano neppure adeguatamente coordinate con il resto dell’articolato (v., ad esempio, il comma 3 del medesimo articolo 20, laddove prevede che i decreti di cui al comma 1 verifichino, tra l’altro, “l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili”);

– dall’altro lato, la norma non istituisce alcuna forma di possibile bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo un’indefettibile prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni classificati agricoli senza alcuna considerazione finanche della loro possibile, concreta utilizzabilità a fini agricoli, in contrasto con l’obiettivo del decreto stesso di promuovere l’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

15.21 – Da quanto precede risulta anche che la disciplina censurata confligge con il principio di proporzionalità, con violazione anche dell’art. 3 Cost.

Come la Corte di giustizia ha più volte ribadito, “il principio di proporzionalità è un principio generale del diritto comunitario che dev’essere rispettato tanto dal legislatore comunitario quanto dai legislatori e dai giudici nazionali” (sentenza 11.6.2009, C-170/08, 41).

Il sindacato di proporzionalità costituisce, inoltre, un aspetto del controllo di ragionevolezza delle leggi condotto dalla giurisprudenza costituzionale, onde verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.

Come la stessa Corte ha precisato, “Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell’Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell’Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi” (Corte cost., sentenza n. 1 del 2014).

15.22 – Innanzitutto, la misura censurata consiste in un divieto generalizzato e assoluto all’utilizzo, su un’ampia parte del territorio nazionale, di una determinata tecnologia a fonti rinnovabili. Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto a quella adottata in funzione di tutela di tutti gli altri valori che entrano in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili: le esigenze di tutela dell’ambiente, della biodiversità, dei beni culturali e del paesaggio passa, infatti, attraverso l’individuazione di aree non idonee che, come in precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensì zone in cui, in ragione delle esigenze di protezione in concreto esistenti, è altamente verosimile un esito negativo della valutazione di compatibilità dei progetti.

Ciò, peraltro, non osta alla possibilità di verificare, in concreto e nell’ambito dei singoli procedimenti autorizzativi, eventuali margini di compatibilità degli interventi proposti.

L’art. 5 del d.l. n. 63/2024 stabilisce, invece, una prevalenza assoluta e incondizionata dell’interesse alla conservazione dei suoli classificati agricoli, valutata in astratto e a monte dal Legislatore e che non consente la pur minima possibilità di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale.

Sotto tale profilo, occorre rilevare, in disparte i già evidenziati profili di contrasto con il diritto unionale, che ai sensi dell’art. 9 Cost. la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi “anche nell’interesse delle future generazioni”, con ciò incorporando il principio di sviluppo sostenibile nell’ambito dei principi fondamentali in materia di tutela ambientale.

L’incondizionato sacrificio di tale principio, quale sotteso al divieto in esame, contrasta, pertanto, con l’art. 3 Cost., nonché con l’art. 9 citato e con la consolidata giurisprudenza costituzionale secondo cui “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette […]. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principî e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. […] Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale” (Corte cost., sentenza n. 85 del 2013).

15.23 – Sotto altro profilo, il divieto così introdotto è operativo sulla base della mera classificazione dell’area come agricola secondo i piani urbanistici, senza che alcuna rilevanza assumano il suo concreto utilizzo o la sua utilizzabilità a tali fini. Anche per tale riguardo la disposizione si mostra irragionevole e sproporzionata, in quanto la dichiarata finalità di contrastare il consumo di suolo agricolo non è riscontrabile (o quantomeno non nei termini incondizionati e assoluti previsti dalla norma) in relazione alle superfici agricole non utilizzabili o degradate.

Manca, inoltre, qualsivoglia considerazione della qualità e dell’importanza delle colture.

In raffronto, le attuali linee guida di cui al D.M. 10.9.2010 prevedono che:

– le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei;

– l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non può riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, né tradursi nell’identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela. La tutela di tali interessi è infatti salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle Regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all’uopo preposte, che sono tenute a garantirla all’interno del procedimento unico e della procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale nei casi previsti;

– le Regioni possono procedere ad indicare come aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità (produzioni biologiche, produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale, anche con riferimento alle aree, se previste dalla programmazione regionale, caratterizzate da un’elevata capacità d’uso del suolo.

Una siffatta, contestualizzata disciplina risulta conforme alle indicazioni emergenti in sede europea, per cui “Gli Stati membri dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui non può essere sviluppata l’energia rinnovabile («zone di esclusione»). Essi dovrebbero fornire informazioni chiare e trasparenti, corredate di una giustificazione motivata, sulle restrizioni dovute alla distanza dagli abitati e dalle zone dell’aeronautica militare o civile. Le restrizioni dovrebbero essere basate su dati concreti e concepite in modo da rispondere allo scopo perseguito massimizzando la disponibilità di spazio per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli di pianificazione territoriale” (cfr. la Raccomandazione (UE) 2024/1343 della Commissione del 13.5.2024 sull’accelerazione delle procedure autorizzative per l’energia da fonti rinnovabili e i progetti infrastrutturali correlati).

La disciplina posta dall’art. 5 del d.l. n. 63/2024 si traduce, invece, nell’esatto opposto, ponendo un divieto che massimizza le zone di esclusione, non fondato su dati concreti e certamente non rispondente all’obietto di massimizzare la disponibilità di spazio per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile.

16 – I rilevati profili di incostituzionalità vanno del pari riferiti all’art. 5, comma 2, del D.L. n. 63/2024, laddove pone una disciplina di salvaguardia che ha quale presupposto il divieto di cui al comma 1, nonché all’art. 2, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. 25.11.2024, n. 190, recante “Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili”, ove prevede che “Gli interventi di cui all’articolo 1, comma 1, sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199”.

Tale disposizione, infatti, riproduce il divieto di cui al citato comma 1-bis dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021.

17 – Questioni da sottoporre alla Corte costituzionale.

17.1 – In ragione di tutto quanto sopra, sono rilevanti (per quanto illustrato al punto 13 della presente sentenza) e non manifestamente infondate (secondo quanto evidenziato al punto 15) le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1 e 2, del decreto legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, nonché dell’art. 2, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. 25.11.2024, n. 190, per violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonché dal Regolamento (UE) 2021/1119.

17.2 – Le predette questioni vengono sollevate con la presente sentenza non definitiva, anziché con ordinanza, in ragione della stretta connessione delle statuizioni che definiscono parzialmente in giudizio con i profili oggetto di rimessione, nonché in conformità alla giurisprudenza costituzionale secondo la quale “Alla sentenza non definitiva può essere […] riconosciuto, sul piano sostanziale, il carattere dell’ordinanza di rimessione, sempre che il giudice a quo – come nel caso in esame – abbia disposto, in conformità a quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa Corte, dopo aver valutato la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione (in questi termini, tra le altre, sentenze n. 112 del 2021 e n. 153 del 2020)” (Corte cost., sentenza n. 218/2021).

18 – Conclusioni.

18.1 – In conclusione, il Collegio, in ordine al ricorso in esame, così statuisce:

– dichiara il ricorso inammissibile, per carenza d’interesse, in relazione ai motivi da I a II.3;

– rigetta il ricorso quanto ai motivi III.1 e III.2;

– dichiara manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 5, comma 1, del decreto legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per violazione dell’art. 77 Cost.;

– dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità dell’art. 5, comma 1 e 2, del decreto legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, nonché dell’art. 2, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. n. 190/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonché dal Regolamento (UE) 2021/1119. Il giudizio va quindi sospeso per le determinazioni conseguenti alla definizione dell’incidente di costituzionalità.

19 – Sospende il giudizio in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale.

20 – Rinvia il regolamento delle spese di lite all’esito del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Roma – Sezione Terza

parzialmente e non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

a) lo dichiara inammissibile, per carenza d’interesse, quanto ai motivi da I a II.3;

b) lo rigetta, nei sensi di cui in motivazione, quanto ai motivi III.1 e III.2;

c) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per violazione dell’art. 77 Cost.;

d) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei termini espressi in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale del richiamato art. 5, commi 1 e 2, del decreto legge n. 63/2024, nonché dell’art. 2, comma 2, primo periodo, del D.Ls. n. 190/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonché dal Regolamento (UE) 2021/1119;

e) sospende il giudizio per le determinazioni conseguenti alla definizione dell’incidente di costituzionalità e, ai sensi dell’art. 23 della legge 11.3.1953, n. 87, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

f) dispone la comunicazione della presente sentenza alle parti in causa, nonché la sua notificazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati;

g) rinvia ogni ulteriore statuizione all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente sentenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2025 con l’intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente, Estensore

Luca Biffaro, Referendario

Marco Savi, Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Elena Stanizzi

IL SEGRETARIO

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!