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Sentenza TAR Campania, Sez. VII, n. 1892/2012 – Brevi considerazioni   
           
MORENA LUCHETTI*

La pronuncia trae origine dal ricorso presentato da una società in nome collettivo avverso la decisione della Regione Campania – Settore Demanio Marittimo – con cui è respinta la richiesta di ampliamento di una concessione demaniale marittima, già in precedenza rilasciata all’interno del Porto di Ischia.
Il gravame è presentato anche con riferimento a tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali.
Nella sostanza, la ricorrente formula istanza al fine dell’ottenimento di un’area demaniale sita all’interno del Porto per destinarla alle operazioni di manutenzione da effettuarsi sulle barche e pescherecci di piccola e media grandezza (altrimenti destinate a dirigersi altrove per tali incombenti). L’Amministrazione risponde attraverso una prima comunicazione sulle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, poi, a seguito della presentazione delle relative osservazioni di parte, rigetta la richiesta in quanto ritenuta incompatibile con l’uso pubblico e generalizzato dell’area, adducendo l’impossibilità per il Settore di competenza di procedere al rilascio di nuove concessioni se non nei casi di richieste di preminente interesse e pubblica utilità, secondo quanto sancito nelle Delibere di Giunta Regionale n. 2/2002 e n. 1806/2004.
I motivi del ricorso sono, in sintesi, i seguenti:
1. violazione dei principi del giusto procedimento, ad iniziare dall’art. 10 bis L. 241/1990;
2. carenza assoluta di motivazione, oltre alla violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del Codice della Navigazione;
3. eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti manifestazioni di volontà – difetto di motivazione.
La ricorrente lamenta, dunque, la circostanza in base alla quale l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni del mancato accoglimento dell’istanza, essendo la comunicazione della P.A. generica, e pertanto inidonea a consentire la piena partecipazione procedimentale; lamenta, altresì, il difetto di travisamento e falsa applicazione della lex specialis (Codice della Navigazione) per non avere, la stessa P.A., tenuto in debita considerazione il fatto che in precedenza il medesimo sito oggetto di richiesta era stato adoperato per gli stessi impieghi, ossia per il tiro e il varo di imbarcazioni da diporto, e che oggi l’utilizzo come fattone in passato avrebbe assicurato, oltre a una maggiore pulizia dell’area, anche un incremento dell’attività della ricorrente, e, conseguentemente, un miglioramento in termini di indotto per l’intero settore.
Non ultimo, il rilascio di altre concessioni nel Porto di Ischia determinerebbe, sempre a detta della ricorrente, una disparità di trattamento ed una illogicità nel comportamento amministrativo tale da concretare un ulteriore profilo di illegittimità.
I Giudici della settima sezione rigettano il ricorso, offrendo una “lettura” delle disposizioni del Codice della Navigazione, in particolare dell’art. 36 e dell’art. 37, in linea con la giurisprudenza dominante sul punto, confermativa della piena discrezionalità dell’Amministrazione in sede di rilascio del titolo concessorio.
L’assunto da cui muovono i Giudici è che la destinazione del bene demaniale è pubblica, secondo derivazione normativa (art. 36 comma 1 Cod. Nav. “L’amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone del mare territoriale per un determinato periodo di tempo”) .
Non vi è, pertanto, la necessità di una motivazione puntuale nel momento in cui l’Amministrazione sceglie di mantenere tale destinazione.
Viceversa, se la scelta ricade sull’uso privato, ritenuto compatibile con quello pubblico ma da preferire rispetto a quest’ultimo, allora la motivazione deve essere specifica, e le ragioni, in fatto e in diritto, devono essere puntuali (Cons. di Stato sez. VI, 1047/2004; Cons. di Stato sez. VI, 1472/2011; Cons. di Stato sez. VI, 6997/2010).
Ne discende che, mentre in sede di diniego del rilascio della concessione, la P.A. non è obbligata a motivare minuziosamente, all’atto di rilascio del titolo la valutazione degli interessi deve condurre ad una motivazione rigorosa, da cui si evinca la comparazione tra interessi pubblici, anche c.d. “secondari” (Cons. di Stato sez. VI, 5840/2004; Cons. di Stato sez. VI, 7765/2009) e interessi privati.
Nella fattispecie in esame, i Giudici ritengono dunque che l’Amministrazione campana abbia correttamente operato, indicando “sommariamente” le ragioni del diniego, appuntate intorno alle delibere di Giunta sopra citate, nelle quali sono stati indicati i soli casi in cui il rilascio di nuove concessioni all’interno del Porto sono possibili, in vista del riordino complessivo di tutta l’area.
Parimenti essi disattendono il motivo del ricorso riferito alla contraddittorietà dell’azione amministrativa.
La doglianza di parte ricorrente relativa al precedente rilascio di analoghe concessioni presso lo stesso sito non viene, difatti, ritenuta valida alla luce della duplice considerazione che, oltre a mancare a livello “probatorio” gli atti concessori incriminati, l’Amministrazione regionale dà prova, contrariamente alla ricorrente, che dalle concessioni rilasciate ha tratto beneficio il Comune di Ischia, con conseguente presunzione in ordine al rispetto delle direttive poste dalle delibere di Giunta anzi dette.
La pronuncia “chiude” con un ultimo inciso con cui è sottolineata, comunque, l’impossibilità per la P.A., investita della richiesta, di procedere al suo accoglimento sic et simpliciter, prescindendo dal confronto concorrenziale, raffrontando più istanze precedute dalla pubblicazione di un avviso di gara.
Come a dire che se la discrezionalità, nell’ambito delle concessioni demaniali, è un dogma, esso deve conciliarsi con i principi dell’evidenza pubblica.
Ma come può avvenire questo sodalizio?
Interessante sul punto è la sentenza del Consiglio di Stato n. 888 del 9 febbraio 2011, con cui è stato sancito il principio dell’applicabilità delle disposizioni del Codice Appalti (D. Lgs. n. 163/2006) alle procedure competitive volte ad individuare il concessionario cui assegnare il bene demaniale marittimo.
I Giudici di Palazzo Spada affrontano il tema con riferimento alla esclusione di un concorrente da una procedura di gara, verificatasi a seguito di una modifica soggettiva del concorrente stesso, che partecipa presentando offerta con una certa composizione, poi mutata (per innesto di due nuovi consorziati) nel corso dell’istruttoria procedimentale.
I Giudici dichiarano l’applicazione dell’art. 37 comma 9 del D. Lgs. n. 163/2006, che comporta il divieto, per i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti, di mutare la propria composizione soggettiva rispetto all’offerta presentata.
L’applicazione dell’istituto è indice del principio generale in base al quale anche alle procedure di gara in materia di concessioni demaniali deve ritenersi operante la disciplina nazionale, di estrazione comunitaria (Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), in materia di appalti pubblici; il problema è capire come tali principi possano/debbano applicarsi concretamente a siffatte procedure, nel rispetto dell’ordinamento nazionale ed europeo.
La riflessione nasce dalla specificità dei caratteri distintivi propri delle concessioni demaniali marittime, caratteri in parte desumibili dal Codice della Navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327), in parte dalla legislazione più recente (D.L. n. 400/1993, D.L. n. 194/2009 convertito nella L. 25/2010, L. n. 127/2011 c.d.    Legge Comunitaria 2010).
Se, infatti, dal Codice della Navigazione discende la previsione dell’art. 37 comma 2  in base alla quale per il rilascio di nuovi titoli demaniali per attività turistico-ricreative devono preferirsi le richieste che comportano attrezzature non fisse di tipo amovibile, le leggi citate, a partire dalla novella del 1993, hanno evidenziato altre proprietà delle concessioni, date dalla durata, dall’oggetto (secondo l’art. 01 comma 1 del D.L. 400/93, le attività per le quali può essere rilasciata la concessione demaniale marittima sono, da a) a f), le c.d. imprese balneari, gli esercizi di ristorazione e somministrazione cibi e bevande, il noleggio imbarcazioni, la gestione di strutture ricettive e attività ricreative e sportive, gli esercizi commerciali, nonché i servizi di altra natura e la conduzioni di strutture ad uso abitativo), dal canone demaniale, dall’entità dell’investimento e dal conseguente ammortamento.
Dall’insieme di questi elementi deriva il profilo identitario delle concessioni demaniali, fatte oggetto, recentemente, della Legge n. 127/2011, Legge Comunitaria 2011, con la quale il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare, entro quindici mesi dall’entrata in vigore della legge delega, un decreto legislativo avente ad oggetto “la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime secondo i seguenti principi e criteri direttivi”, e fra essi, si legge nel testo normativo, sono contemplati tutti gli aspetti summenzionati delle concessioni, tra cui quello indicato al punto b) che recita “prevedere criteri e modalità di affidamento nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti”.
Dovrà dunque il Governo mettere mano ad un complesso di norme al fine di razionalizzarle, armonizzandole.
Dovrà, in definitiva, dare una risposta ai tanti interrogativi che da molto tempo a questa parte attanagliano una parte significativa dell’imprenditoria nostrana, alle prese con aspettative deluse e riforme mancate.
Di certo vi è che l’Italia dovrà tracciare un percorso, in linea con la ormai pluricitata Direttiva Bolkestein 123/2006/CE e con il suo “famoso” articolo 12 (che prevede una procedura di selezione imparziale e trasparente, con un’adeguata pubblicità sul suo avvio, svolgimento e completamento, nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsezza delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili; il paragrafo 2 vieta, inoltre, il rinnovo automatico delle autorizzazioni nonché eventuali altri vantaggi al prestatore uscente), in grado di dare certezza nell’affidamento delle concessioni e nel processo di valorizzazione economica dei beni dello Stato.
Tutto questo c’entra con il principio di discrezionalità amministrativa delle P.A. nella misura in cui l’esercizio del potere discrezionale c’entra con il paradigma normativo. Vale a dire che tanto più si prevedranno norme puntuali e rigorose nell’affidamento delle concessioni (nel rispetto dei principi di stampo europeo), tanto più si restringeranno le maglie della discrezionalità amministrativa.
Il rispetto di norme pubblicistiche nelle procedure di affidamento delle concessioni, se da un lato è garanzia di scelta del miglior contraente, dall’altro lato è presidio della legittimità di un facere, tendente al conseguimento dell’interesse pubblico. E quindi maggiori saranno le garanzie procedimentali, migliori saranno i risultati che le gare in ambito demaniale potranno sortire.
Questo comporta un inevitabile approfondimento sui criteri e sulle modalità di espletamento delle gare stesse, non essendo sufficiente dichiarare l’applicazione di un Codice (degli Appalti) che, se anche già esiste, è funzionale ad un’altra materia, e non può, sommessamente a parere di chi scrive, essere adoperato senza gli adeguamenti del caso nell’ambito delle concessioni.

* Avvocato in Macerata

Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 31 maggio 2012
 


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