L’onda grigia del cemento tra malaffare e consumo del suolo.
L’URBANISTICA E LE REGOLE
MATTEO CERUTI*
L’onda grigia del cemento tra malaffare e consumo del suolo
Calalzo di Cadore, 13 settembre 2012
1.- Introduzione.
Secondo il recente rapporto dell’ISTAT presentato a luglio di quest’anno dal Ministero per le politiche agricole e forestali dal titolo "Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione" che fa il punto sulla drammatica situazione del territorio italiano, dagli anni ’70 del secolo scorso al 2010 l’Italia ha perso ben il 28% della sua superficie agricola (Superficie Agricola Utilizzata – SAU), qualcosa come 5 milioni di ettari, pari a Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna messe insieme.
Tale processo ha ovviamente delle cause strutturali, economiche e giuridiche.
Sul piano economico-finanziario non v’è dubbio che abbia inciso, soprattutto nell’ultimo decennio, la cronica sofferenza delle finanze pubbliche dei Comuni, aggravata dall’attuale crisi economica, che pone le amministrazioni locali in una situazione di estrema fragilità.
Di qui la tentazione degli enti locali a dilatare il rilascio dei permessi di costruire quale occasione di preziosi introiti per le casse comunali. Si aggiunga che il vincolo di destinazione (alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria) che originariamente avevano le somme riscosse dai Comuni per il rilascio dei permessi di costruire è venuto meno un decennio fa, in occasione dell’approvazione del TU dell’edilizia con il DPR 380/2001 (che ha abrogato l’articolo 12 della legge n. 10/1977)1.
Di qui l’utilizzo da parte comunale dei vecchi “oneri di urbanizzazione” anche per le spese correnti.
2.- L’elusione urbanistico – edilizia.
L’illegalità nel settore edilizio, soprattutto quando assume rilevanti dimensioni, tra queste le cd. “lottizzazioni abusive” (art. 30 del TU dell’edilizia)2, è spesso il frutto di operazioni amministrative complesse che, per essere scoperte, spesso necessitano di approfondimenti giuridico – amministrativi ed urbanistici specialistici.
Sempre più si tratta di “illeciti ambientali e urbanistici in bianco”, come qualcuno li ha chiamati3, ossia di interventi che vengono realizzati con permessi di costruire rilasciati, talvolta con piani di lottizzazione o piani urbanistici attuativi approvati, magari anche avallati da previsioni urbanistiche inserite nella pianificazione comunale generale.
Non per questo però si tratta di operazioni lecite. La casistica è assai varia, ma diciamo che le problematiche più ricorrenti riguardano il rilascio di titoli edilizi ed anche l’approvazione di strumenti urbanistici locali in contrasto con situazioni di vincolo paesistico od ambientale, ovvero non conformi alle previsioni della pianificazione territoriale e paesistica sovraordinata.
Questi fenomeni di “elusione” urbanistico – edilizia sono sindacati solo occasionalmente da parte del Giudice amministrativo, cioè soltanto laddove venga proposto un ricorso al Tar competente da parte di un soggetto “legittimato” (e spesso il G.A. ritiene che le associazioni di protezione ambientale non siano legittimate a proporre ricorsi in materia urbanistica laddove non vi siano interessi ambientali particolari da tutelare).
Mentre il Giudice penale risulta tradizionalmente restio ad operare controlli sugli atti amministrativi, se non nei casi di illegittimità amministrativa più eclatanti (anche se una parte della giurisprudenza a partire da sentenza della Cass. S.U. del 2002 conferma l’esistenza di un ampio sindacato del Giudice penale sugli atti amministrativi per verificare la legalità urbanistico – edilizia degli intereventi)4.
3.- Regole buone applicate male: il caso della SAU nella Regione Veneto.
Le leggi urbanistiche regionali di ultima generazione recano disposizioni volte al massimo contenimento del consumo di suolo, al termine di analisi articolate che confermano gli elevati e non più perseguibili livelli di cementificazione del territorio.
Così l’art. 2 della legge regionale urbanistica del Veneto n. 11/2004 reca il principio per cui il consumo di suolo dovrebbe costituire una sorta di extrema ratio statuendo che il piano urbanistico strategico di durata decennale, denominato “piano di assetto del territorio” (in acronimo: PAT) deve essere redatto nel rispetto della regola generale per cui l’utilizzo di nuove risorse territoriali può essere prevista “solo quando non esistano alternative”.
In asserita attuazione di questo ragionevole principio la stessa LR Veneto 11/2004, nel prevedere i contenuti del PAT (all’art. 13), stabilisce che quest’ultimo deve determinare “il limite quantitativo massimo della zona agricola trasformabile in zone con destinazione diversa da quella agricola” da fissare avendo riguardo al rapporto tra superficie agricola utilizzata (SAU) e la superficie territoriale comunale (STC). Per cui, in sostanza più un Comune è stato virtuoso più gli è data la possibilità di consumare il proprio territorio agricolo nel prossimo decennio; il tutto secondo le modalità indicate in un provvedimento di indirizzo della Giunta regionale.
Già una disposizione di questo tipo che stabilisce una potenziale trasformazione delle aree agricole a prescindere dal reale fabbisogno di edificabilità suscita non lievi perplessità. Ma soprattutto è l’attuazione amministrativa di questi principi lascia molto a desiderare. Senza entrare in dettagli tecnici -che meriterebbero altri tempi di approfondimento- basti dire che le modalità di determinazione del limite massimo di superficie agricola trasformabile (a partire dal sistema di calcolo della SAU), stabilite dalla Giunta regionale5, sono tali da dar luogo ad un fenomeno di “eterogenesi dei fini”.
Per cui, in applicazioni di tali disposizioni, uno dei Comuni veneti urbanisticamente più martoriati e fragili per la presenza di un numero di attività estrattive paragonabile in Italia solo alla Provincia di Caserta (sto parlando del Comune di Paese di Treviso) viene premiato come un Comune “virtuoso” con la fissazione di un limite di zona agricola trasformabile altissimo.
4.- Le regole derogate.
E’ noto che il nostro è un Paese di grandi legislatori, ma è anche delle proroghe e delle deroghe alle leggi. Uno dei settori di elezione delle deroghe alle regole è proprio quello urbanistico edilizio. I tempi di questa comunicazione consentono solo una rapida elencazione dell’ampio armamentario derogatorio della legalità urbanistica che è stato concepito ed utilizzato in Italia. V’è ovviamente la triste vicenda dei periodici e ricorrenti condoni edilizi a partire dal 1985, in occasione di ogni -grande o piccola- riforma urbanistica.
C’è poi il capitolo, altrettanto triste, dell’applicazione della normativa di protezione civile con le dichiarazioni di stato di emergenza o di “grande evento” che ha consentito di derogare a tutta la normativa vigente, ivi compresa quella urbanistico – edilizia: il tutto con un’applicazione “fantasiosa” (per usare un eufemismo) di leggi emergenziali concepite a tutt’altri fini, a lungo tollerata a tutti i livelli politici, amministrativi e giudiziari (anche da parte di soggetti che ora gridano alla scandalo), salvo qualche lodevole eccezione, e che ora è stata finalmente ridimensionata (con opportuni ancorché tardivi) interventi normativi, dopo le note vicende.
In un quadro emergenziale connesso alla congiuntura economica, si inquadra anche la vicenda dei “piani casa” che, come è stato espressamente riconosciuto (nello stesso volume di commentario della LR 14/2009 a cura del dirigente dell’Urbanistica della Regione Veneto), costituisce “l’antitesi della pianificazione”.
C’è poi il grande tema delle cd. “varianti automatiche” ai piani regolatori conseguenti all’approvazione di opere pubbliche. Anche questa sarebbe una tematica da rivedere se non si vuole che si continuino a progettare e ad approvare nuove infrastrutture stradali e ferroviarie in funzione dei cambi dei destinazione urbanistica delle aree contermini, più che dell’effettiva funzionalità del sistema trasportistico. Infine v’è da ricordare che nell’ultimo quinquennio sono stati approvati strumenti derogatori della pianificazione urbanistica generale che, magari concepiti con nobili propositi, come il recupero delle aree urbane degradate, hanno trovato un’applicazione pratica assolutamente criticabile.
Così ad esempio è avvenuto nel Veneto con i cd. “PIRUEA”-i programmi di riqualificazione urbanistica e ambientale di cui alla LR 23/1999 che (fino alla sua abrogazione) che hanno ricevuto un’ampia applicazione6, anche a fattispecie in cui non v’erano proprio aree degradate da riqualificare, con la chiara finalità di pervenire ad un rapido cambio di destinazione urbanistica attribuendo edificabilità ad aree non edificate e non edificabili.
5.- Le regole sostituite dagli accordi.
Il tema della cd. “urbanistica contrattata” è forse quello che va più di moda nelle riviste giuridiche.
Il tema degli accordi tra soggetti pubblici, in primis Comuni, e soggetti privati finalizzati a concordare i contenuti discrezionali degli strumenti di pianificazione urbanistica è tuttavia una tematica delicatissima che va maneggiata con estrema cautela.
Vi sono Regioni che hanno disciplinato la materia: così in particolare le Regione Veneto (art. 6 della LR 11/2004), Emilia Romagna (art. 18 della LR 20/2000) e Umbria (art. 12 LR 11/2005).
Non è certo il caso di demonizzare lo strumento degli accordi urbanistici tra il Comune e i privati. E tuttavia bisogna alzare la guardia per scongiurare applicazioni disinvolte di questi delicati strumenti che sono e debbono rimanere eccezionali, il cui utilizzo deve essere sempre giustificato dal perseguimento di rilevanti interessi pubblici della comunità locale non raggiungibili con gli strumenti di pianificazione ordinari7.
Certamente gli accordi urbanistici non possono esser utilizzati con una finalità economico-finanziaria, come purtroppo si ha talvolta occasione di sperimentare: ricordo un caso recente (relativo ad un Comune emiliano) in cui un accordo urbanistico è stato utilizzato per consentire ad una società privata di ottenere una variazione di destinazione urbanistica di un’area del territorio comunale da agricola a produttiva in cambio di danaro incamerato dal Comune per ripianare il bilancio onde scongiurare le nefande conseguenze del superamento del famigerato “patto di stabilità”8.
Il rischio che si affaccia all’orizzonte in questi casi è quello che in termini amministrativistici si chiama “sviamento dalla causa tipica”.
6.- Cenni conclusivi.
Quello della trasformabilità delle aree agricole in zona edificabile, ovvero del consumo di suolo agricolo, costituisce uno dei parametri fondamentali, per non dire il principale, che dovrebbero essere oggetto di esame e valutazione nella procedura di V.A.S. – valutazione ambientale strategica , cui sono assoggettati i piani urbanistici comunali9. Procedura quest’ultima che –come è noto- è disciplinata dagli artt. 11 ss. del d.lgs. 152/2006, in recepimento della direttiva comunitaria 2001/42/CE.
Ora costituisce un eufemismo affermare che sinora nel nostro Paese la procedura di VAS sui piani urbanistici viene applicata in modo burocratico. Inoltre si consideri che in più di una delle Regioni italiane la legislazione non garantisce effettive garanzie di indipendenza funzionale ed organizzativa dell’autorità competente ad esprimersi sulla VAS dall’autorità che elabora e approva i piani (problemi vi sono nel Veneto, in Friuli Venezia Giulia e Lombardia), come ormai chiarito dalla Corte di Giustizia10.
Infine una nota di speranza.
A luglio di quest’anno il Ministro delle politiche agricole e forestali ha presentato una bozza di “Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo” che lascia più di qualche speranza in quanto contiene disposizioni assolutamente condivisibili negli obiettivi, ancorché talvolta bisognevoli di un restyling nella loro formulazione testuale.
Il disegno di legge prevede, tra l’altro: la determinazione dell’estensione massima di superficie agricola edificabile sul territorio nazionale (art. 2), il congelamento della destinazione d’uso per 10 anni per tutti i terreni agricoli in favore dei quali sono stati erogati aiuti di Stato o aiuti comunitari (art. 3) misure di incentivazione economica ad enti locali e Comuni per la conservazione del territorio ed il recupero di edifici nei nuclei abitati rurali (art. 4), ed infine l’abrogazione della norma che aveva eliminato il vincolo di destinazione agli oneri di urbanizzazione rendendoli utilizzabili anche per la spesa corrente (art. 6).
Attendiamo ora che questo DDL venga rapidamente licenziato dal Consiglio dei ministri (come il Ministro delle politiche agricole ha anche recentemente promesso) e quindi portato alle Camere per una rapida approvazione. Altrettanto auspicabile a livello europeo è che venga finalmente riavviata la procedura relativa all’approvazione della proposta di “Direttiva quadro per la protezione del suolo”, tutt’oggi bloccata in Consiglio dell’UE per la mancanza di una maggioranza qualificata nonostante il sostegno di 22 Stati membri.
* Avvocato in Rovigo
1 Sul tema vds. tra gli altri S. SETTIS, Paesaggio, costituzione, cemento, Milano 2010, 16 ss.
2 Sull’argomento vds. ad es. L. RAMACCI, I reati edilizi, Milano 2010, 171 ss.
3 M. SANTOLOCI, V. STEFUTTI, Guida pratica contro gli illeciti ambientali in bianco, Piacenza 2008.
4 Si tratta della sentenza della Cass. S.U., 8 febbraio 2001, n. 5115 che, discostandosi da un precedente orientamento, ha riconosciuto il reato di lottizzazione abusiva anche in presenza di un’autorizzazione a lottizzare illegittima.
5 Si tratta della delibera Giunta regionale veneta (DGR) n. 3178/2004, modificata dalla successiva DGR 3650/2008.
6 La piccola città di Rovigo (dove abito ed opero) ha approvato ben 17 PIRUEA.
7 Vds. sul tema ad es. G. PAGLIARI, La contractualisation dans le droit de l’urbanisme. La situation italienne, in Riv. giur. edilizia n. 1/2012, , II, 33 ss.
8 Come chiaramente ed esplicitamente esposto a verbale della seduta consiliare dagli stessi esponenti della Giunta comunale e della maggioranza consiliare che hanno sostenuto ed approvato la delibera di approvazione dell’accordo, intervenuti nella discussione con toni gravemente preoccupati in ordine alle conseguenze per l’ente e la comunità locale del mancato rispetto del patto di stabilità finanziaria, scongiurate dell’entrata di bilancio conseguente alla conclusione dell’accordo.
9 Vds. in dottrina ad es. E. BOSCOLO, La VAS nel piano e la VAS del piano: modelli alternativi di fronte al giudice amministrativo, Urbanistica e appalti n. 9/2010, spec. 1114.
10 Si tratta della Corte di Giustizia sentenza 20 ottobre 2011 emessa nel procedimento C 474/10, in Riv. giur. ambiente n. 2/2012, con nota di M. CERUTI, La fase della consultazione nella valutazione ambientale strategica di piani e programmi: la Corte di Giustizia detta agli Stati membri le regole per la designazione dell’autorità competente (interna o esterna all’ente pianificatore?) e dei termini congrui per l’espressione del parere.