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La disciplina vincolistica delle terre percorse dal fuoco

ALESSANDRA DE MESTRIA

La legge quadro del 21 novembre 2000, n. 353 in materia di incendi boschivi disciplina quella che può essere considerata una delle maggiori cause del dissesto ambientale a “prevalente carattere antropico”.
Le disposizioni di questa legge, finalizzate alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita, costituiscono princípi fondamentali dell’ordinamento ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione (art. 1, comma 1, lg. cit.), partono dalla definizione di «incendio boschivo», ovvero “fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree” (art. 2), per giungere alla disciplina post-incendio.
Si è osservato che la legge quadro ha espanso il significato di «incendio» che letteralmente significa “fiamma incontrollabile”.
Infatti, “la «suscettività» è l’attitudine a ricevere sollecitazioni esterne” ed è quindi, un concetto ancora piú vasto dell’incontrollabilità delle fiamme una volta divampate.
Questa legge trova la sua fonte storica nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 (c.d. lg. Serpieri) e nella lg. 1 marzo 1975, n. 47, il cui articolo 9, modificato e integrato dall’art. 1 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 332, convertito nella lg. 29 ottobre 1993, n. 428, sul postulato della presunta dolosità dell’attività incendiaria finalizzata alla speculazione edilizia, introdusse il divieto di effettuare costruzioni di qualunque tipo in quelle zone boschive danneggiate dal fuoco, la cui destinazione doveva rimanere, per almeno dieci anni, quella antecedente l’incendio. Altro profilo strutturale della norma, oltre quello inibitivo, era quello sanzionatorio che comminava la nullità degli atti di compravendita di quegli immobili edificati su aree percorse dal fuoco che non prevedevano espressamente l’inibitoria decennale menzionata.
Questo sistema vincolistico è stato rimodulato dalla legge quadro oggi vigente, e dalle Regioni alle quali, secondo quanto previsto nell’art. 1, nell’esercizio dei poteri conferiti alle autonomie locali dall’art. 117 cost., è affidato il compito di garantire l’attuazione e il rispetto dei princípi sanciti nella legge quadro.
A ciò è conseguito che le leggi regionali sugli incendi boschivi successive hanno dovuto, spesso, abrogare le precedenti, quelle antecedenti, invece, sono state adeguate al contenuto della legge nazionale, altre ancóra implicano un implicito rinvio ermeneutico a quest’ultima.
La lg. 353/00 si articola in divieti, prescrizioni e sanzioni (art. 10), ricostruibili per relationem partendo dall’individuazione del significato di «bosco», «zona boscata», «foresta» e «incendio boschivo».
Mentre la nozione di «incendio boschivo» è spiegata dalla legge (art. 2), le altre espressioni non vengono definite. Il legislatore si è soltanto limitato ad equiparare al regime delle  «zone boscate» le aree destinate ai pascoli.
Nella locuzione «zona boscata» vanno intuitivamente ricomprese tutte quelle aree dotate di specifici caratteri biofisici e territoriali, destinatarie di norme tutorie rinvenibili nella legislazione forestale nazionale e regionale.
Maggiore spazio definitorio è dedicato in alcune leggi regionali, dalle quali possiamo mutuare il significato di tali “lemmatiche locuzioni”.
Per esempio la l.r. Puglia 30 novembre 2000, n. 18 assimila alla nozione di «bosco» quella di «foresta» e li individua in “qualunque area coperta da vegetazione forestale arborea e/o arbustiva, di origine spontanea o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, nonché le formazioni costituite da vegetazione forestale arbustiva esercitanti una copertura del suolo (macchia mediterranea)” (art. 2).
Detta legge equipara ai boschi e alle foreste i terreni temporaneamente privi della predetta vegetazione forestale per intervento dell’uomo, per cause naturali, accidentali o per incendio (art. 2, comma 2).
La regge regionale pugliese utilizza quale criterio discretivo la tipologia di vegetazione, altre si servono di indici dimensionali dell’area…
Nelle leggi regionali è, invece, raro riscontare l’esistenza di una norma che offre la definizione di «incendio boschivo».
Il fine principe delle norme in materia di incendi boschivi è quello di riuscire a prevederli per prevenirli.
Nella lg. quadro 353/00 è inserito un articolo ad hoc (art. 4) che indica quale tecnica di previsione l’individuazione di aree (sulla base della tipologia di vegetazione) e periodi (in base ai venti) a maggior rischio incendio, in modo da poter adottare misure di prevenzione che consistono nel porre in essere “azioni mirate a ridurre le cause e il potenziale innesco d’incendio”.
La competenza di programmare attività di previsione e prevenzione spetta alle Regioni, che per quanto si sforzino di adottare piani i piú efficaci possibili, tuttavia non sempre riescono ad evitare il divampare di incendi.
Poiché non sempre gli incendi boschivi sono causati da eventi naturali, anzi, spesso, purtroppo, sono dolosi, per evitare attività incendiarie a scopo di speculazione edilizia, il legislatore ha inserito nel corpo della legge tassativi vincoli alle attività di godimento e di utilizzazione delle aree percorse dal fuoco. 
Tra i vincoli si annoverano:
– il divieto di mutare, per almeno quindici anni, la destinazione d’uso della zona interessata dall’incendio, rispetto all’utilizzazione urbanistica antecedente l’evento combustivo.
L’unica deroga a tale divieto è ammessa per la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente.
Come si può ben notare il parametro temporale quindicinale costituisce un’indicazione minimale, non è escluso, quindi, che le Regioni possano elevarlo.
Di primo acchito si potrebbe pensare che il legislatore ha previsto tale limitazione in quanto considera l’incendio un fatto che modifica la qualificazione giuridica del bene.
Ma così non è. Non si può pensare che la ratio della norma sia quella di escludere che l’incendio possa essere lo strumento utilizzato da coloro che lo appiccano per raggiungere obiettivi da questi ultimi prefissati, spesso edificatori, in quanto un incendio non trasforma irreversibilmente la zona o l’area limitrofa percorsa dal fuoco in un bene giuridico diverso.
Anzi, il fine di tale vincolo temporale può essere stato proprio quello di permettere alla zona boschiva colpita dall’incendio di riacquistare le caratteristiche antecedenti l’incendio stesso, proprio in virtù del fatto che siamo di fronte ad una trasformazione soltanto temporanea, sebbene tale temporaneità sia di lunga durata.
– Obbligatorietà di richiamare espressamente il vincolo di cui sopra, pena la nullità dell’atto.
Tale onere non è da ritenersi quale ostacolo alla commerciabilità.
L’obbligo di menzione trova la sua ratio nella necessità di coordinare la tutela costituzionale del patrimonio boschivo e paesaggistico (art. 9, comma 2, cost.) con la «circolazione informata» dell’area e risponde al principio di buona fede nella conclusione del contratto (art. 1337 c.c.) e all’obbligo di informare l’altro contraente dell’esistenza di cause di invalidità del contratto, se conosciute (art. 1338 c.c.).
La nullità che colpisce l’atto di compravendita rientra nella previsione dell’art. 1418, comma 3, c.c.
La lg. quadro circoscrive l’invalidità agli atti di compravendita, ma la dottrina, effettuando un’interpretazione assiologica della norma, ha giustamente ritenuto che l’obbligatorietà della menzione va estesa a tutte le tipologie negoziali aventi ad oggetto terreni percorsi dal fuoco. Meno condivisibile è, però, la circoscrizione agli atti negoziali potenzialmente idonei a perseguire intenti speculativi. Poiché l’art. 10 prevede la nullità degli atti di compravendita tout court non si comprende perché si debba restringere il campo applicativo del divieto a tali tipologie di atti che, tra l’altro, resterebbe comunque indefinito dal momento che il concetto di potenzialità non può essere obbiettivamente determinato.
– Divieto decennale di realizzare edifici, strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive.
In questo vincolo rientrano sia le opere sui soprassuoli, come previsto dalla norma, che quelle interessanti il sottosuolo. Diversamente si verrebbe a creare un’ingiustificata disparità normativa per due attività che si differenziano per il profilo ubicativo dell’oggetto materiale dell’attività edificatoria, ma che sono accomunate dalla uniformità degli effetti funzionali che si evince dalla disciplina del diritto di superficie.
Questo divieto non opera quando, prima che si verificasse l’incendio, era stata già ottenuta l’autorizzazione o concessione alla realizzazione dell’opera, in conformità alle destinazioni d’uso vigenti al momento dell’incendio.
È importante porre l’attenzione sul fatto che l’edificazione è subordinata al rilascio del provvedimento abilitativo prima dell’incendio e non alla destinazione d’uso del suolo sempre prima dell’incendio perché, anche se un suolo è dichiarato edificabile prima di un incendio, sullo stesso non si può comunque edificare se non si è in possesso della detta autorizzazione. Il divieto in esame si discosta, quindi, da quello quindicennale.
– Ulteriore divieto è quello quinquennale di esercitare sui soprassuoli  attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche.
Il divieto menzionato può ritenersi una proibizione relativa e non assoluta, essendo parametrata alla natura dei fondi destinati agli interventi. Anzi, anche nel caso di finanziamenti pubblici, sono comunque possibili se autorizzate dal Ministro dell’ambiente o dalla Regione, secondo le rispettive competenze territoriali, però non per qualsiasi zona boschiva, ma esclusivamente per le aree naturali protette.
Inoltre, tale autorizzazione diventa superflua in caso di documentato dissesto idrogeologico o in quelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici.
– La norma in esame prevede anche il divieto decennale di pascolo e caccia sul soprassuolo delle zone boscate percorse dal fuoco.
Si tratta di inibire attività puramente materiali la cui trasgressione comporta una sanzione amministrativa pecuniaria. Il vincolo temporale decorre dall’accadimento dell’evento da cui è scaturito l’incendio.
– Ultimo divieto presente nell’art. 10, comma 5, è quello inerente alle azioni che anche solo potenzialmente potrebbero causare un incendio, limitatamente alle aree e ai periodi di rischio.
Così come formulato questo comma potrebbe apparire troppo generico. Ad adiuvandum le Regioni predispongono piani regionali che, annualmente e a seconda della morfologia del territorio, individuano quelle azioni che potrebbero innescare incendi nelle aree a rischio, a loro volta rappresentate con apposita cartografia tematica, e nei periodo a rischio, con l’indicazione dei dati anemologici e dell’esposizione ai venti.
Come si può notare, questo divieto non è temporalmente definito e uguale su tutto il territorio nazionale, come per le altre previsioni inibitorie, ma può variare da  Regione a Regione, dal momento che ognuna è diversa dall’altra si per clima che per territorio, e può cambiare anche in una stessa Regione di anno in anno dal momento che i fattori che lo determinano (clima e paesaggio) sono soggetti a continui mutamenti.
La Regione Puglia nel 2009 ha sperimentato un sistema di previsione delle condizioni metereologiche e dei rischi incendi sul territorio pugliese composto da un modello meteorologico prognostico, non idrostatico, c.d. modello RAMS (Regional Atmospheric Modelling System), con risoluzione di 4 km sul territorio regionale, e di un modello per il calcolo dell’indice di pericolo di incendio, c.d. indice FWI (Fire Weather Index).
Questo sistema permette di prevedere il rischio incendio con  anticipo di circa 72 ore, tempo che seppur di importanza vitale per adottare misure idonee ad evitare che la previsione sfoci nell’avvenimento dannoso, è comunque caratterizzato da un alto grado di approssimazione che non permette di raggiungere pienamente lo scopo del legislatore.
In conclusione possiamo affermare che, per quanto sia apprezzabile lo sforzo legislativo di adottare misure che arginino il fenomeno degli incendi boschivi, vi è quel fattore di imprevedibilità che continua ad incidere in maniera determinante e che necessita ancóra di  studi mirati e finalizzati ad emarginarlo il piú possibile.

Bibliografia essenziale:
FERDINANDO PARENTE, Incendi boschivi e vincoli legali ai poteri di contrattazione e di utilizzazione dell’area, in Riv. not., 2010, p. 941 ss.
FERDINANDO PARENTE, Il regime vincolistico delle terre percorse dal fuoco, in Riv. not., 2002, p. 1385 ss.
MICHELE COSTANTINO, Destinazioni d’uso dei beni dopo incendi boschivi: prime impressioni sulle disposizioni della legge n. 353 del 2000, in Previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi nella Regione Puglia, Bari, 2010, p. 11 ss.
GIACOMO SCARASCIA MUGNOZZA, Tecniche modellistiche e satellitari per la previsione ed il monitoraggio del pericolo incendi in Puglia, ivi, p. 21 ss.
 

Pubblicato il 30/12/2013 su AmbienteDiritto.it – Rivista Giuridica Telematica – Electronic Law Review – ISSN 1974-9562


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