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 IL PASSAPORTO BIOLOGICO E IL DISALLINEAMENTO TRA IL DOPING E L’ANTIDOPING

di Roberto Carmina

 
Abstract
Il lavoro prende in considerazioni criticamente il passaporto biologico nella sua compatibilità con i principi propri dell’ordinamento giuridico.
(The work takes into consideration the law on doping critically analyzing the biological passport in its compatibility with the principles of the legal system).
 
 
Per liberare lo sport dal doping, è assolutamente indispensabile che le modalità di accertamento dell’assunzione di sostanze vietate siano efficaci e al passo con le metodologie dirette a mascherare l’assunzione di tali sostanze.
 
Ai fini dell’accertamento dell’utilizzo delle sostanze illecite e del contrasto alle nuove metodologie dopanti, una funzione fondamentale è svolta dal passaporto biologico. Tale metodo di accertamento è stato introdotto nel ciclismo già nel 2008 e successivamente è stato attuato da altri sport, quali l’atletica leggera e il calcio, dove è stato utilizzato in occasione della Confederations Cup del 20131.
 
Il passaporto biologico è un documento elettronico individuale, promosso dalla WADA (World Anti Doping Agency), in cui sono raccolti tutti i risultati dei test antidoping svolti sull’atleta.
 
In particolare, il passaporto biologico riporta per ogni atleta sia i risultati dei test delle urine, sia i valori degli esami del sangue. Attraverso la comparazione dei test delle urine viene formato un profilo steroideo,2 mentre i dati ricavati dagli esami del sangue permettono di tracciare un profilo ematico dell’atleta. A queste modalità di controllo diretta a verificare una eventuale violazione del Codice WADA si prevede nel tempo di affiancare un ulteriore metodo di accertamento, non ancora operativo, finalizzato a verificare l’uso dell’ormone della crescita.
 
L’obiettivo perseguito con l’istituzione del passaporto biologico è quello di individuare anomalie rispetto ai valori ordinari nei dati che riguardano il singolo atleta, così da desumere, per via indiretta, l’assunzione di sostanze dopanti di difficile rilevamento mediante i mezzi ordinari di accertamento3. In altre parole, la funzione fondamentale del passaporto biologico è monitorare le variabili selezionate (i cosiddetti biomarcatori di doping) che nel corso del tempo, indirettamente, rivelano gli effetti del doping: la metodologia del rilevamento obbedisce qui ad una logica diversa rispetto a quella fatta propria dal tradizionale accertamento dell’assunzione di una sostanza vietata attraverso controlli antidoping analitici. Infatti, rispetto ad un controllo diretto dell’assunzione di sostanze vietate, il passaporto biologico permette di accertare eventuali violazioni alle regole anti-doping che altrimenti non sarebbero perseguibili, in attuazione dell’articolo 2.2 del Codice WADA (uso o tentato uso da parte di un atleta di una sostanza vietata o di un metodo proibito)4.
 
Occorre tuttavia chiarire che il passaporto biologico non sostituisce i controlli anti-doping tradizionali, ma si combina alle strategie ordinarie, rendendo quindi la lotta contro il doping più efficace. Invero, l’approccio tipico del controllo antidoping, basato sul rilevamento di una sostanza vietata in un campione biologico di un atleta, pur mantenendo la sua efficacia, presenta comunque dei limiti nelle ipotesi di utilizzazione di sostanze in modo intermittente o in basse dosi. Tanto più che alcuni nuovi composti dopanti (o certune modifiche di prodotti proibiti già noti) possono essere difficili da individuare con i mezzi analitici convenzionali5.
 
Visti gli elevati costi gestionali del passaporto biologico, gli atleti sottoposti a tale tecnica di controllo sono solo quelli inseriti nel Registered Testing Pool, cui si applica il Whereabouts System. In altre parole, il passaporto biologico si applica esclusivamente a quegli atleti di elite che sono tenuti a fornire informazioni dettagliate sulla loro reperibilità alla Federazione sportiva internazionale di riferimento o alla NADO (National Anti-doping Organization), che si cura di inserirne i nomi nel Registered Testing Pool nazionale. Conseguentemente tali sondaggi medici potranno avvenire in ogni momento, sia durante le competizioni sportive sia al di fuori di esse.
 
Sulla tematica del Whereabouts System una parte della dottrina ha manifestato forti perplessità in relazione a tale sistema, ritenendo che contrasterebbe con la dignità umana e con la normativa rilevante in materia di privacy, sia per l’invasività dei moduli Whereabouts da compilare, sia perché l’atleta è costretto ad accettare i controlli anti-doping fuori competizione in ogni momento, compreso in quelli più inopportuni6. Tuttavia, conoscere la reperibilità degli atleti permette lo svolgimento di controlli anti-doping a sorpresa, fuori dalle competizioni, che risultano essenziali per la dissuasione e il rilevamento del doping. Pertanto il Whereabouts System rappresenta un passo importante nel rafforzamento della fiducia degli atleti e dei cittadini in uno sport libero dal doping.
 
Tornando alla questione principale oggetto della presente trattazione, occorre chiarire che gli aspetti di maggiore criticità del passaporto biologico concernono i seguenti profili: la presunta retroattività dell’applicazione delle norme, la valenza probatoria, l’indipendenza degli esperti che valutano i risultati delle analisi e gli alti costi.
 
In relazione al primo profilo, la giurisprudenza del TAS7 ritiene che il passaporto biologico non consiste in una nuova fattispecie che amplia il novero delle condotte dopanti previste dal Codice WADA, ma rappresenta piuttosto un nuovo metodo di accertamento della violazione di questo e, come tale, non incorre nel divieto di retroattività, rientrando l’eventuale condotta antisportiva nelle ipotesi già incriminate dal sopra citato codice. In caso contrario non sarebbe possibile avvalersi del progresso tecnologico per accertare anche violazioni precedenti all’introduzione dei nuovi metodi scientifici8.
 
In secondo luogo, si contesta la valenza probatoria del passaporto biologico in quanto, come già accennato, esso costituisce un mezzo di prova indiretto che accerta il differenziale di scarto dai valori clinici ordinari individuali (e quindi individua gli effetti anomali che tali sostanze inducono nell’organismo), ma non la diretta assunzione di sostanze dopanti. Questa metodologia contrasterebbe quindi con l’art. 3.1 del Codice WADA9, che richiede una “comfortable satisfaction”, corrispondente a un onere della prova più intenso di una semplice probabilità, ma comunque meno cogente di una prova oltre ogni ragionevole dubbio. Sulla base di queste considerazioni e in conformità con tale linea interpretativa, la dottrina ha evidenziato che il passaporto biologico non dovrebbe essere equiparato ad un mezzo di prova per l’accertamento di comportamenti illeciti da parte degli atleti. Al contrario, esso andrebbe considerato alla stregua di un mero mezzo di prevenzione per la salvaguardia della salute degli sportivi, adottato con l’obiettivo di responsabilizzare le squadre inducendole a non far partecipare alle competizioni sportive gli atleti che dovessero presentare parametri anomali e non giustificabili10. Il TAS11 chiarisce che i risultati forniti dal passaporto biologico sono affidabili e quindi corrispondono a quanto richiesto dall’art. 3.2 del Codice WADA12: infatti, nelle applicazioni che ne fanno le normative federali, i risultati dei test clinici dei laboratori accreditati dalla WADA prima sono sottoposti a una valutazione statistica, per accertare la sussistenza di anomalie nei valori ematici, e successivamente sono presi in esame da una giuria di esperti. In caso di spiegazioni insufficienti dell’atleta e nell’unanimità di valutazione di condanna, la giuria procede ad informare la Federazione competente per l’apertura di un procedimento disciplinare. Pertanto i valori statistici non sono ritenuti rilevanti ex se, ma sono controllati da esperti, che devono essere d’accordo all’unanimità e devono tenere conto anche delle delucidazioni degli atleti interessati.
 
La critica più condivisibile che viene sollevata al passaporto biologico è quella relativa all’indipendenza degli esperti che procedono alle valutazioni sui risultati dei test clinici. Infatti, l’autonomia di giudizio di questi esperti è pregiudicata dalla considerazione che essi difettano della terzietà e, quindi, dall’equidistanza dalle parti in causa, essendo nominati dall’ADO (Anti Doping Organization) che, per il tramite della Giunta Nazionale del CONI, designa sia i componenti del Tribunale Nazionale Antidoping che i membri dell’Ufficio di Procura Antidoping. Né l’anonimato dei campioni sottoposti ad analisi potrebbe costituire un argine sufficiente e una garanzia efficace per salvaguardare l’autonomia del giudizio: difatti una qualche tendenza inquisitoria potrebbe comunque derivare dal ruolo stesso dei giudicanti ed essere consustanziale alla loro dipendenza funzionale dall’ADO. A nostro avviso, gli esperti dovrebbero invece essere selezionati tra soggetti che siano estranei alle ADO, alla WADA e, in generale, al sistema del passaporto biologico; quantomeno, per garantire il più possibile la trasparenza del procedimento, sarebbe necessario che esperti della materia, estranei al sistema sportivo antidoping, fossero chiamati a confermare le valutazioni degli scienziati nominati dall’ADO. Tali esperti potrebbero essere designati da uno speciale comitato costituito da esponenti delle società scientifiche internazionali e/o da rappresentanti dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
 
Ciò nondimeno, tale metodo di accertamento diretto a verificare una eventuale violazione del Codice WADA presenta l’indubbio vantaggio di prevedere delle linee guida uniformi stabilite dalla WADA. Viceversa, nell’ordinamento italiano, che pure prevede nella legge Balduzzi (legge 8 novembre 2012, n. 189) una legittima limitazione della responsabilità penale dei medici nel caso di comportamenti conformi alle linee guida dell’attività medico-chirurgica, non è specificato quali linee guida vadano seguite in funzione di garanzia per evitare l’incertezza giuridica. Nell’ordinamento sportivo e partitamente per quanto concerne il passaporto biologico, invece, come si è visto, esiste un criterio uniforme di valutazione medica che evita un intersecazione tra contrapposte raccomandazioni medico-chirurgiche.
 
Alla luce di queste considerazioni riteniamo che il passaporto biologico nella sua attuale configurazione sia uno strumento utile e finanche necessario per contrastare il fenomeno sommerso, pervasivo, metamorfico del doping, che riesce a trovare sempre strade nuove e alternative per evitare la tracciabilità dell’assunzione di farmaci e perpetuare l’adozione di pratiche vietate. Ciononostante, è altrettanto necessario garantire l’assoluta indipendenza e terzietà rispetto alle parti interessate (atleti – federazioni, ADO e WADA) degli esperti chiamati a valutare le analisi cliniche degli sportivi.
 
 
 
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Roberto Carmina, Avvocato del Foro di Palermo e Dottorando di ricerca in Soggetti, istituzioni, diritti nell’esperienza interna e transnazionale della Scuola di dottorato in diritto sovranazionale e diritto interno dell’Università di Palermo.
1La Fifa è stata la prima a utilizzare sia il sistema di controllo ematologico che quello steroideo su tutti i calciatori che hanno partecipato alla Confederations Cup nel giugno del 2013.
2La modalità di controllo del passaporto biologico del rilevamento degli steroidi è diventata operativa nel gennaio 2014, in merito si veda www.wada-ama.org/en/Resources/Q-and-A/QA-on-ABP-Steroidal-Module.
3 Tra gli atleti sanzionati per violazioni concernenti il passaporto biologico ricordiamo: Igor Astarloa, Pietro Caucchioli. Antonio Colom, Francesco De Bonis, Thomas Dekker, Franco Pellizotti, Ricardo Serrano, Tadej Valjavec e Sérgio Ribeiro.
4Ai sensi dell’art. 2.2 del Codice Wada del 2009, relativo all’uso o tentato uso da parte di un atleta di una sostanza vietata o di un metodo proibito, “it is each Athlete’s personal duty to ensure that no Prohibited Substance enters his or her body. Accordingly, it is not necessary that intent, fault, negligence or knowing Use on the Athlete’s part be demonstrated in order to establish an anti-doping rule violation for Use of a Prohibited Substance or a Prohibited Method. The success or failure of the Use of a Prohibited Substance or Prohibited Method is not material. It is sufficient that the Prohibited Substance or Prohibited Method was Used or Attempted to be Used for an anti-doping rule violation to be committed”.
5 In altre parole, i controlli diretti sono spesso fallibili, in quanto in ambito agonistico sono tuttora in circolazione prodotti non tracciabili, molecole che eludono ogni tassonomia scientifica, sostanze la cui rilevazione è resa estremamente difficile dal ridotto tempo di permanenza nei fluidi umani.
6 F. D’URZO, La dubbia legittimità del Whereabouts System elaborato dal Codice Wada, in Rivista di diritto ed economia dello sport, 2012, p. 96, consultabile on line in www.rdes.it. Un caso estremo di invasività degli accertamenti antidoping è quello del ciclista Kevin Van Impe, il quale subì un controllo antidoping a sorpresa propria prima di prendere parte al funerale del figlio.
7TAS 2010/A/2178 Pietro Caucchioli c. CONI & UCI, consultabile in www.wada-ama.org/en/media-center/archives.
8TAS 2009/A/1931 Ekaterina Iourieva e Albina Akhatova v Internazionale Biathlon Union, consultabile in www.tas-cas.org.
9Ai sensi dell’ art. 3.1 del Codice Wada del 2009 “the Anti-Doping Organization shall have the burden of establishing that an anti-doping rule violation has occurred. The standard of proof shall be whether the Anti-Doping Organization has established an anti-doping rule violation to the comfortable satisfaction of the hearing panel bearing in mind the seriousness of the allegation which is made. This standard of proof in all cases is greater than a mere balance of probability but less than proof beyond a reasonable doubt. Where the Code place the burden of proof upon the Athlete or other Person alleged to have committed an anti-doping rule violation to rebut a presumption or establish specified facts or circumstances, the standard of proof shall be by a balance of probability, except as provided in Articles 10.4 and 10.6 where the Athlete must satisfy a higher burden of proof”.
10Sulla questione si veda F. D’URZO, La giustizia sportiva internazionale nel mondo del ciclismo, in La giustizia sportiva, a cura di G. CANDELA, S. CIVALE, M. COLUCCI, A. FRATTINI, Sport Law and Policy Centre, 2013, p. 143 e p. 144.
11TAS 2010/A/2178 Pietro Caucchioli c. CONI & UCI, consultabile in www.wada-ama.org/en/media-center/archives.
12Ex art. 3.2 del Codice Wada del 2009 “facts related to anti-doping rule violations may be established by any reliable means, including admissions”.
 

 

 
Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 1° dicembre 2014

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