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Art. 733 c.p.: la qualifica del soggetto attivo e rapporto tra forme di tutela dei beni culturali

 
 SALVATORE RUBERTI
 
Introduzione
L’Italia possiede quasi due terzi del patrimonio artistico mondiale; questo, oltre a rappresentare una ricchezza culturale per il mondo intero, è la vivida testimonianza di una civiltà rivissuta sotto l’aspetto storico ed artistico di tutte le epoche.
Il patrimonio archeologico dell’Italia è talmente diffuso che l’ordinamento appresta un sistema di tutela sia nei confronti delle scoperte e dei ritrovamenti fino ad oggi rivelati, sia dei siti archeologici conservati nel sottosuolo e dei quali già si conosce l’importanza a fini della ricerca e dello studio.
L’art. 733 c.p. tutela l’interesse collettivo a poter usufruire e godere della testimonianza passata dalle propria civiltà, delle espressioni culturali delle epoche passate e delle testimonianze storiche largamente diffuse sul territorio nazionale.
Bisogna precisare che, ai fini della configurazione del reato, non può mancare una motivazione sulla rilevanza nazionale del bene, non solo per il valore comunicativo spirituale di ogni opera culturale, ma anche per i requisiti peculiari attinenti alla tipologia, alla localizzazione, alla rarità e ad altri analoghi criteri.[i]
L’introduzione della Carta costituzionale ha elevato tale interesse a bene costituzionalmente riconosciuto e tutelato tramite dell’articolo 9 Cost.
Il secondo comma dell’articolo 9 riconosce valenza costituzionale, alla tutela, già riconosciuta dal Codice Rocco, delle testimonianze della cultura e della storia che abbiamo ereditato dal passato.
La Costituzione conferisce alla cultura la qualifica di valore nazionale “dinamico” perché, attraverso il patrimonio archeologico, artistico e storico già presente e accertato, ne promuove l’evoluzione verso nuove produzioni quale testimonianza futura per i posteri.
Quindi, è lecito affermare che, nel corso degli anni, si è passati da una concezione puramente statico-conservativa della tutela dei beni culturali a una concezione dinamica orientata al loro pubblico godimento, in quanto naturalmente destinati alla pubblica fruizione e alla valorizzazione, come strumenti di crescita culturale della società.[ii]
La società si “civilizza” tramite se stessa o, meglio, tramite il suo passato culturale; motivo per cui, possiamo affermare che l’entrata in vigore dell’articolo 9 della Costituzione proietta verso il futuro l’art. 733 cod. pen. il quale abbandona la vecchia funzione di tutela limitata alle cose del passato per diventare strumento di salvaguardia dello sviluppo culturale della nazione.
Va ricordato a tal proposito che la tradizionale espressione “patrimonio storico, artistico, archeologico” è oggi sostituita, per espresso disposto normativo, oltre che nel linguaggio comune, dalle più attuali “patrimonio culturale”, costituito “dai beni culturali e dai beni paesaggistici” (art. 2, comma 1, Codice), e “beni culturali”, appunto (comma 2), riferiti alle “cose mobili e immobili che….presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.[iii]
La consumazione del reato ex art. 733 cod. pen. si perfeziona quando ricorrono due condizioni: la notorietà della rilevanza archeologica, artistica o storica del bene deve essere evidente ed oggettiva e l’agente deve consapevolmente essere a conoscenza del rilevante pregio, per il patrimonio culturale, del opera scultorea o architettonica come di altro tipo di bene.
Non è indispensabile che l’importanza culturale dell’oggetto del reato sia formalmente dichiarata; quando ricorrono le due condizioni sopra dichiarate, è irrilevante il fatto che il monumento o la cosa non sia sottoposto a vincolo dall’autorità competente.
Diventa, quindi, essenziale per la configurazione del reato de quo che sia stata verificata l’effettiva lesione al patrimonio archeologico, artistico o storico nazionale atteso che tale nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità.[iv]
Tale condizione sussiste, e non viene meno, anche nel caso in cui un’opera d’intervento come, ad esempio, un immediato restauro possa garantire un recupero totale dell’integrità del bene.
Per concludere questa breve ma doverosa introduzione, appare opportuno ricordare che anche l’Unione europea ormai ha mostrato particolare sensibilità per tutto ciò che ricopre valenza culturale tanto che oggi, anche se vi sono resistenze in tal senso, ben si può incominciare a considerare la tutela del patrimonio archeologico, artistico e storico dei patrimoni culturali degli Stati membri come un principio che oltrepassa i confini nazionali per assurgere a principio di rango comunitario.
 Vi è chi evidenzia, comunque, che parlare di patrimonio culturale d’importanza europea può apparire sempre più anacronistico, nel momento in cui si va diffondendo, a livello internazionale, l’idea che, nel nome di una fruizione collettiva, bisogna prescindere dal tradizionale approccio territoriale nella tutela dei beni culturali: in sintesi i beni culturali visti come una sorta di ultima frontiera dei diritti umani.
In tal senso hanno fatto da apripista le convenzioni internazionali in materia: fra questi accordi internazionali spiccano la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, sottoscritta all’Aja il 14 maggio 1954 (e ratificata in Italia con l. 7 febbraio 1958, n. 279); e la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale (c.d. Unesco), stipulata il 23 novembre 1972 (e ratificata in Italia con l. 6 aprile 1977, n. 184).
La Convenzione dell’Aja del 1954, parte dal presupposto che i danni arrecati ai beni culturali, quale che ne sia il Paese di appartenenza, costituiscono danno al patrimonio culturale dell’umanità intera; da ciò facendo conseguire il divieto del c.d. diritto di preda, e l’impegno delle parti in conflitto a proibire qualsiasi atto lesivo di beni culturali ai danni dei beni dei paesi nemici (nonché l’obbligo della potenza occupante a collaborare con l’autorità del luogo per salvaguardare i beni culturali situati sul territorio di quest’ultima…La convenzione Unesco del 1972 afferma il principio che tutti i popoli del mondo sono interessati alla conservazione dei beni culturali, avendone in comune i valori di civiltà, per cui gli Stati aderenti si obbligano ad astenersi deliberatamente da ogni provvedimento atto a danneggiare, anche solo indirettamente, il patrimonio culturale; da sottolineare anche la previsione di un comitato intergovernativo, il cui compito è definire ed aggiornare un elenco di beni di valore eccezionale e perciò meritevoli di particolare tutela, the World heritage list…in quanto appartenenti al patrimonio culturale mondiale.[v]
 
1. Definizione del soggetto attivo: prevalenza del concetto di “cosa propria” o interpretazione estensiva?
L’articolo 733 cod. pen. prescrive che la distruzione, il deterioramento o il danneggiamento del bene di rilevante pregio deve ricadere su “cosa propria”.
In tal modo, si dovrebbe intendere che il soggetto attivo del reato risponderà dell’illecito solo qualora preesista un rapporto di proprietà con il bene archeologico, storico o artistico.
Ragionando in tal senso, appare evidente come l’articolo 733 cod. pen. si pone come, limite di matrice penalistica, al diritto di godere e di disporre delle cose proprie in modo pieno ed esclusivo (tendendo presente che tale linea estrema ben si può inquadrare nei limiti stabiliti dall’ordinamento giuridico e richiamati dall’art. 832 cod. civ.).
 Si tratta, quindi, di un’eccezione al principio della non punibilità del danneggiamento di cose proprie che si trova espressione nell’ulteriore obbligo di custodire e garantire l’integrità materiale del bene di rilevante pregio.
Il concetto di “cosa propria” anima il dibattito giurisprudenziale e dottrinale intorno alla definizione del soggetto attivo del reato in questione.
In altre parole, l’applicazione dell’art. 733 cod. pen. verrebbe determinata in funzione del rapporto che lega il soggetto al bene.
In giurisprudenza, anche se la corrente maggiormente espressiva indica nel reato di danneggiamento del patrimonio archeologico, storico e artistico un fattispecie illecita comune, non mancano significativi arresti che depongono in senso contrario.
Di tale impostazione, si caratterizza quell’orientamento giurisprudenziale che inquadra l’art. 733 cod. pen. in un’eccezione al reato di danneggiamento: la differenza tra le due figure risulta proprio nel fatto che ricorre la prima fattispecie di reato quanto l’oggetto di rilevante pregio appartiene al soggetto attivo; diversamente, sussiste il reato ex 635 cod. pen..[vi]
A suffragio di tale posizione, si può citare quell’arresto della Cassazione secondo il quale soggetto attivo del reato di cui all’art. 733 cod. pen., come si desume dal tenore letterale della norma, è solo il proprietario della cosa, non il possessore in quanto tale e tanto meno il semplice detentore e, aggiunge la Suprema Corte, che questa interpretazione letterale risponde anche alla ratio implicita della norma che, nell’interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio artistico, storico e archeologico della Nazione ha voluto costituire un vincolo giuridico a carico dei proprietari privati di cose aventi pregio artistico, storico e archeologico, impedendo loro di danneggiarle o deteriorarle.[vii]
Perciò, sulla base di tali principi, parte della dottrina distingue tra la figura dell’articolo 733 cod. pen. secondo il quale l’offesa sul bene di pregio deve avvenire su cosa di cui si è proprietari e la figura del danneggiamento aggravato nella quale il soggetto attivo del reato aggrava la sua posizione commettendo nocumento su cosa di valore artistico, storico e archeologico ma sulla quale, il reo, non è titolare dei poteri propri riconosciuti dal diritto di proprietà.[viii]
Appare evidente come tale dottrina predilige valorizzare l’elemento della proprietà della cosa senza ammettere interpretazioni che prevarichino il contenuto del diritto di proprietà così come inteso dall’articolo 832 cod. civ.
Tale orientamento, infatti, ritiene che tesi contrarie, a quella sopra esposta, siano in palese contrasto con il principio di legalità poiché il necessario collegamento con la cosa è espresso dall’attributo “propria” che deve ritenersi riferito sia al “monumento” sia ad “altra cosa”.[ix]
Quindi, il reato ex art. 733 cod. pen. rappresenterebbe un reato proprio evidenziando il fatto che la qualifica del soggetto attivo, ossia il suo essere proprietario della cosa, preesiste alla commissione dell’illecito penale.
In quest’ottica, andrà anche considerato “proprio” il reato omissivo che deriva dalla combinazione dell’art. 40 comma 2 cod. pen. con la norma incriminatrice di parte speciale articolo 733 cod. pen. riconoscendo, in tal modo, l’ulteriore qualifica di garante in capo al soggetto attivo.
Per essere ancora più precisi, si dovrebbe trattare di un reato proprio semiesclusivo caratterizzato dal fatto che l’assenza della qualifica soggettiva in capo all’agente comporta solo un mutamento del titolo di reato.
Rispetto a questi reati propri la qualifica soggettiva pur non determinando l’offensività del fatto ne determina l’offensività specifica, cioè riguardo ad un determinato bene giuridico.[x]
La giurisprudenza maggioritaria, però, disattende questa posizione privilegiando (come di seguito si vedrà) più l’elemento della tutela dell’opera di pregio che, ad ogni modo, meglio rappresenta la ratio dell’articolo 733 cod. pen. tesa alla salvaguardia dell’interesse collettivo a godere ed usufruire di tutto ciò che materialmente attesta la civiltà nazionale nelle varie espressioni culturali che, nel tempo, hanno caratterizzato le varie epoche.
La Cassazione, già nel 1993, affermava che il soggetto attivo del reato ex art. 733 c.p. può essere rappresentato sia dal proprietario sia dal possessore o dal detentore dato che un’interpretazione eccessivamente restrittiva del termine “propria” paradossalmente escluderebbe dalla tutela penale una serie di beni pubblici che in quanto res communes omnium non possono definirsi, strictu sensu “propri” di determinate persone fisiche preposte alla loro effettiva salvaguardia.[xi]
Quindi, i fautori di questo diverso orientamento, spostano l’attenzione da un interpretazione categoria del concetto di “cosa propria” intesa come di proprietà ex art. 832 cod. civ. ad un valenza sufficientemente rappresentata dal diverso concetto di “materiale disponibilità” del bene di rilevante pregio.
A sostegno della loro posizione, tali autori hanno, in primis, evidenziato che nel Codice penale non sono rari i casi in cui i concetti “proprio” o “proprietario” vengono intesi in senso atecnico, nel significato di qualsiasi legittimo possesso.[xii]
La giurisprudenza è decisamente orientata in tal senso confermando la priorità della tutela dell’interesse sotteso alla norma; appare rilevante il pregio archeologico, artistico o storico della cosa in virtù del quale per “propria” va intesa ogni cosa di cui il soggetto abbia la concreta disponibilità; in tal senso, deve intendersi, ad esempio, il bene di proprietà di una società di cui il soggetto attivo del reato sia un amministratore;[xiii] la qualifica di soggetto attivo del reato di danneggiamento (art. 733 c.p.) compete anche a chi riveste la carica pubblica di sindaco nel caso in cui i beni danneggiati costituiscano “monumento” e rivestano un rilevante interesse culturale, tale da rendere incontrovertibile la loro appartenenza al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale.[xiv]
Appare evidente, quindi, che la giurisprudenza maggioritaria insiste sul fatto che, alla luce dell’evidente finalità di tutela del patrimonio culturale nazionale, il reato x art. 733 cod. pen. non costituisce reato “proprio” nel senso della sua riferibilità al solo proprietario privato ma che soggetto attivo ben può essere anche il detentore o possessore del bene mentre terzi estranei alla proprietà possono solo concorrere con il primo nella commissione della contravvenzione.[xv]
A parere di chi scrive, l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale che meglio interpreta l’articolo 733 cod. pen. è rappresentato da quello pocanzi descritto.
Prima di dare pienezza di contenuti a questa mia personale posizione, ritengo sia utile esporre una breve disamina sull’importanza della ratio della disposizione penale ai fini dell’interpretazione dei singoli elementi costitutivi del reato.
La qualifica di un qualsiasi elemento dell’illecito penale così come descritto da una norma, presuppone che l’interprete non consideri i semplici termini contenuti nella formulazione della disposizione ma consideri il tenore letterale della norma nel suo insieme.
Se da un lato, i fautori della teoria che identifica nell’articolo 733 cod. pen. un reato proprio insistono sull’elemento del richiamo alla “cosa propria” da intendersi come bene di proprietà, è pur vero che la disposizione del Codice penale si apre con il sostantivo “chiunque” quasi a voler specificare da subito che la capacità penale propria del reato in oggetto si può riscontrare in qualsiasi persona fisica o giuridica.
Ma ragionando in tal senso, la disputa intorno al vero significato dell’agente attivo nel reato ex art. 733 cod. pen. si ridurrebbe ad un confronto tra il significato di due termini tradendo le più antiche regole dell’interpretazione giuridica delle norme che esigono la considerazione di tutti gli elementi della fattispecie.
Nell’ambito del diritto penale, non si può prescindere dalla ratio della norma e dare un’interpretazione svincolata dalla vera finalità della disposizione; invece, è proprio il proposito della norma a dover dare pienezza di contenuto alla formulazione letterale della disposizione di legge.
Autorevole dottrina sostiene che tra le principali funzioni della categoria del fatto tipico vi è quella di descrivere specifiche modalità di aggressione ai beni penalmente protetti.
Ciò vuol dire che la tipicità del fatto si riconnette intimamente alla lesione del bene giuridico: sicché, il riferimento al bene tutelato svolge, a sua volta, un’essenziale funzione ai fini della stessa determinazione del concetto di tipicità.[xvi]
Motivo per cui, ritengo che il monumento o altra cosa propria (sulla quale ricade l’offesa del reo) da un lato rappresenta un limite per il proprietario che deve astenersi dal compiere azioni che distruggano, danneggino o deteriorino il bene ma sotto un’altra ottica, ritengo che il legislatore abbia voluto intendere che la rilevanza archeologica, storica o artistica del bene comporta che, qualora un soggetto, non proprietario, consumi un offesa in danno ad una cosa di rilevante pregio, andrà incontro a quelle che sono le conseguenze penale previste dall’articolo 733 cod. pen. decisamente più gravi rispetto a quelle previste dall’art. 635 cod. pen. (danneggiamento) che rappresenterebbe il reato da imputare al suddetto soggetto secondo l’opinione di chi considera l’art. 733 cod. pen. un reato proprio.
In tal modo, l’interesse collettivo ad usufruire del bene storico, riceve quella che è la giusta protezione ed un’adeguata tutela in conformità al rilevante pregio dello stesso senza dimenticare, inoltre, che con l’entrata in vigore della Costituzione, l’interesse tutelato dall’art. 733 c.p. è stato investito di valenza costituzionale ex articolo 9.
Per quanto sopra argomentato, non convince neanche la qualifica di reato proprio semiesclusivo del danneggiamento del patrimonio archeologico, artistico e storico nazionale perché non appare adeguatamente garante del bene protetto: risulterebbe alquanto riduttivo e comunque fuorviante prevedere che se il danneggiamento del bene di rilevante pregio avvenisse per opera di un soggetto che non è il legittimo proprietario si configurerebbe un semplice danneggiamento (eventualmente aggravato) di cosa altrui senza dare rilievo all’importanza del bene materiale del reato in termini di valenza archeologica, artistica o storica.
 
2. La Cassazione sul rapporto tra l’art. 733 cod. pen. e altre forme di tutela del patrimonio archeologico, artistico e storico di valenza nazionale
 
L’articolo 733 cod. pen. si pone in rapporto di specialità con il reato di danneggiamento aggravato ex art. 635 cod. pen.; la Cassazione ha, infatti, stabilito che la condotta di danneggiamento di beni di valore archeologico, storico o artistico, di proprietà del soggetto agente, integra la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 733 c.p. e non il delitto di danneggiamento aggravato.[xvii]
In questo caso, bisogna precisare che, ancora una volta, il rapporto di specialità, sopra richiamato, risente della diversa interpretazione che si vuole conferire al concetto di “proprietario”: se si sposa la tesi per cui agente del reato ex art. 733 cod. pen. può essere solo il soggetto in capo al quale sussiste un diritto di proprietà (inteso ex art. 832 cod. civ.) si deve dedurre che resteranno esclusi dall’applicazione dell’art. 733 cod. pen. i semplici detentori, possessori o che ne ha la materiale disponibilità i quali risponderanno del reato di danneggiamento aggravato dal fatto che il bene offeso riveste pregio archeologico, artistico o storico.
Ragionando diversamente e secondo quello che appare l’orientamento prevalente in giurisprudenza, il soggetto attivo ben può essere una persona diversa dall’effettivo proprietario (come la Cassazione ha affermato, ad esempio, può essere un amministratore di società o un sindaco di una città) e il fatto di non essere il titolare del diritto di proprietà del bene non lo salvaguarderà dall’accusa di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale.
Un’altra figura di reato sulla quale è opportuno indagare sul rapporto esistente con l’art. 733 cod. pen. è rappresentata dalla condotta di deturpamento e imbrattamento di cosa altrui ex art. 639 cod. pen.[xviii]
L’imbrattamento è la sporcizia e il sudiciume prodotto alla cosa con qualsiasi mezzo, in modo che ne resti offesa l’estetica o la decenza ma sempre nel limite di un’offesa al bene facilmente rimediabile con un adeguato intervento, ad esempio, di pulizia.
Il rapporto tra le due figure di reato considerate è agevolmente definibile in modo indiretto focalizzando l’attenzione sul rapporto che lega l’art. 639 cod. pen. all’articolo 635 cod. pen.: il deturpamento o imbrattamento di cosa altrui è una figura criminosa che costituisce una forma più lieve rispetto al danneggiamento mancando un immanenza, almeno relativa, degli effetti dannosi sul bene deteriorato, sempre che possa comunque ripristinarsi, senza particolari difficoltà, l’aspetto ed il valore originario del bene medesimo.[xix]
Quindi, sostanzialmente, anche tra il reato di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale e il deturpamento o imbrattamento di cosa altrui sussiste un rapporto di specialità atteso anche il carattere di reato residuale ex art. 639 cod. pen. che cede il passo ad altre ipotesi criminose quando ne ricorrano gli elementi.
Inoltre, bisogna ricordare che ai fini della configurabilità del reato ex art. 733 cod. pen. è irrilevante che il nocumento apportato al bene di rilevante pregio sia risolvibile e non permanente.
Il reato ex art. 733 cod. pen. può sussistere con la violazione contravvenzionale di cui all’art. 650 cod. pen.; la fattispecie può ricorrere quando l’agente del reato consuma il reato ex art. 733 cod. pen. non dando seguito ad un’ordinanza della Sopraintendenza ai monumenti con la quale si imponeva di provvedere alle opere di conservazione e restauro delle cose di interesse storico e artistico.[xx]
Per quanto riguarda la Legge n. 1089 del 1939,[xxi] questa ha rappresentato l’indispensabile punto di riferimento per una adeguata delimitazione del concetto di monumento o cosa di rilevante pregio.
Tale definizione si desume dagli articoli 1 e 2 della suddetta Legge; tali disposizioni, è bene chiarire, non hanno il valore di elencazione tassativa perchè il rilevante pregio che la cosa deve avere va accertato caso per caso, con apprezzamento di merito del giudice, insindacabile in sede di legittimità.
Ad ogni modo, bisogna constatare che nella legge n. 1089/1939 il riferimento era, soprattutto, alle “cose d’arte” e ciò tradiva un maggiore attenzione, da parte del legislatore dell’epoca, a privilegiare il dato estetico dei beni tutelati; solo a partire dagli anni 50, comincia a diventare d’uso comune il concetto di beni culturali.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha fornito le giuste indicazioni per inquadrare in che rapporto si la contravvenzione di cui all’art. 733 c.p. con la Legge n. 1089 del 1939: la disposizione codicistica costituiva un struttura esterna di tutela rispetto alla Legge in oggetto creando, così, un sistema duale rispetto alla più incisiva protezione un tempo fornita dalla legge del 1939 che presuppone che la cosa d’antichità e d’arte sia stata individuata dalla competente autorità e, quindi, sottoposta a speciale tutela mentre il reato codicistico non ha tra i suoi dati costitutivi la preselezione da parte dell’autorità del bene culturale.[xxii]
Le prescrizioni contenute dalla Legge n. 1089 del 1939 inerenti la definizione della rilevanza archeologica, torica ed artistica del bene protetto sono state assorbite dal D. Lgs. 29 ottobre 1999, n.490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali).
Tale decreto riporta e amplia i criteri di qualificazione dei beni di rilevante pregio, lasciando intendere che si tratta di una categoria aperta e che ulteriori beni, non menzionati nella Legge, ben possono essere individuati mediante una disposizione normativa che attesti la loro particolarità come testimonianza avente valore di civiltà (art. 4).
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004) prevede uno “sdoppiamento” della tutela del patrimonio culturale che si esplica nell’attività di individuazione del bene meritevole di tutela e nell’opera di conservazione e protezione dello stesso.
Si evidenzia, in questo caso, che l’art. 733 cod. pen. si distingue dal Codice dei beni culturali e del paesaggio perché prevede la punizione di chiunque offenda un bene di pregio archeologico storico o artistico in quanto, tale condotta, appare lesiva del patrimonio nazionale ma prescinde dall’esigenza che il monumento o l cosa sia preventivamente assistita dal riconoscimento formale dell’autorità competente che attesti il rilevante pregio.
Sarà il giudice a dover accertare se effettivamente è venuta in essere un’offesa al patrimonio nazionale e, di conseguenza, lo stesso organo giudicante sarà tenuto a fornire un’adeguata motivazione sulla rilevanza nazionale del bene.
L’interesse all’applicazione di una sanzione penale riservata allo Stato si giustifica infatti non per ogni pregiudizio ai valori culturali, ma per quelli che rivestono una certa rilevanza generale, fermi rimanendo altri strumenti giuridici applicabili nelle ipotesi minori.[xxiii]
 


[i] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 3967 del 1 marzo 1995
[ii]P. AGNELLI, La Costituzione della Repubblica italiana, articolo 9 da:www.impariamolacostituzione.wordpress.com/
[iii] S. BENINI, Dossier:I reati in materia di beni culturali, da: www.solfano.it
[iv]…anche in assenza dell’imposizione di un vincolo…che non costituisce un elemento presupposto dalla norma incriminatrice. Cassazione penale, sent. n. 4001, del 29 novembre 2000.
[v] M. FIORILLO, Verso il patrimonio culturale dell’Europa unita, AIC (associazione Italiana dei Costituzionalisti) rivista n. 4/2011, pubblicato il 04/10/2011.
[vi] Cassazione penale 4 novembre 1993; 17 ottobre 1986; 15 ottobre 1980.
[vii] Cassazione penale sent. n. 7129 del 15 giugno 1998; la Cassazione, in tale sentenza, specifica che terzi estranei alla proprietà possono solo concorrere col proprietario alla commissione della contravvenzione. In tal senso, vedi anche Cassazione penale, sent. n. 39727 del 20 settembre 2002.
[viii] A sostegno di questa tesi, gli autori richiamano la vasta casistica delle ipotesi in ordine alle quali si è affermata la sussistenza dell’aggravante in oggetto: ad esempio, il fondo e i sottofondi marini ( in tal caso la Cassazione ha ritenuto la sussistenza del danneggiamento aggravato perseguibile d’ufficio nell’esercizio di attività di pesca con motobarca munita di rastrello in area lagunare diversa da quella consentita). BACCAREDDA BOY C. e LALOMINA S., I delitti contro il patrimonio mediante violenza, 2010.
[ix] PALLADINO, Articolo 733 c.p.: ancora in tema di soggetti attivi e di rapporti con altre norme, in Cass. pen. 2000, 55.
[x] F. CARINGELLA, F. DELLA VALLE, M. DE PALMA, Manuale di Diritto Penale, parte generale, 2011.
[xi] Cassazione penale sent. n. 6199 del 12 maggio 1993.
[xii] ZANOTTI, L’art. 733 c.p. e la tutela del patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale, in Cass. pen., 1997, 1345.
[xiii] Cassazione penale, 19 luglio 1991.
[xiv] Fattispecie nella quale il danneggiamento era stato causato da un’ordinanza sindacale con cui si disponeva il taglio di alcuni alberi facenti parte di un giardino pubblico, tutelato quale complesso di particolare interesse storico ed artistico con provvedimento del Ministero dei BB. CC. AA.). Cassazione penale sent. n. 42893 del 24 ottobre 2008
[xv] Cassazione penale, sent. n. 39727 de 20 settembre 2002.
[xvi] FIANDACA G. MUSCO E. Diritto Penale, parte generale 1995
[xvii] Cassazione penale, sent. n. 16893 del 11 aprile 2007.
[xviii] Tale ipotesi criminosa tende alla tutela della proprietà e più precisamente ad evitare una menomazione della situazione patrimoniale del soggetto passivo attraverso il deturpamento o l’imbrattamento di una cosa che gli appartiene. Cassazione penale 14 gennaio 1972.
[xix] Cassazione penale sent. n. 11756 del 3 novembre 2000.
[xx] Cassazione penale, sent. n. 6199 del 12 maggio 1993.
[xxi] Art. 1.
Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi: a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose d’interesse numismatico; c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio. Vi sono pure compresi le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico. Non sono soggette alla disciplina della presente legge le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. 
Art. 2.
Sono altresì sottoposte alla presente legge le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante e come tali abbiano formato oggetto di notificazione, in forma amministrativa, del Ministro della pubblica istruzione. La notifica, su richiesta del Ministro, è trascritta nei registri delle conservatorie delle ipoteche ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore della cosa a qualsiasi titolo. 
[xxii] Cassazione penale sent. n. 3624 del 22 gennaio 1999.
[xxiii] Cassazione penale, sent. n. 3967 del 1 marzo 1995.

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