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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Pubblica amministrazione, Pubblico impiego Numero: 27189 | Data di udienza: 3 Ottobre 2025

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico impiego privatizzato – Lavoro dirigenziale con i Ministeri e gli enti pubblici non economici nazionali – Incarichi dirigenziali conferiti a dirigenti esterni – Limiti triennali e quinquennali – Giurisprudenza eurounitaria – Risarcimento del danno c.d. eurounitario – DIRITTO DEL LAVORO – Contratti a termine in successione – Disciplina vincolistica eurounitaria – Rinnovazione del contratto – Limiti – Contratti a termine per soddisfare esigenze permanenti e durevoli dell’amministrazione – Divieto – Dirigenti INPDAP (poi INPS) – D.Lgs. n. 165/2001 – Rapporto dirigenziale in ambito di lavoro pubblico – Contratto a tempo indeterminato – Accesso ai ruoli della P.A. – Procedura concorsuale (ex art. 97 Cost.) – Necessità – Inapplicabilità al lavoro dirigenziale pubblico a tempo determinato – Ratio – PUBBLICO IMPIEGO – Pubblico impiego privatizzato – Abusiva reiterazione di contratti a termine con dirigenti esterni – Durata – Violazione delle regole sulla qualificazione professionale dell’interessato o sull’assenza di personale idoneo nei ruoli – Azione risarcitoria c.d. eurounitaria.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 4^ LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Ottobre 2025
Numero: 27189
Data di udienza: 3 Ottobre 2025
Presidente: DI PAOLANTONIO
Estensore: BELLE'


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico impiego privatizzato – Lavoro dirigenziale con i Ministeri e gli enti pubblici non economici nazionali – Incarichi dirigenziali conferiti a dirigenti esterni – Limiti triennali e quinquennali – Giurisprudenza eurounitaria – Risarcimento del danno c.d. eurounitario – DIRITTO DEL LAVORO – Contratti a termine in successione – Disciplina vincolistica eurounitaria – Rinnovazione del contratto – Limiti – Contratti a termine per soddisfare esigenze permanenti e durevoli dell’amministrazione – Divieto – Dirigenti INPDAP (poi INPS) – D.Lgs. n. 165/2001 – Rapporto dirigenziale in ambito di lavoro pubblico – Contratto a tempo indeterminato – Accesso ai ruoli della P.A. – Procedura concorsuale (ex art. 97 Cost.) – Necessità – Inapplicabilità al lavoro dirigenziale pubblico a tempo determinato – Ratio – PUBBLICO IMPIEGO – Pubblico impiego privatizzato – Abusiva reiterazione di contratti a termine con dirigenti esterni – Durata – Violazione delle regole sulla qualificazione professionale dell’interessato o sull’assenza di personale idoneo nei ruoli – Azione risarcitoria c.d. eurounitaria.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 4^ LAVORO, 10 ottobre 2025 (ud. 03/10/2025), Sentenza n. 27189

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico impiego privatizzato – Lavoro dirigenziale con i Ministeri e gli enti pubblici non economici nazionali – Incarichi dirigenziali conferiti a dirigenti esterni – Limiti triennali e quinquennali – Giurisprudenza eurounitaria – Risarcimento del danno c.d. eurounitario.

In tema di pubblico impiego privatizzato, la disciplina di cui all’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, con riferimento ai rapporti di lavoro dirigenziale con i Ministeri e gli enti pubblici non economici nazionali è speciale e non compatibile con quella generale sui contratti a tempo determinato (d. lgs. n. 368 del 2001; art. 19 ss d. lgs. n. 81 del 2015) e la facoltà di rinnovo dei contratti a tempo determinato stipulati per l’attribuzione di incarichi ai sensi del medesimo dell’art. 19, co. 6, va interpretata alla luce, da un lato, della clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CEE sul lavoro a tempo determinato, nel rispetto delle precisazioni fornite dal giudice eurounitario sul tema della repressione degli abusi, e, dall’altro, del principio costituzionale dell’accesso all’impiego, anche temporaneo, solo a seguito di concorso pubblico. Il rinnovo non può dunque essere disposto, una volta superati i limiti triennali e quinquennali di durata stabiliti dalla norma, neanche attraverso l’attribuzione di un incarico diverso, se quest’ultimo afferisca comunque alla normale attività dell’ente ed in caso contrario al lavoratore spetta il risarcimento del danno c.d. eurounitario, da liquidarsi secondo la fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 (ora, v. art. 36, comma 5, secondo parte del d. lgs. n. 165 del 2001), quale danno presunto, con valenza sanzionatoria, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto».

 

DIRITTO DEL LAVORO – Incarichi dirigenziali conferiti a dirigenti esterni – Incarichi dirigenziali a termine – Contratti a termine in successione – Disciplina vincolistica eurounitaria – Rinnovazione del contratto – Limiti – Contratti a termine per soddisfare esigenze permanenti e durevoli dell’amministrazione – Divieto – Dirigenti INPDAP (poi INPS) – D.Lgs. n. 165/2001.

La diversa conformazione dei rapporti con i dirigenti pubblici rispetto a quelli tra dirigenti e datori di lavoro privati rileva la «natura spiccatamente fiduciaria», destinata a giustificare il trattamento differenziato rispetto agli altri lavoratori in materia di licenziamento, in quanto è fisiologico che il rapporto possa venir meno per determinazione unilaterale solo che soggettivamente vengano considerate cessate le condizioni idonee a soddisfare la detta esigenza, senza che ciò comporti frizioni con l’art. 3 Cost. È in questa logica che si inseriscono le norme (art. 4 legge n. 230/1962, art. 10 d. lgs. n. 368/2001; art. 29, co. 2, lett. a del d. lgs. n. 81/2015), di contenuto tra loro analogo, che, nel tempo, nonostante il differenziarsi della disciplina regolativa, hanno comunque e sempre consentito in via generale la stipulazione dei contratti a termine, sicché per le categorie comuni la regola è il rapporto a tempo indeterminato e non è consentito derogarvi, salve le tassative eccezioni; per la categoria dei dirigenti non vigono né tale regola né le sue eccezioni, posto che le parti “possono” invece stipulare contratti a termine. Ciò per concluderne che la formulazione adottata, lungi dal costituire una forma di precarizzazione, «costituisce espressione di una indicazione legale di stabilità relativa, garantita al dirigente, non potendo il datore di lavoro recedere ante tempus, salvo ricorra una giusta causa, mentre il dirigente può “comunque” recedere da esso “trascorso un triennio”, osservato il termine di preavviso». Tale logica ha permesso quindi di ravvisare nell’assetto regolativo una ragione oggettiva idonea a sottrarre i contratti a termine in questione, così disciplinati in direzione di favor verso una pur limitata stabilità del rapporto, alla disciplina vincolistica eurounitaria sulle previsioni (clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, in relazione anche alla clausola 4 del medesimo) destinate a contrastare la reiterazione dei contratti a termine, che per tale via non è appunto vietata – con essa reiterandosi anche l’applicazione delle regole sulla possibile stabilità quinquennale – ma al contrario consentita. L’indicazione temporale contenuta nelle norme «è da riferire non al termine massimo finale entro il quale devono essere contenuti il contratto e le sue proroghe o rinnovi, ma alla durata massima del singolo contratto a termine. La rinnovazione del contratto non può che soggiacere alle stesse regole del primo e così per ogni altro rinnovo, per cui non si verifica la conversione ex tunc dei rapporti a termine in un unico rapporto a tempo indeterminato».

 

DIRITTO DEL LAVORO – Rapporto dirigenziale in ambito di lavoro pubblico – Contratto a tempo indeterminato – Accesso ai ruoli della P.A. – Procedura concorsuale (ex art. 97 Cost.) – Necessità – Inapplicabilità al lavoro dirigenziale pubblico a tempo determinato – Ratio.

Il rapporto dirigenziale in ambito di lavoro pubblico si connota in un modo molto diverso, perché esso si radica in un contratto a tempo indeterminato, che comporta l’accesso ai ruoli della P.A. previo superamento della procedura concorsuale richiesta dall’art. 97 Cost., mentre sono solo gli incarichi che vengono attribuiti al dirigente ad essere temporanei ed a poter quindi variare nel tempo (art. 19, in relazione all’art. 2, co. 3 del d. lgs. n. 165 del 2001). Sicché, l’art. 10 del d. lgs. n. 368 del 2001 (così come le norme analoghe che l’hanno preceduto o sono intervenute successivamente) non è applicabile rispetto al lavoro dirigenziale pubblico a tempo determinato, ma operano invece le regole speciali che sono previste un po’ in tutti i settori (art. 19, co. 6, per la dirigenza statale o – per il rinvio dell’art. 3 e poi dell’art. 27 – per le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo e per gli enti pubblici non economici; art. 110 del d. lgs. n. 267 del 2000, in una con quella dell’art. 19 cit., per gli enti locali; art. 15-septies e 15-octies del d. lgs. n. 502/1992 per il settore sanitario, etc.); regole che, in ragione della specificità delle diverse aree e del contenuto della normativa derogatoria dettata, possono anche coesistere con la disciplina generale, ma a condizione che la prima sia con la stessa compatibile.

 

PUBBLICO IMPIEGO – Pubblico impiego privatizzato – Abusiva reiterazione di contratti a termine con dirigenti esterni – Durata – Violazione delle regole sulla qualificazione professionale dell’interessato o sull’assenza di personale idoneo nei ruoli – Azione risarcitoria c.d. eurounitaria.

In tema di dirigenza nel pubblico impiego privatizzato, i contratti a tempo determinato con dirigenti esterni non sono soggetti ad un termine di durata minima, non trovando applicazione quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 19, norma quest’ultima da riferire soltanto agli incarichi destinati ai dirigenti a tempo indeterminato. Nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12/12/2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto. Ciò in concreto, va apprezzato tenuto conto delle regole causali contenute nell’art. 19, co. 6, e delle durate massime ivi stabilite. In particolare, se rispetto ad un primo contratto siano violate le regole sulla qualificazione professionale dell’interessato o sull’assenza di personale idoneo nei ruoli e sia poi stipulato un successivo contratto, si realizzerà una reiterazione illegittima ai sensi e per gli effetti della reazione risarcitoria c.d. eurounitaria. Analogo ragionamento vale se i contratti, pur astrattamente legittimi, superino i limiti temporali stabiliti o siano seguiti da un nuovo contratto che non possa considerarsi legittimo.

(Accoglie il ricorso promosso avverso la sentenza n. 4771/2019 – CORTE D’APPELLO DI ROMA) Pres. DI PAOLANTONIO, Rel. BELLE’, Ric. Bisconte e altri


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 4^ LAVORO, 10 ottobre 2025 (ud. 03/10/2025), Sentenza n. 27189

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO QUARTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19085/2020 R.G. proposto da omissis, omissis, omissis, rappresentati e difesi dall’Avv. GUIDO ROSSI

– ricorrenti –

CONTRO

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avv. PAOLA MASSAFRA e ANGELO GUADAGNINO

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 4771/2019, depositata il 9.3.2020, NRG 2713/2016;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3.7.2025 dal Consigliere ROBERTO BELLE’;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mario Fresa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’impugnazione di Ma. Bi., Al. Ci. e Gi. Pa. Mo. avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva respinto la domanda da costoro formulata, quali dirigenti INPDAP e poi INPS a tempo determinato ex art. 19 comma 6 d.lgs. n. 165/2001, nel periodo da settembre 2001 al febbraio 2014, per la declaratoria di illegittimità o invalidità dei contratti non stipulati per soddisfare esigenze transitorie ma stabili e permanenti dell’amministrazione e comunque per la condanna dell’INPS al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 36 comma 5 d.lgs. n. 165/01 cit. (quest’ultimo spettante quanto meno per il periodo 1 settembre 2012/28 febbraio 2014, stante la fissazione di un termine contrattuale inferiore al triennio in violazione dell’art. 19 comma 2 d.lgs. n. 165 cit. e la violazione delle regole di correttezza nella comunicazione dei mancati rinnovi pochi giorni prima della scadenza).

La Corte territoriale, nel respingere il gravame, rilevava che non erano fondate le deduzioni sulla necessità che gli incarichi dirigenziali a termine fossero supportati da esigenze transitorie ed eccezionali ma fosse bastevole l’esigenza di acquisire professionalità non presenti nell’organico aziendale. Essa, richiamando anche Cass. 10 luglio 2017, n. 17010, ha osservato che non era configurabile alcun contrasto con la clausola 5 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE, per le peculiari caratteristiche del rapporto dirigenziale che si connota per la natura fiduciaria, tanto da consentire un’interpretazione dell’art. 10 comma 4 d.lgs. n. 368/2001 non in frizione con la menzionata disciplina UE; ne seguiva la conferma della sentenza di primo grado laddove aveva ritenuto la legittimità dei singoli contratti, e del loro rinnovo ex art. 19 comma 2 d.lgs. n. 165/2001, senza che potesse configurarsi alcun abuso di precariato, non integrando il lavoro dirigenziale a termine una deroga al principio generale della normale durata a tempo indeterminato.

La Corte aggiungeva altresì che gli ultimi incarichi, di 18 mesi, non violavano la durata minima triennale ex art. 19 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001, posto che tale norma si applicava al dirigente incaricato all’esito del concorso mentre si doveva qui richiamare il successivo comma 6 della stessa disposizione, che si limitava a prevedere, senza fissare alcuna durata minima, che tali incarichi non “eccedessero” i 3 anni.

Quanto alla buona fede, nella sentenza si rilevava che da un lato essa non poteva dirsi violata dal mancato (congruo) preavviso, stante l’esistenza di una scadenza contrattuale già nota alle parti, e, dall’altro, che gli incarichi non potevano essere rinnovati allo spirare del termine in ragione dell’entrata in vigore della legge n. 125/2013 di conversione del d.l. n. 125/2013, art. 2 comma 8.

2. Avverso tale decisione i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui si oppone con controricorso l’INPS.

La controversia, dapprima avviata a trattazione camerale, è stata quindi differita a udienza pubblica, per il rilievo nomofilattico delle questioni.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, ulteriormente illustrate nel corso della discussione della causa, e ha chiesto l’accoglimento del ricorso per cassazione, per quanto di ragione.

Sono in atti memorie di ambo le parti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 comma 2 cod. proc. civ. (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) e dell’art. 118, comma 1 disp. att. cod. proc. civ., per essere la motivazione della sentenza impugnata fondata su principi astratti disancorati dalla fattispecie concreta.

In particolare, i ricorrenti segnalano che la Corte d’Appello non avrebbe argomentato rispetto al fatto che nei ruoli dell’ente non fosse reperibile personale dirigenziale adeguato, per gli incarichi loro conferiti.

Il motivo è inammissibile, ancor prima che infondato, in quanto non emerge se quello specifico tema fosse stato addotto come ragione delle domande dispiegate.

2. Col secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19, commi 2-6, e 36 del d.lgs. n. 165/2001, anche in relazione alla clausola 5 dell’Accordo quadro UE sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, per avere la Corte di merito confuso la posizione del dirigente pubblico, che gode di stabilità reale, con quello privato, per il quale soltanto, stante la sottrazione al regime della disciplina limitativa dei licenziamenti, potrebbero utilizzarsi contratti a termine in successione. Nella specie, l’applicazione dell’art. 19 comma 6 d.lgs. n. 165, cit., non consentiva di ritenere legittimo il termine apposto, e i successivi rinnovi, perché la norma in parola, pur applicabile trattandosi di dirigenti non di ruolo, supponeva esigenze temporanee e non ordinarie (mentre nella specie i ricorrenti erano stati assunti per «dirigere uffici stabilmente presenti» e dai fatti di causa emergeva, poi, che erano stati utilizzati per 12 anni come dirigenti pienamente interscambiabili con quelli di ruolo, la cui disciplina si rinveniva nel comma 2 dell’art. 19, cit.).

Pertanto, non applicandosi il comma 2 dell’art. 19, cit., non potevano ritenersi legittimi i rinnovi degli incarichi e, in ogni caso, gli stessi dovevano essere giustificati da “ragioni oggettive” come stabilito dall’art. 5 n. 1 lett. a) dell’Accordo quadro che vieta il rinnovo (come nella specie, per ben quattro volte) di contratti a termine per soddisfare esigenze permanenti e durevoli dell’amministrazione; seguiva quindi il ristoro del danno ex art. 36 comma 5 d.lgs. n. 165 cit.

3. Il tema è quello degli incarichi dirigenziali conferiti a dirigenti esterni ai sensi dell’art. 19, co. 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, quali pacificamente sono i rapporti oggetto di causa.

La disposizione in commento è stata più volte modificata dal legislatore nel periodo che interessa, riguardante l’arco temporale compreso fra il 1° settembre 2001 ed il settembre 2012, al quale risalgono gli ultimi contratti stipulati per la durata di diciotto mesi e quindi sino al febbraio 2014, e nella versione originaria prevedeva che:
«Gli incarichi di cui ai commi precedenti possono essere conferiti con contratto a tempo determinato, e con le medesime procedure, entro il limite del 5 per cento dei dirigenti appartenenti alla prima fascia del ruolo unico e del 5 per cento di quelli appartenenti alla seconda fascia, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche e private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, o provenienti dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Il trattamento economico può essere integrato da una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata del contratto, i dipendenti di pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio.»

Successivamente il legislatore, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 145/2002, oltre a modificare i limiti percentuali di detti incarichi (elevandoli rispettivamente al 10% e all’8% in relazione alla dotazione organica ed alla fascia del ruolo dirigenziale), ha previsto un termine di durata massima degli incarichi (La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni.) e ha espressamente consentito il conferimento anche a personale non dirigenziale della stessa amministrazione, con collocamento in aspettativa nel ruolo di appartenenza.

Con il d. lgs. n. 150 del 2009, oltre a richiedersi che le pregresse esperienze di lavoro avessero la durata di almeno un quinquennio, sono state apportate ulteriori modifiche nel senso che si è previsto che le nomine debbano essere assunte effettuate «fornendone esplicita motivazione» e rispetto a personale la cui qualificazione fosse «non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione». Alla data dell’ultimo rinnovo della cui legittimità si discute il citato comma 6 era formulato nei termini di seguito riportati «Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai soggetti indicati dal presente comma.
La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale il termine di cinque anni.
Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.
Il trattamento economico può essere integrato da una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata dell’incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio».

4. In proposito va qui ribadito quanto già rilevato da questa S.C. in altre occasioni, ovverosia la diversa conformazione dei rapporti con i dirigenti pubblici rispetto a quelli tra dirigenti e datori di lavoro privati.

4.1 Questi ultimi si basano su rapporti contrattuali che, come evidenziato in particolare da Cass. 10 luglio 2017, n. 17010, si caratterizzano per la «natura spiccatamente fiduciaria», destinata a giustificare il «trattamento differenziato rispetto agli altri lavoratori in materia di licenziamento», in quanto è fisiologico che «il rapporto possa venir meno per determinazione unilaterale solo che soggettivamente vengano considerate cessate le condizioni idonee a soddisfare la detta esigenza (C. cost., n. 121 del 1972: v. anche C. cost., ord. n. 404 del 1992; per la giurisprudenza di legittimità, tra le tante, v. Cass. n. 25145 del 2010)», senza che ciò comporti frizioni con l’art. 3 Cost. È in questa logica che si inseriscono le norme (art. 4 legge n. 230 del 1962, art. 10 d. lgs. n. 368 del 2001; art. 29, co. 2, lett. a del d. lgs. n. 81 del 2015), di contenuto tra loro analogo, che, nel tempo, nonostante il differenziarsi della disciplina regolativa, hanno comunque e sempre consentito in via generale la stipulazione dei contratti a termine, sicché «per le categorie comuni la regola è il rapporto a tempo indeterminato e non è consentito derogarvi, salve le tassative eccezioni; per la categoria dei dirigenti non vigono né tale regola né le sue eccezioni, posto che le parti “possono” invece stipulare contratti a termine» (così sempre Cass. 17010/2017, cit., con richiamo a Cass. 9 ottobre 2013, n. 22965).

Ciò per concluderne che la formulazione adottata, lungi dal costituire una forma di precarizzazione, «costituisce espressione di una indicazione legale di stabilità relativa, garantita al dirigente, non potendo il datore di lavoro recedere ante tempus, salvo ricorra una giusta causa, mentre il dirigente può “comunque” recedere da esso “trascorso un triennio”, osservato il termine di preavviso» (così, ancora, Cass. 17010/2017 cit.).

Tale logica ha permesso quindi di ravvisare nell’assetto regolativo una ragione oggettiva idonea a sottrarre i contratti a termine in questione, così disciplinati in direzione di favor verso una pur limitata stabilità del rapporto, alla disciplina vincolistica eurounitaria sulle previsioni (clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, in relazione anche alla clausola 4 del medesimo) destinate a contrastare la reiterazione dei contratti a termine, che per tale via non è appunto vietata – con essa reiterandosi anche l’applicazione delle regole sulla possibile stabilità quinquennale – ma al contrario consentita.

Si è infatti detto che l’indicazione temporale contenuta nelle norme «è da riferire non al termine massimo finale entro il quale devono essere contenuti il contratto e le sue proroghe o rinnovi, ma alla durata massima del singolo contratto a termine. La rinnovazione del contratto non può che soggiacere alle stesse regole del primo e così per ogni altro rinnovo, per cui non si verifica la conversione ex tunc dei rapporti a termine in un unico rapporto a tempo indeterminato».

4.2 Il rapporto dirigenziale in ambito di lavoro pubblico si connota in un modo molto diverso, perché esso si radica in un contratto a tempo indeterminato, che comporta l’accesso ai ruoli della P.A. previo superamento della procedura concorsuale richiesta dall’art. 97 Cost., mentre sono solo gli incarichi che vengono attribuiti al dirigente ad essere temporanei ed a poter quindi variare nel tempo (art. 19, in relazione all’art. 2, co. 3 del d. lgs. n. 165 del 2001; sul punto, v. anche Cass. 1 febbraio 2007, n. 2233).

Da quanto sopra deriva che l’art. 10 del d. lgs. n. 368 del 2001 (così come le norme analoghe che l’hanno preceduto o sono intervenute successivamente) non è applicabile rispetto al lavoro dirigenziale pubblico a tempo determinato, ma operano invece le regole speciali che sono previste un po’ in tutti i settori (art. 19, co. 6, per la dirigenza statale o – per il rinvio dell’art. 3 e poi dell’art. 27 – per le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo e per gli enti pubblici non economici; art. 110 del d. lgs. n. 267 del 2000, in una con quella dell’art. 19 cit., per gli enti locali; art. 15-septies e 15-octies del d. lgs. n. 502/1992 per il settore sanitario, etc.); regole che, in ragione della specificità delle diverse aree e del contenuto della normativa derogatoria dettata, possono anche coesistere con la disciplina generale, ma a condizione che la prima sia con la stessa compatibile.

5. Le menzionate regole speciali, sebbene riportabili ad un’unica ispirazione di fondo, non sono tra loro del tutto coincidenti.

Infatti – ad es. – nel settore sanitario l’art. 15-septies cit. consente incarichi a termine di durata fino a cinque anni per «l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico» e quindi per situazioni che si caratterizzano in sé per la loro straordinarietà. Il che ha portato Cass. 26 aprile 2022, n. 13066, in tale ambito, a distinguere tale particolare tipologia contrattuale «da quella disciplinata dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 e dalle leggi vigenti ratione temporis alle quali il richiamato art. 36 rinvia (cfr. art. 63 del CCNL 8.6.2000 che ha integrato l’art. 16 del CCNL 5.12.1996, come sostituito dall’art. 1 del CCNL 5.8.1997; art. 108 del CCNL 19.12.2019)», nel senso poi che l’esigenza di «assicurare il servizio sanitario» è destinata ad essere soddisfatta «o con il contratto a termine “ordinario” nei limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva o ricorrendo alle sostituzioni previste dai CCNL 8.6.2000 per le distinte aree della dirigenza medica e della dirigenza sanitaria».

Analogamente, rispetto agli enti locali, si è ritenuto che i contratti a termine – nelle loro diverse tipologie e causali – che possono essere stipulati ai sensi degli artt. 110 e 90 del d. lgs. n. 267 del 2000, risultando calibrati nella durata massima sul mandato del sindaco, possano superare il termine dei trentasei mesi, risultando comunque caratterizzati da temporaneità (Cass. 7 agosto 2024, n. 22325; Cass. 10 maggio 2024, n. 12837).

6. La disciplina dell’art. 19, co. 6, cit. che qui interessa presenta connotazioni sue proprie, che rendono la stessa speciale rispetto a quella dettata dal d.lgs. n. 368/2001 e, successivamente, dal d.lgs. n. 81/2015.

Ciò è reso evidente, intanto, dal fatto che le percentuali entro cui si può ricorrere a quella forma sono assai più alte di quelle previste in ambito ad es. sanitario (2 %, contro un range tra l’8 ed il 10 % del caso generale dell’art. 19, co.6, cit.), il che assicura di potervi ricorrere anche in presenza di organizzazioni con meno dirigenti in dotazione organica o, specularmente, di ricorrervi in modo numericamente più significativo in organizzazioni munite di un numeroso organico dirigenziale.

Soprattutto, poi, il fatto che gli incarichi conferibili sono tutti quelli previsti nei commi da 1 a 5 del medesimo art. 19 – e quindi sia incarichi “professionali”, sia incarichi apicali di vario tipo – lascia intendere che la disciplina è qui più ad ampio spettro e si presta, in assenza in concreto di personale «rinvenibile nei ruoli» (così sempre l’art. 19, co.6, cit. nella più recente formulazione), anche ad incarichi destinati ad assicurare la normale prestazione delservizio.

Ciò è confermato anche dai vari interventi normativi che, nel corso del tempo, hanno previsto potenziamenti temporanei, attraverso il ricorso alle forme di cui all’art. 19, co. 6, delle dirigenze ministeriali, con incremento anche delle percentuali, in vista di attività sostanzialmente ordinarie e talora dell’ultimazione di concorsi (v. ad es., art. 1, co. 352 della legge n. 145 del 2018, in relazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze; art. 1, co. 158 della legge n. 160 del 2019, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; art. 7, co. 13 del d.l. n. 22 del 2021 in relazione al Ministero del Turismo).

Si tratta di una disciplina in sé completa, perché definisce la tipologia contrattuale in tutti gli aspetti rilevanti, ossia forma del conferimento, oggetto dell’incarico, limiti percentuali, durata massima, sicché la stessa non può che derogare a quella generale del contratto a tempo determinato, con la stessa non compatibile. Ciò anche nella sua versione originaria che mutuava i limiti di durata e le forme del conferimento da quelli previsti per gli incarichi conferibili ai dirigenti iscritti nell’apposito ruolo, ai quali il comma 6, nell’incipit faceva rinvio.

6.1 Il quadro complessivo è dunque quello – nel caso di Ministeri ed enti statali – per cui alla P.A. è consentito ricorrere ad incarichi a tempo determinato nelle forme di cui all’art. 19, co. 6, cit. e quindi con durata, almeno per gli incarichi di dirigenza non generale, fino anche a cinque anni, assecondando da questo punto di vista, sulla base dei requisiti di alta qualificazione richiesti, la possibilità per la P.A. di reperire all’esterno personale idoneo ad apportare contributi professionali anche innovativi.

Ipotesi, quest’ultima che, per quanto sopra detto, può riguardare sia incarichi dirigenziali funzionali alla ordinaria e normale conduzione dell’attività di un dato ente o Ministero, sia incarichi straordinari perché concernenti progetti speciali o specifici servizi eccezionali che la P.A. debba o intenda svolgere in un certo contesto temporale.

7. La configurazione del lavoro dirigenziale pubblico a termine come forma eccezionale rispetto al rapporto a tempo indeterminato ha peraltro il naturale effetto di far rientrare appieno la fattispecie nel contesto della disciplina vincolistica eurounitaria finalizzata ad evitare la reiterazione abusiva dei rapporti a termine, onde contrastare la precarizzazione.

Ciò anche perché è oramai del tutto pacifico che il rapporto dirigenziale pubblico, di natura subordinata secondo il diritto nazionale, rientra a pieno titolo nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE, non potendo ricondursi a nessuna delle ipotesi di esclusione previste dalla clausola 2, par. 2 dell’Accordo Quadro (così Cass. 13066/2022 cit., nonché in tema di applicazione della clausola 4 dell’Accordo quadro ai rapporti dirigenziali a termine instaurati dalle amministrazioni pubbliche, Cass. 26 marzo 2018, n. 7440 in tema di dirigenti sanitari e Cass. 19 marzo 2015, n. 5516 sui dirigenti assunti a termine dagli enti locali ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000).

Questa S.C. (v. ancora Cass. 13066/2022 cit.) ha in proposito propugnato la necessità, qui da confermare, di una lettura della normativa interna riguardante la dirigenza del pubblico impiego privatizzato coerente rispetto ai principi eurounitari.

7.1 È quindi in questa logica, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 19, co. 6 che qui interessa, che va valutata la previsione, applicabile alla fattispecie sin dal primo rinnovo della cui legittimità si discute, per cui la durata dei rapporti «comunque, non può eccedere» i tre anni (incarichi di dirigenza generale) o i cinque anni (altri incarichi dirigenziali).

Tale previsione è infatti in grado di esprimere sia una limitazione ai possibili rinnovi (riportabile in senso ampio alla clausola 5, lettera a dell’Accordo Quadro), sia l’imposizione di una durata massima (clausola 5, lettera b).

7.2 Approfondendo il tema, va quindi richiamata la giurisprudenza eurounitaria, ove si rammenta la necessità che «il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale … non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro in materia di personale» (Corte di Giustizia 14 settembre 2016, Pérez López, punto 49, in ambito sanitario e giurisprudenza ivi citata; Corte di Giustizia 13.3.2014, Samohano, punto 55, in ambito universitario).

7.3 Ciò consente di affermare che, nel regime dell’art. 19, co. 6, cit., non potrà mai aversi il superamento del termine massimo quinquennale attraverso il rinnovo di incarichi per attività ordinarie della P.A., anche se su posti diversi. Altrimenti si finirebbe per impegnare un dirigente con le medesime modalità di un dirigente assunto a tempo indeterminato, mantenendone la precarizzazione e ciò in contrasto con la necessità, imposta dal diritto eurounitario, che gli incarichi a tempo determinato non possano sopperire a stabili esigenze di dotazione della P.A. Sul piano del diritto interno, inoltre, il reiterato rinnovo dell’incarico finisce per contrastare con il principio secondo cui all’impiego pubblico si accede, nella normalità, previo superamento di procedura concorsuale, nonché con la riserva alla contrattazione collettiva del trattamento retributivo spettante al dirigente, trattamento che l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, consente di superare ma solo in ragione della temporaneità del rapporto.

7.4 Altro ragionamento può valere per un eventuale diverso incarico successivo al primo e di natura eccezionale o straordinaria rispetto alle normali attività dell’ente, così come nel caso di successione dopo il quinquennio, ad un primo contratto per esigenze straordinarie, di un altro contratto della medesima tipologia ma per incarico che possa definirsi diverso. Infatti, risultando il secondo contratto giustificato da ragioni straordinarie o eccezionali e risultando diverso dal precedente, non vi sarebbero ragioni – sul piano anche del diritto eurounitario – per impedirne la conclusione, tenuto conto che in tal modo non si asseconderebbe la P.A. nella conduzione con forme di precariato di attività durevoli.

8. Ciò posto, rispetto al caso di specie si pone anche una tematica di diritto intertemporale, in quanto l’art. 19, co. 6, come si è già detto, ha subito modifiche proprio a cavallo degli incarichi che hanno interessato i ricorrenti. Quanto ai limiti massimi di durata si è già detto che gli stessi, inseriti dalla legge n. 145/2002, erano già applicabili alla data dei primi rinnovi della cui legittimità si discute (risalenti al settembre 2006).

L’introduzione, nel 2009, della necessità di motivazione, in sé chiaramente non muta l’assetto dei presupposti la cui ricorrenza giustifica la nomina ai sensi della norma in esame.

Ma anche la previsione che il personale così scelto dovesse essere «non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione» costituisce opportuna precisazione di un requisito che inevitabilmente doveva giustificare anche prima quelle nomine, proprio perché le norme non possono essere intese come destinate ad incarichi liberamente scelti a prescindere dalla disponibilità del personale nell’ambito delle dotazioni esistenti presso la P.A.

Quel requisito è insito in quello, di fondo, della temporaneità dell’esigenza, difficilmente conciliabile con la possibilità della P.A. di dare corso a contratti a termine secondo la disciplina dell’art. 19, co. 6, pur in presenza di personale idoneo nei propri ruoli.

9. Su tali basi ricostruttive, va da sé che, in caso di violazione della disciplina destinata ad evitare la illegittima reiterazione dei rapporti a termine, se si realizzi la reiterazione dei rapporti, vale il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale «in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto» (Cass. S.U. n. 5072/2016). Ciò in concreto, va apprezzato tenuto conto delle regole causali contenute nell’art. 19, co. 6, di cui si è detto e delle durate massime ivi stabilite. In particolare, se rispetto ad un primo contratto siano violate le regole sulla qualificazione professionale dell’interessato o sull’assenza di personale idoneo nei ruoli e sia poi stipulato un successivo contratto, si realizzerà una reiterazione illegittima ai sensi e per gli effetti della reazione risarcitoria c.d. eurounitaria. Analogamente se i contratti, pur astrattamente legittimi, superino i limiti temporali stabiliti o siano seguiti da un nuovo contratto che non possa considerarsi legittimo secondo i parametri sopra visti ai punti 7.3 e 7.4.

10. La sentenza impugnata – avendo ritenuto che i dirigenti pubblici siano privi di tutela rispetto alla reiterazione dei rapporti a tempo determinato secondo il paradigma dell’art. 19, co. 6 – si è posta dunque in contrasto con l’impianto giuridico quale sopra ricostruito, sicché il motivo va accolto.

11. Con il terzo motivo si denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 19, commi 2 e 6, del d.lgs. n. 165/2001, per avere la Corte distrettuale ritenuto legittimi gli ultimi incarichi conferiti nonostante avessero una durata di diciotto mesi (dal settembre 2012 al febbraio 2014), inferiore a quella minima di tre anni prevista dall’art. 19 comma 2 d.lgs. n. 165, cit. La disposizione dell’art. 19 comma 2 d.lgs. cit., secondo i ricorrenti, non conteneva alcun riferimento a una limitazione del suo campo di applicazione ai soli dirigenti di ruolo assunti per concorso pubblico, ma riguardava «tutti gli incarichi di funzione dirigenziale», senza distinzioni, che debbono dunque avere durata minima triennale, limite che si applica anche agli incarichi esterni a termine di cui al comma 6.

11.1 Il motivo è infondato, secondo quanto già ritenuto da questa S.C. (Cass. 21 maggio 2025, n. 13641; Cass. 6 dicembre 2024, n. 31399).

11.2 Si riportano di seguito, perché condivisi, gli argomenti sviluppati da Cass. 13641/2025, cit.: «va intanto richiamato, perché qui condiviso, quanto affermato da Cass. 6 dicembre 2024, n. 31399; in quella sede, nel disattendere un ricorso per cassazione analogo al presente, si è evidenziato come in senso contrario alla tesi sostenuta dalla lavoratrice, stia il tenore letterale dell’art 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, il quale non prevede un termine minimo per i rapporti ai quali si riferisce, differentemente dall’art. 19, comma 2; a ciò la menzionata pronuncia aggiunge considerazioni di carattere logico sistematico, evidenziando che «l’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, concerne la situazione dei dirigenti di ruolo della P.A.», mentre «il successivo comma 6 si riferisce a dei dirigenti non di ruolo» il che «spiega perché sia fissato un termine minimo di durata degli incarichi dall’art. 19, comma 2, in quanto vengono in rilievo dipendenti assunti in seguito a pubblico concorso e destinati stabilmente a operare all’interno della P.A.», laddove «l’art. 19, comma 6, si riferisce a soggetti che sono esterni alla P.A. e che, spirato il contratto, non è detto continueranno ad essere dirigenti», destinati spesso ad occuparsi di «attività più specifiche e hanno degli obiettivi tarati sulle particolari competenze che hanno condotto alla loro assunzione»; non a caso, si è ivi soggiunto, «in base all’art. 19, comma 2, con i provvedimenti indicati da quest’ultima disposizione sono “individuati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell’incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati”; diversamente, l’art. 19, comma 6, non contiene analoga previsione, anche perché non vi sono analoghe esigenze correlate a un termine minimo»; quindi, prosegue la sentenza citata, «il riferimento specifico a “l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire”, nonché, “alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo”, è coerente con la previsione di durata dell’incarico che va parametrata ai citati obiettivi e che non può essere inferiore a tre anni» ed inoltre, ad opinare diversamente, si verificherebbe la singolare situazione per la quale i contratti (con dirigenti esterni, n.d.r.) indicati al comma 4 (ed al comma 3, n.d.r.) dell’art. 19 avrebbero una durata fissa predeterminata per legge, vale a dire di tre anni, in quanto tale durata minima in ipotesi ricavabile dall’estensione del comma 2 coinciderebbe con la durata massima (per essi, n.d.r.) sancita dal comma 6 (…); a tali argomenti, nel citato precedente si è aggiunto che non è ostativa la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di spoils system, in quanto nelle corrispondenti pronunce sono state censurate «alcune disposizioni di rango primario perché avevano previsto un’anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso – in assenza di un’accertata responsabilità dirigenziale – così impedendo che l’attività del dirigente potesse espletarsi in conformità al nuovo modello di azione della pubblica amministrazione, disegnato dalle recenti leggi di riforma della pubblica amministrazione, che misura l’osservanza del canone dell’efficacia e dell’efficienza «alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarità della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa è inserita» (sentenze n. 103 del 2007 e n. 161 del 2008)», mentre «nella specie, invece, non viene in rilievo alcuna anticipata cessazione, ma lo spirare del rapporto allo scadere del termine in origine previsto»; 2.2 le considerazioni che precedono sono decisive e consentono di coordinare il piano testuale – che non prevede appunto un termine minimo per gli incarichi di cui all’art. 19, co. 6 cit. – con quello sistematico, tale per cui quegli incarichi, proprio per la loro specialità ed eccezionalità – riconnessa al coordinarsi dell‘assenza di figure specifiche nella dirigenza di ruolo con l’esperienza e capacità di singoli (esterni o interni alla P.A.) – non soggiacciono alle regole di durata proprie degli ordinari incarichi dirigenziali; viceversa – a parte la durata massima essenziale per assicurare che la P.A, si doti mediante concorso o mobilità delle posizioni di cui ha bisogno – a regolare tali rapporti, proprio per le ragioni del sorgere di essi, sta la disciplina loro propria, anche sul piano contrattuale individuale».

Il ragionamento appena svolto vale dal momento in cui nel comma 2 dell’art. 19, a partire dal d.l. n. 115 del 2005, conv. con mod, in l. n. 168 del 2005, è stato inserito il termine di durata minima per gli incarichi “ordinari”, dapprima di due anni e poi di tre anni, ma a fortiori il principio vale per il periodo in cui quel termine non vi era.

11.3 D’altra parte deve considerarsi che, data la natura speciale della disciplina di cui all’art. 19, co. 6, cit. e la sua non compatibilità con la disciplina generale sui contratti a tempo determinato, è del tutto ragionevole che non vi siano vincoli di durata minima, dovendosi gli incarichi calibrare sulle esigenze della P.A. che possono riguardare anche periodi non necessariamente lunghi.

11.4 Il motivo, su tali basi argomentative, va quindi rigettato.

12. In definitiva il secondo motivo è da accogliere, mentre il primo va dichiarato inammissibile ed il terzo rigettato.

In esito alla cassazione della sentenza, la Corte del rinvio deciderà adeguandosi a quanto sopra precisato rispetto al motivo accolto, svolgendo ogni accertamento a tal fine necessario e attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato alla lettera a).

13. Vanno anche affermati i seguenti principi:

a) «In tema di pubblico impiego privatizzato, la disciplina di cui all’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, con riferimento ai rapporti di lavoro dirigenziale con i Ministeri e gli enti pubblici non economici nazionali è speciale e non compatibile con quella generale sui contratti a tempo determinato (d. lgs. n. 368 del 2001; art. 19 ss d. lgs. n. 81 del 2015) e la facoltà di rinnovo dei contratti a tempo determinato stipulati per l’attribuzione di incarichi ai sensi del medesimo dell’art. 19, co. 6, va interpretata alla luce, da un lato, della clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CEE sul lavoro a tempo determinato, nel rispetto delle precisazioni fornite dal giudice eurounitario sul tema della repressione degli abusi, e, dall’altro, del principio costituzionale dell’accesso all’impiego, anche temporaneo, solo a seguito di concorso pubblico. Il rinnovo non può dunque essere disposto, una volta superati i limiti triennali e quinquennali di durata stabiliti dalla norma, neanche attraverso l’attribuzione di un incarico diverso, se quest’ultimo afferisca comunque alla normale attività dell’ente ed in caso contrario al lavoratore spetta il risarcimento del danno c.d. eurounitario, da liquidarsi secondo la fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 (ora, v. art. 36, comma 5, secondo parte del d. lgs. n. 165 del 2001), quale danno presunto, con valenza sanzionatoria, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto».

b) «In tema di dirigenza nel pubblico impiego privatizzato, i contratti a tempo determinato con dirigenti esterni non sono soggetti ad un termine di durata minima, non trovando applicazione quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 19, norma quest’ultima da riferire soltanto agli incarichi destinati ai dirigenti a tempo indeterminato»

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo e rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, del 3 luglio e del 3 ottobre 2025.

 

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