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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro Numero: 24922 | Data di udienza: 24 Giugno 2025

DIRITTO DEL LAVORO – Periodo di congedo parentale – Lavoratore che si dedica ad attività lavorativa estranea all’accudimento diretto del figlio – Licenziamento lavoratore – Legittimità. (Segnalazione e massima a cura dell’avv. Paolo Cotza)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 9 Settembre 2025
Numero: 24922
Data di udienza: 24 Giugno 2025
Presidente: LEONE
Estensore: BOGHETICH


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Periodo di congedo parentale – Lavoratore che si dedica ad attività lavorativa estranea all’accudimento diretto del figlio – Licenziamento lavoratore – Legittimità. (Segnalazione e massima a cura dell’avv. Paolo Cotza)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. LAVORO, 9 settembre 2025 (ud. 24/06/2025), Ordinanza n. 24922

 

DIRITTO DEL LAVORO – Periodo di congedo parentale – Lavoratore che si dedica ad attività lavorativa estranea all’accudimento diretto del figlio – Licenziamento lavoratore – Legittimità.

È legittimo il licenziamento del lavoratore che, durante il periodo di congedo parentale, si dedica ad attività lavorativa estranea all’accudimento diretto del figlio. Tale condotta costituisce sviamento della finalità del congedo parentale e un abuso del diritto, lesivo della buona fede nei confronti del datore di lavoro e dell’ente previdenziale erogatore dell’indennità.

(Rigetta il ricorso promosso avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di Reggio Calabria, n. 272/2023) Pres. LEONE, Rel. BOGHETICH


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. LAVORO, 9 settembre 2025 (ud. 24/06/2025), Ordinanza n. 24922

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 26365-2024 proposto da:
omissis, rappresentato e difeso dagli avvocati SABINA PIZZUTO, ANTONIO MARIO LABATE;

– ricorrente –

CONTRO

MEDCENTER CONTAINER TERMINAL Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE BIGNAMI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 600/2024 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 17/10/2024 R.G.N. 272/2023;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato la legittimità del licenziamento intimato in data 22.10.2020 da MEDCENTER CONTAINER TERMINAL Spa nei confronti di omissis per abuso dei congedi parentali.

2. La Corte territoriale, per quel che rileva, ha ritenuto provata la condotta di sviamento della finalità del congedo parentale avendo, il lavoratore, trascurato (nel periodo dal 2 al 16 agosto 2019, e con particolare riferimento ai giorni 9, 14, 15 e 16 agosto) di garantire il soddisfacimento dei bisogni affettivi dei figli (in specie, del figlio di 3 anni) e della loro esigenza di un pieno inserimento nella famiglia, dedicandosi, anche, ad attività lavorativa all’interno dello stabilimento balneare gestito dalla moglie e senza apportare alcun miglioramento all’organizzazione del nucleo familiare ma, anzi, rendendo necessario il ricorso ad un aiuto esterno per surrogare la presenza e il contatto diretto padre-figlio che l’istituto del congedo parentale è finalizzato a preservare.

3. Il lavoratore ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza impugnata sulla base di due motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 115, 116, 132 c.p.c. e 2697 c.c. avendo, la Corte territoriale, effettuato una inferenza logico-deduttiva sulla base di mere illazioni. Inoltre, la Corte territoriale non ha ritenuto di ammettere la prova testimoniale richiesta, che aveva ad oggetto l’accudimento dei figli presso lo stabilimento balneare, e che avrebbe consentito di accogliere la domanda del lavoratore, a fronte della insufficienza della prova acquisita in giudizio in ordine all’abuso del diritto al congedo parentale.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (Cass. n. 16214 del 2019; Cass. n. 18072 del 2024), caratteristica non rivestita dal capo di prova trascritto nel ricorso per cassazione, a fronte del compendio probatorio acquisito in giudizio e della articolata ed approfondita motivazione della sentenza impugnata.

2.2. Con riguardo alla sindacabilità per cassazione del ragionamento presuntivo, è assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a seguito della novella apportata all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. dall’art. 54, D.L. n. 83 del 2012 (conv. con L. n. 134 del 2012), il principio secondo cui spetta al giudice di merito individuare i fatti da porre a fondamento dell’inferenza presuntiva e valutarne la rispondenza ai requisiti di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., con un apprezzamento di fatto che è intangibile in questa sede di legittimità, salvo che si sia omesso l’esame di un qualche fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014: così, tra le più recenti, Cass. nn. 10253 e 18611 del 2021, Cass. n. 25959 del 2023); che, più in particolare, si è precisato (da ultimo da Cass. n. 22366 del 2021) che la censura ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in ordine all’impiego del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito e che la mancata valutazione di un elemento indiziario non può di per sé dare luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, stante che il fatto da provare può considerarsi desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, non potendo l’inferenza logica essere in alcun modo oggettivamente inconfutabile; che, alla stregua delle suesposte considerazioni, è evidente che, nel caso di specie, parte ricorrente, lungi dal denunciare un errore di diritto o l’omesso esame circa un fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014), domanda sostanzialmente a questa Corte un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio alla luce del quale i giudici di merito hanno ritenuto provato il comportamento (di sviamento della finalità del congedo parentale) del lavoratore.

2.3. La violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sul datore di lavoro (che lo ha assolto con il materiale probatorio, anche di fonte investigativa, prodotto).

2.4. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 32 del D.Lgs. n. 151 del 2001 e 2119 c.c. dovendo ritenersi integrato un abuso del diritto al congedo parentale solamente da attività (di natura diversa dall’accudimento della prole) che presentino carattere di sistematicità e continuità tali da occupare una parte significativa dell’intero spazio temporale messo a disposizione al genitore dalla mancata prestazione lavorativa. Ebbene, l’esame del rapporto investigativo depositato dal datore di lavoro dimostra che, nei 46 giorni di congedo parentale, solamente in 5 giorni il lavoratore è stato notato nel lido senza la presenza dei figli; in tutti i casi tali permanenze si sono protratte per poche ore.

3. Il motivo non è fondato.

3.1. La sentenza appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate del rapporto per l’assistenza o la cura di soggetti protetti (Cass. n. 509/2018; più in generale, da ultimo, Cass. n. 5906/2025, Cass. n. 2157/2025; Cass. n. 6468 del 2024).

3.2. Questa Corte ha già sottolineato (Cass. n. 509 del 2018) come l’ordinamento giuridico tutela anche situazioni indipendenti dall’evento della maternità naturale, riferibili alla paternità, sul presupposto che la protezione di tali diritti assolve alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino; tale tutela è, attualmente, raccolta nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che, in particolare, ha introdotto i congedi parentali e dispone che per ogni bambino, nei suoi primi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro. ll congedo parentale è configurabile come un diritto potestativo, caratterizzato da un comportamento con cui il titolare realizza da solo l’interesse tutelato e a cui fa riscontro, nell’altra parte, una mera soggezione alle conseguenze della dichiarazione di volontà (natura ribadita da questa Corte in Cass. n. 17984/2010 e Cass. n. 6586/2012). La configurazione legale di tale diritto potestativo non esclude la verifica delle modalità del suo esercizio nel suo momento funzionale, per mezzo di accertamenti probatori consentiti dall’ordinamento, ai fini della qualificazione del comportamento del lavoratore negli ambiti suddetti (quello del rapporto negoziale e quello del rapporto assistenziale), posto che la titolarità di un diritto potestativo non determina mera discrezionalità e arbitrio nell’esercizio di esso e non esclude la sindacabilità e il controllo degli atti (Cass. n. 16207/2008).

3.3. Il diritto va esercitato per la cura diretta del bambino, e lo svolgimento di qualunque altra attività che non si ponga in diretta relazione con detta cura, costituisce un abuso del diritto potestativo del congedo parentale; in coerenza con la ratio del beneficio, infatti, l’assenza dal lavoro per la fruizione del congedo deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al figlio.

3.4. In caso di abuso del diritto rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico.

3.5. Per tale congedo si configura una ratio del tutto analoga a quella delineata da questa Corte in materia di permessi ex lege n. 104 del 1992, in relazione ai quali, per pacifica giurisprudenza di legittimità, può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore, dei permessi in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984/2014; Cass. n. 8784/2015; Cass. n. 5574/2016; Cass. n. 9749/2016; più di recente: Cass. n. 23891/2018; Cass. n. 8310/2019; Cass. n. 21529/2019); invero, anche in tal caso, in coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile; tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile (o accudimento della prole) difetti non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968/2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo (v. Cass. n. 9217/2016).

3.6. Va, infine, considerato che la verifica in concreto – sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio – dell’esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509/2018; v. anche Cass. n. 29062/2017; Cass. n. 30676/2018; Cass. n. 21529/2019), sicché la pretesa di un sindacato di legittimità sul punto esorbita dai poteri di questa Corte (ancora di recente: Cass. n. 25290/2022; Cass. n. 8306/2023; Cass. n. 17993/2023; Cass. 2157/2025).

4. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.

5. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di omissis a norma dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, come modificato dal D.Lgs. n. 101 del 2018.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 giugno 2025.

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