DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti di produzione da fonti rinnovabili – Aree idonee – D.M. 21 giugno 2024, art. 7 cc. 2 e 3 – Annullamento – Obbligo di riedizione dei criteri di individuazione e di attuazione del disposto di cui all’art. 5, c. 1, n. 1) l. n. 53/2021
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 13 Maggio 2025
Numero: 9155
Data di udienza: 5 Febbraio 2025
Presidente: Biffaro
Estensore: Stanizzi
Premassima
DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti di produzione da fonti rinnovabili – Aree idonee – D.M. 21 giugno 2024, art. 7 cc. 2 e 3 – Annullamento – Obbligo di riedizione dei criteri di individuazione e di attuazione del disposto di cui all’art. 5, c. 1, n. 1) l. n. 53/2021
Massima
TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ – 13 maggio 2025, n. 9155
DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti di produzione da fonti rinnovabili – Aree idonee – D.M. 21 giugno 2024, art. 7 cc. 2 e 3 – Annullamento – Obbligo di riedizione dei criteri di individuazione e di attuazione del disposto di cui all’art. 5, c. 1, n. 1) l. n. 53/2021
Annulla l’articolo 7, commi 2 e 3, del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 nei termini esposti in motivazione, con obbligo, per le amministrazioni ministeriali resistenti, di rieditare i criteri per la individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili, nonché di dare attuazione al disposto di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), n. 1), della legge 22 aprile 2021, n. 53
Massime in lavorazione
Allegato
Titolo Completo
TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ - 13 maggio 2025, n. 9155SENTENZA
Pubblicato il 13/05/2025
N. 09155/2025 REG.PROV.COLL.
N. 09390/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9390 del 2024, proposto da Associazione Nazionale Energia del Vento (A.N.E.V.), Hergo Renewables S.p.A., I.V.P.C. S.r.l., Acciona Energia Global Italia S.r.l., Farpower S.r.l., Eurowind Energy S.r.l., Arpinge Energy Efficiency & Renewables S.r.l., WPD Italia S.r.l., Lucky Wind S.p.A., Engie Energies Italia S.r.l., Wind Italy 1 S.r.l., Vestas S.p.A., Naturgy Rinnovabili Italia S.r.l., Fred Olsen Renewables Italy S.r.l., Inergia S.p.A. e Margherita S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Franco Gaetano Scoca, Giuseppe Mescia e Massimo Ragazzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimo Ragazzo in Roma, via Virgilio, 18;
contro
Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ministero della Cultura e Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del decreto del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica 21 giugno 2024, adottato di concerto con il Ministro della Cultura e con il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, recante la “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”, e pubblicato nella G.U.R.I. n. 153 del 2 luglio 2024.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, del Ministero della Cultura e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2025 il dott. Luca Biffaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.) L’Associazione nazionale energia del vento (“Anev”) – nella sua qualità di associazione di categoria delle imprese che operano nel settore eolico, nonché di associazione riconosciuta di protezione ambientale di dimensione nazionale e ultraregionale – in uno con Hergo Renewables S.p.A., I.V.P.C. S.r.l., Acciona Energia Global Italia S.r.l., Farpower S.r.l., Eurowind Energy S.r.l., Arpinge Energy Efficiency & Renewables S.r.l., WPD Italia S.r.l., Lucky Wind S.p.A., Engie Energies Italia S.r.l., Wind Italy 1 S.r.l., Vestas S.p.A., Naturgy Rinnovabili Italia S.r.l., Fred Olsen Renewables Italy S.r.l., Inergia S.p.A. e Margherita S.r.l. (“società ricorrenti”) – nella loro qualità di operatori attivi nel settore delle fonti energetiche rinnovabili, segnatamente da fonte eolica, e titolari, direttamente o tramite società di scopo, di impianti eolici già autorizzati e in esercizio ovvero da realizzare o potenziare all’esito del conseguimento delle autorizzazioni richieste e per le quali i procedimenti amministrativi risultano ancora in corso – hanno prospettato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199 e del d.m. del 21 giugno 2024 sotto distinti profili, nonché l’illegittimità degli articoli 1, comma 2, lett. b), 3 e 7 del d.m. del 21 giugno 2024 recante “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”.
1.1.) Anev e le società ricorrenti, nelle premesse del ricorso in esame, dopo una breve ricostruzione del quadro normativo applicabile nella materia della individuazione delle aree idonee e non idonee alla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile (“impianti FER”) – vale a dire, il d.lgs. n. 199/2021, adottato in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, nonché il decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica del 21 giugno 2024 – hanno asserito che il d.m. del 21 giugno 2024 abbia peggiorato il quadro normativo e interpretativo senza fornire principi e criteri omogenei, abbia ampliato le restrizioni all’installazione degli impianti FER e abbia complicato il quadro autorizzatorio.
1.2.) Secondo la prospettazione delle ricorrenti, i principali aspetti problematici del d.m. del 21 giugno 2024 riguarderebbero il rapporto Stato-Regioni e si sostanzierebbero: i) in problemi di costituzionalità dell’impianto del decreto ministeriale; ii) nella eliminazione di qualsiasi riferimento al necessario aggiornamento dei previsti “atti di programmazione” energetica, ambientale e paesaggistica; iii) nella attribuzione alla competenza legislativa delle Regioni di una piena e arbitraria discrezionalità nell’individuazione delle superfici e aree idonee per l’installazione di impianti FER, anche mediante l’attribuzione della facoltà di estendere le fasce di rispetto dei beni sottoposti a tutela fino a 7 chilometri (cfr. pag. 8 del ricorso).
1.3.) Le ricorrenti, inoltre, hanno evidenziato che il d.m. del 21 giugno 2024 è un atto amministrativo generale, di natura regolamentare, come tale impugnabile dinanzi all’Autorità giudiziaria amministrativa in virtù del disposto di cui all’articolo 7, commi 1 e 4, c.p.a. e, nella specie, immediatamente lesivo della loto sfera giuridica, in quanto le previsioni in esso contenute risulterebbero suscettibili di incidere negativamente sui procedimenti autorizzativi in corso di espletamento in ragione della: a) illegittimità costituzionale, sotto plurimi profili, del d.m. del 21 giugno 2024, anche per eccesso di delega; b) violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento unionale e dagli obblighi internazionali; c) mancanza di una norma transitoria che faccia salvi i procedimenti autorizzativi in corso (cfr. pag. 9 del ricorso).
Un ulteriore profilo di immediata lesività del suddetto decreto ministeriale sarebbe dato dal fatto che alle Regioni è stato attribuito il potere di individuare le aree idonee con legge regionale, ragion per cui non verrebbero in rilievo ulteriori atti applicativi, rispetto al d.m. del 21 giugno 2024, suscettibili di essere impugnati, atteso che le previsioni contenute nelle leggi regionali potrebbero essere contestate solo dinanzi alla Corte costituzionale.
1.4.) Le ricorrenti hanno poi ricostruito, sulla scorta di quanto previsto dagli articoli 76 e 77 della Costituzione e alla luce degli arresti della giurisprudenza costituzionale, il ruolo della delega (con particolare riferimento alla individuazione dei principi e criteri direttivi) e i limiti dell’esercizio della funzione legislativa delegata da parte del potere esecutivo, anche avuto riguardo alle ipotesi nelle quali sia conferita al Governo una delega per ottemperare gli obblighi eurounitari e internazionali (cfr. pag. 11-16 del ricorso).
2.) Le ricorrenti, con la proposizione del presente ricorso affidato a undici differenti motivi, hanno impugnato il decreto ministeriale del 21 giugno 2024, lamentandone l’illegittimità sotto plurimi profili, e ne hanno chiesto l’annullamento, contestando anche la legittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021, nonché dello stesso decreto ministeriale impugnato.
2.1.) Le ricorrenti, con il primo motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 4, del decreto legislativo n. 199 del 2021 e dell’art. 3, comma 1, del D.M. 21 giugno 2024, per eccesso di delega, a) in relazione al disposto dell’art. 76 Cost., nonché b) alla stregua dei principi e dei criteri indicati dalla giurisprudenza costituzionale formatasi in subjecta materia. Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 4, del decreto legislativo n. 199 del 2021 e dell’art. 3, comma 1, del D.M. 21 giugno 2024, per violazione dell’art. 117, commi 1, e dell’art. 117, comma 3, Cost. Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 del D.M. 21 giugno 2024 e dell’art. 20, comma 4, del d.l.vo n. 199/2021, Violazione dei principi e dei criteri direttivi per l’attuazione della Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e, in particolare, degli indirizzi di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), n. 2 della legge delega 22 aprile 2021, n. 53; per violazione della ratio e dei principî fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», recati dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e dagli artt. 4 e seguenti del d.lgs. n. 28 del 2011 – Violazione delle Linee Guida Nazionali ex D.M. 10 settembre 2010, ovvero, segnatamente, dell’art. 17.1., dell’art 18.1 delle Linee Guida Nazionali e dell’Allegato 3 alle stesse L.G.N. – Violazione del principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale (d.l.vo n. 387/2003), in conformità alla normativa dell’Unione europea (cfr. Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE). nonché, in ultima analisi, per violazione dell’art. 76 Cost.”.
2.1.1.) Con tale mezzo di gravame è stata lamentata l’illegittimità dell’articolo 3 del d.m. del 21 giugno 2024 – di rilievo costituzionale e mutuata dall’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 – nella parte in cui viene stabilito che l’individuazione delle aree idonee e non idonee debba essere effettuata con legge regionale, atteso che l’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 2), della legge 22 aprile 2021, n. 53 (i.e., la legge delega), nel dettare gli indirizzi per l’esercizio dell’attività legislativa delegata ai fini dell’attuazione della direttiva (UE) 2018/2001, si sarebbe limitato a stabilire che il processo programmatorio di individuazione delle aree idonee debba essere effettuato da ciascuna Regione entro sei mesi, senza fare alcun riferimento al fatto che ciò debba anche avvenire mediante la promulgazione di leggi regionali.
Le ricorrenti, a supporto dell’asserita illegittimità della previsione con la quale l’impugnato decreto ministeriale ha stabilito che l’individuazione delle aree non idonee debba avvenire con legge regionale, hanno richiamato l’articolo 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”, che al comma 10 prevedeva che il procedimento di autorizzazione degli impianti FER fosse regolato da apposite linee guida approvate in Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali – poi adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (“Linee Guida”) –.
In particolare, le Linee Guida, nella Parte I recante “Disposizioni generali”, prevedono che le Regioni possono porre limitazioni e divieti solamente in atti di tipo programmatorio o pianificatorio, per l’installazione di specifiche tipologie di impianti FER, esclusivamente nell’ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17, ossia “attraverso atti di programmazione”, previa specifica istruttoria e tenendo conto di quanto eventualmente previsto dal piano paesaggistico.
Pertanto, secondo la prospettazione delle ricorrenti, la portata della previsione del paragrafo 17 delle Linee Guida e il puntuale criterio direttivo di cui all’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 2), della legge n. 53/2021, non legittimerebbero il legislatore delegato ad introdurre una previsione, quale quella contestata, in forza della quale è stato attribuito alle Regioni il compito di individuare le aree non idonee all’installazione di impianti FER con legge e non, invece, con un atto amministrativo di programmazione, all’esito di una precipua attività istruttoria atta a garantire l’opportuno coinvolgimento degli enti locali.
Le ricorrenti, quindi, hanno lamentato l’incostituzionalità dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 e dell’articolo 3, comma 1, del d.m. del 21 giugno 2024, per eccesso di delega: a) in relazione al disposto dell’articolo 76 della Costituzione, quale parametro di legittimità costituzionale del decreto legislativo delegato e del successivo decreto ministeriale di attuazione; b) anche alla stregua dei principi e dei criteri indicati dalla giurisprudenza costituzionale formatasi in subiecta materia; c) per contrasto con i principi fondamentali della materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, nonché per violazione del principio di massima diffusione degli impianti FER, riflesso dei vincoli eurounitari e degli obblighi internazionali (cfr. pagg. 22 e 23 del ricorso).
Oltretutto, il d.m. del 21 giugno 2024 risulterebbe illegittimo anche per violazione dell’articolo 76 della Costituzione in quanto integrerebbe una forma di sub-delega dell’esercizio del potere legislativo, per aver dislocato in capo al solo Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica la funzione normativa delegata che, invece, spetta al Governo nella sua collegialità.
2.2.) Le ricorrenti, con il secondo motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 4, del decreto legislativo n. 199 del 2021, a) in relazione al disposto dell’art. 76 Cost., nonché b) alla stregua dei principi e dei criteri indicati dalla giurisprudenza costituzionale formatasi in subjecta materia, sotto altro profilo. Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 4, del decreto legislativo n. 199 del 2021, per violazione dell’art. 117, commi 1, e dell’art. 117, comma 3, Cost, sotto altro profilo. Violazione dei principi e dei criteri direttivi per l’attuazione della Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e, in particolare, degli indirizzi di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), n. 1), della legge delega 22 aprile 2021, n. 53 – Violazione della ratio e dei principî fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», recati dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e dagli artt. 4 e seguenti del d.lgs. n. 28 del 2011 – Violazione delle Linee Guida Nazionali ex D.M. 10 settembre 2010, sotto altro profilo”.
2.2.1.) Le ricorrenti, con tale mezzo di gravame, hanno prospettato l’incostituzionalità dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 per violazione dei principi e delle disposizioni normative europee vigenti nella materia della produzione di energia da fonti rinnovabili, nella misura in cui tale disposizione normativa avrebbe conferito alle Regioni una delega in bianco, in violazione dell’articolo 76 della Costituzione, legittimandole a introdurre previsioni più restrittive, in materia di aree idonee, rispetto a quelle vigenti al momento dell’avvio dell’iter di autorizzazione degli impianti FER che intendono realizzare.
Il libero apprezzamento del legislatore delegato, invero, non risulterebbe suscettibile di fungere da principio o criterio direttivo, come affermato anche dalla giurisprudenza costituzionale, con conseguente violazione anche dell’articolo 117, commi 1 e 3, della Costituzione.
2.3.) Le ricorrenti, con il terzo motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccezione di illegittimità dell’art. 1, comma 2, lett. b) del D.M. 21 giugno 2024, per violazione dell’art. 117, commi 1 e dell’art. 117, comma 3, Cost. Violazione del d.l.vo n. 387/2003 – Violazione delle Linee Guida Nazionali ex D.M. 10 settembre 2010, ovvero, segnatamente, dell’art. 17.1, dell’art 18.1 delle Linee Guida Nazionali e dell’Allegato 3 alle stesse L.G.N. – Violazione del principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale (d.l.vo n. 387/2003), in conformità alla normativa dell’Unione europea (cfr. Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE), sotto altro profilo”.
2.3.1.) Con tale mezzo di gravame è stata lamentata l’illegittimità dell’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024 nella parte in cui le aree non idonee sono aprioristicamente qualificate come incompatibili con l’installazione degli impianti FER.
Tale previsione, invero, si porrebbe in contrasto con i paragrafi 17 e 18, nonché con l’Allegato 3, delle Linee Guida, che costituiscono uno standard vincolante nella materia in questione, anche in ragione del fatto che mediante le previsioni ivi contenute è stato tracciato l’esatto bilanciamento tra i contrapposti interessi che vengono in rilievo nella materia della produzione di energia da fonti rinnovabili.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti, l’articolo 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto ministeriale risulterebbe illegittima anche perché le Regioni dovrebbero limitarsi a specificare il contenuto delle Linee Guida con scelte effettuate in concreto all’esito dello svolgimento di una precipua attività istruttoria, non essendo legittimate, invece, a introdurre divieti preliminari e generali, preclusivi della localizzazione degli impianti FER nel territorio nazionale.
Per tali ragioni, inoltre, l’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024 si porrebbe anche in contrasto con il principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, sancito a livello sovranazionale dalle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE e a livello nazionale dal d.lgs. n. 387/2003, anche tenuto conto del fatto che nella materia della produzione, distribuzione e trasporto nazionale dell’energia la fissazione dei principi fondamentali spetta allo Stato e non alle Regioni.
2.4.) Le ricorrenti, con il quarto motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, del D.M. 21 giugno 2024, per violazione dell’art. 76 Cost. Violazione, sotto altro profilo, del principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale (d.l.vo n. 387/2003), in conformità alla normativa dell’Unione europea (cfr. Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE) – Violazione della ratio e del contesto normativo di riferimento: Violazione del d.l.vo n. 387/2003 – Violazione delle Linee Guida Nazionali ex D.M. 10 settembre 2010, ovvero, segnatamente, dell’art. 17.1., dell’art 18.1 delle Linee Guida Nazionali e dell’Allegato 3 alle stesse L.G.N.”.
2.4.1.) Con tale mezzo di gravame è stata lamentata l’illegittimità dell’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024 nella parte in cui prevede che “Le Regioni possono individuare come non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.
Con tale previsione, infatti, sarebbero state ulteriormente ridotte le aree effettivamente utilizzabili per la installazione di impianti FER, risultando non idonee anche quelle ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lett. c) e d), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137” (“Cbcp”), che ricomprendono beni paesaggistici particolarmente estesi, quali i complessi di cose mobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale e le bellezze panoramiche.
L’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024, inoltre, risulterebbe illegittimo anche nella parte in cui prevede che le Regioni “possono stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un massimo di 7 km”. Secondo la prospettazione delle ricorrenti, l’individuazione del limite massimo di 7 chilometri risulterebbe del tutto ingiustificato, tenuto conto che le eventuali limitazioni alla realizzazione di impianti FER devono essere proporzionate, ragionevoli e giustificate da motivazioni ambientali e paesaggistiche concrete ed adeguate, senza impedire in modo aprioristico e vincolante la realizzazione di tali impianti.
L’introduzione in via aprioristica e generalizzata del limite di 7 chilometri impedirebbe, infatti, la valutazione e il contemperamento in concreto di tutti gli altri interessi in giuoco, anche tenuto conto del fatto che le Regioni sono chiamate a introdurre un siffatto limite con legge regionale, quindi al di fuori dello svolgimento di una attività amministrativa che consenta di bilanciare tutti gli interessi coinvolti nell’ambito dei singoli procedimenti amministrativi di autorizzazione degli impianti FER.
2.5.) Le ricorrenti, con il quinto motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lett. c) del D.M. 21 giugno 2024, per violazione dell’articolo 76 Cost. Violazione del principio di tutela dell’affidamento – Violazione del principio di certezza del diritto – Violazione del principio di salvezza degli investimenti già effettuati (con più specifico riferimento alla normativa e agli indirizzi europei in materia di fonti rinnovabili) – Violazione della ratio e del contesto normativo di riferimento: Violazione del d.l.vo n. 387/2003 – Violazione delle Linee Guida Nazionali ex D.M. 10 settembre 2010, ovvero, segnatamente, dell’art. 17.1., dell’art 18.1 delle Linee Guida Nazionali e dell’Allegato 3 alle stesse L.G.N. – Violazione del principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale (d.l.vo n. 387/2003), in conformità alla normativa dell’Unione europea (cfr. Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE) – Violazione dei principi di derivazione comunitaria in materia di tutela dell’affidamento e degli investimenti – Violazione dei principi e dei criteri direttivi per l’attuazione della Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e, in particolare, degli indirizzi di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), n. 1, della legge 22 aprile 2021, n. 53. Violazione dell’art. 20, comma 8, del d.l.vo n. 199/2021 – Violazione del principio di gerarchia fra le fonti del diritto”.
2.5.1.) Con tale mezzo di gravame è stata lamentata l’illegittimità costituzionale del d.m. del 21 giugno 2024 per eccesso di delega, atteso che l’articolo 7, comma 2, lett. c), nell’attribuire alle Regioni la mera possibilità di far salve le aree idonee di cui all’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021, non garantirebbe una qualificazione uniforme, su tutto il territorio nazionale, di aree idonee, potendo ingenerare situazioni differenziate tra Regione e Regione.
La previsione di una mera facoltà, inoltre, comporterebbe anche la violazione dei principi di tutela dell’affidamento e degli investimenti già realizzati, in contrasto con la Costituzione e con la normativa eurounitaria.
Oltretutto, l’articolo 7, comma 2, lett. c), del d.m. del 21 giugno 2024 si porrebbe anche in contrasto con l’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021, il che avvalorerebbe l’incostituzionalità di tale previsione per contrasto con l’articolo 76 della Costituzione.
2.6.) Le ricorrenti, con il sesto motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccezione di illegittimità costituzionale del D.M. 21 giugno 3024 per violazione dell’art. 76 Cost. Violazione dei principi di tutela dell’affidamento e degli investimenti – Violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa e, segnatamente, dell’art. 16 sulla libertà di impresa; dell’art. 10 del Trattato sulla Carta dell’Energia, del 1994; nonché dell’art. 13 dello stesso Trattato, che mira a proteggere gli investitori da un’espropriazione da parte di uno degli Stati contraenti – Violazione degli artt. 3, 41 e 98 della Cost. Violazione dei principî comunitari di proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, ora richiamati, col più generale rinvio ai principî generali dell’ordinamento comunitario, dall’art. 1, comma primo, della l. n. 241 del 1990, come modificato dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005 – Eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento – Violazione dei principi di semplificazione e speditezza procedimentale. Violazione dei principi e dei criteri direttivi per l’attuazione della Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e, in particolare, degli indirizzi di cui all’art. 5, comma 1, lett. a, n. 1, della legge 22 aprile 2021, n. 53”.
2.6.1.) Con tale mezzo di gravame è stata contestata la legittimità del gravato d.m. del 21 giugno 2024 per assenza di una normativa transitoria che faccia salvi i procedimenti di autorizzazione in corso di svolgimento nel momento in cui verranno promulgate le leggi regionali in subiecta materia.
L’assenza di una normativa transitoria, infatti, si porrebbe in contrasto con la tutela dell’affidamento e con il principio della certezza del diritto, con potenziale incisione negativa degli investimenti già realizzati dalle società ricorrenti.
Il gravato decreto ministeriale, infatti, oltre a rappresentare una delega in bianco in favore delle Regioni, finirebbe anche per avere effetti retroattivi, con conseguente violazione dei principi eurounitari e nazionali di proporzionalità, giusto procedimento, semplificazione e speditezza procedimentale, ponendosi altresì in contrasto con l’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 1), della legge n. 53/2021.
2.7.) Le ricorrenti, con il settimo motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 7 del D.M. 21 giugno 2024, per violazione dell’articolo 76 Cost. Eccezione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. – Eccezione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. – Eccezione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 41 della Cost. Violazione dei principî di buon andamento, imparzialità e correttezza, ex art. 97 Costituzione – Violazione delle direttive 2001/77/CE, 2009/28/CE e 2018/2001/UE – Violazione dei principî comunitari in tema di libera concorrenza e di libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, sanciti dagli artt. 48, 49, 52 e 59 del Trattato CEE – Violazione dei principî comunitari in materia di liberalizzazione del mercato elettrico e di promozione delle fonti rinnovabili – Violazione dei principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile – Violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003; delle L.G.N. ex d.m. 10.9.2010 – Violazione del regolamento UE 2022/2577 del 22 dicembre 2022, pubbl. nella G.U.U.E. il 29 dicembre 2022 e della presunzione di preminente interesse pubblico ivi prevista – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e della motivazione – Eccesso di potere per contraddittorietà, estrinseca ed intrinseca. Violazione della ratio e del contesto normativo di riferimento: Violazione del d.l.vo n. 387/2003 – Violazione delle Linee Guida Nazionali ex D.M. 10 settembre 2010, ovvero, segnatamente, dell’art. 17.1., dell’art 18.1 delle Linee Guida Nazionali e dell’Allegato 3 alle stesse L.G.N. – Violazione del principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale (d.l.vo n. 387/2003), in conformità alla normativa dell’Unione europea (cfr. Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE) – Violazione dei principi e dei criteri direttivi per l’attuazione della Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e, in particolare, degli indirizzi di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), n. 1 della legge 22 aprile 2021, n. 53”.
2.7.1.) Con tale mezzo di gravame è stata contestata la legittimità del gravato d.m. del 21 giugno 2024 nella parte in cui, in maniera asseritamente immotivata e contraddittoria, avrebbe lasciato libere le Regioni di assumere scelte totalmente discrezionali in vista dell’obiettivo di massimizzazione delle aree idonee alla installazione di impianti FER – come, ad esempio, si evince dalla previsione della possibilità di estendere le fasce di rispetto fino a 7 chilometri – che, in questo modo, risulterebbe solo genericamente enunciato.
Il d.m. del 21 giugno 2024, infatti, non conterrebbe i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare il legislatore regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni, né tantomeno norme di dettaglio autoapplicative, il che avrebbe neutralizzato il rischio che le Regioni potessero sostituirsi al legislatore delegato nell’esercizio delle sue competenze normative.
Anche sotto tale divisato profilo, inoltre, le ricorrenti hanno prospettato l’illegittimità costituzionale del gravato decreto ministeriale per violazione dell’articolo 76 della Costituzione, sull’assunto che le disposizioni impugnate contrasterebbero con i principi e i criteri direttivi di cui all’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 1), della legge n. 53/2021.
Il legislatore delegato, quindi, avrebbe rinunciato all’enucleazione di principi e criteri uniformi per la individuazione delle aree idonee e non idonee, lasciando così una eccessiva discrezionalità alle Regioni, il che si porrebbe in contrasto con i principi che governano l’esercizio dell’attività legislativa delegata.
2.8.) Le ricorrenti, con l’ottavo motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Eccesso di potere per difetto di istruttoria e della motivazione – Eccesso di potere per contraddittorietà”.
Con tale mezzo di gravame è stata lamentata l’illegittimità degli articoli 1 e 7 dell’impugnato d.m. del 21 giugno 2024 per non aver previsto principi e criteri omogenei per l’individuazione delle aree idonee e non idonee.
Come già contestato con altri motivi di ricorso, il gravato decreto ministeriale si sostanzierebbe nella concessione di una illegittima delega in bianco alle Regioni. L’attribuzione a tali enti di una latissima discrezionalità nella materia in questione comporterebbe, secondo la prospettazione delle ricorrenti, una compromissione degli obiettivi fissati dall’articolo 1, comma 1, lett. a), del gravato decreto ministeriale.
2.9.) Le ricorrenti, con il nono motivo di ricorso, hanno contestato la legittimità dell’impugnato d.m. del 21 giugno 2024 per “Eccezione di Illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lett. b) del D.M. 21 giugno 2024, per eccesso di delega, a) in relazione al disposto dell’art. 76 Cost., nonché b) alla stregua dei principi e dei criteri indicati dalla giurisprudenza costituzionale formatasi in subjecta materia. Violazione del comma 7 dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 199/2021 – Violazione del principio di gerarchia tra le fonti del diritto – Violazione dei principi e dei criteri direttivi per l’attuazione della Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili – Violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. – Violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. – Violazione degli artt. 3 e 41 della Cost. – Violazione dei principî di buon andamento, imparzialità e correttezza, ex art. 97 Costituzione – Violazione delle direttive 2001/77/CE, 2009/28/CE e 2018/2001/UE – Violazione dei principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile – Violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003; delle L.G.N. ex d.m. 10.9.2010 – Violazione dei principî comunitari di proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, ora richiamati, col più generale rinvio ai principî generali dell’ordinamento comunitario, dall’art. 1, comma primo, della l. n. 241 del 1990, come modificato dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005 – Eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento – Violazione dei principi di semplificazione e speditezza procedimentale”.
2.9.1.) Con tale mezzo di gravame è stata nuovamente lamentata l’illegittimità dell’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024, nella parte in cui definisce le aree non idonee come aree incompatibili con l’installazione di impianti FER.
Tale previsione, invero, contrasterebbe con l’articolo 20, comma 7, del d.lgs. n. 199/2021 – a mente del quale “Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee” – nonché con l’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021, che si limita a definire le aree idonee senza introdurre previsioni automaticamente ostative per le aree non idonee.
Sulla scorta delle citate previsioni del d.lgs. n. 199/2021, infatti, risulterebbe evidente che la mancata inclusione di una superficie tra quelle idonee non implichi la sua automatica qualificazione come non idonea, qualificazione, questa, che dovrebbe discendere solo all’esito di un apposito procedimento amministrativo nell’ambito del quale operare il necessario bilanciamento tra i contrapposti e confliggenti interessi.
L’individuazione delle aree non idonee, quindi, dovrebbe necessariamente avvenire in sede procedimentale, tenuto conto dell’obiettivo di matrice sovranazionale della massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, nonché del fatto che non vi sarebbe alcuna supremazia dell’interesse alla protezione del paesaggio.
2.10.) Le ricorrenti, con il decimo motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Violazione dell’articolo 20, comma 6, del d.l.vo n. 199/2021 – Violazione del principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale (d.l.vo n. 387/2003), in conformità alla normativa dell’Unione europea (cfr. Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE)”.
In particolare, con tale mezzo di gravame è stata lamentata l’illegittimità del gravato decreto ministeriale nella misura in cui, dettando inadeguati principi e criteri per l’esercizio delle attribuzioni delle Regioni, renderebbe impossibile l’intervento surrogatorio del Governo.
2.11.) Le ricorrenti, con l’undicesimo motivo di ricorso, hanno articolato le seguenti censure “Violazione dei principî comunitari di proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, ora richiamati, col più generale rinvio ai principî generali dell’ordinamento comunitario, dall’art. 1, comma primo, della l. n. 241 del 1990, come modificato dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005 – Eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento – Violazione dei principi di semplificazione e speditezza procedimentale. Violazione del principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale (d.l.vo n. 387/2003), in conformità alla normativa dell’Unione europea (cfr. Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE)”.
Con tale mezzo di gravame è stata lamentata l’illegittimità dell’impugnato decreto ministeriale nella misura in cui le sue disposizioni osterebbero al raggiungimento degli obiettivi di contenimento delle emissioni inquinanti, che rappresentano una delle finalità della normativa sovranazionale applicabile ratione materiae, come chiarito anche dalle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
3.) Il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, il Ministero della cultura e il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste si sono costituiti in resistenza nel presente giudizio.
4.) Le ricorrenti, con memoria depositata in data 2 ottobre 2024 in vista dell’udienza camerale del 9 ottobre 2024, rappresentando la complessità e numerosità delle questioni prospettate con il ricorso introduttivo del giudizio, ai sensi dell’articolo 55, comma 10, c.p.a. hanno instato per l’accoglimento della domanda cautelare ai fini della celere fissazione dell’udienza di merito.
5.) I Ministeri resistenti, con memoria depositata in data 4 ottobre 2024, dopo aver brevemente ricostruito il quadro normativo applicabile alla controversia in esame e aver evidenziato che il gravato decreto ministeriale costituisce parte integrante del processo di rendicontazione della VI rata del Piano nazionale di ripresa e resilienza, hanno posto in rilievo che l’adozione del d.m. del 21 giugno 2024 è stata il frutto di un lungo e complesso iter in virtù dell’impatto sul territorio e della necessità, per l’Italia, di raggiungere entro il 2030 gli obiettivi assunti in sede europea in merito all’aumento della capacità di generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Il d.m. del 21 giugno 2024, peraltro, è stato adottato dopo una lunga fase di definizione dei criteri di ripartizione tra le Regioni delle quote di capacità rinnovabile (c.d. burden sharing), come previsto dall’articolo 20, comma 2, del d.lgs. n. 199/2021. L’intesa tra le Regioni è stata poi raggiunta nella seduta della Conferenza unificata del 7 giugno 2024.
5.1.) Le amministrazioni ministeriali resistenti, con l’anzidetta memoria del 4 ottobre 2024, hanno eccepito:
– l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse delle ricorrenti, sull’assunto che il gravato decreto ministeriale non avrebbe alcuna portata lesiva della loro sfera giuridica, in quanto lo stesso si limita a fissare principi e criteri direttivi per la individuazione delle aree idonee e non idonee, la cui concreta individuazione è poi demandata alle Regioni, che dovranno provvedervi entro centottanta giorni dalla entrata in vigore del d.m. del 21 giugno 2024. Le ricorrenti, peraltro, neppure hanno fornito la prova delle eventuali proposte progettuali, formalizzate in istanze depositate presso le competenti amministrazioni, che sarebbero pregiudicate dalla disciplina dettata dal decreto ministeriale impugnato;
– l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad almeno un controinteressato, con particolare riferimento alla posizione delle Regioni;
– l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto in assenza delle condizioni per la sua presentazione in forma cumulativa, con particolare riferimento alla mancanza del requisito della identità delle situazioni sostanziali e processuali delle ricorrenti, in quanto le stesse svolgono la propria attività in differenti zone d’Italia, all’interno delle quali potrebbero entrare in vigore discipline regionali anche molto differenziate tra di loro;
– l’infondatezza del ricorso nel merito.
5.2.) Secondo la prospettazione difensiva dei Ministeri resistenti, il primo motivo di ricorso risulterebbe infondato in quanto la individuazione delle aree idonee e non idonee è strettamente legata alla introduzione di semplificazioni procedimentali a fini autorizzativi e, comunque, nelle aree non idonee non viene preclusa in assoluto la realizzazione di impianti FER. Le amministrazioni ministeriali resistenti, per ciò che riguarda la contestata legittimità costituzionale dell’articolo 3 del d.m. del 21 giugno 2024 e dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021, hanno evidenziato come il gravato decreto ministeriale sia conforme alle prescrizioni del d.lgs. n. 199/2021 e che non vi sarebbe stato alcun eccesso di delega, giusto quanto previsto dall’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021 e quanto stabilito dall’articolo 1, comma 2, del medesimo d.m. del 21 giugno 2024 che, nel fornire la definizione di aree non idonee, fa espresso riferimento alla loro individuazione secondo le modalità di cui al paragrafo 17 e all’Allegato 3 delle Linee Guida.
5.3.) Anche il secondo motivo di ricorso risulterebbe infondato, poiché alle Regioni non sarebbe stata conferita alcuna delega in bianco ai fini della individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione degli impianti FER, bensì una delega rispettosa del riparto di competenze legislative nella materia concorrente della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” di cui all’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Invero, laddove la disciplina dettata dal gravato decreto ministeriale si fosse caratterizzata per un grado di dettaglio ancora più elevato, lo stesso sarebbe stato passibile di incostituzionalità proprio per violazione del riparto di competenze normative tra Stato e Regioni sancito dalla Costituzione.
5.4.) Neppure le doglianze articolate con il terzo motivo di ricorso coglierebbero nel segno, atteso che la previsione di cui all’articolo 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto ministeriale, nel fornire la definizione di aree non idonee, non avrebbe introdotto alcun divieto aprioristico e assoluto alla installazione di impianti FER su tali superfici.
5.5.) I Ministeri resistenti hanno anche eccepito l’infondatezza delle censure articolate con il quarto motivo di ricorso.
Risulterebbero innanzitutto infondate le doglianze che appuntano sulla illegittimità della facoltà concessa alle Regioni, ai sensi dell’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024, di individuare come aree non idonee le superfici ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, in quanto oltre a trattarsi di una mera facoltà, risulterebbe in linea con quanto già previsto dall’Allegato 3 delle Linee Guida, nonché con la previsione di cui all’articolo 20, comma 3, del d.lgs. n. 199/2021, ai sensi del quale “nella definizione della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio”.
Del pari infondate sarebbero anche le censure con le quali è stata prospettata l’illegittimità dell’articolo 7, comma 3, del gravato decreto ministeriale con riguardo alla introduzione di una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela, trattandosi di una facoltà riconosciuta alle Regioni in funzione della salvaguardia delle specificità dei loro territori.
5.6.) Anche il quinto motivo di ricorso risulterebbe infondato, in quanto la previsione di cui all’articolo 7, comma 2, lett. c), del d.m. del 21 giugno 2024, nell’attribuire alle Regioni la facoltà di fare salve le aree idonee individuate dall’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021, mira a salvaguardare le specificità delle singole realtà territoriali, ferma restando la ponderazione da parte delle Regioni dei differenti interessi in giuoco.
5.7.) Neppure il sesto motivo di ricorso risulterebbe fondato, atteso che la mancata introduzione di una disciplina transitoria di salvaguardia dei procedimenti di autorizzazione già in corso non risulterebbe lesiva della sfera giuridica delle ricorrenti, in quanto l’eventuale sopravvenuta qualificazione di una area come non idonea non comporterebbe un divieto certo alla installazione degli impianti FER.
5.8.) Anche il settimo motivo di ricorso risulterebbe infondato, poiché la fissazione dei principi e criteri uniformi da parte del gravato decreto ministeriale risulterebbe rispettosa della delega legislativa.
5.9.) Le doglianze articolate con l’ottavo e il nono motivo di ricorso risulterebbero infondate sulla scorta delle medesime argomentazioni spese per confutare la fondatezza del primo, secondo, terzo e quinto motivo di ricorso.
5.10.) Anche il decimo motivo di ricorso non sarebbe meritevole di accoglimento, non sussistendo il paventato pericolo di moratorie o di blocco dei procedimenti autorizzativi da parte delle Regioni, tenuto anche conto dell’espresso divieto all’uopo sancito dall’articolo 20, comma 6, del d.lgs. n. 199/2021.
5.11.) L’undicesimo motivo di ricorso risulterebbe, del pari, infondato alla luce delle argomentazioni già spese in precedenza dai Ministeri resistenti in ordine alla legittimità del gravato decreto ministeriale in relazione alla mancata fissazione di principi e criteri omogenei per la individuazione delle aree idonee e non idonee all’installazione degli impianti FER.
6.) All’udienza camerale del 9 ottobre 2024, il patrono delle ricorrenti ha dichiarato di rinunciare alla domanda cautelare e la causa è stata trattenuta in decisione.
6.1.) La Sezione, con ordinanza n. 4594 del 10 ottobre 2024, ha preso atto della rinuncia alla domanda cautelare proposta dalle ricorrenti.
7.) Le ricorrenti, con memoria depositata in data 3 gennaio 2025, hanno controdedotto alle eccezioni sollevate dalle amministrazioni ministeriali resistenti, hanno specificato le proprie doglianze e hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
8.) I Ministeri resistenti, con memoria depositata in data 14 gennaio 2025, hanno svolto ulteriori difese anche a fronte delle controdeduzioni articolate dalle ricorrenti sulle eccezioni sollevate con la memoria del 4 ottobre 2024, insistendo per la reiezione del ricorso in esame.
9.) Le ricorrenti, con memoria depositata in data 15 gennaio 2025, hanno controdedotto alla eccezione di inammissibilità del gravame per mancata notifica ad almeno un controinteressato, che le amministrazioni ministeriali resistenti hanno individuato nelle Regioni, evidenziando che laddove si controverta della legittimità di atti amministrativi generali o regolamentari non vi sarebbe mai la presenza di soggetti controinteressati, trattandosi di atti che non conferiscono vantaggi specifici a particolari soggetti rispetto ad altri destinatari dell’azione amministrativa. Le Regioni, peraltro, non potrebbero subire alcun pregiudizio dall’annullamento del gravato decreto ministeriale, ragion per cui non sarebbero titolari di alcun contrapposto interesse legittimo meritevole di tutela giurisdizionale.
Le ricorrenti, inoltre, hanno rilevato come non sia stato oggetto di contestazione, da parte dei Ministeri resistenti, l’allegato 13 della produzione documentale del 2 ottobre 2024, che evidenzierebbe come la disciplina recata dal d.m. del 21 giugno 2024 rischi di rendere la quasi totalità del territorio della Regione Puglia concretamente non idoneo alla installazione di impianti FER.
10.) Le ricorrenti, con memoria depositata in data 27 gennaio 2025, hanno eccepito la tardività della memoria di replica depositata dalla provincia di Foggia – in quanto non preceduta da una memoria conclusionale e, quindi, in contrasto con il disposto di cui all’articolo 73 c.p.a. – e hanno ulteriormente controdedotto alla eccezione di inammissibilità del gravame per mancata notifica ad almeno un controinteressato.
11.) All’udienza pubblica del 5 febbraio 2025 la causa è stata discussa.
Il Collegio, nel corso della discussione, ha rilevato d’ufficio, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, c.p.a., la presenza di possibili profili di inammissibilità del quinto, decimo e undicesimo motivo di ricorso e ciò è stato fatto constare nel verbale d’udienza.
All’esito della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio, in via preliminare, ritiene infondata l’eccezione di tardività sollevata dalle ricorrenti in relazione alla presunta memoria depositata dalla provincia di Foggia, in quanto agli atti del giudizio non risulta che tale ente locale, che peraltro non è costituito in giudizio, abbia depositato la predetta memoria.
1.1. Il Collegio, sempre in via preliminare, ritiene infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalle amministrazioni resistenti in ragione della asserita mancata notifica dello stesso ad almeno una Regione, qualificabili, nel caso di specie, come soggetti controinteressati.
Ad avviso del Collegio, le Regioni non possiedono la qualifica di controinteressati nel presente giudizio, considerando che una siffatta qualifica, che impone la notifica del gravame a pena di inammissibilità ai sensi dell’articolo 41 c.p.a., può essere riconosciuta solo a quei soggetti che siano portatori di un interesse qualificato alla conservazione degli effetti prodotti dal provvedimento impugnato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4654 del 6 ottobre 2015).
Orbene, nel caso di specie non può predicarsi che le Regioni rivestano la qualità di controinteressati rispetto alle previsioni del gravato decreto ministeriale, in quanto non può sostenersi che tali enti abbiano conseguito una posizione giuridica di vantaggio in via immediata in forza del gravato decreto ministeriale, da intendersi quale attribuzione di una utilitas giuridica sostanziale costituente, in tutto o in parte, funzione del provvedimento impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 112 del 10 gennaio 2002).
Le Regioni, di conseguenza, per effetto dell’eventuale annullamento delle disposizioni del d.m. del 21 giugno 2024, non si troverebbero private di una irreplicabile posizione di vantaggio, anche tenuto conto del fatto che le amministrazioni ministeriali resistenti sarebbero tenute, in sede di riesercizio del potere amministrativo in questione, a dettare nuovamente i principi e criteri per l’individuazione delle aree idonee, rendendo così possibile, per le Regioni, l’esercizio delle medesime attribuzioni che avrebbero dovuto esercitare facendo applicazione della disciplina contestata nel presente giudizio.
Peraltro, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “La Pubblica amministrazione allorché intervenga a rappresentare gli interessi di cui è portatrice nell’ambito di procedimenti amministrativi non esercita facoltà riconducibili ad una posizione di interesse legittimo (che presuppone il collegamento con uno specifico bene della vita) ma si avvale invece di prerogative attinenti la funzione pubblica di cui è investita nell’interesse generale della collettività” (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, sent. n. 156 del 30 gennaio 2018, passata in giudicato). Ciò, invero, è quanto avvenuto nel caso di specie, atteso che le Regioni hanno preso parte alla formazione del gravato decreto ministeriale, partecipando alla formazione dell’intesa prevista dalla legge nell’ambito della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281/1997.
In definitiva, difetta in capo alle Regioni la titolarità di un interesse qualificato alla conservazione degli effetti prodotti dal provvedimento impugnato – quale requisito sostanziale richiesto anche ai fini dell’applicazione della regola processuale di cui all’articolo 41 c.p.a. (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 4676 dell’11 novembre 2016) – e, quindi, non risultava necessario, per le ricorrenti, procedere alla notifica del presente gravame a tali enti, donde l’infondatezza della eccezione di inammissibilità all’uopo sollevata dai Ministeri resistenti.
1.2. Il Collegio, sempre in via preliminare, ritiene che sia parzialmente fondata l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse a ricorrere, avuto unicamente riguardo alla posizione delle società ricorrenti.
1.2.1. In proposito, occorre innanzitutto evidenziare che il ricorso in esame è stato proposto anche da Anev, nella sua qualità di associazione ambientale e di categoria degli operatori attivi nella produzione di energia da fonte rinnovabile eolica.
Detta associazione possiede un interesse attuale, diretto e concreto a impugnare le contestate disposizioni del d.m. del 21 giugno 2024, così come a prospettare le questioni di legittimità costituzionale agitate in ricorso, in quanto tra i suoi scopi statutari figura anche la “promozione e utilizzazione della fonte eolica in un rapporto equilibrato tra insediamenti e natura” (art. 3.1. dello statuto associativo, doc. 4 della produzione delle ricorrenti).
Orbene, le previsioni del gravato decreto ministeriale si appalesano astrattamente in grado di incidere negativamente sulla testé richiamata finalità statutaria dell’Anev, in quanto i prospettati deficit di legittimità della disciplina inerente alla individuazione delle aree idonee e non idonee risultano potenzialmente forieri di ostacolare la promozione e utilizzazione della energia elettrica che può essere prodotta mediante lo sfruttamento economico della fonte rinnovabile di tipo eolico, con la conseguenza che il presente gravame risulta decidibile nel merito nei confronti dell’associazione ricorrente.
Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, affinché possa dirsi sussistente l’interesse a ricorrere di una associazione di categoria “è necessario, innanzitutto, che la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati (Cons. St., sez. IV, 16 novembre 2011, n.6050)” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 9 del 2 novembre 2015; C.G.A.R.S., sez. giurisdizionale, sent. n. 769 del 27 giugno 2022).
1.2.2. A diverse conclusioni deve, invece, giungersi con riguardo alla posizione delle società ricorrenti.
1.2.3. La delibazione del profilo processuale inerente alla carenza di interesse a ricorrere degli operatori economici del settore richiede che vengano preliminarmente chiariti i termini nei quali va declinato il concetto di area non idonea all’installazione di impianti FER nel regime introdotto dall’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021.
Tale esigenza, invero, risulta intrinsecamente correlata con il tenore delle censure ricorsuali, che ruotano sostanzialmente intorno all’assunto secondo il quale le aree non idonee siano superfici sulle quali è totalmente preclusa l’installazione di impianti FER, il che avrebbe comportato un totale e indebito stravolgimento dell’impianto ordinamentale delineato con il precedente regime giuridico applicabile in subiecta materia.
1.2.4. Tale tesi, come verrà poi più diffusamente approfondito nel prosieguo della trattazione (vid. infra sub §.3 e seguenti), non merita di essere condivisa, in quanto i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione al contesto delineato dall’articolo 12, comma 10, del d.lgs. n. 387/2003 e dalle Linee Guida del 2010, non possono sic et simpliciter essere trasposti, in maniera acritica e meccanica, al nuovo assetto delineato con il d.lgs. n. 199/2021 e il d.m. del 21 giugno 2024, come peraltro già in parte evidenziato dalla Corte costituzionale (cfr. Corte cost., sent. n. 103/2024).
Laddove, infatti, si aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica – che è, poi, quella sostanzialmente prospettata in ricorso – si finirebbe per obliterare indebitamente il vigente contesto normativo, avuto specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito, l’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021 espressamente dispone che sia il Mase, di concerto con il Mic e il Masaf, previo raggiungimento dell’intesa in Conferenza unificata, a stabilire con decreto i principi e i criteri omogenei strumentali all’individuazione delle aree idonee e non idonee.
1.2.5. Invero, proprio sulla scorta delle scelte compiute dalle amministrazioni resistenti con l’adozione del gravato decreto ministeriale – e condivise con gli enti territoriali – emerge come, contrariamente a quanto sostenuto dalle società ricorrenti, nel complessivo nuovo impianto normativo e regolamentare sia sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e finalità, la portata precettiva del concetto di “area non idonea” rispetto a quanto previsto dal paragrafo 17 e dall’Allegato 3 delle Linee Guida del 2010, non traducendosi, ora come allora, in una preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, ed essendo solo funzionale ad indicare la sussistenza di “una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione”.
1.2.6. Ad avviso del Collegio il richiamo alle modalità stabilite dalle Linee Guida operato dall’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024, deve essere inteso unicamente nel senso che, in sede di attuazione della delega legislativa di cui alla legge n. 53/2021, si sia optato per il consolidamento, anche rispetto al nuovo regime, delle acquisizioni, in termini di significato e declinazione delle aree non idonee, già raggiunte nel previgente assetto normativo in applicazione delle previsioni dettate dalle Linee Guida.
Tale opzione esegetica può essere legittimamente percorsa in ossequio al canone ermeneutico dell’interpretazione conservativa di cui all’articolo 1367 cod civ. – pacificamente applicabile anche agli atti amministrativi, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 5358 del 4 settembre 2020 e riferimenti ivi citati) –. Infatti, mediante l’impiego di tale, legittimo, criterio interpretativo, nel nostro ordinamento giuridico è possibile preservare atti e valori giuridici non affetti da vizi di legittimità (ut res magis valeat quam pereat), risultando ciò confacente, peraltro, ai principi di economicità ed efficacia dell’attività amministrativa sanciti dall’articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui il criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione.
Peraltro, come sarà meglio approfondito nel prosieguo, anche nel nuovo assetto normativo è stato assegnato un ruolo alle linee guida ministeriali, ancorché subordinato ad un aggiornamento delle stesse teso a renderle compatibili con il nuovo impianto ordinamentale, giusto quanto previsto dall’articolo 18, comma 3, del d.lgs. n. 199/2021.
1.2.7. Se è vero che non può essere sottaciuto il fatto che l’articolo 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga che le Regioni provvedono con legge alla individuazione (anche) delle aree non idonee – e non più nell’ambito di un apposito procedimento amministrativo, come previsto dalle Linee Guida – è del pari vero che non v’è alcun indice normativo che faccia ritenere che a tale cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata dalle società ricorrenti.
Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo giuridico di approvazione della classificazione delle aree potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e messa in esercizio di un impianto FER, non risulta accompagnato da una così radicale trasfigurazione del significato che il concetto giuridico di “aree non idonee” esprime ai fini del raggiungimento degli obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili.
L’interpretazione dell’articolo 1, comma 2, lett. b), del gravato d.m. del 21 giugno 2024, al quale il Collegio intende aderire – partendo dall’assunto che il carattere di non idoneità di un’area non precluda in radice la realizzazione di impianti FER – è atta a porre in rilievo come l’individuazione con legge regionale delle aree non idonee non esclude che le amministrazioni coinvolte negli specifici procedimenti amministrativi di valutazione delle istanze di autorizzazione alla realizzazione di impianti FER debbano necessariamente apprezzare in concreto l’impatto dei progetti proposti sulle esigenze di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali, anche laddove l’area interessata rientri tra quelle classificate come non idonee.
1.2.8. Il Collegio, chiariti i termini nei quali debba essere inteso il concetto giuridico di “aree non idonee” alla realizzazione degli impianti FER, ritiene di poter esaustivamente procedere all’esame dei profili di attualità e concretezza dell’interesse a ricorrere delle società ricorrenti.
A tale riguardo, sulla scorta delle considerazioni innanzi svolte, è d’uopo evidenziare sin da ora che non si ritiene sussistente in capo a queste ultime tale condizione dell’azione richiesta dalla legge per conseguire l’annullamento giudiziale del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024.
1.2.9. In proposito, giova preliminarmente evidenziare che l’interesse a ricorrere, quale condizione dell’azione concettualmente autonoma dalla legittimazione ad agire, trova il suo fondamento nell’art. 100 del codice di procedura civile, rubricato “Interesse ad agire” e applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno sancito dall’articolo 39 c.p.a.
In particolare, atteso che l’articolo 100 c.p.c. stabilisce che “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa è necessario avervi interesse”, l’interesse a ricorrere si caratterizza per la “prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4).
Ciò, invero, risulta coerente con la funzione svolta dalle condizioni dell’azione nei processi di parte, innervati dal principio della domanda e dal principio dispositivo (cfr. Cass. civ., SS.UU., 22 aprile 2013 n. 9685; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2015, n. 4228; Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542).
L’interesse a ricorrere, inoltre, è espressione della concezione soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 4 del 7 aprile 2011) e ad esso è attribuita una funzione di filtro processuale, fino a divenire strumento di selezione degli interessi meritevoli di tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 22 del 9 dicembre 2021).
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, proprio con riferimento a tale condizione dell’azione, ha ulteriormente chiarito che “Il codice del processo amministrativo fa più volte riferimento, direttamente o indirettamente, all’interesse a ricorrere: all’art. 35, primo comma, lett. b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13, comma 4-bis e, in modo più sfumato, all’art. 31, primo comma, sembrando confermare, con l’accentuazione della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e l’arricchimento delle tecniche di tutela, la necessità di una verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che ‘la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione’ ma non anche che ‘abbia subito’ una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 22/2021, cit.).
1.2.10. Ordunque, nel caso in esame viene in rilievo una fattispecie controversa rispetto alla quale l’interesse al bene (i.e., l’utilità finale o petitum mediato) correlato alla situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio dalle società ricorrenti rimonta alle previsioni ministeriali che, con carattere generale, sono destinate a incidere sui procedimenti di autorizzazione, con la conseguenza che è rispetto alle stesse che deve essere apprezzata in via prognostica la possibilità che la situazione dedotta in giudizio dalle società ricorrenti abbia subito la prospettata lesione.
Un siffatto apprezzamento, per una pluralità di ragioni (tra le quali la più evidente è quella che risiede nel fatto che opinando diversamente si finirebbe per violare il divieto sancito dall’articolo 34, comma 2, c.p.a.), non può che prescindere dall’esito procedimentale dell’iter di autorizzazione e deve necessariamente essere incentrato sulla eventuale diretta, immediata e concreta valenza pregiudizievole delle contestate previsioni del d.m. del 21 giugno 2024 per le società ricorrenti.
Invero, siccome il fulcro delle censure proposte ruota intorno alla prospettata lesività del nuovo assetto regolamentare per effetto della rivisitazione del previgente sistema e del ruolo che l’istituto delle “aree non idonee” è destinato a giocare, anche per ciò che concerne gli aspetti inerenti alle modalità della loro determinazione, dall’analisi svolta in precedenza emerge come la qualificazione di determinate porzioni di territorio in termini di “aree non idonee” non costituisce un impedimento assoluto alla realizzazione di progetti tesi alla costruzione e all’esercizio di impianti FER, donde la radicale insussistenza, anche in una prospettiva prognostica di valutazione, della lesione prospettata dalle società ricorrenti.
1.2.11. A tale riguardo, giova evidenziare che la localizzazione di un impianto FER in un’area non idonea non osta a che gli operatori economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell’ambito dei singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia compatibile con il complessivo assetto dei valori in gioco, ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 e, dall’altro, con il raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da traguardare al 2030 in base a quanto previsto dalla Tabella A dell’articolo 2 del d.m. del 21 giugno 2024.
Tali considerazioni trovano espresso conforto nelle previsioni del gravato decreto ministeriale, laddove, all’articolo 7, comma 3, in fine, si dispone che “Nell’applicazione del presente comma deve essere contemperata la necessità di tutela dei beni con la garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A dell’art. 2 del presente decreto”.
1.2.12. Il pregiudizio lamentato dalle società ricorrenti, peraltro, neppure può farsi discendere dal fatto che, in base al nuovo assetto normativo e regolamentare culminato con l’adozione del gravato decreto ministeriale, anche l’individuazione delle “aree non idonee” debba essere determinata mediante legge regionale e non invece, come avveniva con il previgente regime, con atti di programmazione e all’esito di una precipua istruttoria procedimentale (cfr. paragrafo 17 delle Linee Guida).
A tal proposito, infatti, vale considerare che anche ipotizzando che l’individuazione delle aree non idonee possa, in alcuni casi, scontare in sede di legislazione regionale una carente caratterizzazione in ragione del diverso atteggiarsi dei lavori preparatori di un provvedimento legislativo rispetto alla fase istruttoria di un procedimento amministrativo, ciò non risulterebbe di per sé suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale agli interessi degli operatori economici che intendono realizzare impianti FER in siti classificati come “aree non idonee”.
Infatti, la conseguenza giuridica che può farsi discendere dalla concretizzazione dell’ipotesi innanzi prospettata, consiste in un mero aggravamento dell’onere motivazionale a carico dell’amministrazione competente a pronunciarsi sulle istanze di autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER.
In particolare, l’amministrazione procedente, all’esito dell’iter di autorizzazione, non potrà giustificare l’eventuale ritenuta incompatibilità del progetto solo in ragione del fatto che l’impianto sia localizzato in un’area classificata come non idonea – motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel caso in cui la caratterizzazione delle aree non idonee sia stata puntualmente svolta dal legislatore regionale, in quanto la qualificazione di non idoneità non si traduce in un divieto assoluto di installazione di impianti FER, come esposto in precedenza – ma dovrà necessariamente fondare il proprio diniego dando conto in maniera adeguata, ancorché in ipotesi sintetica, delle intrinseche caratteristiche del progetto e delle aree interessate, traguardate alla luce della comparazione dei contrapposti interessi in giuoco, fermo restando quanto previsto dall’articolo 16-septies della direttiva 2018/2001/UE, in seguito alle modifiche operate con la direttiva 2023/2413/UE.
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle società ricorrenti, nessun pregiudizio attuale e concreto può farsi discendere dal fatto che sia stato previsto che l’individuazione delle “aree non idonee” debba avvenire con legge regionale.
Per converso, un siffatto pregiudizio è suscettibile di venire ad esistenza solo in caso di esito negativo del procedimento di autorizzazione e solo nella misura in cui risulti che l’amministrazione procedente non abbia esercitato correttamente il potere amministrativo di carattere tecnico-discrezionale ad essa attribuito dalla legge.
1.2.13. Ad avviso del Collegio, sempre sulla scorta della chiarita portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di “aree non idonee” nell’ambito dell’attuale contesto normativo e regolamentare, il gravato decreto ministeriale si appalesa privo di immediata e concreta lesività anche relativamente alle prescrizioni con le quali esso stesso classifica determinate aree come non idonee.
1.2.13.1. Per ciò che concerne il primo profilo, la circostanza per cui il gravato decreto ministeriale qualifichi come non idonee le aree ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi di quanto previsto dal d.lgs. n. 42/2004 (articolo 7, comma 3), non vale a mutare la portata generale del concetto di “aree non idonee”, convertendolo in un istituto a geometrie variabili che, ove direttamente applicato dall’amministrazione ministeriale, sia tale da determinare una aprioristica e radicale sottrazione, ex voluntate administrationis, dell’area non idonea alla realizzazione degli impianti FER.
Invero, sia in tal caso, sia nell’altro (cioè, quando l’individuazione delle “aree non idonee” avviene con legge regionale), la localizzazione dell’impianto all’interno di un sito ritenuto non idoneo non costituisce mai ragione di per sé sufficiente a precludere in radice la realizzazione del progetto proposto dall’operatore economico istante, potendosi giungere a tale esito procedimentale solo nel caso in cui il progetto venga in concreto reputato incompatibile, dall’amministrazione procedente, con gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie.
Le società ricorrenti, viceversa, con l’impostazione impressa al ricorso in esame hanno tentato di far retrocedere una siffatta – e meramente eventuale – lesione ad una fase prodromica rispetto alla valutazione in concreto dei progetti tesi alla realizzazione di impianti FER, in quanto unicamente riservata alla individuazione delle “aree non idonee”.
Tuttavia, sulla scorta delle regole che governano il processo amministrativo e in considerazione del fatto che la giurisdizione amministrativa di legittimità costituisce pur sempre una giurisdizione di diritto soggettivo, non è possibile accordare alle società ricorrenti, nella loro qualità di operatori attivi nel settore interessato dalle contestate modifiche ordinamentali, una tutela anticipata di merito, ossia una tutela giudiziale del tutto sganciata dalla sussistenza di una possibile incisione negativa della sua sfera giuridica che, per le ragioni innanzi esposte, può predicarsi solo rispetto ad un esito negativo dei procedimenti autorizzativi e solo laddove ciò consegua al cattivo esercizio del potere da parte dell’amministrazione procedente.
1.2.14. La disamina dei profili sin qui esaminati risulta, ad avviso del Collegio, sufficiente a dimostrare l’insussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale delle società ricorrenti rispetto all’annullamento del d.m. del 21 giungo 2024, donde l’inammissibilità parziale del presente gravame con riguardo alla loro posizione.
1.3. Il Collegio ritiene, sulla scorta della parziale inammissibilità del ricorso proposto dalle società ricorrenti, che non risulti fondata l’eccezione di inammissibilità per carenza delle condizioni per la proposizione del ricorso in forma collettiva, sussistendo valide ragioni giuridiche per garantire all’associazione Anev la richiesta tutela giurisdizionale.
1.3.1. La giurisprudenza amministrativa, infatti, fermi restando i consolidati approdi raggiunti quanto alle condizioni per la valida proposizione del ricorso in forma collettiva (date dalla identità di posizioni giuridiche sostanziali e processuali e dalla assenza di un conflitto di interesse, anche solo potenziale, tra i soggetti che compongono la parte processuale soggettivamente complessa), ha evidenziato che il giudice, in ossequio al principio di conservazione degli atti e valori giuridici, nonché al principio della effettività della tutela giurisdizionale – nelle sue declinazioni di accesso alla tutela e somministrazione di una tutela di merito da parte dell’Autorità giudiziaria, direttamente discendenti dalle previsioni dettate dall’articolo 24 della Costituzione e dall’articolo 13 della CEDU – deve “salvaguardare, per quanto, è possibile l’accesso al giudizio ed alla sua definizione con decisione nel merito, e, dunque, nel caso del giudizio amministrativo di annullamento, di accesso alla pronuncia che possa (sussistendone i presupposti) assicurare la tutela avverso gli atti della pubblica amministrazione” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5719 del 5 ottobre 2018).
Con tale richiamata pronuncia, infatti, il Consiglio di Stato ha di fatto ammesso che il giudice amministrativo possa procedere a una parziale salvezza del ricorso collettivo anche nella ipotesi in cui debba, in parte, procedersi alla declaratoria di (parziale) inammissibilità dello stesso per difetto di legittimazione attiva di alcuni ricorrenti, o di inammissibilità di alcuni motivi di ricorso.
Del pari, con una pronuncia successiva, il Consiglio di Stato ha di fatto ammesso che un ricorso collettivo possa essere validamente deciso nel merito anche nel caso in cui, nelle more del giudizio, sopravvenga la carenza di interesse di taluni ricorrenti causativa della (parziale) improcedibilità del ricorso rispetto a specifiche posizioni (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 11170 del 27 dicembre 2023).
1.3.2. Il Collegio, nel caso di specie, ritiene che il ricorso in esame sia decidibile nel merito, nonostante l’accertata insussistenza originaria di interesse delle società ricorrenti nei termini innanzi esposti, in quanto in una valutazione congiunta delle posizioni di tali soggetti e di quella della associazione Anev, risultano comunque assente un conflitto di interesse, anche solo potenziale, tra detti soggetti, tale per cui la somministrazione di una tutela di merito nei confronti di una parte soltanto della originaria pletora di ricorrenti, non pregiudica le posizioni dei soggetti per i quali il ricorso è stato dichiarato inammissibile, anche tenuto conto della natura eminente demolitoria di tutte le censure articolate con gli undici motivi di gravame che sono stati proposti.
1.4. Il Collegio, sempre in via preliminare, ritiene di dover integralmente confermare i rilievi officiosi sollevati, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, c.p.a., nel corso dell’udienza pubblica del 5 febbraio 2025 e fatti debitamente constare nel relativo verbale d’udienza.
1.4.1. Il Collegio ritiene inammissibile il quinto motivo di ricorso relativamente al profilo di censura con il quale è stata contestata la legittimità dell’articolo 7, comma 2, lett. c), del d.m. del 21 giugno 2024 in ragione di un asserito contrasto con l’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021.
Tale profilo di censura risulta inammissibile atteso che le ricorrenti si sono limitate a prospettare in astratto la sussistenza di un contrasto tra l’articolo 7, comma 2, lett. c), del d.m. del 21 giugno 2024 e l’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021, senza specificare in concreto in cosa esso si sostanzi, donde la violazione dell’articolo 40 c.p.a.
In proposito, è sufficiente ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “i) i motivi di ricorso devono essere « specifici », ai sensi dell’art. 40 del c.p.a., non potendo la parte ricorrente addurre censure assolutamente generiche, fidando in una sorta di inammissibile intervento correttivo del giudice (o del consulente tecnico d’ufficio), che sarebbe così chiamato ad una sostanziale integrazione delle lacune difensive, integrazione che si porrebbe però in contrasto con la necessaria terzietà dell’organo giudicante e con il principio della parità delle parti nel processo;
ii) è quindi necessario che il ricorrente, ai fini della ammissibilità del ricorso, adduca censure puntuali ed articolate in motivi contenenti la specificazione dei vizi da cui ritenga inficiata la legittimità dei provvedimenti impugnati;
iii) al contrario, non possono trovare ingresso rilievi di contenuto generico che si risolverebbero in una inammissibile azione sollecitatoria di un esame degli stessi provvedimenti da parte del giudice amministrativo” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5368 del 28 giugno 2022).
1.4.2. Il Collegio, del pari, ritiene inammissibile il decimo motivo di ricorso, con il quale è stata lamentata l’illegittimità del gravato decreto ministeriale nella misura in cui, dettando inadeguati principi e criteri per l’esercizio delle attribuzioni delle Regioni, renderebbe impossibile l’intervento surrogatorio del Governo.
Ad avviso del Collegio, tale motivo di ricorso risulta inammissibile per ipoteticità delle censure in esso articolate, in quanto tese a contestare l’impossibile esercizio futuro del potere sostitutivo dello Stato previsto dall’articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, espressamente richiamato dall’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021.
La censura in esame, invero, risulta ipotetica, in quanto l’asserito mancato esercizio del potere sostitutivo dello Stato non può essere concretamente apprezzato nel presente giudizio. Infatti, al momento della proposizione del presente ricorso non risultavano ancora soddisfatte le condizioni normative previste per l’esercizio di siffatto potere – date dalla mancata adozione delle leggi regionali in materia di individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti FER ovvero dalla adozione di tali leggi senza il rispetto dei principi e criteri stabiliti dal d.m. del 21 giugno 2024 ovvero ancora dalla loro adozione in spregio degli obiettivi afferenti al percorso di decarbonizzazione al 2030 – non essendo ancora inutilmente decorso, al momento della notifica del ricorso, il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del d.m. del 21 giugno 2024.
Oltretutto, la censura in esame risulterebbe inammissibile anche per violazione dell’articolo 34, comma 2, prima parte, c.p.a., a mente del quale “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.
1.4.3. Il Collegio reputa che sia inammissibile anche l’undicesimo motivo di ricorso, con il quale è stata lamentata l’illegittimità dell’impugnato decreto ministeriale nella misura in cui le sue disposizioni osterebbero al raggiungimento degli obiettivi di contenimento delle emissioni inquinanti, che rappresentano una delle finalità della normativa sovranazionale applicabile ratione materiae, come chiarito anche dalle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
In particolare, il motivo di ricorso in esame risulta inammissibile per assenza di attualità dell’interesse a coltivare le censure in esso articolate e, comunque, per ipoteticità delle stesse.
Le ricorrenti, infatti, hanno prospettato che le gravate previsioni del d.m. del 21 giugno 2024 precluderebbero il raggiungimento degli obiettivi di contenimento delle emissioni inquinanti assunti dall’Italia in sede europea, senza tuttavia allegare elementi concreti a supporto di tale prospettazione. Ciò, invero, rende impossibile procedere a una delibazione in concreto delle doglianze proposte, con conseguente inammissibilità delle stesse.
2. Il Collegio, esaurita la delibazione delle questioni pregiudiziali e prima di passare alla disamina del merito del ricorso, ritiene opportuno anticipare sin da ora che il secondo profilo di censura articolato con il quarto motivo di ricorso – con il quale è stata contestata la legittimità dell’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024, nella parte in cui attribuisce alle Regioni la facoltà di individuare una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela fino a un massimo di 7 chilometri – il sesto motivo di ricorso – con il quale è stata lamentata l’illegittimità della mancata previsione di una disciplina transitoria di salvaguardia dei procedimenti in corso – il secondo profilo di censura articolato con il settimo motivo di ricorso – con il quale è stata lamentata l’illegittimità del d.m. del 21 giugno 2024 nella parte in cui non è stato fornito alle Regioni un contesto unitario di principi e criteri per l’esercizio delle loro attribuzioni – e l’ottavo motivo – quanto al contestato deficit di omogeneità dei criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee – risultano meritevoli di accoglimento, mentre sono infondati tutti i restanti motivi di ricorso.
3. Con il primo motivo di ricorso è stata prospettata l’incostituzionalità dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 e l’illegittimità, anche per incostituzionalità, dell’articolo 3 del d.m. del 21 giugno 2024. Più in dettaglio, è stata contestata la legittimità costituzionale di tali previsioni per eccesso di delega in violazione dell’articolo 76 della Costituzione, nonché per il fatto di aver previsto una forma di inammissibile sub-delega del potere legislativo, stante la dislocazione in capo al solo Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica del potere legislativo delegato che, invece, spetterebbe al Governo nella sua collegialità.
In estrema sintesi e rinviando per il resto a quanto già esposto in narrativa sub §.2.1.1.), secondo la prospettazione della Associazione ricorrente il disposto dell’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 2), della legge n. 53/2021, nel fare riferimento a un “processo programmatorio”, non avrebbe potuto condurre all’attribuzione, in favore delle Regioni, del compito di individuare le aree idonee e quelle non idonee con legge regionale.
3.1. Tale motivo di ricorso non merita accoglimento per le seguenti ragioni di diritto.
3.2. Al Collegio preme innanzitutto evidenziare che le questioni di legittimità costituzionale del gravato d.m. del 21 giugno 2024, per violazione dell’articolo 76 della Costituzione, risultano destituite di fondamento, poiché non può essere validamente prospettata una questione di legittimità costituzionale nei confronti di un regolamento o di un atto amministrativo generale, non potendo tale atto formare oggetto del giudizio di costituzionalità ai sensi di quanto previsto dall’articolo 134 della Costituzione.
In proposito, vale ricordare che la Corte costituzionale ha statuito che “Il pieno esplicarsi della garanzia della Costituzione nel sistema delle fonti […] non è comunque pregiudicato dall’anzidetta limitazione della giurisdizione del giudice costituzionale. La garanzia è normalmente da ricercare, volta a volta, a seconda dei casi, o nella questione di costituzionalità sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia a essa riconducibile (per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono); o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso” (cfr. Corte cost., sent. n. 427/2000) – tali principi pretori valgono anche per gli atti amministrativi generali –.
Di conseguenza, la Associazione ricorrente, con riferimento alle previsioni dettate dal d.m. del 21 giugno 2024, avrebbe solo potuto richiedere a questo giudice di pronunciarsi sui profili di legittimità amministrativa per violazione di legge, in ipotesi anche di rango costituzionale (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, sent. n. 7222 del 27 aprile 2023, passata in giudicato), e di eccesso di potere, ma non anche prospettare una questione di legittimità costituzionale del gravato decreto ministeriale per eccesso di delega, profilo di censura, questo, che avrebbe potuto essere sollevato – come poi, in concreto, occorso – unicamente nei confronti del decreto legislativo delegato.
3.3. Il Collegio, tuttavia, ritiene che sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Associazione ricorrente in relazione all’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021, non reputando che la disciplina da esso recata si ponga in contrasto con l’articolo 76 della Costituzione.
3.4. Innanzitutto, vale evidenziare come l’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 detti previsioni inerenti alla sola disciplina funzionale alla individuazione delle aree idonee. Ciò emerge in maniera netta dal tenore letterale di tale disposizione normativa, a mente della quale “Conformemente ai principi e criteri stabiliti dai decreti di cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti, le Regioni individuano con legge le aree idonee, anche con il supporto della piattaforma di cui all’articolo 21 […]”.
Milita in tal senso, inoltre, anche il fatto che il legislatore delegato, quando ha ritenuto di introdurre una disciplina inerente alla individuazione delle aree non idonee, ha fatto espressamente riferimento a tale tipologia di superfici (cfr. articolo 20, commi 1 e 7, del d.lgs. n. 199/2021).
3.4.1. Per verificare se la disciplina recata dall’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021, con precipuo riferimento alla previsione in forza della quale le Regioni sono tenute a individuare con legge le aree idonee all’installazione di impianti FER, integri gli estremi di un eccesso di delega, occorre prendere in considerazione quanto stabilito dall’articolo 5, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2021.
Per quanto di interesse ai fini della delibazione del presente motivo di censura, tale disposizione normativa prevede che “1. Nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, il Governo osserva, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici:
a) prevedere, previa intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, al fine del concreto raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC), una disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili […]”.
L’unico specifico indirizzo, quanto al quomodo della individuazione delle aree idonee, è contenuto nell’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 2), della legge n. 53/2021, che discorre di “processo programmatorio”. Tale inciso, tuttavia, non può essere interpretato nel senso prospettato dalla Associazione ricorrente, atteso che l’ampio criterio direttivo specifico fissato dalla legge delega (ossia, il sopra richiamato articolo 5, comma 1, lett. a), nella parte in cui stabilisce che il Governo è tenuto a prevedere una disciplina per l’individuazione delle superfici e aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti FER) non vincolava il legislatore delegato ad imporre alle Regioni l’obbligo di utilizzare un predeterminato veicolo giuridico nella individuazione delle aree idonee (e lo stesso vale anche per le aree non idonee, vid. infra).
3.4.2. Di sicuro, l’individuazione delle aree idonee non costituisce un’attività che il legislatore delegato era tenuto ad assoggettare necessariamente a procedimentalizzazione amministrativa, come risulta dal fatto che nel previgente regime normativo e regolamentare non era previsto che le aree idonee dovessero essere individuate dalle Regioni mediante l’adozione di un atto amministrativo di programmazione o pianificazione.
Infatti, l’articolo 12, comma 10, del d.lgs. n. 387/2003, nel prevedere che il procedimento di autorizzazione unica inerente alla costruzione ed esercizio degli impianti FER (articolo 12, comma 3, del d.lgs. n. 387/2003) dovesse svolgersi conformemente a quanto previsto in apposite linee guida ministeriali (risultate, poi, essere le Linee Guida di cui al d.m. del 10 settembre 2010), stabiliva anche che “In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”.
Dal tenore testuale di tale disposizione normativa emerge in maniera netta come le Regioni non fossero gravate da alcun obbligo legale di procedere alla individuazione delle aree idonee alla installazione di impianti FER.
Pertanto, alla luce di quanto previsto dalla legge delega, nonché dagli indici normativi ritraibili dal pregresso regime normativo e regolamentare, non può essere validamente sostenuto, come prospettato dalla Associazione ricorrente, che l’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 si risolva in un eccesso di delega nella parte in cui attribuisce alle Regioni il compito di individuare le aree idonee con propria legge e non, invece, con un atto amministrativo di programmazione.
3.4.3. Che la scelta legislativa sospettata di incostituzionalità sia, per converso, pienamente conforme all’articolo 76 della Costituzione, trova conforto anche nella giurisprudenza costituzionale, atteso che la Corte costituzionale ha già avuto modo di chiarire che con le disposizioni normative introdotte dal d.lgs. n. 199/2021 “il legislatore statale ha inteso superare il sistema dettato dall’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e dal conseguente decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione delle aree non idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a individuare le aree «idonee» all’installazione degli impianti, sulla scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20 […]. Inoltre, l’individuazione delle aree idonee dovrà avvenire non più in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in relazione a quelle non idonee, bensì «con legge» regionale, secondo quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20” (cfr. Corte cost., sent. n. 103/2024).
3.5. Anev, inoltre, ha anche contestato la legittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021, sempre per violazione dell’articolo 76 della Costituzione, nella parte in cui avrebbe previsto che l’individuazione delle aree non idonee debba essere effettuata con legge regionale.
Orbene, pur volendo aderire all’esegesi proposta dalla Associazione ricorrente con riguardo al contenuto precettivo dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 – che, tuttavia, il Collegio non condivide per le ragioni innanzi esposte – l’attribuzione alle Regioni del compito di individuare anche le aree idonee con legge regionale non integrerebbe gli estremi di un eccesso di delega.
Il Collegio, infatti, non riscontra alcuna difformità tra la disposizione normativa sospettata di incostituzionalità e l’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 2), della legge n. 53/2021.
La legge delega, infatti, per ciò che concerne la disciplina per la individuazione delle aree non idonee, si limita a dettare solamente due criteri direttivi specifici, vale a dire:
– il già menzionato criterio di cui all’articolo 5, comma 1, lett. a), in forza del quale il Governo è tenuto a introdurre una disciplina per le aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti FER che sia rispettosa, inter alia, delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio;
– il criterio di cui all’articolo 5, comma 1, lett. b), che prescrive che nell’individuazione delle aree non idonee siano rispettati “i principi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo”.
Risulta, dunque, che nessuna previsione della legge delega inerente alla disciplina delle aree non idonee imponga al legislatore delegato di vincolare le Regioni alla individuazione delle aree idonee mediante lo svolgimento di un apposito procedimento amministrativo di stampo programmatorio.
La scelta del legislatore delegato quanto alle modalità di individuazione delle aree non idonee, essendo libera nel quomodo giusto quanto previsto dalla legge delega, non può essere considerata violativa del parametro di legittimità costituzionale dato dall’articolo 76 della Costituzione.
3.6. Il Collegio ritiene infondata anche l’analoga censura articolata nei confronti dell’articolo 3, comma 1, del gravato d.m. del 21 giugno 2024, ritenendo, senza travalicare i limiti del sindacato giurisdizionale imposti dal rispetto del principio dispositivo, che la Associazione ricorrente abbia inteso prospettare l’illegittimità amministrativa di tale previsione e non, invece, predicarne unicamente l’illegittimità costituzionale, rispetto alla cui infondatezza restano ferme le considerazioni già svolte in precedenza.
3.6.1. In particolare, atteso che la legge delega non prevede alcun vincolo in ordine al veicolo giuridico e alle modalità di individuazione delle aree non idonee, non si configura alcuna violazione dell’articolo 5 della legge n. 53/2021 da parte dell’articolo 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale.
Il Collegio, del pari, ritiene che nessuna violazione degli ulteriori parametri di legittimità dati dall’articolo 12, comma 10, del d.lgs. n. 387/2003 e dalle Linee Guida del 2010, possa dirsi realizzata per effetto dell’articolo 3, comma 1, del d.m. del 21 giugno 2024.
Innanzitutto, occorre evidenziare che l’articolo 12, comma 10, del d.lgs. n. 387/2003 è stato espressamente abrogato nelle more del presente giudizio, giusto quanto previsto dal combinato disposto dell’articolo 15, comma 1, del d.lgs. n. 190/2024 e del relativo Allegato D, lett. d).
Risulta, quindi, venuto meno lite pendente il parametro di legittimità che Anev ha assunto essere stato violato dalle amministrazioni ministeriali resistenti con l’adozione del gravato decreto ministeriale.
Di conseguenza, occorre prendere in considerazione il vigente e mutato assetto normativo per stabilire se un eventuale annullamento del gravato decreto ministeriale, per violazione della disposizione normativa abrogata, possa poi formare oggetto di un cogente vincolo conformativo per le amministrazioni resistenti all’atto del futuro riesercizio del potere.
Infatti, nel caso di specie è stata contestata la legittimità di un atto amministrativo che detta le regole di esercizio delle attribuzioni riconosciute alle Regioni ai fini della individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti FER.
Pertanto, nell’ipotesi in cui detto atto amministrativo venga giudizialmente annullato, le amministrazioni ministeriali resistenti saranno tenute a riesercitare un potere amministrativo finalizzato a porre le suddette regulae iuris e, nel farlo, dovranno conformarsi al quadro normativo vigente. Questo giudice, attesa la specificità della funzione amministrativa di cui si tratta, non può disporre un riesercizio ora per allora del potere amministrativo in questione, perché ciò renderebbe completamente insensibile l’operato dei Ministeri resistenti rispetto alla sopravvenienza normativa, di carattere abrogativo, intervenuta lite pendente, il che andrebbe a riverberarsi in negativo sulla legittima del rieditato assetto regolamentare.
Il vincolo discendente da un eventuale giudicato di annullamento del gravato decreto ministeriale, dunque, dovrà essere compatibile con il mutato quadro normativo, sì da consentire una riedizione dell’azione amministrativa rispettosa del principio di legalità sia sui tratti liberi del potere, sia su quelli incisi dal dictum giudiziale.
Orbene, per ciò che concerne il quadro normativo vigente, occorre considerare che le Linee Guida adottate con il d.m. del 10 settembre 2010, pur continuando a giocare un ruolo nel nuovo sistema delineato dal legislatore in seguito all’adozione della legge n. 53/2021 e del d.lgs. n. 199/2021, trovano in esso una mutata collocazione.
Da un lato, infatti, con il d.lgs. n. 190/2024 è stata introdotta una disciplina di rango legislativo primario in relazione ai regimi amministrativi di autorizzazione degli impianti FER, superando così il previgente assetto dato dal d.lgs. n. 28/2011 e dal d.lgs. n. 387/2003 che aveva sostanzialmente demandato alle Linee Guida la introduzione della disciplina di dettaglio (il riferimento è alla Parte II delle Linee guida del 2010, rubricata “Regime giuridico delle autorizzazioni”) e, dall’altro, con l’articolo 18, comma 3, del d.lgs. n. 199/2021 è stato previsto che in seguito alla entrata in vigore della disciplina statale e regionale per l’individuazione delle aree idonee “sono aggiornate le linee guida per l’autorizzazione degli impianti a fonti rinnovabili di cui al decreto del Ministro delle attività produttive 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010”.
Pertanto, non risultano più applicabili, sic et simpliciter, i principi pretori, soprattutto di matrice costituzionale, formatisi in materia di aree non idonee, soprattutto per quel che concerne la portata e il ruolo assunto dalle Linee Guida nel complessivo assetto normativo e regolamentare della materia.
Diversamente opinando si avallerebbe una opzione esegetica, quale quella prospettata dalla Associazione ricorrente, che oblitera i mutamenti normativi intervenuti medio tempore, non tenendo conto: i) del fatto che l’individuazione delle aree idonee e non idonee deve ora avvenire, ad opera delle Regioni, sulla scorta dei principi e criteri fissati dai decreti del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (“Mase”), di concerto con il Ministero della cultura (“Mic”) e il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (“Masaf”) e previa intesa in sede di Conferenza unificata; ii) nonché della circostanza per cui il già citato articolo 18, comma 3, del d.lgs. n. 199/2021 ha collocato in una fase di stasi sostanziale le Linee Guida del 2010 in attesa che vengano aggiornate.
3.6.2. Il fatto che le Regioni siano ora tenute a individuare anche le aree non idonee con le proprie leggi risulta coerente con il mutato quadro normativo, tenuto conto del fatto che a differenza della scelta operata dal legislatore del 2003 – in forza della quale le Regioni potevano individuare le aree non idonee con un precipuo atto di programmazione e nel rispetto di quanto previsto dalle Linee Guida del 2010 – ad oggi le Regioni devono necessariamente provvedere alla individuazione delle aree non idonee nel rispetto dei principi e criteri dettati da Mase, Mic e Masaf con le modalità previste dal legislatore delegato e non più in base a quelli contenuti nelle linee guida ministeriali del 2010.
Stante l’assenza di vincoli normativi quanto al veicolo giuridico da impiegare per la individuazione delle aree non idonee – giusto quanto previsto dall’articolo 5 della legge n. 53/2021 nei termini innanzi ampiamente esposti – non può validamente predicarsi l’illegittimità dell’articolo 3 del d.m. del 21 giugno 2024 per violazione delle Linee Guida del 2010, in quanto le previsioni in esse contenute non costituiscono più, per espressa scelta legislativa, il cardine ordinamentale in materia di individuazione delle aree non idonee, sia in relazione ai criteri da rispettare, sia in relazione alle concrete modalità di individuazione di tali superfici.
Se è vero che la Corte costituzionale, proprio con riferimento alle Linee Guida del 2010, aveva affermato che le stesse “disciplinano l’inserimento degli impianti nel contesto del paesaggio, vincolando, quali principi generali della materia, «tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 77 del 2022, che richiama le sentenze n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018). Le relative norme sono, infatti, espressione della leale collaborazione fra Stato e Regioni (sentenze n. 177 del 2021, n. 106 del 2020 e n. 308 del 2011) e rappresentano, «in settori squisitamente tecnici, il […] completamento» della normativa primaria (sentenza n. 86 del 2019, nello stesso senso anche sentenze n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 del 2019 e n. 69 del 2018)” (cfr. Corte cost., sent. n. 121/2022), è del pari vero che un tale approdo giurisprudenziale si inseriva e fotografava un differente quadro ordinamentale, caratterizato dal fatto che le Linee Guida del 2010, al pari dell’articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003 e dell’articolo 4 e seguenti del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, costituivano principi fondamentali della materia di legislazione concorrente della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’articolo 117, comma 3, della Costituzione (cfr. Corte cost., sent. n. 121/2022).
Nel vigente e mutato assetto normativo, ciò che risulta determinante per evidenziare l’infondatezza del profilo di censura in esame è la circostanza per cui i principi e i criteri per la individuazione delle aree non idonee non risultano essere più quelli indicati nelle Linee Guida del 2010, bensì quelli individuati con il meccanismo di cui all’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021 (ossia, come detto, con i decreti del Mase, di concerto con Mic e Masaf, previa intesa in Conferenza unificata), che pure può essere considerato espressione della leale collaborazione fra Stato e Regioni, rappresentando, al pari delle Linee Guida, uno strumento di completamento della normativa primaria per ciò che concerne gli aspetti maggiormente tecnici della materia in questione.
La circostanza per cui l’individuazione delle aree non idonee debba, allo stato, avvenire con legge regionale e non più con un atto di programmazione, non può valere a inficiare la legittimità sostanziale della scelta operata con il d.m. del 21 giugno 2024, in quanto il diverso atteggiarsi dei lavori preparatori di un provvedimento legislativo rispetto alla fase istruttoria di un procedimento amministrativo non determina ex se, se non su un piano squisitamente ipotetico, la sicura frustrazione dei plurimi e confliggenti interessi in giuoco e, dunque, l’illegittimità dell’operato amministrativo che ha legittimato un siffatto modus procedendi.
3.6.3. Ad avviso del Collegio, inoltre, la sopravvenienza normativa di carattere abrogativo intervenuta lite pendente (data, lo si ripete, dal combinato disposto dell’articolo 15 e dell’Allegato D, del d.lgs. n. 190/2024) assume rilievo nella fattispecie in questione anche sotto un ulteriore profilo.
Tale sopravvenienza, infatti, risulta antecedente alla formazione del giudicato che andrà a coprire il presente dictum giudiziale e, pertanto, è destinata ad incidere sul riesercizio del potere da parte delle amministrazioni resistenti, non interessando una situazione giuridica ad effetti istantanei stante la natura dell’atto amministrativo impugnato.
Per tale ragione, è possibile fare applicazione dei principi pretori formatisi in tema di giudicato amministrativo a formazione progressiva e sopravvenienze nelle ipotesi in cui residuino, a seguito dell’annullamento giurisdizionale, margini di discrezionalità in capo alle amministrazioni tenute alla riedizione del potere.
In proposito, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che “nella contrapposizione fra naturale dinamicità dell’azione amministrativa nel tempo ed effettività della tutela, un punto di equilibrio è stato tradizionalmente rinvenuto nel principio generale per cui l’esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile; sicché la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 11 del 9 giugno 2016).
Ordunque, anche per tali ragioni non potrebbe legittimamente disporsi un annullamento delle contestate previsioni del gravato d.m. del 21 giugno 2024, con obbligo per i Ministeri resistenti di rideterminarsi ora per allora senza tener conto della sopravvenienza normativa occorsa nelle more del presente giudizio.
3.6.4. Ad avviso del Collegio, anche a voler prescindere dagli effetti del vincolo conformativo che andrà a formarsi sulla presente pronuncia e dalle prospettate implicazioni sul riesercizio del potere amministrativo in questione, si rivelano in ogni caso infondate le censure con le quali è stata prospettata l’illegittimità della scelta amministrativa operata con l’articolo 3 del d.m. del 21 giugno 2024.
In proposito, giova evidenziare che le aree non idonee non costituiscono divieti aprioristici e assoluti alla installazione degli impianti FER, ma come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale rappresentano “meri indici rivelatori di possibili esigenze di tutela del paesaggio” (cfr. Corte cost., sent. n. 121/2022, par. 5.1.).
Le aree non idonee, invero, continuano a svolgere siffatta funzione anche nel rinnovato assetto normativo e regolamentare della materia, indipendentemente dal fatto che l’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024 definisca tali superfici come “incompatibili con l’installazione di specifiche tipologie di impianti”, poiché a ciò non risulta correlato un espresso divieto generalizzato di installazione degli impianti FER.
Vale rilevare, peraltro, che già sotto il previgente regime normativo e regolamentare il paragrafo 17 delle Linee Guida del 2010 specificava che il processo di ricognizione delle aree non idonee dovesse avvenire prendendo in considerazione gli “obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti”.
Le aree non idonee, quindi, si sono sempre caratterizzate per il fatto di essere aree incompatibili con il soddisfacimento degli obiettivi di protezione che l’ordinamento intende perseguire nella materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale della energia, senza che ciò si sia mai tradotto in una preclusione assoluta alla realizzazione ed esercizio degli impianti FER, valendo solo a indicare la sussistenza di una “elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione” (cfr. paragrafo 17.1 delle Linee Guida del 2010).
Anche sotto il vigente regime normativo, l’effetto della qualificazione di una superficie in termini di area non idonea è unicamente quello di precludere l’accesso al beneficio dell’accelerazione ed agevolazione procedimentale di cui all’articolo 22 del d.lgs. n. 199/2021, segnalando la necessità di un più approfondito e lungo apprezzamento delle amministrazioni competenti, strumentale a garantire una tutela più rafforzata del paesaggio, dell’ambiente e del territorio nell’ambito dei singoli procedimenti amministrativi di autorizzazione degli impianti FER.
3.6.5. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte sulla natura e la funzione delle aree non idonee nel nuovo assetto normativo, la circostanza per cui la loro individuazione non debba più avvenire con un atto amministrativo di programmazione, bensì con legge regionale, non vale di per sé a rendere illegittima la scelta operata con il gravato decreto ministeriale.
L’individuazione delle aree non idonee, infatti, non è rimessa al libero e indiscriminato arbitrio delle Regioni, come prospettato dalla Associazione ricorrente con il motivo di ricorso in esame, bensì costituisce il portato di una attività che deve necessariamente essere improntata al rispetto dei principi e dei criteri indicati dal legislatore delegato, a loro volta funzionalizzati, per espressa previsione della legge n. 53/2021, al soddisfacimento delle esigenze di salvaguardia del patrimonio culturale e del paesaggio e al principio della minimizzazione degli impatti sull’ambiente e il territorio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi sovranazionali di decarbonizzazione al 2030 (cfr. articolo 5 della legge n. 53/2021).
A tale ultimo riguardo, risulta indimostrato in base a quanto esposto in ricorso e prodotto in atti da Anev, che la individuazione delle aree non idonee con legge regionale impedisca il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, il che, secondo l’impostazione ricorsuale, costituirebbe la causa mediata della invocata lesione della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio.
A smentire l’assunto della Associazione ricorrente è sufficiente evidenziare come lo stesso gravato decreto ministeriale correli la disciplina delle aree idonee e non idonee con quella inerente al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, assegnando a ciascuna Regione l’obiettivo di raggiungere una quota parte (cd. burden sharing) della potenza totale aggiuntiva di 80 GW da fonti rinnovabili, da soddisfare mediante la traiettoria tracciata dall’articolo 2 del d.m. del 21 giugno 2024.
In ragione del fatto che è stata introdotta una specifica disciplina per il raggiungimento degli obiettivi assunti dall’Italia a livello unionale, nonché del fatto che il d.lgs. n. 199/2021 prevede anche dei meccanismi sostitutivi appannaggio dello Stato in caso di mancata promulgazione delle leggi regionali o di mancata osservanza dei principi e criteri fissati secondo il meccanismo previsto dal legislatore delegato, risulta del tutto irrilevante che la individuazione delle aree non idonee avvenga con legge regionale e non in sede amministrativa.
3.6.6. Vale, poi, evidenziare che le Linee Guida del 2010 altro non sono che un atto di matrice ministeriale, essendo state approvate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali.
Pertanto, il fatto che il legislatore abbia deciso di disciplinare nuovamente la materia delle aree non idonee mediante decreto ministeriale, per fissare ex novo i principi e i criteri da applicare nella individuazione di tale tipologia di superfici, non costituisce uno stravolgimento sostanziale del precedente assetto ordinamentale, come erroneamente lamentato dalla Associazione ricorrente.
Peraltro, la ragione della esigenza ravvisata dal legislatore delegante in ordine al riassetto della disciplina delle aree non idonee, deve essere ricercata nella circostanza che, successivamente all’assetto delineato dal d.lgs. n. 387/2003 e dalle Linee Guida del 2010, l’Italia ha assunto specifici obblighi in sede europea con riguardo alla produzione di energia da fonti rinnovabili (il riferimento è ai pacchetti “Fit for 55” e “Repower UE”).
Risulta, dunque, legittimo, razionale e confacente alle scelte di politica energetica nazionale – che non possono essere condizionate dai desiderata degli operatori del settore che, in vista della massimizzazione dei propri interessi economici, preferiscano che resti immutato un determinato assetto normativo e regolamentare – che il legislatore, per far fronte al mutato scenario ordinamentale, provveda a rivisitare la disciplina inerente alla individuazione delle aree non idonee alla realizzazione degli impianti FER, rientrando nelle scelte di politica legislativa e gravando, in primis, sullo Stato la responsabilità dell’adempimento degli obblighi sovranazionali.
3.6.7. Occorre, inoltre, porre in rilievo che l’installazione di impianti FER sul territorio nazionale è giuridicamente doverosa fino al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, tanto è vero che, in proposito, è stata espressamente tracciata una specifica traiettoria con il d.m. del 21 giugno 2024, che Anev non ha contestato con il ricorso in esame.
Il raggiungimento di tale obiettivo, tuttavia, deve coniugarsi con le esigenze di protezione del paesaggio, del patrimonio culturale, del territorio e dell’ambiente, come espressamente previsto dalla legge n. 53/2021 – e lo stesso vale, a fortiori, per l’installazione di impianti FER una volta raggiunta la quota minima correlata agli obiettivi di matrice eurounionale –.
Infatti, la legge delega prevede espressamente che la disciplina delle aree idonee e non idonee sia dettata nel “rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, nonché delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attività culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa”, sancendo poi, quale criterio direttivo specifico per la individuazione delle aree non idonee, il rispetto dei “principi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo” (articolo 5, comma 1, lett. a) e b).
La stessa giurisprudenza amministrativa, già in relazione al precedente assetto normativo, ha riconosciuto che non può accordarsi un favor indiscriminato agli obiettivi di produzione energetica, facendo divenire recessivi quelli legati alle esigenze di tutela del paesaggio e dell’ambiente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 8491 del 23 ottobre 2024).
Non può, quindi, essere validamente sostenuto che le contestate previsioni del d.m. del 21 giugno 2024 si pongano in contrasto con i principi e le disposizioni normative eurounitarie, per il sol fatto che la individuazione delle aree non idonee debba ora avvenire con legge regionale e non più secondo il modello delineato dall’abrogato articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003 e dalle Linee Guida del 2010.
Infatti, il principio di massima diffusione degli impianti FER (su cui infra) non può fungere da leva indiscriminata per la realizzazione senza vincoli di tali impianti nel territorio nazionale, dovendo essere giocoforza coniugato con altri valori ordinamentali di pari rango, quali quelli della tutela dell’ambiente e del paesaggio, presi espressamente in considerazione dal legislatore nazionale con le previsioni della legge n. 53/2021, rispetto alle quali la Associazione ricorrente non hanno prospettato alcuna forma di illegittimità con la proposizione del ricorso in esame.
3.7. Risulta, poi, completamente destituito di fondamento il profilo di censura che appunta sulla asserita inammissibilità della sub-delega conferita dal legislatore delegato solo ad alcuni Dicasteri ai fini della concreta introduzione della disciplina in materia di individuazione delle aree idonee e non idonee.
In proposito, è sufficiente evidenziare come sia stato previsto nella stessa legge delega (art. 5, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2021) che la disciplina in questione venisse dettata su proposta di alcuni specifici Ministeri, previa intesa con la Conferenza unificata. A tali specifiche modalità si è sostanzialmente attenuto il legislatore delegato, come emerge dalle previsioni di cui all’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021 (sulla legittimità costituzionale di una siffatta sub-delega vid., funditus, infra sub §.4.2.).
4. Con il secondo motivo di ricorso, come già esposto in narrativa (cfr., supra, sub §.2.2.1.), la Associazione ricorrente ha prospettato l’incostituzionalità dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 per violazione dei principi e delle disposizioni normative europee vigenti nella materia della produzione di energia da fonti rinnovabili, nella misura in cui con lo stesso sarebbe stata conferita alle Regioni una delega in bianco, in violazione dell’articolo 76 della Costituzione, in vista della introduzione di previsioni più restrittive in materia di aree idonee, rispetto a quelle vigenti al momento dell’avvio dell’iter di autorizzazione degli impianti FER che esse intendono realizzare.
Il libero apprezzamento del legislatore delegato, invero, non risulterebbe suscettibile di fungere da principio o criterio direttivo, con conseguente violazione anche dell’articolo 117, commi 1 e 3, della Costituzione.
4.1. Il Collegio ritiene che sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021.
4.2. Innanzitutto, si evidenzia che nel caso di specie non si ravvisa la prospettata ipotesi di inammissibile delega in bianco.
A tal proposito, occorre rilevare che non è possibile configurare la violazione dell’articolo 76 della Costituzione, ad opera del decreto legislativo delegato, per carente indicazione dei principi e dei criteri direttivi che la legge delega è tenuta a indicare nel rispetto del dettato costituzionale e del principio ordinamentale cardine di separazione dei poteri, che impongono al legislatore, in caso di delega al Governo della funzione legislativa, di fissare i limiti entro i quali l’eccezionale attività di normazione primaria del Governo può legittimamente svolgersi.
Orbene, nel caso di specie è la legge n. 53/2021 a fungere da legge delega e, quindi, il d.lgs. n. 199/2021 potrebbe essere sospettato di incostituzionalità solo qualora l’attività del legislatore delegato non si inserisca in modo coerente nel complessivo quadro normativo di riferimento, non sia rispettosa della ratio della delega e si ponga in contrasto con gli indirizzi da essa desumibili (cfr., ex multis, Corte cost., sentt. nn. 20/2018, 127/2017, 250/2016, 237/2013, 293/2010 e 230/2010).
Il d.lgs. n. 199/2021, nella parte in cui stabilisce che spetta alle Regioni individuare con legge le aree idonee, pone quale condizione di esercizio di tale attribuzione il rispetto dei principi e criteri da stabilire secondo le modalità, anche procedurali, individuate dall’articolo 20, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 199/2021.
Detta previsione risulta pienamente conforme ai principi e criteri direttivi specifici sanciti dall’articolo 5, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2021, atteso che tale ultima disposizione normativa prevede che la disciplina per la individuazione delle superfici e aree idonee e non idonee alla installazione degli impianti FER debba essere introdotta dal Governo “previa intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo”.
Tale modalità di delega, alla quale il legislatore delegato si è conformato con l’adozione del d.lgs. n. 199/2021, risulta pienamente legittima, atteso che la giurisprudenza costituzionale ha già avuto modo di affermare che la legge delega può consentire al legislatore delegato di devolvere a fonti secondarie lo sviluppo delle fonti primarie (cfr. Corte cost., sent. n. 261/2017), non costituendo una ipotesi di sub-delegazione illegittima, come tale incompatibile con l’articolo 76 della Costituzione, la circostanza per cui la legge delegata conferisca al potere esecutivo potestà di natura regolamentare di tipo tecnico (cfr., ex multis, Corte cost., sentt. nn. 127/1981, 139/1976, 125/1976 e 106/1967).
4.3. Oltretutto, l’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 non viola il disposto di cui all’articolo 117, commi 1 e 3, della Costituzione.
Tale disposizione normativa, nel replicare la previsione della legge delega, non attribuisce alle Regioni il compito di individuare le aree idonee senza rispettare specifici principi e criteri (e lo stesso dicasi per le aree non idonee, sebbene non menzionate dall’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021).
Invero, come già più volte evidenziato, le attribuzioni delle Regioni in materia di individuazione delle aree idonee e non idonee alla realizzazione di impianti FER devono essere esercitate nel rispetto dei principi e criteri all’uopo individuati secondo il meccanismo previsto dal legislatore delegato, per espressa previsione dell’articolo 5, comma 1, lett. a), della legge delega e dell’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021.
Tali principi e criteri, d’altronde, sono stati comunque formalmente previsti dall’articolo 7 del gravato decreto ministeriale, con la conseguenza che sotto tale profilo non coglie nel segno la prospettata illegittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 199/2021 per violazione dei sopra richiamati parametri di legittimità costituzionale.
4.4. Giova, inoltre, evidenziare che i principi e criteri direttivi specifici sanciti dall’articolo 5, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2021 in funzione della introduzione della disciplina inerente alla individuazione delle aree idonee e non idonee, non si caratterizzano per un elevato grado di specificità, in quanto la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia costituisce una materia di legislazione concorrente Stato-Regioni e, dunque, il legislatore delegante doveva necessariamente individuare principi e criteri direttivi che non oltrepassassero il limite dei principi fondamentali della materia che, come noto, funge da limite oggettivo della potestà normativa statuale nelle materie di competenza concorrente (cfr., in arg., Corte cost., sent. n. 50/2005).
5. Anev, con il terzo motivo di ricorso, ha lamentato l’illegittimità dell’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024 nella parte in cui le aree non idonee sono aprioristicamente qualificate come incompatibili con l’installazione di impianti FER.
Secondo la prospettazione della Associazione ricorrente, detta previsione risulterebbe illegittima anche perché le Regioni non potrebbero introdurre divieti preliminari e generali alla localizzazione di tali impianti.
Per tali ragioni, inoltre, l’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024 si porrebbe anche in contrasto con il principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, sancito a livello sovranazionale dalle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE e da tempo pure a livello nazionale, essendone espressione già l’abrogato d.lgs. n. 387/2003, tenuto conto del fatto che in materia di energia la fissazione dei principi fondamentali spetta allo Stato e non alle Regioni.
5.1. Il Collegio ritiene che neppure tale motivo di ricorso sia meritevole di favorevole considerazione e debba essere respinto.
5.2. Per ciò che concerne la asserita illegittimità della qualificazione delle aree non idonee come superfici incompatibili alla installazione di impianti FER, è sufficiente rinviare alle considerazioni già svolte in precedenza – da intendersi qui integralmente richiamate in ossequio al principio di sinteticità degli atti processuali sancito dal codice di rito – con le quali è stato evidenziato che una siffatta qualificazione, non accompagnata da un espresso divieto, non costituisce una preclusione assoluta, aprioristica e generalizzata alla installazione degli impianti FER su tali superfici, donde l’infondatezza del profilo di censura articolato sul punto dalla Associazione ricorrente.
5.3. Del pari infondato risulta, poi, il profilo di censura con il quale è stato prospettato il contrasto dell’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 1999 con il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile.
Atteso che la individuazione delle aree non idonee non preclude, in assoluto e in via generale, l’installazione degli impianti FER sulle superfici così qualificate, la relativa disciplina non risulta strumentale a sottrarre in via definitiva specifiche porzioni e tipologie di terreni alla installazione ed esercizio di detti impianti.
Vale, infatti, osservare che il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, che ha la sua fonte nella direttiva 2001/77/CE (come sostituita dalla direttiva 2009/28/CE e rifusa nella direttiva 2018/2001/UE), trova attuazione nella “generale utilizzabilità di tutti i terreni per l’inserimento di tali impianti, con le eccezioni stabilite dalle Regioni, ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti nell’ambito delle materie di competenza delle Regioni stesse” (cfr. Corte cost., sent. n. 224/2012, punto 4.5.).
Da tale arresto della giurisprudenza costituzionale emerge come il principio in questione non presenti un carattere si assoluta prevalenza nella materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, introducendo unicamente un divieto di sottrazione, indiscriminata e generalizzata, di specifiche tipologie di superfici rispetto alla installazione di impianti FER.
Ciò trova conferma nel fatto che la Corte costituzionale ha espressamente ammesso la possibilità che vengano previste precipue eccezioni a tale principio in vista della tutela di ulteriori interessi di rango costituzionale.
Anche la giurisprudenza amministrativa, sotto la vigenza del precedente impianto normativo, ha evidenziato che l’articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003, quale espressione del principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, non poteva essere interpretato nel senso che “l’interesse alla realizzazione degli impianti [FER, n.d.r.] debba sempre considerarsi prevalente su quello alla tutela dell’ambiente, perché ciò comporterebbe di fatto la sterilizzazione (e, quindi, la negazione) del bilanciamento di interessi cui è istituzionalmente preposta l’autorità competente in materia di VIA (peraltro, anch’essa sulla scorta di specifiche direttive europee)” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 7550 del 12 novembre 2021).
Se è vero che tale pronuncia inerisce all’applicazione del principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile nell’ambito dei procedimenti amministrativi di autorizzazione alla installazione degli impianti FER, la stessa è comunque utilmente richiamabile anche ai fini dell’esame della doglianza in questione perché pone l’accento sulla circostanza per cui l’applicazione del suddetto principio non possa valere a precludere ovvero ad attenuare la tutela di altri interessi ritenuti primari dall’ordinamento giuridico, la cui cura in concreto è del pari incisa dalla disciplina dettata dalle fonti normative di rango eurounitario, come appunto gli interessi di natura ambientale avuto riguardo alla disciplina di matrice unionale relativa alle procedure di valutazione di impatto.
5.4. Posto, quindi, che le aree non idonee fungono solo da indici rilevatori di esigenze di carattere paesaggistico-ambientale che le amministrazioni procedenti sono tenute a gestire in maniera più articolata nell’ambito dei singoli procedimenti di autorizzazione – il che risulta anche compatibile con i principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega ai fini della introduzione della disciplina della individuazione delle aree idonee e non idonee – il mero utilizzo lessicale del termine “incompatibile” non accompagnato da un correlato divieto aprioristico e generalizzato, non vale a rendere l’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024, contrastante con il principio eurounitario della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile.
6. Anev, con il quarto motivo di ricorso ha lamentato l’illegittimità dell’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024 sotto due distinti profili: a) per aver previsto che “Le Regioni possono individuare come non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, con ciò riducendo ulteriormente le aree effettivamente utilizzabili per la installazione di impianti FER, essendo sottratte anche quelle ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lett. c) e d), del d.lgs. n. 42/2004; b) per aver concesso alle Regioni la facoltà di stabilire “una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un massimo di 7 km”, il che risulterebbe del tutto ingiustificato, tenuto conto che le eventuali limitazioni alla realizzazione di impianti FER devono essere proporzionate, ragionevoli e giustificate da motivazioni ambientali e paesaggistiche concrete ed adeguate, senza impedire in modo aprioristico e vincolante la realizzazione di tali impianti.
6.1. Il Collegio ritiene che il profilo di censura sub a) non sia meritevole di accoglimento, mentre risulti fondato quello articolato sub b).
6.2. Ad avviso del Collegio, per ciò che riguarda il profilo di doglianza sub a), l’attribuzione alle Regioni della facoltà di individuare come non idonee le aree ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, ossia, i beni paesaggistici di cui all’articolo 136, comma 1, lett. c) e d), Cbcp – in quanto non richiamati espressamente tra i beni sottoposti a tutela che l’articolo 7, comma 3, prima parte, del d.m. del 21 giugno 2024, considera ex se “aree non idonee” – non presenta i tratti di illegittimità prospettati dalla Associazione ricorrente.
6.2.1. Tale previsione, infatti, non costituisce una novità dell’attuale impianto normativo, ponendosi per converso in linea di continuità con quanto già previsto dalla lettera f), dell’Allegato 3, delle Linee Guida del 2010, che concedeva alle Regioni la medesima facoltà con riferimento agli “immobili e le aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’articolo 136 dello stesso decreto legislativo [42/2004, n.d.r.]”, vale a dire a tutti i beni paesaggistici, tenuto conto che la previsione delle Linee Guida era speculare all’oggetto della rubrica dell’articolo 136 Cbcp, che appunto recita “Immobili ed aree di notevole interesse pubblico”.
La differenza con il precedente regime, invero, si apprezza in relazione alle lettere a) e b), dell’articolo 136, comma 1, Cbcp, in quanto relativamente alle superfici sulle quali insistono i beni paesaggistici contemplati da tali previsioni normative la qualificazione di area non idonea viene attribuita direttamente dal d.m. del 21 giugno 2024, non formando oggetto di una mera facoltà riconosciuta alle Regioni – e, quindi, anche non esercitabile –. Questo aspetto, che potrebbe essere considerato un aggravamento del precedente regime, non risulta tuttavia contestato dalla Associazione ricorrente con il ricorso in esame.
6.2.2. Vale, in ogni caso, evidenziare che la contestata scelta amministrativa operata dall’articolo 7 del d.m. del 21 giugno 2024 in relazione alle aree inerenti ai beni paesaggistici di cui alle lettere c) e d), del comma 1, dell’articolo 136 del d.lgs. n. 42/2004, si appalesa logica e ragionevole, tenuto conto del fatto che è stata prevista una differente graduazione dell’intervento di individuazione delle aree non idonee a seconda della tipologia di bene paesaggistico concretamente insistente sul territorio suscettibile di essere interessato dalla installazione di un impianto FER.
In particolare, solo relativamente ai beni di cui all’articolo 136, comma 1, lett. a) e b), Cbcp l’apprezzamento di compatibilità paesaggistica è destinato ad essere sempre particolarmente intenso nell’ambito dei singoli procedimenti di autorizzazione, stante la sicura qualificazione di non idoneità delle aree sulle quali essi insistono, in quanto direttamente sancita dall’articolo 7 del d.m. del 21 giugno 2024.
Per converso, in relazione alle aree sulle quali insistono i beni contemplati dall’articolo 136, comma 1, lett. c) e d), Cbcp, le implicazioni in termini di compatibilità paesaggistica all’interno dei singoli procedimenti autorizzativi dipenderanno dalle scelte qualificatorie che saranno operate dalle Regioni, ferme restando le competenze delle autorità statali e regionali deputate alla tutela dei beni in questione.
6.2.3. D’altronde, a fronte degli specifici principi e criteri stabiliti dalla legge n. 53/2021 in subiecta materia, una eventuale completa esclusione dei beni paesaggistici contemplati dall’articolo 136, comma 1, lett. c) e d), Cbcp dall’alveo della disciplina inerente alla individuazione delle aree non idonee, avrebbe potuto inficiarne la legittimità per violazione della delega legislativa.
Infatti, come già evidenziato in precedenza, la disciplina che l’Esecutivo è stato chiamato a dettare in ordine alla individuazione delle aree idonee e non idonee, doveva necessariamente prendere in considerazione le esigenze di tutela del “patrimonio culturale e del paesaggio” (articolo 5, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2021) e, al contempo, garantire la minimizzazione degli impatti “sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio” (articolo 5, comma 1, lett. b), della legge n. 53/2021), sicché non sarebbe stato legittimo introdurre un regime differenziato per i beni espressamente ricompresi nel novero di quelli paesaggistici tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004.
6.3. Il Collegio, viceversa, reputa meritevole di accoglimento il profilo di censura inerente alla facoltà, per le Regioni, di prevedere fasce di rispetto dei beni sottoposti a tutela fino a 7 chilometri dal relativo perimetro.
6.3.1. Ad avviso del Collegio, il fatto che il contestato vincolo quantitativo dettato dall’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024 non costituisca una misura fissa – bensì il limite superiore del range fino a 7 chilometri nell’ambito del quale le Regioni possono determinare l’ampiezza della fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela in sede di individuazione delle aree non idonee – non vale a rendere legittima la scelta operata dalle amministrazioni resistenti.
Del pari, non vale a compensare il deficit di legittimità lamentato dalla Associazione ricorrente la circostanza per cui l’ampiezza della fascia di rispetto sia, di volta in volta, determinata dalle Regioni a seconda della tipologia di impianto FER da realizzare e sia, del pari, proporzionata al bene oggetto di tutela.
6.3.2. In particolare, l’invocato difetto di proporzionalità del vincolo quantitativo in questione emerge prendendo in considerazione quanto previsto dall’articolo 20, comma 8, lett. c-quater), del d.lgs. n. 199/2021, nella parte in cui, nell’ampliare il novero delle aree idonee ope legis nelle more della loro stabile individuazione da parte delle Regioni, ha individuato specifiche fasce di rispetto per gli impianti eolici e fotovoltaici.
Ancorché il legislatore delegato abbia individuato tali fasce di rispetto ai soli fini di quanto previsto dall’articolo 20, comma 8, lett. c-quater), del d.lgs. n. 199/2021 – vale a dire, con l’intento di perimetrare i confini delle aree idonee ulteriori a quelle dei siti già compromessi da trasformazioni antropiche (i.e., le superfici contemplate dall’articolo 20, comma 8, lett. da a) a c-ter) – ha implicitamente ritenuto che le superfici ricadenti nelle fasce di rispetto non siano ope legis idonee alla installazione degli impianti FER, sottraendole così al beneficio della accelerazione e agevolazione procedimentale previsto dall’articolo 22 del d.lgs. n. 199/2021.
6.3.3. Rispetto alla iniziale previsione dell’articolo 20, comma 8, lett. c-quater), del d.lgs. n. 199/2021 – in forza della quale la fascia di rispetto per gli impianti eolici era fissata in sette chilometri e per gli impianti fotovoltaici in un chilometro – con le modifiche apportate dall’articolo 47, comma 1, lett. a), n. 2.1), del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, convertito con modificazioni dalla legge 21 aprile 2023, n. 41, dette fasce di rispetto sono state rispettivamente rideterminate in tre chilometri e cinquecento metri.
Ciò, ad avviso del Collegio, costituisce un chiaro indice del fatto che la originaria previsione normativa risultava eccessiva rispetto alle esigenze di tutela dei beni culturali e paesaggistici, posto che lo stesso legislatore, cui appartiene la competenza legislativa esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, è intervenuto a modificare, con una legge successiva, l’iniziale previsione dell’articolo 20, comma 8, lett. c-quater), del d.lgs. n. 199/2021.
La modifica apportata dall’articolo 47, comma 1, lett. a), n. 2.1), del d.-l. n. 13/2023, infatti, non può che essere considerata una misura di protezione dei beni culturali e del paesaggio, poiché introdotta al di fuori del meccanismo della delega legislativa e, quindi, può essere considerata espressione dell’esercizio della competenza statuale esclusiva di cui all’articolo 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, ancorché destinata ad esplicare i suoi effetti anche nell’ambito della materia concorrente della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
6.3.4. Occorre, poi, ricordare che l’indicazione di uno specifico e proporzionato parametro di riferimento per l’individuazione delle fasce di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 in funzione della determinazione della qualità delle aree per la installazione di impianti FER, rappresenta un criterio indefettibile per l’esercizio della potestà normativa concorrente delle Regioni in subiecta materia, tenuto anche conto del fatto che nel vigente assetto normativo e regolamentare, è con il veicolo giuridico della legge regionale che devono essere individuate sia le aree idonee, sia quelle non idonee.
Più in dettaglio, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, le Regioni non possono di per sé introdurre limiti generali, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma delle distanze minime (cfr. Corte cost., sent. n. 13/2014), sicché risulta indispensabile che il legislatore statale individui ex ante, in maniera ragionevole e proporzionata, i limiti entro cui le Regioni possono introdurre vincoli quantitativi suscettibili di incidere sugli itinera procedimentali di autorizzazione degli impianti FER.
6.3.5. Nel caso di specie, il fatto che le amministrazioni resistenti, in attuazione della delega legislativa, abbiano previsto un unico e generale vincolo quantitativo, ancorché sub specie di limite superiore del range di possibile ampiezza delle fasce di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, risulta illegittimo.
6.3.5.1. In primo luogo, l’illegittimità dell’articolo 7 del d.m. del 21 giugno 2024 discende dal fatto che tale previsione abilita le Regioni a prevedere fasce di rispetto più ampie, in relazione alla installazione di impianti eolici e fotovoltaici, rispetto a quelle previste dal legislatore ai sensi dell’articolo 20, comma 8, lett. c-quater), del d.lgs. n. 199/2021.
Ciò disvela l’irragionevolezza di fondo della contestata scelta amministrativa, poiché le fasce di rispetto individuate dal legislatore risultano già espressive di specifiche esigenze di tutela dei beni culturali e paesaggistici, sicché risulta difficile ipotizzare che vi siano ulteriori e più specifiche ragioni che possano legittimare le Regioni a discostarsi dalle scelte operate a monte dal legislatore statale cui, come detto, spetta la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dei predetti beni.
6.3.5.2. In secondo luogo, l’illegittimità della scelta amministrativa operata con il contestato articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024 discende anche dal fatto che la stessa si sostanzia, di fatto, in una integrale devoluzione alle Regioni del compito di individuare specifiche misure di rafforzamento della protezione dei beni culturali e paesaggistici per ciascuna tipologia di impianto FER individuato dal d.lgs. n. 190/2024.
Le Regioni, che come detto non possono introdurre ex se divieti quantitativi di carattere generalizzato che limitino l’installazione di impianti FER nel territorio nazionale, si troverebbero a operare in assenza di specifici parametri normativi di riferimento – quantomeno nella forma di distinti range per tipologia di impianto FER – essendo appunto unico il range individuato per la determinazione delle fasce di rispetto, spettando, di conseguenza, alle Regioni la effettiva differenziazione di tali fasce in base a tipologia e taglia dell’impianto, nonché alle caratteristiche dei beni oggetto di tutela.
Tale attività, tuttavia, dovrebbe essere improntata al rispetto di più specifici criteri dettati dal legislatore statale, eventualmente anche ricorrendo a meccanismi di delega come avvenuto nel caso di specie, sia perché la individuazione delle fasce di rispetto si risolve sostanzialmente in una misura di salvaguardia di beni culturali, ambientali e paesaggistici, sia perché il legislatore statale è dotato delle conoscenze adeguate per provvedere alla determinazione degli specifici range di ampiezza delle differenti fasce di rispetto da individuare, come emerge dalla piana disamina della disciplina di dettaglio in materia di regimi autorizzativi degli impianti FER di cui al d.lgs. n. 190/2024. Infatti, tale ultimo provvedimento legislativo, agli Allegati A, B e C differenzia i diversi impianti, quanto al regime amministrativo applicabile, in funzione delle loro caratteristiche strutturali e di potenza, il che fa emergere come la medesima operazione sarebbe possibile anche con riferimento alla determinazione delle fasce di rispetto dei beni sottoposti a tutela.
7. Anev, con il quinto motivo di ricorso e relativamente al profilo di censura non ritenuto inammissibile, ha lamentato l’illegittimità costituzionale del d.m. del 21 giugno 2024 per eccesso di delega, atteso che l’articolo 7, comma 2, lett. c), nell’attribuire alle Regioni la mera possibilità di fare salve le aree idonee di cui all’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021, non garantirebbe una qualificazione uniforme, su tutto il territorio nazionale, di aree idonee, potendo ingenerare situazioni differenziate tra Regione e Regione.
La previsione di una mera facoltà, inoltre, darebbe luogo anche alla violazione dei principi di tutela dell’affidamento e degli investimenti già realizzati, in contrasto con la Costituzione e con la normativa eurounitaria.
7.1. Il Collegio ritiene che tale censura sia radicalmente infondata, essendo già stato evidenziato, in sede di delibazione del primo motivo di ricorso (supra sub §.3.2), che non può essere validamente prospettata una questione di legittimità costituzionale nei confronti di un regolamento o di un atto amministrativo generale, non potendo tale atto formare oggetto del giudizio di costituzionalità ai sensi di quanto previsto dall’articolo 134 della Costituzione.
8. Il Collegio ritiene fondato il sesto motivo di ricorso, con il quale è stata contestata la legittimità del gravato d.m. del 21 giugno 2024 per assenza di una normativa transitoria di salvaguardia dei procedimenti di autorizzazione degli impianti FER in corso di svolgimento.
8.1. Vale, innanzitutto, rilevare che prima dell’adozione del decreto legislativo delegato n. 199/2021 non vigeva alcun regime amministrativo che prendesse in considerazione la realizzazione di impianti FER in aree considerate idonee, atteso che alle Regioni era riconosciuta unicamente la facoltà di procedere alla individuazione delle aree non idonee.
Orbene, tenuto conto che l’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 1), della legge n. 53/2021 si è limitato a stabilire che all’atto della introduzione della disciplina per la individuazione delle aree idonee e non idonee il legislatore delegato dovesse anche prevedere “misure di salvaguardia delle iniziative di sviluppo in corso che risultino coerenti con i criteri di localizzazione degli impianti preesistenti rispetto a quelli definiti nella presente lettera”, prima dell’adozione del d.m. del 21 giugno 2024, le uniche iniziative suscettibili di ricadere in area idonea risultano circoscritte a quelle localizzate nelle aree idonee, individuate ope legis ancorché in maniera transeunte, dall’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021.
8.2. Orbene, il gravato decreto ministeriale non prevede alcuna misura di salvaguardia per tali iniziative, limitandosi ad attribuire alle Regioni la mera “possibilità di fare salve le aree idonee di cui all’art. 20, comma 8 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (articolo 7, comma 2, lett. c).
Ciò, tuttavia, risulta insufficiente a salvaguardare tali iniziative dalle sopravvenienze normative che, in seguito all’adozione delle leggi regionali, potrebbero mutare la qualificazione delle aree su cui sono localizzati gli impianti per i quali risultano in corso i procedimenti di autorizzazione, al momento dell’adozione del d.m. del 21 giugno 2024.
La concessione della suddetta facoltà, infatti, non assicura il mantenimento della qualificazione di area idonea operata medio tempore dalla legge e, dunque, non può costituire una valida misura di salvaguardia delle iniziative in corso, tenuto conto del fatto che le stesse, in base al combinato disposto dell’articolo 20, comma 8, e 22, del d.lgs. n. 199/2021 hanno avuto accesso alle agevolazioni e accelerazioni procedimentali previste con la introduzione del regime delle aree idonee.
8.3. Ad avviso del Collegio non vale a far venir meno l’interesse della Associazione ricorrente la circostanza che con l’articolo 15, comma 2, del d.lgs. 25 novembre 2024, n. 190, recante la “Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell’articolo 26, commi 4 e 5, lettera b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118”, il legislatore statale abbia previsto che “A far data dall’entrata in vigore del presente decreto ai sensi dell’articolo 17, le disposizioni di cui all’allegato D continuano ad applicarsi alle procedure in corso, fatta salva la facoltà del soggetto proponente di optare per l’applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto. Ai fini di cui al primo periodo, per procedure in corso si intendono quelle abilitative o autorizzatorie per le quali la verifica di completezza della documentazione presentata a corredo del progetto risulti compiuta alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
8.4. Infatti, se è vero che tra le disposizioni dell’allegato D del d.lgs. n. 190/2024 figura anche, alla lettera d), lo “articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e la relativa tabella A” e alla lettera h), gli “articoli 4, 5, 6, 6-bis, 7-bis e 8-bis del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28”, ciò non vale a garantire l’applicazione del regime delle aree idonee previsto dall’articolo 22 del d.lgs. n. 199/2021 anche alle iniziative in corso che siano localizzate sulle aree idonee individuate ope legis ai sensi dell’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021.
Infatti, il regime amministrativo di favor previsto per le aree idonee si aggiunge e non si sostituisce ai regimi amministrativi per così dire “di base”, con la conseguenza che la possibilità per il proponente di optare per l’applicazione di regimi amministrativi di base abrogati, non assicura l’impermeabilità della valutazione amministrativa rispetto a possibili sopravvenienze normative incidenti in negativo, a fini procedimentali, sulla qualificazione del sito di localizzazione dell’impianto FER in corso di autorizzazione.
9. Anev, con il settimo motivo di ricorso, ha articolato i seguenti tre profili di censura: i) ha contestato nuovamente la legittimità della previsione di cui all’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024, in relazione alla facoltà concessa alle Regioni di determinare le fasce di rispetto dei beni sottoposti a tutela fino ad una ampiezza di 7 chilometri; ii) ha contestato la legittimità del d.m. del 21 giugno 2024 nella parte in cui non conterrebbe i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare il legislatore regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni, né tantomeno norme di dettaglio autoapplicative; iii) ha prospettato l’illegittimità costituzionale del gravato decreto ministeriale per violazione dell’articolo 76 della Costituzione, sull’assunto che le disposizioni impugnate contrasterebbero con i principi e i criteri direttivi di cui all’articolo 5, comma 1, lett. a), n. 1), della legge n. 53/2021.
9.1. Il Collegio ritiene che il profilo di censura sub i) sia speculare al profilo di censura articolato con il quarto motivo di ricorso e già scrutinato favorevolmente, di tal misura che può rinviarsi integralmente ai paragrafi nei quali è stata affrontata siffatta questione (supra sub §.6.3 e seguenti).
9.2. Il Collegio, viceversa, non ritiene fondata la censura con la quale è stata prospettata l’illegittimità costituzionale del gravato d.m. del 21 giugno 2024 per contrasto con l’articolo 76 della Costituzione, sulla scorta delle medesime considerazioni già svolte con riguardo alle censure con le quali sono state prospettate analoghe questioni di legittimità costituzionale dell’impugnato decreto ministeriale, alle quali pure integralmente si rinvia (supra sub §.3.2 e §.7.1).
9.3. Il Collegio, invece, ritiene fondato il profilo di censura sub ii) per le seguenti ragioni di diritto, che può essere esaminato congiuntamente all’ottavo motivo di ricorso, con il quale si denuncia l’illegittimità del d.m. del 21 giugno 2024 nella parte in cui non avrebbe previsto principi e criteri omogenei per la individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione degli impianti FER.
9.4. Principiando dalla disamina dei criteri per la individuazione delle aree idonee, vale porre in rilievo che l’articolo 7, comma 2, del d.m. del 21 giugno 2024 si limita sostanzialmente a ripetere quanto già previsto dall’articolo 5, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2021, con la mera aggiunta dell’inciso “nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica” e dell’inciso “ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili”.
Le previsioni di cui all’articolo 7, comma 2, lett. b) e c), del d.m. del 21 giugno 2024 – che attribuiscono alle Regioni, da un lato, la facoltà di classificare le aree idonee in base a fonte, taglia e tipologia di impianto e, dall’altro, la possibilità di far salve le aree idonee individuate dall’articolo 20, comma 8, del d.lgs. n. 199/2021 – non valgono a compensare il contestato deficit di specificità che inficia la legittimità dei criteri dettati dal gravato decreto ministeriale per la individuazione delle aree idonee, atteso che il contenuto precettivo di tali previsioni non è atto a declinare i principi e i criteri direttivi specifici stabiliti dal legislatore delegante con l’articolo 5, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2021.
Risulta, pertanto, sostanzialmente violata, ad opera del gravato d.m. del 21 giugno 2024, la delega legislativa in relazione alla previsione dei principi e criteri per la individuazione delle aree idonee, difettando quel grado di specificità, anche minimo, richiesto per attuare la delega legislativa, ancorché in un contesto caratterizzato dalla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni nella materia della produzione, distribuzione e trasporto nazionale dell’energia, funzionale a garantire il concreto e corretto esercizio delle attribuzioni spettanti alle Regioni.
9.5. Del pari, anche la previsione dei criteri per la individuazione delle aree non idonee sconta il medesimo deficit di specificità innanzi delineato, sicché pure l’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024 risulta illegittimo per le medesime ragioni sin qui esposte.
In proposito, è sufficiente confrontare il disposto dell’articolo 7, comma 3, del d.m. del 21 giugno 2024 con l’Allegato 3 delle Linee Guida del 2010, per porre in luce come al netto delle previsioni inerenti alle aree non idonee ope legis, alle aree che possono essere dichiarate non idonee in relazione al perimetro dei beni paesaggistici di cui all’articolo 136, comma 1, lett. c) e d), del d.lgs. n. 42/2004 e alla possibilità di prevedere fasce di rispetto differenziate per i beni sottoposti a tutela (disposizione che, peraltro, sconta ulteriori e specifici vizi di legittimità, come esposto in precedenza), manca l’individuazione di criteri tecnici di tipo oggettivo, correlati ad aspetti strettamente inerenti alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale, idonei a guidare le Regioni nell’esercizio delle attribuzioni ad esse spettanti in subiecta materia.
Così, ad esempio, non sono stati previsti criteri di valutazione tarati sulla tipologia di fonte rinnovabile e/o sulla taglia dell’impianto, non sono stati previsti criteri per valutare le situazioni di concentrazione di impianti FER nella medesima area ovvero di interazione con altri progetti o programmi, né sono stati previsti criteri per apprezzare adeguatamente specifiche aree, quali i siti Rete Natura 2000, le aree naturali protette, quelle caratterizzate da dissesto e/o rischio idrogeologico, ecc.
Peraltro, riconoscere alle Regioni delle facoltà indicate dall’articolo 7, comma 2, del d.m. del 21 giugno 2024 non equivale a fornire alle stesse i criteri applicativi necessari per dare attuazione ai principi e criteri direttivi specifici individuati nella legge delega e riprodotti anche nell’articolo 20, comma 3, del d.lgs. n. 199/2021.
Non risultano, quindi, legittimamente declinati i principi e i criteri direttivi specifici sanciti dall’articolo 5, comma 1, lett. a) e b), della legge n. 53/2024, con la conseguenza che le previsioni dell’articolo 7, commi 2 e 3, del gravato decreto ministeriale risultano illegittime per violazione dei parametri di legittimità invocati dalla Associazione ricorrente.
9.6. La carente specificità dei criteri di individuazione si traduce anche nel difetto di omogeneità censurato con l’ottavo motivo. A riguardo, va rilevato che il requisito normativo della omogeneità deve essere apprezzato non rispetto all’intrinseco contenuto dei principi e criteri concretamente individuati, traguardati alla luce della diretta comparazione tra gli stessi – vale a dire, nel raffronto tra quelli previsti per la individuazione delle aree idonee e quelli dettati per la individuazione delle aree non idonee – bensì nella loro attitudine ad essere applicati in maniera uniforme nell’intero territorio nazionale.
D’altronde, la individuazione delle aree idonee e di quelle non idonee sottende, per ragioni strumentalmente correlate alla funzione di tali istituti, considerazioni di ordine ambientale, culturale e paesaggistico non del tutto sovrapponibili, il che corrobora la legittimità della previsione di principi e criteri applicativi non del tutto speculari dal punto di vista contenutistico-strutturale.
Ad avvalorare la correttezza della opzione esegetica proposta, in forza della quale si ritiene che il requisito normativo della omogeneità debba essere declinato in termini effettuali e non strutturali, depone anche la circostanza per cui l’individuazione delle aree idonee e non idonee ingloba anche apprezzamenti relazionati con la tutela del territorio e la salvaguardia dei beni paesaggistici e culturali.
La richiesta omogeneità applicativa dei principi e criteri in questione, pertanto, risponde anche all’esigenza che la disciplina della individuazione delle aree idonee e non idonee non ostacoli il mantenimento di standard uniformi di tutela paesaggistico-ambientale sull’intero territorio nazionale, tenuto conto delle implicazioni che da essa discendono su tale versante ordinamentale. Invero, la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire, con riferimento alle modalità di approvazione del piano territoriale paesaggistico regionale, che anche gli strumenti di pianificazione regionale risultano strumentali a garantire una effettiva e uniforme tutela paesaggistico-ambientale (cfr. Corte cost., sent. n. 221/2022, p. 5.1.).
Pertanto, in un contesto ordinamentale caratterizzato dalle anzidette esigenze di uniformità di tutela, pur a fronte delle specificità territoriali delle singole Regioni, una disciplina, quale quella della individuazione delle aree idonee e non idonee che intercetta anche aspetti relazionati con la salvaguardia dei beni paesaggistici e culturali, non può che presentare a sua volta un impianto tale da garantire la sua uniforme applicazione in tutto il territorio nazionale.
9.7. In questa prospettiva, sia i criteri di individuazione delle aree idonee, sia quelli che presiedono alla perimetrazione delle aree non idonee scontano il difetto di omogeneità censurato da parte della Associazione ricorrente. I primi, infatti, in ragione della loro carente specificità, si risolvono in una sostanziale devoluzione alle Regioni dell’onere di individuare dette aree sul proprio territorio senza la “guida” dei principi e criteri statali che il legislatore delegante aveva previsto che fossero dettati in sede di attuazione della delega legislativa conferita con la legge n. 53/2021, con conseguente frustrazione delle esigenze di uniformità strumentali alla tutela dei valori di rango primario incisi dall’esercizio delle attribuzioni regionali in subiecta materia.
Parimenti difetta di omogeneità il criterio con il quale l’articolo 7, comma 3, del gravato decreto ministeriale ha previsto un unico range di ampiezza fino a sette chilometri per la possibile individuazione delle fasce di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela.
Tale criterio, infatti, risulta suscettibile di ingenerare applicazioni della disciplina per la individuazione delle aree non idonee differenziate tra le distinte Regioni, ponendosi in contrasto con l’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021, così come prospettato dalla Associazione ricorrente.
10. La Associazione ricorrente, con il nono motivo di ricorso, ha nuovamente contestato la legittimità dell’articolo 1, comma 2, lett. b), del d.m. del 21 giugno 2024, relativamente alla qualificazione delle aree non idonee come aree incompatibili con la installazione di impianti FER.
10.1. Tale censura è stata, invero, già ampiamente scrutinata dal Collegio che l’ha ritenuta infondata. Pertanto, è possibile rinviare integralmente, per ragioni di sinteticità, alle considerazioni già svolte su tale doglianza in sede di delibazione del primo e del terzo motivo di ricorso.
11. In definitiva, sulla scorta delle suesposte considerazioni:
– il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per Hergo Renewables S.p.A., I.V.P.C. S.r.l., Acciona Energia Global Italia S.r.l., Farpower S.r.l., Eurowind Energy S.r.l., Arpinge Energy Efficiency & Renewables S.r.l., WPD Italia S.r.l., Lucky Wind S.p.A., Engie Energies Italia S.r.l., Wind Italy 1 S.r.l., Vestas S.p.A., Naturgy Rinnovabili Italia S.r.l., Fred Olsen Renewables Italy S.r.l., Inergia S.p.A. e Margherita S.r.l.;
– il secondo profilo di censura articolato con il quinto motivo di ricorso, nonché il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso, devono essere dichiarati inammissibili;
– il quarto e il settimo motivo di ricorso, limitatamente al secondo profilo di censura con essi rispettivamente articolato, nonché il sesto motivo di ricorso e l’ottavo motivo vanno accolti stante la loro fondatezza e, per l’effetto, deve essere annullato l’articolo 7, commi 2 e 3, del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 nei termini esposti in motivazione con obbligo, per le amministrazioni ministeriali resistenti, di rieditare i criteri per la individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili, nonché di dare attuazione al disposto di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), n. 1), della legge 22 aprile 2021, n. 53 entro il termine di 60 (sessanta) giorni dalla notifica della presente sentenza o dalla sua comunicazione in via amministrativa, ove anteriore, senza vincolo di contenuto ma nel rispetto di quanto statuito con il presente dictum giudiziale;
– devono essere respinti tutti i restanti motivi di ricorso e gli altri profili di censura articolati con il quarto, il quinto e il settimo motivo di ricorso.
12. Le spese di lite, in ragione della novità e della complessità delle questioni trattate, possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– lo dichiara inammissibile per Hergo Renewables S.p.A., I.V.P.C. S.r.l., Acciona Energia Global Italia S.r.l., Farpower S.r.l., Eurowind Energy S.r.l., Arpinge Energy Efficiency & Renewables S.r.l., WPD Italia S.r.l., Lucky Wind S.p.A., Engie Energies Italia S.r.l., Wind Italy 1 S.r.l., Vestas S.p.A., Naturgy Rinnovabili Italia S.r.l., Fred Olsen Renewables Italy S.r.l., Inergia S.p.A. e Margherita S.r.l.;
– dichiara inammissibili il quinto motivo di ricorso, con riferimento al secondo profilo di censura in esso articolati, nonché il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso;
– accoglie il quarto e il settimo motivo di ricorso, limitatamente al secondo profilo di censura con essi rispettivamente articolato, nonché il sesto motivo di ricorso e l’ottavo motivo nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’articolo 7, commi 2 e 3, del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 nei termini esposti in motivazione, con obbligo, per le amministrazioni ministeriali resistenti, di rieditare i criteri per la individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili, nonché di dare attuazione al disposto di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), n. 1), della legge 22 aprile 2021, n. 53 entro il termine di 60 (sessanta) giorni dalla notifica della presente sentenza o dalla sua comunicazione in via amministrativa, ove anteriore, senza vincolo di contenuto ma nel rispetto di quanto statuito con il presente dictum giudiziale;
– rigetta i restanti motivi di ricorso e gli altri profili di censura articolati con il quarto, il quinto e il settimo motivo di ricorso.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2025 con l’intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Luca Biffaro, Referendario, Estensore
Marco Savi, Referendario
L’ESTENSORE
Luca Biffaro
IL PRESIDENTE
Elena Stanizzi
IL SEGRETARIO