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Giurisprudenza

 

 

Parchi e riserve - Aree protette

Diritto ambientale

 

Anni:  2011 - 2010

2009 - 2008 -2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 - 2001 - 2000 - 1999-95

 

 

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Vedi anche: Urbanistica 

(Sentenze rilevanti: D.Lvo 1999 n.490 - Galasso

     

 

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AREE PROTETTE - Emergenza rifiuti in Campania - D.L. n. 90/2008 - Previsione di una discarica entro i confini del Parco Nazionale del Vesuvio - Compatibilità normativa - Divieto di aprire ed esercire discariche - Carattere di assoluta insuperabilità - Esclusione - Ragioni.
La (parziale) dislocazione dell’area interessata dalla realizzanda discarica di cui al D.L. n. 90/2008 all’interno del territorio di competenza del Parco Nazionale del Vesuvio non assurge a rilievo inficiante della previsione legislativa presupposta e degli atti amministrativi. Prevede infatti la legge 6 dicembre 1991 n. 394 (legge quadro sulle aree protette) che all’interno del territorio dei Parchi nazionali sono vietati, fra l’altro, l'apertura e l'esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l'asportazione di minerali (art. 11, comma 3, lett. b). Tale divieto, tuttavia, non riveste carattere di assoluta insuperabilità, alla luce di quanto stabilito dal successivo comma 4: il quale demanda al regolamento del Parco stesso l’individuazione delle ipotesi di consentita deroga alle prescrizioni del predetto comma 3. Se è vero che una disposizione regolamentare è suscettibile di incidere sulla inderogabilità del divieto di che trattasi, e se è altrettanto vero che rientra comunque nella competenza statale la disciplina della materia ambientale, non si ha, invero, motivo di dubitare della legittimità di una previsione (quale quella concernente la localizzazione geografica della realizzanda discarica in località Cava Vitiello nel Comune di Terzigno) che abbia introdotto una deroga al divieto di cui al citato art. 11 della legge 394/1991: in proposito dovendosi osservare come il rango primario della norma legislativa non soltanto conferisce alle relative previsioni valenza premiante rispetto alle previgenti disposizioni promananti da equipollente fonte, ma, a fortiori, consente ad essa di imporsi, con ogni evidenza, rispetto ad eventuali dissonanti disposizioni promananti da previsione regolamentare. mPres. Giovannini, Est. Politi - V.A. e altri (avv.ti Sorge, Sorge e Di Costanzo) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.). TAR LAZIO, Roma, Sez. I - 18 gennaio 2010, n. 319

 

FAUNA E FLORA - AREE PROTETTE - Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche - Decisione dello Stato membro di non approvare per motivi diversi da quello di tutela dell’ambiente - Esclusione - Interessi e posizioni da prendere in considerazione - Ratio - Art. 4, n. 2 Direttiva 92/43/CEE come mod. dalla direttiva 2006/105/CE. L’art. 4, n. 2, primo comma, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 novembre 2006, 2006/105/CE, dev’essere interpretato nel senso che esso non consente ad uno Stato membro di non approvare, per motivi diversi da quello di tutela dell’ambiente, l’inclusione di uno o più siti nel progetto di elenco dei siti d’importanza comunitaria elaborato dalla Commissione europea. Se fosse consentito agli Stati membri, nella fase della procedura di classificazione, disciplinata dall’art. 4, n. 2, primo comma, della direttiva habitat, di negare il loro consenso per motivi diversi da quelli attinenti alla tutela dell’ambiente sarebbe compromesso il conseguimento dell’obiettivo di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva habitat, vale a dire la realizzazione della rete Natura 2000, formata da siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati nell’allegato I di detta direttiva e habitat delle specie di cui all’allegato II della stessa, e che deve garantire il mantenimento ovvero, all’occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale. Ciò si verificherebbe, in particolare, se gli Stati membri potessero negare il proprio consenso in considerazione delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali alle quali fa riferimento l’art. 2, n. 3, della direttiva habitat, la quale, peraltro, non costituisce, come rileva l’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni, una deroga autonoma al regime generale di protezione istituito da tale direttiva. Pres. Bonichot - Rel. Bay Larsen - Stadt Papenburg c. Repubblica federale di Germania. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 14/01/2010, Sentenza C-226/08

AREE PROTETTE - Direttiva habitat - Stati membri - Elaborazione dell’elenco dei SIC - Elenchi degli Stati membri - Criteri di valutazione - Art. 4, n. 2; 1 lett. c),iii) e 3, n. 1 dir. 92/43, e succ. mod. dir. 2006/105 - All. I e II direttiva habitat - Natura 2000 (Rete ecologica europea di zone speciali di conservazione). L’art. 4, n. 2, primo comma, della direttiva habitat prevede che, in base ai criteri di cui all’allegato III, fase 2, della stessa e nell’ambito di ognuna delle cinque regioni biogeografiche di cui all’articolo 1, lettera c), iii) di tale direttiva, la Commissione elabora, d’accordo con ognuno degli Stati membri, un progetto di elenco dei SIC sulla base degli elenchi degli Stati membri. Inoltre, l’allegato III della direttiva habitat, che tratta dei criteri di selezione dei siti atti ad essere individuati quali SIC e designati quali zone speciali di conservazione, enumera, relativamente alla fase 2 prevista in tale allegato, taluni criteri di valutazione dell’importanza comunitaria dei siti inclusi negli elenchi nazionali. Orbene, tali criteri di valutazione sono stati definiti in funzione dell’obiettivo di conservazione degli habitat naturali o della fauna e della flora selvatiche figuranti, rispettivamente, nell’allegato I o nell’allegato II della direttiva habitat, nonché dell’obiettivo di coerenza di Natura 2000, vale a dire la rete ecologica europea di zone speciali di conservazione di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva habitat. Pres. Bonichot - Rel. Bay Larsen - Stadt Papenburg c. Repubblica federale di Germania. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 14/01/2010, Sentenza C-226/08

AREE PROTETTE - VIA - Direttiva habitat - Casi di obbligatoria e preventiva valutazione d’incidenza ambientale - Art. 6, n. 3, dir. 92/43, e succ. mod. dir. 2006/105. In forza dell’art. 6, n. 3 prima frase, (direttiva 92/43, e succ. mod. direttiva 2006/105) della direttiva habitat qualsiasi piano o progetto che possa pregiudicare significativamente il sito interessato non può essere autorizzato senza una preventiva valutazione della sua incidenza sullo stesso (sentenza 7/09/2004, causa C-127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging). Pres. Bonichot - Rel. Bay Larsen - Stadt Papenburg c. Repubblica federale di Germania. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 14/01/2010, Sentenza C-226/08

VIA - AREE PROTETTE - Siti di importanza comunitaria (SIC) - Canale navigabile dell’estuario - Continue misure di manutenzione - Valutazione d’impatto ambientale - Necessità - Presupposti - Unicità del progetto - Art. 6, nn. 3 e 4, direttiva 92/43, e succ. mod. direttiva 2006/105. L’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva 92/43, come modificata dalla direttiva 2006/105, dev’essere interpretato nel senso che continue misure di manutenzione del canale navigabile dell’estuario, le quali non siano direttamente connesse o necessarie alla gestione del sito e siano già state approvate in base al diritto nazionale prima della scadenza del termine di recepimento della direttiva 92/43, come modificata dalla direttiva 2006/105, devono essere assoggettate, nella misura in cui esse costituiscono un progetto e possono avere incidenze significative sul sito interessato, ad una valutazione del loro impatto su tale sito in applicazione delle citate disposizioni nel caso di loro prosecuzione dopo l’inserimento del sito, conformemente all’art. 4, n. 2, terzo comma, di tale direttiva, nell’elenco dei siti di importanza comunitaria. Qualora si possa ritenere, in considerazione, segnatamente, della frequenza, della natura o delle condizioni di esecuzione delle dette misure, che queste ultime costituiscano un’unica operazione, in particolare qualora esse siano finalizzate al mantenimento di una certa profondità del canale navigabile con dragaggi regolari e necessari a tal fine, tali misure di manutenzione possono essere considerate un unico e solo progetto ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, come modificata dalla direttiva 2006/105. Pres. Bonichot - Rel. Bay Larsen - Stadt Papenburg c. Repubblica federale di Germania. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 14/01/2010, Sentenza C-226/08

AREE PROTETTE - VIA - Direttiva habitat - Interventi su aree SIC - Art. 6, nn. 3 e 4, direttiva 92/43, e succ. mod. direttiva 2006/105 - Interpretazione autentica della norma.
L’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva 92/43, come modificata dalla direttiva 2006/105, della direttiva habitat dev’essere interpretato nel senso che continue misure di manutenzione del canale navigabile dell’estuario, le quali non siano direttamente connesse o necessarie alla gestione del sito e siano già state approvate in base al diritto nazionale prima della scadenza del termine di recepimento della direttiva habitat, devono essere assoggettate, nella misura in cui esse costituiscono un progetto e possono avere incidenze significative sul sito interessato, ad una valutazione del loro impatto su tale sito ai sensi delle citate disposizioni nel caso di loro prosecuzione dopo l’inserimento del sito, conformemente all’art. 4, n. 2, terzo comma, di tale direttiva, nell’elenco dei SIC. Pres. Bonichot - Rel. Bay Larsen - Stadt Papenburg c. Repubblica federale di Germania. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 14/01/2010, Sentenza C-226/08

AREE PROTETTE - VIA - Direttiva habitat - Progetti pubblici e privati in aree SIC - Nozioni di «piano» e di «progetto» e valutazione dell’impatto ambientale - Fattispecie: lavori di dragaggio di un canale navigabile. La direttiva habitat non definisce le nozioni di «piano» e di «progetto», ha rilevato che la nozione di «progetto» di cui all’art. 1, n. 2, secondo trattino, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati è rilevante al fine di trarne la nozione di «piano» o di «progetto» ai sensi della direttiva habitat (sentenza Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging). Nella specie, un’attività che consiste in lavori di dragaggio di un canale navigabile può rientrare nella nozione di «progetto» ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo trattino, della direttiva 85/337, che si riferisce ad «altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo». Pertanto, si può considerare che una siffatta attività rientri nella nozione di «progetto» di cui all’art. 6, n. 3, della direttiva habitat. Inoltre, il fatto che la detta attività sia stata autorizzata in via definitiva in base al diritto nazionale prima della scadenza del termine di recepimento della direttiva habitat non osta, di per sé, a che essa possa essere considerata, per ogni intervento nel canale navigabile, un progetto distinto ai sensi della direttiva habitat. Pres. Bonichot - Rel. Bay Larsen - Stadt Papenburg c. Repubblica federale di Germania. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 14/01/2010, Sentenza C-226/08
 

AREE PROTETTE - SIC - Aggiornamento dei siti e della loro delimitazione - Potere regionale - Coordinamento e informazione - Potere ministeriale - Art. 3, c. 4bis del d.P.R. n. 357/1997 - Direttiva habitat (92/43/CEE). L’art. 3, comma 4-bis, del d.P.R. n. 357/1997, della direttiva 92/43/CEE (c.d. direttiva habitat) attribuisce alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, il potere di valutazione periodica dell’idoneità dei siti all’attuazione degli obiettivi di tutela ambientale propri della direttiva, in seguito alla quale possono proporre un aggiornamento dei siti e della loro delimitazione al Ministero dell’Ambiente, che ne cura la trasmissione alla Commissione europea. Di conseguenza, mentre alle Regioni è attribuito un potere di valutazione e di proposta in ordine alla eventuale riparametrazione dei SIC, il Ministero ha un potere di coordinamento e di informazione. Pres. Leo, Est. Zucchini - C.s.s. (avv. Magrì) c. Assessorato Ambiente e Territorio della Regione Lombardia e altri (n.c.), Regione Lombardia (avv. Pujatti), Presidenza del Consiglio dei Ministri e altro (Avv. Stato) - TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 29 dicembre 2009, n. 6268

 

AREE PROTETTE - Zone speciali di conservazione - Zone di protezione speciale - D.M. 17 ottobre 2007 - Delibera di Giunta regionale toscana n. 454/2008 - Apertura e ampliamento di cave - Progetti già sottoposti a valutazione di incidenza - Compatibilità agli strumenti di pianificazione vigenti e agli obiettivi di conservazione. In attuazione del D.M. 17 ottobre 2007, recante criteri minimi uniformi da adottarsi dalle Regioni per la definizione di misure di conservazione relative alle Zone speciali di conservazione ed alle Zone di protezione speciale, la delibera di Giunta regionale toscana n. 454 del 16 giugno 2008 nel revocare la precedente deliberazione n. 923 dell’11 dicembre 2006, a sua volta recante misure di conservazione per la tutela delle ZPS ai sensi del D.P.R. n. 357/97, sancisce il divieto di “apertura di nuove cave e ampliamento di quelle esistenti, ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto ivi compresi gli ambiti individuati nella Carta delle Risorse del Piano regionale delle Attività estrattive, a condizione che risulti accertata e verificata l'idoneità al loro successivo inserimento nelle Carte dei Giacimenti e delle Cave e Bacini estrattivi, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall'attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell'intervento. Sono fatti salvi i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d'incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e sempreché l'attività estrattiva sia stata orientata a fini naturalistici e sia compatibile con gli obiettivi di conservazione delle specie prioritarie” (Allegato A, punto 1, lett. n). L’inciso conclusivo della disposizione condiziona la salvezza dei progetti di cava già sottoposti a valutazione di incidenza non soltanto alla conformità agli strumenti di pianificazione vigenti, ma anche alla compatibilità dell’attività estrattiva con gli obiettivi di conservazione delle specie prioritarie e, soprattutto, con l’indirizzamento dell’attività medesima a fini naturalistici. Pres. Nicolosi, Est. Grauso - D. s.n.c. (avv.ti Piselli e Vagnucci) c. Comune di Pienza (avv. Golini). TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1585

 

AREE PROTETTE - VIA - DIRITTO URBANISTICO - Siti di interesse regionale - Valutazione di incidenza - Rapporto con la VIA - Integrazione - Rapporto con la variante al PRG. L’art. 5 co. 4 del D.P.R. n. 357/97 e l’art. 15 della l.r.Toscana n. 56/00 stabiliscono che la valutazione di incidenza sui siti di interesse regionale dei progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale sia integrata nell’ambito della stessa VIA, ed in particolare che lo studio di impatto ambientale contenga gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità di conservazione dei siti predetti. Diversamente è a dirsi per la variante al PRG, rispetto alla quale la valutazione di incidenza deve costituire oggetto di apposita relazione che, ai sensi dell’art. 15 co. 2-bis della citata legge regionale n. 56/00, deve confluire nella relazione di sintesi relativa alla valutazione integrata richiesta dall’art. 16 co. 3 della legge regionale n. 1/05 ai fini dell’approvazione degli atti di pianificazione e di governo del territorio e delle loro varianti. Sarà dunque nell’ambito del connesso procedimento per l’approvazione della variante che occorrerà constatare se possa venire mutuato “sic et simpliciter” il giudizio di compatibilità ambientale espresso in sede di VIA (che si riferisce al progetto e solo indirettamente alla corrispondente richiesta di variante), ovvero se detto giudizio debba essere integrato con specifico riguardo all’incidenza sui siti interessati. Pres. Nicolosi, Est. Grauso - D. s.n.c. (avv.ti Piselli e Vagnucci) c. Comune di Pienza (avv. Golini). TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1585

 

AREE PROTETTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Strumenti di pianificazione paesaggistica - Ordine di priorità - Piano paesaggistico e piano del parco - Art. 8, comma 2, lettera b), della legge della Regione Liguria 23 ottobre 2007, n. 34 - Illegittimità costituzionale. È inibito alle Regioni introdurre disposizioni che alterino l’ordine di priorità tra gli strumenti di pianificazione paesaggistica (e segnatamente tra il piano paesaggistico e il piano del parco), o, comunque, determinino un minor rigore di protezione ambientale poiché la tutela […] apprestata dallo Stato, nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano nelle materie di loro competenza (sentenza n. 378 del 2007). Ne deriva l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, lettera b), della legge della Regione Liguria 23 ottobre 2007, n. 34, - laddove prevede che spetti al Piano del parco l’individuazione degli «interventi da assoggettare o meno al nulla osta di cui all’art. 21 della legge regionale n. 12 del 1995», nonché le ipotesi in cui lo stesso nulla osta possa essere acquisito mediante autocertificazione di un tecnico a ciò abilitato. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Liguria - CORTE COSTITUZIONALE - 29 ottobre 2009, n. 272

AREE PROTETTE - CACCIA - Disciplina statale di delimitazione del periodo venatorio - Art. 8 c. 1, lett. c) L.r. Liguria n. 34/2007 - Illegittimità costituzionale.
L’esplicito divieto di applicare “i limiti all’attività venatoria di cui agli articoli 22, comma 6, e 32, commi 3 e 4, della legge 394/1991”, previsto dall’art. 8, c. 1, lettera c) della legge regionale della Liguria n. 34 del 2007, è costituzionalmente illegittimo. Vale, al riguardo, quanto è stato affermato (sentenza n. 165 del 2009)e cioè che “la disciplina statale che delimita il periodo venatorio [...] è stata ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome” e che “le disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili” hanno carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 227 del 2003 che richiama la sentenza n. 323 del 1998)”. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Liguria - CORTE COSTITUZIONALE - 29 ottobre 2009, n. 272

 

AREE PROTETTE - DIRITTO VENATORIO - ZPS - Inclusione tra le aree naturali protette - Fondamento - Direttiva 92/43/CEE - Caccia all’interno di ZPS - Condotta penalmente sanzionata - Calendario venatorio della Regione siciliana2007/2008 - Illegittimità nella parte in cui non vieta espressamente la caccia nelle ZPS. Le ZPS sono classificabili tra le aree naturali protette, in quanto l’efficacia del decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 25 marzo 2005, con il quale era stata annullata la deliberazione del 2 dicembre 1996, è stata sospesa con ordinanza del TAR Lazio Roma, sez. II bis, 24 novembre 2005, n. 6856, confermata con ordinanza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 783 del 14 febbraio 2006. Va, peraltro, rilevato che tale classificazione è avvenuta sulla base della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la quale fa espressamente riferimento alla esigenza di tutela delle ZPS, che, insieme alle Zone Speciali di Conservazione (ZSC), di cui alla direttiva 92/43/CEE, costituisce la rete ecologica europea Natura 2000. Alla conclusione della sussistenza del divieto di caccia nelle ZPS si potrebbe, pertanto, pervenire anche sulla base della succitata direttiva (in tal senso T.A.R. Lombardia Milano, IV, 23 gennaio 2008, n. 105, TAR Lazio, I, 14 settembre 2006; per una questione connessa, TAR Sicilia, Palermo, n. 302/2009). Non vietandola, si autorizzata una condotta penalmente sanzionata. Invero, l’art. 11, comma 3, lettera f., della l. 6 dicembre 1991, n. 394/1991, vieta l’introduzione di armi all’interno dei parchi, ai quali devono essere equiparate, in forza della delibera del 2 dicembre 1996 suindicata, le ZPS. Ne deriva che la caccia all’interno delle ZPS è una condotta penalmente sanzionata e che il calendario venatorio della Regione Siciliana 2007/2008 è illegittimo, nella parte in cui non la vieta espressamente. Pres. f.f. Maisano, Est. Lento - W.W.F. (avv.ti Bonanno e Giudice) c. Presidenza della Regione siciliana e altro (Avv. Stato) - TAR SICILIA, Palermo, Sez. I - 19 ottobre 2009, n. 1633

 

AREE PROTETTE - SIC e ZPS - Valutazione di incidenza - Direttiva 92/43/CEE - Guida interpretativa - Piani settoriali soggetti a valutazione di incidenza - Piano di classificazione acustica - Esclusione - Ragioni. La Commissione CE ha diramato la Guida interpretativa dell’art. 6 della direttiva 92/43/CEE, in cui sono definiti i criteri in base ai quali si può ritenere che un piano o un progetto siano tali da avere incidenza sui valori tutelati dalla citata direttiva. Alle pagine 30 e seguenti del documento (in particolare al punto 4.3.2.) la Commissione afferma che anche i Piani settoriali sono soggetti alla valutazione di incidenza, ma, nel richiamare alcune tipologie di piani settoriali, menziona quelli relativi alle reti dei trasporti, quelli inerenti la gestione dei rifiuti o quelli relativi alla gestione dell’acqua, ossia tutti piani che, pur non essendo direttamente connessi e necessari alla gestione dei siti di importanza comunitaria, hanno comunque un’incidenza significativa sugli habitat ricompresi nell’ambito di applicazione dei piani stessi . A parte la valenza non precettiva del citato documento, ciò che rileva è il fatto che non ogni piano o progetto teoricamente interferente con il bene ambiente è soggetto a valutazione di incidenza, altrimenti non ci sarebbe stato alcun bisogno di un’interpretazione autentica da parte delle Istituzioni comunitarie, dovendo essere sottoposto a valutazione di incidenza qualsiasi piano. Ne consegue che può ritenersi escluso falla valutazione di incidenza il piano di classificazione acustica, il quale non ha natura urbanistica e non implica di per sé conseguenze sull’ambiente, attesa la funzione che ad esso riconnette la legge istitutiva. Tale funzione è più che altro quella di “fotografare” il territorio comunale dal punto di vista acustico, nel mentre gli atti di pianificazione (generale o esecutiva) capaci di incidere direttamente sull’habitat sono quelli urbanistici e quelli relativi alla realizzazione di opere pubbliche o private che presentano un certo impatto ambientale. Pres. Passanisi, Est. Capitanio - C.P. e altri (avv. Mazzi) c. Comune di Orciano di Pesaro (avv.ti Ciani e Galvani), Regione Marche (avv. De Bellis), A. (avv. Barattini), Responsabile Sportello Unico per le Attività Produttive Comuni Associati al S.U.A.P. Comunità Montana Metauro Zona E (avv. Cecini) e altri (n.c.) - TAR MARCHE, Sez. I - 29 settembre 2009, n. 930

AREE PROTETTE - ZPS - Attività umane teoricamente incompatibili con le esigenze di tutela ambientale - Normativa comunitaria - Valutazione di incidenza.
La delimitazione delle Z.P.S. non sempre è tale da consentire di poter scindere in maniera netta le zone ancora “incontaminate” e quelle già antropizzate, per cui è del tutto possibile che una Z.P.S. inglobi al suo interno aree che, in base ai vigenti strumenti urbanistici, ospitano attività umane teoricamente incompatibili con le esigenze di tutela ambientale. Peraltro, la normativa comunitaria non vieta le attività umane all’interno dei siti compresi nella rete Natura 2000, ma le condiziona alla positiva valutazione di incidenza, la quale, a sua volta, è subordinata alla verifica della non compromissione di habitat naturali. Pres. Passanisi, Est. Capitanio - C.P. e altri (avv. Mazzi) c. Comune di Orciano di Pesaro (avv.ti Ciani e Galvani), Regione Marche (avv. De Bellis), A. (avv. Barattini), Responsabile Sportello Unico per le Attività Produttive Comuni Associati al S.U.A.P. Comunità Montana Metauro Zona E (avv. Cecini) e altri (n.c.) - TAR MARCHE, Sez. I - 29 settembre 2009, n. 930

 

AREE PROTETTE - DIRITTO VENATORIO - Esercizio della caccia in aree protette - Irrilevanza del difetto di perimetrazione tabellare - Ignoranza colpevole - Elemento soggettivo - Art. 5 cod. pen.. In tema di tutela delle aree protette, i parchi nazionali sono sottratti alla necessità di perimetrazione tabellare in quanto istituiti e delimitati con appositi provvedimenti, completi di tutte le indicazioni tecniche e topografiche necessarie per l'individuazione, la cui conoscenza è assicurata dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Ne consegue che non può considerarsi scusabile, a norma dell'art. 5 cod. pen., l'ignoranza colpevole circa l'esatta perimetrazione dell'area protetta, stante l'irrilevanza del difetto di perimetrazione tabellare (Cass. Sez. III, 6.6.2007, Marcianò m. 237142). Pres. De Maio, Est. Franco, Ric. Pannofino. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 26/06/2009 (Ud. 20/05/2009), Sentenza n. 26577

AREE PROTETTE - DIRITTO VENATORIO - Esercizio della caccia in aree protette - Zona protetta - Mancanza di specifici segnali o cartelli - Artt. 21 e 30 L. n. 157/1992 - Configurabilità - L. n. 394/1991. In tema di divieto di caccia nelle aree protette ai sensi della Legge 6 dicembre 1991 n. 394, la mancanza di specifici segnali o cartelli indicanti sul posto i limiti della zona protetta non escludono la integrabilità del reato previsto dagli artt. 21 e 30 della Legge 11 febbraio 1992 n. 157, atteso che l'obbligo di conoscenza da parte del contravventore del perimetro interdetto discende dalla pubblicazione sulla Gazzetta della carta topografica relativa a quella specifica area (Cass. Sez. III, 10.6.2005, Acerito, m. 231820). Pres. De Maio, Est. Franco, Ric. Pannofino. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 26/06/2009 (Ud. 20/05/2009), Sentenza n. 26577

AREE PROTETTE - DIRITTO VENATORIO - Caccia in aree protette - Mancata presenza di recinzioni, segnali o tabelle - Errore inevitabile e incolpevole - Esclusione - Elemento psicologico del reato - Comportamento colposo. In materia di divieto di caccia nelle aree protette, non rileva la mancata presenza di recinzioni, segnali o tabelle ed ha altresì escluso che l'eventuale errore in cui sarebbe caduto l'imputato potesse considerarsi inevitabile, e quindi incolpevole, in quanto l'indicazione dell'area protetta con l'allegata planimetria dei luoghi era stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, sicché l'imputato, intendendo esercitare l'attività venatoria, era tenuto a prenderne previamente conoscenza, con la conseguenza che sarebbe in ogni caso ravvisabile un suo comportamento colposo, sufficiente per integrare l'elemento psicologico del reato, nel non essersi doverosamente accertato dell'esistenza e dell'estensione dell'area protetta prima di intraprendere l'attività. Pres. De Maio, Est. Franco, Ric. Pannofino. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 26/06/2009 (Ud. 20/05/2009), Sentenza n. 26577

 

AREE PROTETTE PARCHI E RISERVE - Navigazione in riserva marina - L’ancoraggio costituisce sempre una fase della navigazione - Reati di cui agli artt. 30 e 19 c. 3 lett. e) L. n. 394/91 - Configurabilità. In tema di aree protette, il reato di cui all'art.30 in relazione all’art.19 comma 3 lett. e) L.6.12.1991 n.394 conseguente alla effettuazione di navigazione in specchio d’acqua ricadente in una riserva marina si configura anche a seguito di ancoraggio che costituisce sempre una fase della navigazione. Pres. Onorato, Est. Amoresano, Ric. Di Lauro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 11/06/2009 (Ud. 06/05/2009), Sentenza n. 23972

 

AREE PROTETTE - Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano - Potestà autorizzatoria - Art. 5 d.P.R. 5.6.95 - Piani attuativi - Zone omogenee C, D ed F o ad esse assimilabili - Estensione dell’espressione “ad esse assimilabili” - Immobili a destinazione turistica. L’art. 5, allegato al d.P.R. 5.6.95, istitutivo del parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, circoscrive l’ambito in cui insiste la potestà autorizzatoria dell’Ente parco, mercè il riferimento alla necessità di autorizzazione per i piani attuativi relativi alle zone territoriali omogenee “C”, “D” ed “F” o ad esse assimilabili, di cui al D.M. 2.4.68 n. 1444. Orbene, tale Decreto stabilisce a sua volta che le zone territoriali omogenee sono, tra l’altro, le parti del territorio destinate a “nuovi complessi insediativi”, usando così una formula di ampio tenore che, in quanto tale, è in grado di includere sia gli immobili a destinazione residenziale sia quelli a destinazione turistica. Pres. Esposito, Est. Sabbato - F.I. (avv. Brancaccio) c. Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Avv. Stato) e altro (n.c.). T. A. R. CAMPANIA, Salerno, sez. II - 10/06/2009, n. 3188

AREE PROTETTE - Ente parco - Esercizio del potere autorizzativo - Parametro di riferimento - Valori ambientali, ed estetico-paesaggistici - Assimilabilità al potere di pertinenza della Soprintendenza. L’Ente parco, in sede di esercizio del potere autorizzativo che l’ordinamento gli conferisce, assume a parametro di riferimento la tavola di valori ambientali che rende il giudizio di compatibilità di natura estetico-paesaggistico, pertanto sostanzialmente assimilabile a quello di pertinenza dell’Autorità competente in materia ambientale (V. T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 22 dicembre 2008 , n. 2187). Pres. Esposito, Est. Sabbato - F.I. (avv. Brancaccio) c. Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Avv. Stato) e altro (n.c.). T. A. R. CAMPANIA, Salerno, sez. II - 10/06/2009, n. 3188

 

AREE PROTETTE – Valutazione di incidenza – Art. 5, c. 9 D.P.R. n. 357/1997 – Conclusione del procedimento – Esito negativo – Possibilità – Inidoneità delle misure di mitigazione di attenuare le criticità - Eccezione. Il tenore della disposizione di cui all’art. 5 del d.p.r. 8 settembre 1997, n. 357 (c. 9) è univoco nell’ammettere la possibilità che il procedimento di valutazione dell’incidenza si concluda in senso negativo per il proponente, con un’unica eccezione nel caso che “il piano o l'intervento debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica”: solo in quest’ultima evenienza, che certamente non si ravvisa nel caso in esame, il legislatore prevede che il procedimento debba comunque terminare con l’autorizzazione dell’intervento proposto. Tale conclusione trova conferma in un prevalente orientamento della giurisprudenza, secondo cui il giudizio di incidenza ambientale ben può avere esito negativo, laddove l’Amministrazione ritenga, sulla base degli elementi in suo possesso, che nessuna misura di mitigazione sia oggettivamente in grado di attenuare in modo soddisfacente le criticità accertate (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917): ciò conferma che l’Amministrazione non è affatto obbligata a “mantenere in piedi” il procedimento fino ad una sua positiva conclusione, rientrando nei suoi poteri la decisione di concludere con un rigetto il giudizio di incidenza ambientale. Pres. Panunzio, Est. Plaisant – V. s.r.l. (avv.ti Contu e Iannotta) c. Regione Autonoma della Sardegna (avv.ti Picco e Sau) e altri (n.c.). T.A.R. SARDEGNA, Sez.II - 09/06/2009, n.921

 

AREE PROTETTE - Regione Friuli Venezia Giulia - Sottoposizione dell’intero territorio regionale al regime giuridico della zona faunistica delle Alpi - Limitazione della quota di territorio destinata a protezione della fauna selvatica - Art. 2 L.R. n. 6/2008 - Illegittimità costituzionale. L'art. 2 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6, prevede, al comma 1, nel sottoporre l'intera Regione Friuli-Venezia Giulia al regime giuridico della zona faunistica delle Alpi, ha, irragionevolmente, limitato la quota di territorio da destinare a protezione della fauna selvatica, con ciò violando gli standard minimi ed uniformi di tutela di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e, in particolare, ponendosi in contrasto con quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 10 e 11 della legge n. 157 del 1992, in ragione del quale l'individuazione del territorio delle Alpi quale zona faunistica a sé stante presuppone la presenza di peculiari caratteristiche. Pres. Amirante, Est. Saulle - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Friuli-Venezia Giulia - CORTE COSTITUZIONALE - 29/05/2009, n. 165

 

AREE PROTETTE - ZSC e ZPS - DM 22 gennaio 2009 - Modifica dei criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione - Art. 1, cc. 1, 2, 3 e 8 - Illegittimità - Annullamento. Le disposizioni di cui all’art. 1, cc. 1,2,3 ed 8, del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 22 gennaio 2009, recante Modifica al decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione relative ZSC e ZPS, palesano un evidente duplice profilo di sostanziale illegittimità: da un lato per la violazione della disciplina pattizia internazionale (Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa - Eurasia, AEWA) e della normativa comunitaria di riferimento (cd. Direttiva habitat 92/43/CEE e cd. Direttiva uccelli 79/409/CEE), entrambe recepite in via legislativa nel nostro ordinamento, e dall’altro per il palese travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, che si manifesta nella illogicità delle statuizioni adottate e nella loro immotivata contraddittorietà rispetto ai pareri acquisiti in fase istruttoria, e che si traduce in un vizio di eccesso di potere per sviamento dall’interesse pubblico perseguito dalla norma attributiva del potere, riferito alla necessità di garantire criteri minimi nazionali di tutela dell’eco-sistema, degli uccelli migratori e delle altre specie animali in esso viventi in attuazione della normativa comunitaria. Per tali ragioni le norme in questione vanno annullate. Pres. Pugliese, Est. Sestini - WWF Onlus e altri (avv. Stefutti) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato). T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis - 25/05/2009, n. 5239

 

AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Ambito oggettivo di applicazione - SIC, pSIC, ZSC - regione Toscana - SIR. L’ambito oggettivo di applicazione della valutazione di incidenza di piani o progetti, disciplinata dal D.P.R. n. 357/97 (come modificato dal D.P.R. 120/03), recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, è costituito dai c.d. siti di importanza comunitaria (SIC), vale a dire quei siti che, secondo la definizione datane dallo stesso D.P.R., nella o nelle regioni biogeografiche cui appartengono contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di “habitat” naturale o di una specie in uno stato di conservazione soddisfacente e che possono, inoltre, contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica europea denominata "Natura 2000"; nonché dai c.d. “proposti SIC” (pSIC), siti individuati dalle regioni e province autonome, trasmessi dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio alla Commissione europea, ma non ancora inseriti negli elenchi definitivi dei siti selezionati dalla Commissione europea, e dalle zone speciali di conservazione (ZSC), siti di importanza comunitaria designati in base all'articolo 3 co. 2 del regolamento sopra citato, in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato. Del pari, la valutazione di incidenza prevista dall’art. 15 della l.r. Toscana n. 56/00 riguarda i progetti suscettibili di produrre effetti sui c.d. siti di importanza regionale (SIR), la cui definizione è sostanzialmente ricalcata dal legislatore regionale su quella dei siti di importanza comunitaria (ai fini della legge regionale, peraltro, si considerano siti di importanza regionale tanto i SIC, che le ZSC). (Fattispecie relativa all’omissione della valutazione di incidenza in area priva del formale inserimento del sito interessato dal progetto negli elenchi dei SIC, pSIC, ZSC o SIR). Pres. Nicolosi, Est. Grauso - P.G. e altri (avv. Zuccaro) c. Regione Toscana (avv.ti Bora e Ciari), Comune di Montecatini Val di Cecina (avv. Biondi) e Co.Svi.G. (avv.ti Manneschi e Paolini). T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 25/05/2009, n. 888

 

AREE PROTETTE - Protezioni degli habitat naturali - Zone speciali di conservazione (ZSC) - Procedimento di classificazione - Rete ecologica denominata «Natura 2000» - Obiettivi di conservazione - Soggetti interessati dalla decisione. L'art. 4 della direttiva «habitat», disciplina un procedimento di classificazione dei siti naturali in zone speciali di conservazione (ZSC), procedimento che deve tra altro consentire, come risulta dall'art. 3, n. 2, della medesima direttiva, la realizzazione di una rete ecologica europea coerente di ZSC, denominata «Natura 2000», che è formata da siti in cui si trovano tipi di habitat naturali e habitat delle specie figuranti nell'allegato I e rispettivamente nell'allegato II della detta direttiva e che deve garantire il mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale (v., in questo senso, sentenza 7/11/2000, causa C-371/98, First Corporate Shipping). Sicché, la decisione controversa, la quale contempla una serie di territori classificati come siti di importanza comunitaria al fine di consentire la realizzazione della detta rete «Natura 2000», ha, nei confronti di ogni interessato, una portata generale in quanto si applica a tutti gli operatori che, a qualsivoglia titolo, esercitano o possono esercitare, sui territori considerati, attività che possono mettere a repentaglio gli obiettivi di conservazione perseguiti dalla direttiva habitat. Si deve tuttavia ricordare che il fatto che una disposizione abbia, per natura e portata, un carattere generale, in quanto applicabile alla totalità degli operatori economici interessati, non esclude che essa possa tuttavia interessare individualmente taluni di essi (v., in tal senso, sentenze 18/05/1994, causa C-309/89, Codorniu, nonché 22/06/2006, cause riunite C-182/03 e C-217/03, Belgique et Forum 187/Commissione). Pertanto, qualora la decisione riguardi un gruppo di soggetti individuati o individuabili, nel momento in cui l'atto è stato adottato, in base a criteri tipici dei membri di tale gruppo, tali soggetti possono essere individualmente interessati da tale atto, in quanto facenti parte di un gruppo ristretto di operatori economici (v. sentenza 13/03/2008, causa C-125/06 P, Commissione/Infront WM). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez.II, 23/04/2009, causa C-362/06 P

AREE PROTETTE - Elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica boreale adottato con decisione della Commissione - Obiettivi di conservazione - Soggetti interessati dalla decisione. L'art. 4 della direttiva «habitat», disciplina il procedimento di classificazione dei siti naturali in zone speciali di conservazione (ZSC), tuttavia, la possibilità di determinare, con maggiore o minore precisione, il numero o anche l'identità dei soggetti di diritto ai quali si applica il provvedimento non comporta affatto che questi soggetti debbano essere considerati individualmente interessati da questo provvedimento, purché sia assodato, come nel caso di specie, che tale applicazione viene effettuata in virtù di una situazione obiettiva di diritto o di fatto definita dall'atto in esame (sentenza 22/11/2001, causa C-451/98, Antillean Rice Mills/Consiglio, nonché ordinanza 25/04/2002, causa C-96/01 P, Galileo e Galileo International/Consiglio - 8/04/2008, causa C-503/07 P, Saint-Gobain Glass Deutschland/Commissione). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez.II, 23/04/2009, causa C-362/06 P

AREE PROTETTE - DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO - Classificazione dei siti naturali in zone speciali di conservazione (ZSC) - Impugnazione - Ricevibilità di un ricorso di annullamento proposto da persone fisiche o giuridiche avverso tale decisione - Art. 230, 4° c., CE. La tutela giurisdizionale delle persone fisiche o giuridiche che, in ragione delle condizioni di ricevibilità proposte dall'art. 230, quarto comma, CE, non possono impugnare direttamente gli atti comunitari del tipo della decisione controversa deve essere garantita in modo efficace mediante il ricorso dinanzi ai giudici nazionali. Questi, conformemente al principio di leale collaborazione sancito dall'art. 10 CE, sono tenuti, per quanto possibile, ad interpretare ed applicare le norme di procedura nazionali che disciplinano l'esercizio delle azioni in maniera da consentire alle dette persone di contestare in sede giudiziale la legittimità di ogni decisione o di qualsiasi altro provvedimento nazionale relativo all'applicazione nei loro confronti di un atto comunitario quale quello su cui verte la presente controversia, eccependone l'invalidità e inducendo così i giudici a interpellare a tale proposito la Corte mediante questioni pregiudiziali (sentenza 22 marzo 2007, causa C-15/06 P, Regione Siciliana/Commissione; Racc. pag. I-2591, punto 39). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez.II, 23/04/2009, causa C-362/06 P
 

AREE PROTETTE - Aree individuate come SIC e ZPS - Valutazione di incidenza ambientale - Obiettivi di conservazione - Valutazione in concreto del singolo intervento. Le procedure di controllo, qual è la valutazione di incidenza ambientale, previste per le aree già individuate come ZSC e SIC, nelle more dell’approvazione dei siti da parte dell’Unione Europea e della designazione quali Zone Speciali di Conservazione, tengono conto degli effetti che il progetto o la pianificazione e la programmazione territoriale può avere su detti siti con riferimento agli obiettivi di conservazione, sicché non si può prescindere dalla valutazione in concreto del singolo intervento e la valutazione non può discostarsi dai criteri fissati dalla normativa di settore per accertare gli effetti che le trasformazioni potrebbero produrre in detti siti, tenendo conto delle finalità della perimetrazione delle zone SIC e ZPS. Pres. Allegretta, Est. Durante - C.G. (avv.ti Lioce e Sacchetti) c. Comune di Ruvo di Puglia (avv. Fiore) e altri (n.c.). T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I - 02/04/2009, n. 785

 

AREE PROTETTE - ZPS e ZSC - Regione Siciliana - Decreto Ass. territorio e Ambiente del 22 ottobre 2007 - Dichiarazione di non operatività, nella regione siciliana, della deliberazione del comitato per le aree protette 02/12/2006 e ss.mm. - Illegittimità - Sottrazione al sistema sanzionatorio penale di condotte configuranti reato nel resto del territorio italiano - Competenza statale in materia penale. Nel prevedere (decreto dell’Assessore Territorio e Ambiente 22 ottobre 2007, come modificato dal decreto 28 ottobre 2007) la non operatività nell’ambito della Regione Siciliana della Deliberazione 02/12/1996 e ss. mm e ii. del Comitato per le aree protette, con la quale è stata introdotta una nuova classificazione delle ZPS e ZSC, l’Amministrazione Regionale di fatto sottrae al sistema sanzionatorio - anche penale (cfr. art.30 lett.D L.157/92 e 30 L.394/91) - condotte che, se commesse fuori dal territorio siciliano, rientrerebbero a pieno titolo nelle fattispecie di reato e/o di illecito civile ed amministrativo ivi previste. Con ciò violando le previsioni costituzionali, ed anche statutarie, sulla competenza statale in materia penale. Ed invero, anche all’interno della potestà legislativa esclusiva esercitabile dalla Regione nelle materie di cui all’art.14 dello Statuto, non è consentito limitare l’ambito della tutela penale prevista dalla normativa nazionale (cfr. da ultimo Cassazione Penale, Sez. III, 24/04/2008 n.22252 proprio in riferimento alla tutela penale in ambito ambientale). Ove si aderisse alla tesi di non ritenere operante sul territorio regionale della classificazione delle aree protette, di cui alla deliberazione cit., si impedirebbe altresì di estendere a tali aree la tutela vincolistica di cui al D.Lgs.42/04 con la connessa tutela penale di cui all’art.181 D.lgs42/04 e 734 c.p.. Pres. Giallombardo, Est. Valenti - Legambiente - Comitato Regionale Siciliano e altri (avv. Giudice) c. Assessorato Reg.Le del Territorio e dell'Ambiente (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I - 4 febbraio 2009, n.302

AREE PROTETTE - Ambiente - Regione Siciliana - Competenza esclusiva nella materia ambiente - Esclusione - Materia rimessa in via esclusiva allo Stato - ZPS eZSC - D.M. 17/10/2007 - Previsioni minime di tutela - Deroghe in peius - Inammissibilità.
Non può sostenersi che la Regione Siciliana, ai sensi delle specifiche previsioni statutarie, sia depositaria di una competenza esclusiva in materia di ambiente. La disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente, come ha osservato la Corte Costituzionale, è invece rimessa in via esclusiva allo Stato e viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell'ambiente. In mancanza di una idonea previsione statutaria in materia di ambiente, quindi, la Regione Siciliana non può apportare deroghe in peius alle previsioni minime di tutela e garanzia predisposte, a livello nazionale, dal D.M. 17/10/2007 per le ZPS e ZSC. Pres. Giallombardo, Est. Valenti - Legambiente - Comitato Regionale Siciliano e altri (avv. Giudice) c. Assessorato Reg.Le del Territorio e dell'Ambiente (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I - 4 febbraio 2009, n.302

 

AREE PROTETTE - Istituzione di parchi - Materia dell’ambiente e dell’ecosistema - Competenza esclusiva della Regione siciliana - Inconfigurabilità. La materia dell’ambiente e dell’ecosistema, pacificamente riconosciuta come materia di riferimento in tema di istituzione di parchi (sentenze n. 387 del 2008 e n. 422 del 2002) non è compresa tra quelle di competenza esclusiva o concorrente di cui allo statuto della Regione Siciliana (cfr. sentenza n. 380 del 2007, secondo cui «non trova fondamento la tesi (…) circa una competenza legislativa in materia di ambiente che deriverebbe da specifiche disposizioni dello statuto di autonomia».) Nello statuto speciale non si rinvengono quindi disposizioni che prevedono, in materia, considerata nel suo complesso, di ambiente ed ecosistema, una disciplina derogatoria rispetto a quella stabilita, in via generale, dal secondo comma, lettera s), dell’art. 117 Cost., e che neppure più ampie forme di autonomia possono derivare dall’applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) (sentenza n. 380 del 2007). Pres. Flick, Est. Napolitano - Regione siciliana c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 gennaio 2009 (ud. 14 gennaio 2009), sentenza n. 12

AMBIENTE - Bene ambiente - Interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto - Competenza esclusiva dello Stato - Prevalenza rispetto alla disciplina delle Regioni o delle Province autonome - Norme di tutela ambientale più elevata.
La disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale “primario” (sentenza n. 151 del 1986) ed “assoluto” (sentenza n. 641 del 1987), e deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. Tuttavia, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere altri beni giuridici aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi, giuridicamente tutelati. Si parla, in proposito, dell’ambiente come “materia trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni» (sentenza n. 378 del 2007). In tali circostanze, «la disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente, e, quindi, altri interessi. Ciò comporta che la disciplina statale relativa alla tutela dell’ambiente “viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell’ambiente» (sentenza n. 104 del 2008). Pres. Flick, Est. Napolitano - Regione siciliana c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 gennaio 2009 (ud. 14 gennaio 2009), sentenza n. 12

AMBIENTE - Ambiente ed ecosistema - Nozione.
Quando ci si riferisce all’ambiente, così come attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dalla lettera s) del secondo comma dell’art. 117 Cost., le considerazioni attinenti a tale materia si intendono riferite anche a quella, ad essa strettamente correlata, dell’“ecosistema”. Peraltro, anche se i due termini esprimono valori molto vicini, la loro duplice utilizzazione, nella citata disposizione costituzionale, non si risolve in un’endiadi, in quanto col primo termine si vuole, soprattutto, fare riferimento a ciò che riguarda l’habitat degli esseri umani, mentre con il secondo a ciò che riguarda la conservazione della natura come valore in sé. Pres. Flick, Est. Napolitano - Regione siciliana c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 gennaio 2009 (ud. 14 gennaio 2009), sentenza n. 12

AREE PROTETTE - Istituzione - Finalità - Parchi naturali nazionali - Art. 26, c. 4 septies d.l. n. 159/2007 - Istituzione di parchi nazionali in territorio siciliano - Violazione delle competenze regionali - Esclusione.
Le finalità dell’istituzione delle aree protette, quali configurate dalla lettera a) del comma 3 dell’art. 1 della relativa legge quadro (e cioè la «conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici»), fanno ritenere che per i parchi naturali nazionali, per i quali «l’intervento dello Stato» è richiesto, ai sensi del comma 1 dell’art. 2, «ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future», debba considerarsi prevalente la specifica competenza legislativa esclusiva statale relativa all’ecosistema. Rientrando l’istituzione di parchi nazionali nell’esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente ed ecosistema, l’art. 26, comma 4-septies, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), introdotto dalla legge di conversione 29 novembre 2007, n. 222, nella parte in cui, prevede, tramite successivo decreto del Presidente della Repubblica, l’istituzione di quattro parchi nazionali ricadenti in territorio siciliano: rispettivamente il Parco delle Egadi e del litorale trapanese, il Parco delle Eolie, il Parco dell’isola di Pantelleria e il Parco degli Iblei, non viola le competenze normative in materia della Regione siciliana. Pres. Flick, Est. Napolitano - Regione siciliana c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 23 gennaio 2009 (ud. 14 gennaio 2009), sentenza n. 12
 

AREE PROTETTE - Regione Lazio - Ente Parco - Rilascio di nulla osta - Silenzio assenso - Implicita abrogazione ad opera della L. n. 80/2005 - Esclusione. La speciale forma di silenzio assenso per il rilascio del nulla osta delle aree protette regionali, di cui all’art. 28, comma 1, della L.R. Lazio n. 29 del 1997, il quale richiama l’art. 13, commi 1, 2 e 4 della legge n. 394/1991, non è stata implicitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore della riforma della legge n. 241/90 (l. n. 80/2005). Infatti, il novellato art. 20 della legge n. 241/90 ha in primo luogo inteso generalizzare l’istituto del silenzio assenso, rendendolo applicabile a tutti i procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, fatta salva l’applicazione delle ipotesi di denuncia di inizio attività, regolate dal precedente art. 19. Rispetto a tale generalizzazione il comma 4 dell’art. 20 ha introdotto alcune eccezioni in determinate materie, tra cui quelle inerenti il patrimonio culturale e paesaggistico e l'ambiente, che riguardano non l’impossibilità in assoluto di prevedere speciali ipotesi di silenzio assenso, ma l’inapplicabilità della regola generale dell’art. 20, comma 1. In sostanza, la generalizzazione dell’istituto del silenzio assenso non può applicarsi in modo automatico alle materie indicate dall’art. 20, comma 4, ma ciò non impedisce al legislatore di introdurre in tali materie norme specifiche, aventi ad oggetto il silenzio assenso, a meno che non sussistano espressi divieti, derivanti dall’ordinamento comunitario o dal rispetto dei principi costituzionali. Pres. Barbagallo, Est. Chieppa - T.F.S.A. s.r.l. (avv.ti Scotti, Lavitola e Izzo) c. Ente Parco Regionale dei Castelli Romani (avv. Biz) (Riforma T.A.R. LAZIO, Roma, n. 1512/2008) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 29 dicembre 2008, n. 6591

 

AREE PROTETTE - S.I.C. e Z.P.S. - Provvedimenti suscettibili di modificare in peius il regime di tutela -Permessi di ricerca di energia geotermica - Proprietari di aree comprese all’interno delle zone protette -Legittimazione all’impugnazione - Accesso alla giustizia in materia ambientale - Dir. 2003/35/EC - Convenzione di Aarhus. I proprietari di aree collocate all’interno della zona S.I.C. e Z.P.S., hanno sicuramente un interesse giuridicamente qualificato alla fruizione dei beni di loro proprietà secondo il predetto regime di tutela, dal che si ritrae la legittimazione a ricorrere avverso provvedimenti suscettibili di modificarlo in peius (nella specie, permessi di ricerca di energia geotermica). In ogni caso, anche a voler prescindere dalle considerazioni legate alla valutazione del diritto di proprietà immobiliare, depone ulteriormente nel senso della legittimazione, avuto riguardo all’interesse ambientale sotteso al ridetto regime delle aree considerate, la necessità di prestare ossequio al principio di cooperazione ex art. 10 T.C.E., in relazione alle condizioni di accesso alla giustizia in materia ambientale stabilite dalla direttiva 2003/35/EC; inoltre, anche a voler prescindere dal diritto comunitario, il diritto internazionale pattizio impone ancor di più una simile conclusione, avuto riguardo alla Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ratificata dall’Italia con legge 16 marzo 2001, n. 108. Pres. f.f. Ferlisi, Est. Tulumello - F.G. e altri (avv.ti De Luca e Barletta) c. Assessorato regionale all’Industria e altri (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. II - 7 agosto 2008, n. 1097

 

AREE PROTETTE - ZSC e ZPS - D.M. 17 ottobre 2007 - Province autonome di Trento e Bolzano - Statuto speciale del Trentino Alto Adige - Potestà legislativa primaria in materia di parchi per la protezione della flora e della fauna. Non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007, recante «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)»: per l'effetto vanno annullati gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati del predetto decreto, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Ai sensi dell'art. 8, numero 16, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, infatti, le Province autonome hanno una potestà legislativa primaria in materia di «parchi per la protezione della flora e della fauna» e pertanto spetta a dette province dare concreta attuazione per il loro territorio alla direttiva 92/43/CEE ed alla direttiva 79/409/CEE. Pres. Bile, Red. Maddalena - Giudizio per conflitto di attribuzione promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento. CORTE COSTITUZIONALE - 1 agosto 2008, n. 329

 

AREE PROTETTE - SIC e ZPS - Obbligo di classificazione - Corte di Giustizia europea - Stati membri - Deroghe derivanti dalla valutazione di interessi concorrenti - Assoluta preminenza delle finalità di tutela dell’avifauna ex dir. 79/409/CEE. Il costante indirizzo della Corte di giustizia ha da tempo codificato il principio secondo cui l’obbligo di classificazione delle aree di rilevanza comunitaria - SIC e ZPS - non tollera alcuna deroga e dunque alcuna concorrente considerazione per differenziati interessi alla luce dell’assoluta preminenza della finalità perseguita dalla direttiva comunitaria n. 79/409/CEE. Pres. Mariuzzo, Est. Tomaselli - Comitato di Tutela degli usi e costumi del Lagorai e altri (avv. Niccolini) c. Provincia autonoma di Trento (avv.ti Pedrazzoli, Spinelli e Falferi) - T.R.G.A. TRENTINO ALTO ADIGE, Trento - 31 luglio 2008, n. 214

AREE PROTETTE - SIC e ZPS - Sentenza della Corte di Giustizia delle comunità europee C-378/01 - Condanna della Repubblica italiana - Provincia autonoma di Trento - Ampliamento dei confini della ZPS della catena del Lagorai - Potere discrezionale - Assenza - Mancato rispetto del principio di partecipazione procedimentale - Irrilevanza.
La delibera con la quale la Provincia Autonoma di Trento ha provveduto ad ampliare i confini della ZPS della catena del Lagorai (IBA 046), a seguito della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 20 marzo 2003 in causa C-378/01 che ha condannato l’Italia per essere venuta meno agli obblighi di cui all’art. 4, c. 1 della direttiva 79/409/CEE, costituisce un adempimento al quale l’ente non avrebbe potuto sottrarsi : in tali ipotesi il potere discrezionale si riduce a zero, tollerando una sola scelta possibile; ne deriva l’irrilevanza del mancato rispetto del principio di partecipazione procedimentale e l’omessa consultazione degli enti locali interessati. Pres. Mariuzzo, Est. Tomaselli - Comitato di Tutela degli usi e costumi del Lagorai e altri (avv. Niccolini) c. Provincia autonoma di Trento (avv.ti Pedrazzoli, Spinelli e Falferi) - T.R.G.A. TRENTINO ALTO ADIGE, Trento - 31 luglio 2008, n. 214

AREE PROTETTE - SIC e ZPS - Sentenza della Corte di Giustizia delle comunità europee C-378/01 - Inventario IBA - Classificazione delle ZPS - Limiti alla discrezionalità delle amministrazioni degli stati membri.
Alla stregua della sentenza della Corte di giustizia del 20 marzo 2003 in causa C-378/01, tutte le aree indicate nell’inventario IBA (important Bird Areas) del 1989 sono potenzialmente idonee alla conservazione delle specie indicate nell’ allegato 1 della direttiva 79/409/CEE e la discrezionalità commessa alle Amministrazioni degli Stati membri resta astretta alla sola utilizzazione dei criteri ornitologi che consentono l'individuazione dei siti più idonei alla conservazione dell’avifauna: in sede di esecuzione della sentenza, pertanto, (nella specie, attraverso la delibera della P.A.T. di ampliamento dei confini della ZPS della catena del Lagorai) non poteva dunque tornare in discussione l'opportunità o meno di classificare come ZPS i territori ove sono presenti le condizioni di vita più appropriate per le nominate specie. Pres. Mariuzzo, Est. Tomaselli - Comitato di Tutela degli usi e costumi del Lagorai e altri (avv. Niccolini) c. Provincia autonoma di Trento (avv.ti Pedrazzoli, Spinelli e Falferi) - T.R.G.A. TRENTINO ALTO ADIGE, Trento - 31 luglio 2008, n. 214

AREE PROTETTE - ZPS - Designazione - Sentenza Corte costituzionale n. 378/07 - Interventi di mero ampliamento di ambiti territoriali già individuati - Competenza esclusiva dello Stato - Non rientrano.
Secondo quanto osservato dalla Corte costituzionale nella decisione n. 378/07, la competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 Cost. va intesa limitatamente ad interventi di vera e propria istituzione (designazione) di nuove ZPS e non anche a quelli di mero ampliamento di ambiti territoriali sostanzialmente già individuati, con conseguente piena legittimità dei provvedimenti assunti senza la formale intesa con lo Stato. Pres. Mariuzzo, Est. Tomaselli - Comitato di Tutela degli usi e costumi del Lagorai e altri (avv. Niccolini) c. Provincia autonoma di Trento (avv.ti Pedrazzoli, Spinelli e Falferi) - T.R.G.A. TRENTINO ALTO ADIGE, Trento - 31 luglio 2008, n. 214

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - AREE PROTETTE - Iter procedimentale legislativo - Invocabilità dell’art. 97 Cost. quale parametro di legittimità costituzionale - Esclusione - Fattispecie: leggi regionali istitutive di aree protette. L’art. 97 Cost. costituisce parametro di legittimità costituzionale di una disposizione legislativa che venga a regolare una procedura amministrativa, ma non può essere invocato per valutare il corretto svolgimento di un iter procedimentale legislativo (nella specie, il giudice rimettente dubitava della legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., di tre leggi regionali istitutive di aree protette, sul presupposto che il Consiglio regionale, nell’approvarle, non avrebbe tenuto conto che la propedeutica fase amministrativa non si era svolta nel rispetto delle regole procedimentali dettate con sentenza del Tar). Pres. Bile, Red. Napolitano - Giudizio promosso con ordinanze del T.A.R. PUGLIA, Lecce - CORTE COSTITUZIONALE - 2 luglio 2008, n. 241

AREE PROTETTE - Disciplina - Legge regionale - Art. 23 L. n.394/91.
Non può ritenersi che la materia delle aree protette possa essere disciplinata solo con provvedimenti amministrativi, in quanto nella legge quadro statale sulle aree protette n. 394 del 1991 è espressamente previsto all’art. 23 il principio fondamentale che sia una legge regionale ad istituire il parco naturale regionale. Pres. Bile, Red. Napolitano - Giudizio promosso con ordinanze del T.A.R. PUGLIA, Lecce - CORTE COSTITUZIONALE - 2 luglio 2008, n. 241

 

AREE PROTETTE - CACCIA -  Introduzione non autorizzata di armi - Effettivo esercizio venatorio - Accertamento - Esclusione - Presunzione un pericolo per il bene protetto - Sussistenza - Arma smontata - Configurabilità. La presenza indebita di un'arma in un'area protetta è ritenuta in via astratta e di non superabile presunzione un pericolo per il bene protetto, sicché, il reato si consuma attraverso la semplice introduzione non autorizzata dell'arma, avendo la legge disposto una difesa per così dire a monte della fauna protetta, con la esclusione della necessità di qualsivoglia accertamento circa l'effettivo esercizio venatorio. Né può in alcun modo rilevare che l'arma fosse smontata posto che anche in tal modo essa, una volta ricomposta con una operazione tutt'altro che disagevole o complicata, era pur sempre in grado di costituire una minaccia al bene che la norma intende tutelare. Pres. Altieri, Est. Mancini, Ric. Perrone. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 20/06/2008 (Ud. 6/02/2008), Sentenza n. 25215

 

ASSOCIAZIONI - AREE PROTETTE - Delibera di individuazione di SIC e ZPS - Associazioni agricole - Legittimazione processuale - Sussistenza. Le associazioni agricole, quali enti esponenziali degli interessi dei coltivatori, sono legittimate a ricorrere avverso le deliberazioni di individuazione di SIC e ZPS che posseggano connotato di lesività in rapporto all’introduzione di misure di salvaguardia e disposizioni vincolistiche. E’ irrilevante la mancata previsione legislativa della attribuzione di una legittimazione processuale attiva in capo ai soggetti in parola: secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, le associazioni di categoria hanno titolo ad agire in sede giurisdizionale per tutelare sia posizioni soggettive proprie che interessi del gruppo del quale costituiscono stabile centro di riferimento (Cfr. Cons. Stato, V Sez., 12 agosto 1998, n. 1261, IV Sez., 14 luglio 1995, n. 562, VI Sez., 13 luglio 1993, n. 531;T.A.R. Lazio, Latina, 6 marzo 2003, n. 236). Pres. Borea, Est. Farina - Comunanza Agraria-Agrarna Skupnost e altri (avv. Mocnik) c. Regione Friuli - Venezia Giulia (avv. Di Danieli), riunito ad altro ricorso - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 9 aprile 2008, n. 223

AREE PROTETTE - Individuazione di SIC e ZIP - Natura - Atto generale - Comunicazione di avvio del procedimento - Art. 7 L. n. 241/1990 - Necessità - Esclusione - Spontanea previsione di forme di partecipazione - Garanzia di effettività della partecipazione.
L’individuazione di SIC E ZPS, a rigore, è atto generale, classificabile come atto di pianificazione e di programmazione, sottratto, in quanto tale, all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990. Tuttavia, ove l’amministrazione, in osservanza del generale principio di pubblicità dell’azione amministrativa, voglia spontaneamente ammettere forme di partecipazione dei cittadini (cfr., in merito, C.d.S. n. 6172/2006), le modalità informative devono consentire un meccanismo partecipativo idoneo (fattispecie relativa alla comunicazione di adozione della delibera intempestiva e diretta solo ad alcune associazioni rappresentative) Pres. Borea, Est. Farina - Comunanza Agraria-Agrarna Skupnost e altri (avv. Mocnik) c. Regione Friuli - Venezia Giulia (avv. Di Danieli), riunito ad altro ricorso - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 9 aprile 2008, n. 223


AREE PROTETTE - Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga - Sistema autorizzatorio vigente - Regime di salvaguardia - Riconduzione all’art. 13 della legge quadro 395/91 - Impossibilità.
Il sistema autorizzatorio vigente all’interno del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga rimane connotato da una marcata specialità determinata dal regime di salvaguardia dal quale esso è attualmente regolato in virtù delle previsioni allegate al DPR 5/6/95, in attesa dei previsti adempimenti di pianificazione di cui all’art. 12 della legge quadro 395/91. Tale sistema non può pertanto essere tout court ricondotto al nulla osta ex art. 13 della predetta legge quadro che disciplina invece la gestione a regime degli interventi nelle aree protette. Pres. Catoni, Est. Passoni - Comunità montana del Tronto (avv.ti Galvani e Rossi) c. Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga (avv. Matteucci Civitarese). T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I - 7/03/2008, n. 130

AREE PROTETTE - Piano di gestione forestale - Funzione economica - Tutela dell’ecosistema - Strumenti di salvaguardia anche non compatibili con la produzione. Mentre il piano di gestione forestale assolve ad una funzione prevalentemente economica, anche nei suoi profili più conservativi, di contro la tutela di un ecosistema (vale a dire la missione di un’area protetta) presuppone metodi e strumenti di salvaguardia non sempre compatibili con la produzione, e ciò con particolare riguardo a quegli ambiti territoriali in zone istituzionalmente caratterizzate da un limitato od inesistente grado di antropizzazione. Pres. Catoni, Est. Passoni - Comunità montana del Tronto (avv.ti Galvani e Rossi) c. Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga (avv. Matteucci Civitarese). T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I - 7/03/2008, n. 130

 

AREE PROTETTE - Regione Siciliana - ZPS e ZSC - Dec. Ass. 22.10.2007, come modificato dal Dec. Ass. 25.10.2007- Sottrazione al sistema sanzionatorio di condotte che nelle altre regioni costituiscono reato - Sospensione. Va sospeso il Decreto dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente del 22 ottobre 2007 (“Disposizioni relative alle misure di conservazione delle zone di protezione speciale e delle zone speciali di conservazioni” ) così come modificato dal decreto 25 ottobre 2007, nelle parti in cui si dichiara non vigenti nella Regione Siciliana le disposizioni di cui alla delibera del Comitato per le aree protette del 2 dicembre 1996 e non applica criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione della Zps e Zsc, così come individuati con DM 17 ottobre 2007. Tale provvedimento sottrae infatti al sistema sanzionatorio penale di cui all’art. 30 ,lettera D, L. 157/92, nonché penale, civile ed amministrativo di cui all’art. 30 L. 394/91, condotte che, se commesse fuori dal territorio siciliano, rientrerebbero a pieno titolo nelle fattispecie di reato e di illecito civile ed amministrativo ivi previste; pare inoltre invadere le competenze statali costituzionalmente poste in ordine alla materia della tutela dell’ecosistema, di cui all’art. 117, II comma, lettera S Cost. Pres. f.f. Veneziano, Est. Valenti - Legambiente com. reg. siciliano e altri (avv. Giudice) c. Assessorato Regionale Territorio e Ambiente (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I - 19 febbraio 2008, ord. n. 227

AREE PROTETTE - L.R. Campania n. 24/1995 - Realizzazione di opere di pubblico interesse all’interno di aree protette - Preclusione - Inconfigurabilità - Condizioni.
La normativa di cui alla L.R. Campania n. 24/1995 non preclude pregiudizialmente la realizzazione di opere di pubblico interesse all’interno delle aree protette (art. 22, 3° comma L.R. cit.), pur subordinandola alla duplice e concorrente condizione dell’ allocazione nelle sole zone B e C (con salvaguardia delle aree di riserva integrale) e dell’ approvazione da parte dell’Ente Parco. Non risulta nemmeno inibita, alla stregua della normativa regionale, l’attività “di posa di cavi e di tubazioni interrati per reti di distribuzione dei servizi di pubblico interesse” (art. 5, 2° comma lett. d) L. R. n. 24/1995), sempre che detta attività non comporti danni per le alberature di alto fusto, né la modifica permanente della morfologia del suolo: condizioni limitative, queste ultime, da verificare preventivamente in concreto, all’esito di adeguata valutazione di compatibilità, in sede di attuazione degli interventi. Tali valutazioni di compatibilità ambientale costituiscono esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica non suscettibile di sindacato giurisdizionale in assenza di incongruenze istruttorie e motivazionali. Pres. Ruoppolo, Est. Caringella - Comune di Serino (avv.ti De Lisio e Balletta) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato) e altro (n.c.) - (conferma T.A.R. Campania, Salerno, n. 11/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 19 febbraio 2008 (c.c. 20/11/2007), sentenza n. 561

 

ACQUA - V.I.A. - Progetto per la realizzazione di un impianto idroelettrico ricadente in area prossima a S.I.C. - Valutazione di impatto ambientale - Necessità - Esclusione - Procedura di screening - L.r. Molise n. 21/2000. Il progetto per la realizzazione di un impianto idroelettrico, ricadente in un’area prossima a un sito di importanza comunitaria (s.i.c.), ma non qualificabile ex se come area naturale protetta, non necessita - a mente degli artt. 3 comma quarto, 8 e 9 della L.R. Molise 24 marzo 2000 n. 21 - di valutazione di impatto ambientale completa, bensì di semplice atto di verifica (cosiddetto “screening”). Ciò è vero, anche a voler prescindere dalla avvenuta o mancata approvazione degli strumenti di pianificazione regionale, quali il P.e.a.r. (Piano energetico ambientale regionale), le Linee guida, previste dallo stesso P.e.a.r., per lo svolgimento del procedimento di assenso alla costruzione di impianti di energia da fonti rinnovabili e le Linee programmatiche di cui alla delibera del C.R. 10.7.2006 n. 117. Non solo: ai sensi del citato art. 9 comma quinto della L.R. n. 21/2000, decorso il termine di sessanta giorni, senza che l’autorità competente abbia richiesto la sottoposizione al procedimento di v.i.a., il progetto si intende tacitamente escluso dalla procedura di v.i.a. Pres. Giaccardi, Est. Ciliberti - D. s.r.l. (avv.ti Ruta e Zezza) c. Regione Molise (Avv. Stato), Comune di Pietrabbondante (avv. Colalillo) e altro (n.c.) - T.A.R. MOLISE - 8 febbraio 2008, n. 50

 

AREA PROTETTA - CACCIA - Attività venatoria - Esercizio della caccia in zona di riserva naturale - Valutazioni nel giudizio di condanna - Segnalazione cartellonistica idonea - Presenza di altri cacciatori vicinanze - Ininfluenza - Art. 30 L. n. 157/1992 - Configurabilità. Si configura, per il soggetto intento ad esercitare la caccia in zona di riserva naturale, il reato di cui all’articolo 30 della Legge n. 157 del 1992. Nella specie, sono state ritenute ininfluenti, tra le altre, le contestazioni in merito all'area protetta non adeguatamente segnalata da idonea cartellonistica e che nelle vicinanze potevano esserci altri cacciatori. Pres. Vitalone - Est. Cordova - P.M. D'Angelo - Ric. D.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 28 Gennaio 2008, Sentenza n. 4065

 

AREE PROTETTE - SIC e ZPS - Valutazione di incidenza - Art. 5 d.P.R. 357/97 - Interventi previsti in area prossima al sito tutelato. Ai fini della valutazione di incidenza, l’ art. 5 del d.P.R. 357/97 non pone alcun limite in ordine alla necessità che l’intervento sia inscritto nel sito tutelato, potendo essere invece semplicemente destinato ad un’area relativamente prossima. D’altro canto, la richiesta di uno studio d’incidenza ha, per l’appunto, la finalità di stabilire se l’intervento abbia in concreto un effetto significativo, ed eventualmente quale: non se ne presuppone invece ex ante l’esistenza. Pres. De Zotti, Est. Gabbricci - F. s.p.a. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Provincia di Treviso (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 18 dicembre 2007, n. 4027


AREE PROTETTE - VIA - Direttiva habitat - Zone non classificate come ZPS, mentre avrebbero dovuto esserlo - Regime di protezione - Finalità di tutela - Status giuridico di protezione - Valutazione delle incidenze di un piano o di un progetto - Principio di precauzione - Effetto cumulativo dei progetti.
Le zone che non sono state classificate come ZPS, mentre avrebbero dovuto esserlo, continuano a rientrare nel regime proprio dell'art. 4, n. 4, prima frase, della direttiva uccelli poiché altrimenti le finalità di tutela delineate da tale direttiva, come sono configurate nel suo nono 'considerando', non potrebbero venir perseguite (v. sentenze 2/08/1993, Commissione/Spagna, nonché 7/12/2000, causa C‑374/98, Commissione/Francia). Inoltre, l'art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva uccelli impone agli Stati membri di conferire alle ZPS uno status giuridico di protezione che possa garantire, in particolare, la sopravvivenza e la riproduzione delle specie di uccelli menzionate nell'allegato I, nonché la riproduzione, la muta e lo svernamento delle specie migratrici non considerate nell'allegato I che ivi giungono regolarmente (sentenza 18/03/1999, causa C‑166/97, Commissione/Francia). Pertanto, il testo dell'art. 7 della direttiva habitat precisa che l'art. 6, nn. 2‑4, di questa direttiva si sostituisce all'art. 4, n. 4, prima frase, della direttiva uccelli a partire dalla data di entrata in vigore della direttiva habitat o dalla data di classificazione operata da uno Stato membro ai sensi della direttiva uccelli se quest'ultima data è successiva. Risulta pertanto che le zone che non sono state classificate come ZPS, mentre avrebbero dovuto esserlo, continuano a rientrare nel regime proprio dell'art. 4, n. 4, prima frase, della direttiva uccelli (sentenza 7/12/2000, causa C‑374/98, Commissione/Francia). Quanto alla trasposizione dell'art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva habitat, occorre ricordare, in primo luogo, che la Corte ha già statuito che l'art. 6, n. 3, di detta direttiva subordina il requisito di un'opportuna valutazione delle incidenze di un piano o di un progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest'ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste poiché non può essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito interessato (sentenza 20/10/2005, Commissione/Regno Unito). Concludendo, in forza dell'art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat, qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito è sottoposto a un'adeguata valutazione dell'incidenza che ha sullo stesso tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo, quando non possa essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, che esso, da solo o in combinazione con altri piani o progetti, pregiudichi significativamente il detto sito (sentenza 7/09/2004, causa C‑127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging). La mancata presa in considerazione dell'effetto cumulativo dei progetti comporta in pratica che la totalità dei progetti d'un certo tipo può venire sottratta all'obbligo di valutazione mentre, presi insieme, tali progetti possono avere un notevole impatto ambientale (v., per analogia, sentenza 21/09/1999, causa C‑392/96, Commissione/Irlanda). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. II, 13/12/2007, Causa C-418/04


AREE PROTETTE - ZPS E SIC - Individuazione e designazione - Distinzione - Designazione di ZPS - Intesa tra Provincia autonoma e Stato - Necessità - Art. 9, cc. 2 e 3 LP Trento n. 10/2004 - Illegittimità costituzionale.
In materia di SIC e ZPS, occorre distinguere la “individuazione” dei siti di importanza comunitaria, dalla “designazione” delle zone speciali di conservazione, posto che “individuazione” e “designazione” esprimono, come si evince anche dai commi 1 e 3 dell’art. 9 della L.P. Trento n. 10/2004, due concetti diversi, consistendo l’individuazione nella pura indicazione del sito, e costituendo, invece, la “designazione” l’atto che sottopone la zona prescelta ad uno speciale statuto vincolistico, consistente nell’adozione di speciali “misure di conservazione”. In altri termini, la parola “designazione”, utilizzata nella direttiva 92/43/CEE ha lo stesso significato che l’ordinamento nazionale ha tradizionalmente attribuito all’espressione “istituzione di un’area protetta”. Dunque, la “designazione” di quella particolare area protetta che è stata classificata come zona speciale di conservazione (le ZPS, come i parchi e le riserve, sono classificate come “aree protette”), non può essere effettuata unilateralmente dalla Giunta provinciale, ma deve essere effettuata dallo Stato d’intesa con la Provincia autonoma, secondo il principio di cui all’art. 5, commi 1e 2, della legge n. 349 del 1986, integrato dall’art. 8, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette): «qualora il parco o la riserva interessi il territorio di una Regione a statuto speciale o Provincia autonoma, si procede d’intesa». Se ne deve dedurre che i commi 2 e 3 dell’art. 9 della legge provinciale n. 10 del 2004 sono costituzionalmente illegittimi. Pres. Bile, Red. Maddalena - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Provincia Autonoma di Trento - CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 2007 (ud. 5 novembre 2007), sentenza n. 378

AREE PROTETTE - Zone a protezione speciale - L.P. Trento n. 10/2004, art. 9, c. 11 - Attribuzione al Presidente della Giunta del potere di interloquire con la Commissione europea - Contrasto con l’art. 1, c. 5 della L. n. 349/1986 - Illegittimità costituzionale.
L’art. 9, c. 11 della LP Trento n. 10/2004, nell’attribuire al Presiedente della Giunta , in materia di zone a protezione speciale, il potere di interloquire con la Commissione europea, deve ritenersi costituzionalmente illegittimo, in quanto contrastante con l’art. 1, c. 5 della L. n. 349/1986, pienamente ribadito dall’art. 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131, che attribuisce al Ministro dell’ambiente il compito di rappresentare l’Italia presso gli organismi della Comunità Europea in materia di ambiente e di patrimonio culturale. Pres. Bile, Red. Maddalena - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Provincia Autonoma di Trento - CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 2007 (ud. 5 novembre 2007), sentenza n. 378


AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza ambientale - Piano o progetto su un sito protetto - Necessità - Direttiva 92/43/CEE - Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche - Istituzione e gestione delle zone appartenenti alla rete europea Natura 2000.
L'art. 6, n. 3, della direttiva 92/43 subordina l'obbligo di effettuare un'opportuna valutazione delle incidenze di un piano o progetto su un sito protetto alla condizione che questo sia idoneo a pregiudicare significativamente il sito interessato (v. sentenza 7 settembre 2004, causa C‑127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, Racc. pag. I‑7405, punto 40; in prosieguo: la sentenza «Waddenzee»). Va altresì sottolineato, il punto 43 di detta sentenza, …l'avvio del meccanismo di tutela dell'ambiente previsto dall'art. 6, n. 3, della direttiva 92/43 richiede l'esistenza di una probabilità o di un rischio che un piano o un progetto pregiudichi significativamente il sito interessato. Per quanto attiene a quest'ultimo criterio, quando un tale piano o progetto, pur avendo un'incidenza sul detto sito, non rischia di comprometterne gli obiettivi di conservazione, il piano o il progetto non può essere considerato idoneo a pregiudicare significativamente il sito in questione. La valutazione di un siffatto rischio deve essere effettuata segnatamente alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da tale piano o progetto. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. IV, 04/10/2007, Procedimento C-179/06

 

AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - DPR n. 357/1997 e ss.mm. - Inclusione dei pSIC. Alla stregua delle norme vigenti (D.P.R. n. 357/1997, il cui art. 5, 3° comma, come modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003 n. 120, quest’ultimo emanato a seguito della procedura d’infrazione CE 1999/2180) devono essere sottoposti a valutazione d’incidenza i piani o progetti che possono avere incidenze significative sul sito, sia che si tratti di siti di importanza comunitaria, sia che si tratti di proposti siti di importanza comunitaria. Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420

AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Autonomia dal titolo giuridico sottostante alla formazione del progetto.
Il provvedimento di valutazione di incidenza costituisce l’esito di un autonomo procedimento, che prescinde del tutto dalla considerazione del titolo giuridico in base al quale il proponente, soggetto pubblico o privato, ha proceduto alla formazione del piano o del progetto (nella specie, la difesa dell’amministrazione aveva sostenuto l’applicabilità, negata dal giudice, del dimezzamento dei termini, ai sensi dell’art. 23 bis della legge n. 1034/1971, sul presupposto che il progetto per la realizzazione di un complesso alberghiero era conseguente ad una procedura di aggiudicazione del diritto di superficie). Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Procedimento amministrativo - AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Principio del tempus regit actum - Principio del tempus regit actionem - Individuazione - Modifiche al D.P.R. n. 357/1997 per effetto del D.P.R. n. 120/2003 - Applicabilità dello jus superveniens ad un procedimento avviato nel vigore della disciplina anteriore.
L’applicabilità delle norme nell’ambito del procedimento amministrativo è regolata dal principio tempus regit actum, con la conseguenza che ogni atto o fase del procedimento trova disciplina nelle disposizioni di legge o di regolamento vigenti alla data in cui ha luogo ciascuna sequenza procedimentale (tra le tante, TAR Lazio, Sez. III, 25 gennaio 2007 n. 563; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 12 gennaio 2006 n. 144; Consiglio di Stato, Sez. V, 19 ottobre 2006 n. 6211). Il principio del tempus regit actionem, per effetto del quale il procedimento deve essere governato dalle norme vigenti nel momento in cui l’azione amministrativa ha avuto inizio, sviluppato dalla giurisprudenza con riferimento alle procedure concorsuali in itinere, non è correlato al superamento del tradizionale principio tempus regit actum, ma risulta, piuttosto, coerente espressione del principio stesso. L’applicazione di quest’ultimo, infatti , attiene a sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale, mentre trova applicazione il principio del tempus regit actionem ad attività interamente disciplinata dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio (in tal senso, con riferimento all’attività di espletamento di un concorso, C.diSt., Sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5018). Lo jus superveniens è pertanto pienamente operativo con riguardo a procedimenti suddivisi in varie fasi coordinate, dotate di una certa autonomia, salvo che incida su situazioni giuridiche già consolidatesi (nella specie, relativa ad un procedimento avviato nel febbraio del 2001, con il deposito del progetto nell’ambito di una gara indetta dal comune e conclusosi nel novembre 2003, il Tar, in materia di valutazione di incidenza, ha ritenuto applicabile il disposto normativo del D.P.R. n. 357/1997, nel testo novellato dal D.P.R. n. 120 del 12 marzo 2003, che ha esteso alle aree pSIC la necessità di della valutazione di incidenza). Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420

AREE PROTETTE - SIC e pSIC - Valutazione di incidenza - Regione - Mancata o tardata emanazione delle regole di carattere procedurale e applicativo - Operatività delle norme in materia - Danno da ritardo.
La mancata o ritardata emanazione da parte della Regione delle regole di carattere procedurale e/o applicativo concernenti il procedimento di valutazione di incidenza (nella specie, la Regione Calabria ha adottato il disciplinare del procedimento di valutazione di incidenza solo il 27 giugno 2005), non incide sull’operatività delle norme in materia, ma al più, può determinare la momentanea impossibilità di esercitare una funzione di doverosità e, quindi un ritardo nell’esercizio della stessa, con ogni conseguente possibile statuizione in ordine al risarcimento del danno da ritardo (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 15 settembre 2005 n. 7; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 aprile 2006 , n. 2883; TAR Campania, Salerno, 24 ottobre 2005 n. 1988). Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420

AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Incidenze significative - Adeguata istruttoria.
La giurisprudenza nazionale, pur affermando che anche la semplice probabilità di un pregiudizio per l’integrità e la conservazione del sito è sufficiente a far concludere in senso negativo la valutazione di incidenza, ha, comunque, rilevato che le incidenze sul sito, per essere giuridicamente rilevanti, devono essere significative (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 luglio 2005 n. 3917; cfr. anche, sul piano comunitario, Corte di Giustizia CE, Sez. II, 10 gennaio 2006 n. 98; id., 29 gennaio 2004 n. 209). Ciò si traduce nella necessità di accertare, in prima valutazione, il carattere significativo di siffatta incidenza, in relazione al rischio di compromissione dell’integrità del sito: tali conseguenze, infatti, non sono quelle astrattamente ipotizzabili, quanto piuttosto quelle che, considerate la tipologia e le caratteristiche dell’intervento, l’organo procedente, sulla base di adeguata ed autonoma istruttoria, reputi di probabile verificazione. Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420

AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Misure di mitigazione - Definizione da parte dell’autorità competente.
La procedura di valutazione d’incidenza è, per sua natura, finalizzata alla verifica e valutazione degli effetti di attività ed interventi sui siti compresi nella rete Natura 2000 ed all’individuazione delle idonee misure di mitigazione, volte a prevenire il deterioramento dei siti. Basare una valutazione negativa anche sull’inidoneità delle misure di mitigazione individuate dal proponente significa alterare profondamente quella che è la funzione propria del procedimento di valutazione, che è indirizzato anche all’individuazione di tali misure, che devono essere, ove possibile, definite dall’autorità competente ad effettuare la valutazione. Ciò non vuole dire, naturalmente, che non si possa giungere ad una valutazione negativa, ma solo che l’ambito di indagine deve comprendere la ricerca, da parte dell’organo procedente, di eventuali possibili misure di mitigazione, nel caso in cui esse possano rivelarsi adeguate a scongiurare i rischi a carico del sito protetto. Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420

AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Obiettivi di conservazione dell’area tutelata - Salvaguardia dell’equilibrio ambientale complessivo - Estraneità.
L’oggetto proprio della valutazione di incidenza consiste nell’individuazione di conseguenze significative dell’intervento progettato sul sito della rete Natura 2000, con riferimento agli obiettivi di conservazione dell’area tutelata, restando ad esso estraneo ogni intento di salvaguardia dell’equilibrio ambientale complessivo, che andrà invece perseguito mediante altri procedimenti di valutazione ambientale (nella specie, il parere reso dalla Commissione per la valutazione di incidenza, menzionava danni a specie ittiche e a fauna stanziale e volatile, ove l’obiettivo di conservazione dello specifico SIC riguardava le sole praterie di posidonia.) Pres. Mastrocola, Est. Iannini - M. s.r.l. (avv.ti Benozzo e Carratelli) c. Regione Calabria (avv. Coscarella) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 1 ottobre 2007, n. 1420

 

AREE PROTETTE - ZPS - FAUNA E FLORA - Conservazione degli habitat naturali - Fauna e flora selvatiche - Zona di protezione speciale “Valloni e steppe pedegarganiche" - Inadempimento di uno Stato - Art. 4, n. 4, Direttiva 79/409/CEE - Art. 6, n. 2, Direttiva 92/43/CEE. La Repubblica italiana, non avendo adottato i provvedimenti adeguati per evitare, nella zona di protezione speciale «Valloni e steppe pedegarganiche», il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui tale zona è stata creata, è venuta meno, nel periodo precedente al 28 dicembre 1998, agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 4, n. 4, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e, nel periodo successivo a tale data, agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 6, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. La Repubblica italiana è condannata alle spese. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. II, 20/09/2007, causa C-388/05

 

AREE PROTETTE - ZPS - FAUNA E FLORA - VIA -  Valutazione della loro incidenza - Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche - Conservazione degli uccelli selvatici - Valutazione dell’impatto ambientale di lavori di adattamento di piste da sci» - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 92/43/CEE - Direttiva 79/409/CEE - Parco Nazionale dello Stelvio. La Repubblica italiana, avendo autorizzato misure suscettibili di avere un impatto significativo sulla zona di protezione speciale IT 2040044, Parco Nazionale dello Stelvio, senza assoggettarle ad un’opportuna valutazione della loro incidenza alla luce degli obiettivi di conservazione della detta zona; avendo autorizzato siffatte misure senza rispettare le disposizioni che consentono la realizzazione di un progetto, in caso di conclusioni negative risultanti dalla valutazione dell’incidenza sull’ambiente e in mancanza di soluzioni alternative, solo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, e solo dopo avere adottato e comunicato alla Commissione delle Comunità europee ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata, e avendo omesso di adottare misure per evitare il deterioramento degli habitat naturali e degli habitat delle specie nonché la perturbazione delle specie per le quali la zona di protezione speciale IT 2040044, Parco Nazionale dello Stelvio, è stata designata, è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 6, nn. 2-4, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, nel combinato disposto con l’art. 7 della medesima direttiva, nonché dall’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. La Repubblica italiana è condannata alle spese. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. II, 20/09/2007, causa C-304/05

 

AREE PROTETTE - ZPS e ZSC - Decreto Ass. reg. Territorio ed Ambiente Sicilia 3 aprile 2007 - Esclusione delle ZPS e ZSC dal novero delle aree protette - Sottrazione al sistema sanzionatorio penale di condotte che fuori dal territorio siciliano rientrano in fattispecie di reato - L. 394/91 - Invasione competenze statali - Accoglimento domanda di sospensione. Il decreto dell’Assessore regionale Territorio e Ambiente del 3 aprile 2007, recante “Disposizioni sulle aree naturali protette” (GURS n.20 del 27 aprile 2007), nell'escludere la parità tra ZPS e ZSC (siti Natura 2000) e aree protette “sensu legge quadro”, pare sottrarre al sistema sanzionatorio penale di cui all’art. 30, lettera D, L. 394/91 condotte che, se commesse fuori dal territorio siciliano, rientrerebbero a pieno titolo nelle fattispecie di reato e di illecito civile ed amministrativo ivi previste, in relazione all’integrazione delle norme in questione mediante provvedimenti del Comitato per le aree naturali protette e Consulta tecnica per le aree naturali protette adottati ai sensi dell’art. 3 L. 394/91; pare inoltre invadere le competenze statali costituzionalmente poste in ordine alla materia della tutela dell’ecosistema, di cui all’art. 117, II comma, lettera S. Cost.. La domanda di sospensione va pertanto accolta. Pres. Giallombardo, Est. Sinatra - Legambiente Comitato reg. Siciliano e W.W.F. (avv. Giudice) c. Assessorato regionale Territorio e Ambiente (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I - 17 luglio 2007, ord. n. 1434

 

AREE PROTETTE - ZPS - Delimitazione ad opera delle Regioni - Sentenza Corte di Giustizia CE 20 marzo 2003 - Parere Commissione 14/12/2007 - Art. 30, c. 9 ter legge Regione Calabria n. 10/2003 - Parere vincolante di un organo del Consiglio regionale - Contrasto con il diritto comunitario - Inconfigurabilità. Pur nel panorama normativo segnato dalla sentenza della Corte di giustizia del 20 marzo 2003 e dal parere della Commissione del 14 dicembre 2004, deve ritenersi che non si ponga in contrasto con il diritto comunitario una norma di legge regionale che - come il comma 9-ter dell’art. 30 della legge regionale della Calabria n. 10/2003 - imponga un approfondimento istruttorio dopo l’adozione della delibera di delimitazione delle ZPS sul territorio regionale, rendendo necessaria l’acquisizione di un parere vincolante da parte di un organo collegiale del Consiglio regionale. La delimitazione di ZPS deve rispondere alle esigenze di protezione delle specie di uccelli ritenute dall’art. 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva 79/409/CEE, di talché esigenze di approfondimento istruttorio in ordine alle caratteristiche degli habitat naturali delle specie animali protette e dei territori oggetto della proposta di delimitazione non sembrano porsi in contrasto con la direttiva, ed anzi sembrano rispondere alle effettive rationes di protezione sottese alla fonte normativa comunitaria (cfr. sentenza Corte di Giustizia CE del 20 marzo 2003, in tema di inventario IBA 89, che non è stato ritenuto vincolante per gli stati membri, sebbene, in assenza di altri studi scientifici più aggiornati, possa essere posto a fondamento della verifica di ottemperanza di uno Stato agli obblighi imposti dalla direttiva 79/409/CEE.). Pres. Romano, Est. Chinè - E. s.r.l. (avv. Rotella) c. Regione Calabria (avv. Falduto) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. II - 5 luglio 2007, n. 929
 

AREE PROTETTE - FAUNA E FLORA - Conservazione degli uccelli selvatici - Zone di protezione speciale - IBA 98 - Valore - Qualità dei dati - Criteri - Margine di valutazione - Insufficienza manifesta della classificazione in numero e in superficie - Direttiva 79/409/CEE - Inadempimento di uno Stato (Spagna). Il Regno di Spagna, non avendo classificato come zone di protezione speciale per gli uccelli territori sufficienti, in superficie, nelle Comunità autonome Andalusia, Baleari e Canarie, e in numero, nelle Comunità autonome Andalusia, Baleari, Canarie, Castiglia-La Mancia, Catalogna, Galizia e Comunità valenciana, rispetto al fine di offrire protezione a tutte le specie di uccelli elencate nell’allegato I della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, come modificata in particolare dalla direttiva della Commissione 29 luglio 1997, 97/49/CE, nonché alle specie migratrici non comprese nel suddetto allegato, è venuto meno agli obblighi che gli derivano dall’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva 79/409, come modificata. CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNITA' EUROPEA - Sez. II, 28 Giugno 2007, causa C‑235/04

 

AREE PROTETTE - Inadempimento di uno Stato - Repubblica d'Austria - Direttiva 92/43/CEE - Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche - Misure di recepimento. La Repubblica d’Austria non ha adempiuto gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 1, lett. e), g) e i), dell’art. 6, nn. 1 e 2, degli artt. 12 e 13, nonché dell’art. 16, n. 1, e dell’art. 22, lett. b), della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 10 maggio 2007, Causa C-508/04

 

AREE PROTETTE - CACCIA - Armi e mezzi di caccia vietati - Confisca - Limite - Fattispecie: consumazione dell'illecito in area protetta - Artt. 28 c. 2 L. n. 157/1992, e 30 c. 4 L. n. 394/1991. Ai sensi degli artt. 28 co. 2 L. 11/02/1992, n. 157 e 30 co. 4 L. 6/12/1991, n. 394, le armi ed i mezzi di caccia vietati, nonché le cose utilizzate per la consumazione dell'illecito relativo alla salvaguardia di un'area protetta, possono essere confiscati solo in caso di condanna. (v. conf. Cass. sez. III pen., 1/04/2003, n. 15166, Filippone, rv 224709). Pres. Vitalone - Est. Grassi - Ric. Tenace. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, del 9/05/2007 (Ud. 10/04/2007), Sentenza n. 17670

 

AREE PROTETTE - Principio dell'unitarietà dei parchi nazionali - Funzione. In materia di aree protette, la Corte Costituzionale ha sempre affermato e ribadito il principio dell'unitarietà dei parchi nazionali (espressamente contenuto nel D.P.R. n. 616 del 1977, art. 83, comma 2) rivolto, da un lato, ad assicurare allo Stato poteri idonei a garantirne l'unitarietà di struttura e di funzionamento e, dall'altro, a precludere alle Regioni di porre una disciplina comunque idonea a pregiudicare siffatta unitarietà anche di gestione. Tale unitarietà di disciplina deve riguardare tutti i parchi nazionali, sia già esistenti sia di futura istituzione, non avendo il legislatore consentito una diversità di regime tra di essi in quanto, pur se formati in tempi diversi, sono comunque sorretti da un medesimo interesse e da identiche finalità (Corte Cost., sentenze n. 1029 del 1988 e n. 223 del 1984). Pres. Papa E. Est. Fiale Imputato: Bronchi. (Rigetta, App. Firenze, 21 febbraio 2005). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 05/04/2007 (Ud. 13 dic. 2006), Sentenza n. 14183

 

Aree protette - Enti Parco - Art. 6 L. n. 145/2002 - “Spoil system” - Applicabilità alle nomine dei Presidenti degli Enti Parco - Esclusione - Ragioni. In base all’art. 9 della L. n. 394/1991, il Presidente dell’Ente Parco è nominato con decreto del Ministro dell’Ambiente d’intesa con il Presidente della Regione; la nomina è affidata alla codeterminazione di Stato e Regione, nell’ottica della leale collaborazione, e senza che l’apporto regionale possa ridursi a mera attività consultiva non vincolante (v. Corte Costituzionale n. 351/1991, ribadita dalla sentenza n. 21/2006). Da ciò consegue che la revoca della nomina in questione non può essere affidata alla determinazione unilaterale del Ministro, e che quindi, in sostanza, l’art. 6 della L. n. 145/2002 (che ha introdotto una sorta di spoil system limitatamente ad un periodo considerato “sospetto” - il semestre antecedente la scadenza della legislatura -) non è applicabile alle nomine dei Presidenti degli Enti Parco, disposte in attuazione di un coordinamento di interessi non risalenti esclusivamente alla competenza dello Stato (v. Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanza n. 3122/2003 di conferma dell’ordinanza cautelare del TAR Salerno, Sez.I , n. 454/2003). Pres. De Leo, Est. Portoghese - Regione Campania (avv.ti Baroni e Abbamonte) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e l’Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Avv. Stato) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 febbraio 2007, n. 129 (segnalata dall'avv. Maurizio Balletta)

Aree protette - Enti Parco - Nomina del Presidente - Natura - Atto di alta amministrazione - Motivazione - Necessità.
La nomina del Presidente dell’Ente Parco non riveste natura di atto politico (cfr., sul punto, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 340/1981, che ha negato tale natura persino al provvedimento di nomina dell’Avvocato Generale dello Stato). Trattasi invece di atto di alta amministrazione, che, in applicazione del principio di cui agli artt. 24 e 113 Cost., va sempre motivato al fine di consentire una adeguata tutela anche in sede giurisdizionale (in termini TAR Veneto, I, n. 3445 del 26/6/03; TAR Lazio, Roma, II, n. 3276 dell’8/4/03). Pres. De Leo, Est. Portoghese - Regione Campania (avv.ti Baroni e Abbamonte) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e l’Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Avv. Stato) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 febbraio 2007, n. 129 (segnalata dall'avv. Maurizio Balletta)

 

Aree protette - Realizzazione di un impianto energetico - Contrasto con le finalità di cui alla L. n. 394/1991 - Inconfigurabilità - Apprezzamento di compatibilità ambientale rimesso al Ministero dell’Ambiente - L.R. Campania n. 33/93. La realizzazione di un piano energetico non si pone, di per sé ed in via di principio, in contrasto con le finalità di cui alla l. n. 394/1991, atteso che è la stessa normativa regionale a puntualizzare che, nelle aree protette, non è inibita “la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili” (art. 1, 4° comma L.R. Campnia n. 33/93); siffatto e condizionante apprezzamento di compatibilità ambientale è, in concreto, rimesso al giudizio del Ministero dell’Ambiente; la stessa normativa non preclude pregiudizialmente la realizzazione di “opere pubbliche” (rectius, in realtà, “di pubblico interesse”) all’interno delle aree protette (art. 22, 3° comma L.R. cit.), pur subordinandola alla duplice e concorrente condizione della allocazione nelle sole zone B e C (con salvaguardia delle aree di riserva integrale) e della approvazione da parte dell’Ente Parco. La previsione di cui all’art. 11, 3° comma l. n. 394/1991 è, del resto, programmaticamente intesa alla inibizione (di là dal tassativo ma non esaustivo “catalogo” di comportamenti pregiudizialmente vietati) di “attività ed opere” che, in concreto, possano negativamente incidere sul paesaggio e sull’ambiente tutelati. Ne discende che, mentre sono vietate già in astratto ed indipendentemente da ogni apprezzamento circa la loro pericolosità, le attività espressamente elencate, ogni altra attività ed ogni altra opera sarà inibita solo all’esito di uno specifico ed individualizzato giudizio di compatibilità, trasfuso della misura autorizzatoria di competenza dell’Ente Parco. Pres. Fedullo, Est. Grasso - Italia Nostra ONLUS (avv. Cantillo) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Ente Parco Regionale dei Monti Picentini (avv. Laperuta), Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A..R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 12 gennaio 2007, n. 12 

 

AREE PROTETTE - FAUNA E FLORA - Taglio di alberi - Riserva naturale delimitazione del territorio - Decreto istitutivo - Notorietà dell'imposizione del vincolo - Ininfluenza. L'eventuale mancanza di cartelli di segnalazioni circa la presenza di un vincolo non esclude l'elemento psicologico del reato paesaggistico qualora la natura stessa dell'intervento (nella fattispecie, sbancamento di roccia e taglio di alberi su una superficie di 11.000 mq). Inoltre il decreto istitutivo di una riserva naturale viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione con l'indicazione della delimitazione del territorio e quindi deve ritenersi noto ai proprietari dei suoli siti nella zona. Pres. De Maio - Est. Petti - Ric. Greco ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 7 febbraio 2007 (Ud. 19/12/2006), Sentenza n. 5022
 

AREE PROTETTE - URBANISTICA E EDILIZIA - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - BOSCHI E FORESTE - Lavori di sbancamento della roccia e taglio di alberi - Permesso di costruire - Autorizzazione paesaggistica - Nulla osta dell'ente - Artt. 110 c.p. 146 lett. f) , 151 e 163 D. L.vo n 490/1999 e s.m.. Per la realizzazione di interventi in aree protette (parchi nazionali e regionali, riserve naturali ecc.) occorrono tre distinti ed autonomi provvedimenti autorizzativi: il permesso di costruire, l'autorizzazione paesaggistica e, ove necessario, il nulla osta dell'ente che gestisce la riserva naturale (nella specie, vincolo imposto da una riserva naturale alle prescrizioni urbanistiche). Invero il permesso di costruire é necessario tutte le volte che venga alterata la morfologia del territorio anche con scavi e sbancamenti diversi da quelli agricoli mentre gli le altre due autorizzazioni servono a valutare la compatibilità paesaggistica dell'intervento. Pres. De Maio - Est. Petti - Ric. Greco ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 7 febbraio 2007 (Ud. 19/12/2006), Sentenza n. 5022

 

Aree protette - Parco naturale - Regione Lazio - L.R. n. 12/04 - Sanatoria di opere realizzate in area sottoposta a vincolo - Preclusione - Inconfigurabilità - Verifica della non conformità alle norme urbanistiche - Necessità. L’art. 3, lett. b) della L. R. Lazio n. 12/04 non preclude in ogni caso la sanabilità delle opere realizzate in aree vincolate (nella specie: parco naturale), per le quali invece - anche a prescindere dalla data di realizzazione delle stesse - è richiesta la verifica dell’ulteriore presupposto della non conformità alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Pres. Giulia, Est. Cogliani - G.C. e altri (avv. Stefanelli) c. Ente Parco Regionale di Bracciano e Martignano - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis - 8 gennaio 2007, n. 52

 

Aree protette - Misure di salvaguardia di cui alla L. 394/1991 - Operatività - Sino all’istituzione delle singole aree protette. Le misure di salvaguardia di cui alla L. 394/1991, sono naturaliter destinate ad operare solo fino all’istituzione della singole aree protette (art. 6, 3° comma), laddove: a) “dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'articolo 11” (art. 6, 4° comma) e b) dopo l’approvazione del regolamento, sarà affidata a quest’ultimo (in quanto beninteso conforme a legge e alle sepcifiche previsioni dell’art. 11 cit.) la selezione delle opere realizzabili o meno all’interno dell’area protetta. Pres. Portoghese, Est. Grasso - T.T. e altri (avv. Pennetta) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altro (Avv. Stato), Ente Parco regionale dei Monti Picentini (n.c.) e Regione Campania (avv. Consolazio) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 27 settembre 2006, n. 1418 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Tutela e gestione delle aree naturali protette - Azione integrata e coordinata di due soggetti pubblici - “Convenzione” anziché “accordo” di programma - Qualificazione giuridica - Accertamento dell’inadempimento degli obblighi nascenti dalla convenzione - Clausola compromissoria - Mancanza della specifica approvazione per iscritto - Inefficacia. In materia di tutela e gestione delle aree naturali protette rientra nella disciplina ex art. 27 della l. n. 142/1990 anche una convenzione che nelle sue premesse si ispira all’accordo di programma. Essa, costituisce anche nella sostanza un accordo di programma ai sensi dell’art. 27, se stipulata per la definizione e l’attuazione di opere e di interventi che richiedono l’azione integrata e coordinata di due soggetti pubblici, al fine di coordinare le azioni e di determinare i vari momenti e gli adempimenti del procedimento. Ancor più se, tra l’altro, consegue a quanto previsto dall’art. 1, comma 5, della l. 6 dicembre 1991, n. 394, secondo cui “Nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa ai sensi dell'articolo 81 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dell'articolo 27 della L. 8 giugno 1990, n. 142”. Il fatto che si parli di convenzione, anziché di accordo, è irrilevante, mentre il non avere seguito del tutto il procedimento prescritto dal citato art. 27 comporta semmai illegittimità dell’atto di approvazione dell’accordo ma non certo l’impossibilità di configurare un accordo di programma. Infine, l’inefficacia della clausola compromissoria per mancanza della specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341, comma 2, del c.c., anche se si ammettesse la natura contrattuale dell’accordo di programma - dovendosi fare valere innanzi al collegio arbitrale, non sarebbe idonea a superare la declaratoria di inammissibilità da parte del primo giudice. Alla circostanza per la quale la convenzione di cui trattasi si fonda sull’art. 27 della l. n. 142/1990, che consente, al comma 2, di prevedere procedimenti di arbitrato, consegue l’inapplicabilità, alla fattispecie per cui è causa, degli artt. 11, comma 5, e 15, comma 2, della l. n. 241/1990 e l’operatività della prevista clausola arbitrale. Pres. Schinaia - Est. Volpe - COMUNE DI CASTELLABATE (avv. Giuffrida) c. ENTE PARCO NAZIONALE DEL CILENTO E VALLO DI DIANO (Avvocatura generale dello Stato) (conferma TAR Campania, sezione staccata di Salerno, 21 luglio 2005, n. 1314). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 21/09/2006 (C.C. 6/06/2006), Sentenza n. 5565 (vedi: sentenza per esteso)
 

Aree protette - Parchi nazionali - L. 394/91- Scelta dei territori da includere nei parchi - Valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità statale - Sindacato di legittimità - Limiti. La scelta dei territori da includere nei parchi nazionali è demandata (art. 8 L. 394/91) alla valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità statale: come tale non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizi logici. Pres. Ferrari, Est. Mangialardi - FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I - 19 luglio 2006, n. 2894 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Caccia - Rapporto tra protezione della fauna e diritto di caccia - Sentt. Corte Cost. nn. 448/1997 e 169/1999 - Prevalenza dell’esigenza di conservazione della fauna selvatica. Il rapporto tra i valori della protezione della fauna e della flora garantita con la creazione di parchi e riserva ed il diritto di caccia, garantito con la individuazione del limite del 30% del territorio agro silvo pastorale entro cui esercitare l’attività venatoria, alla luce delle sentenze della Consulta nn. 448/1997 e 169/1999, va inteso nel senso che a) la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale e che b) l’esercizio della attività venatoria è consentito purchè non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica (e non arrechi danno effettivo alla produzioni agricole). Pres. Ferrari, Est. Mangialardi - FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I - 19 luglio 2006, n. 2894 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Caccia - L. n. 157/92 - Territorio agro silvo pastorale - Limite del 30% delle aree inibite alla caccia - Inderogabilità - Esclusione - Ratio della norma. Mentre il terzo comma dell’art. 10 della legge n. 157/92 limita le aree che possono essere inibite alla caccia al 30% del territorio agro silvo pastorale, il successivo art. 21, c. 1, lett. b), nell’elencare i divieti posti ai cacciatori esclude espressamente l’esercizio venatorio nei parchi e nelle riserve, in tal modo facendo intendere che in nessun caso sia consentito cacciare in dette zone. La quota dal 20 al 30% prevista nel terzo comma dell’art. 10 non è inoltre indicata come quota massima, come invece espressamente previsto dal successivo quinto comma per la quota massima globale del 15% di territorio da destinare a caccia riservata a gestione privata. Da ciò la conclusione (cfr. TAR Lazio , II Sez, n. 231/98; TAR Basilicata n. 199/2003) per cui la ratio legis non si identifica nel voler costituire un limite inderogabile al territorio da proteggere, ma piuttosto - qualora non vi siano aree di particolare valore naturalistico - nel destinare comunque una superficie compresa tra il 20 ed il 30 per cento alla tutela della fauna. Pres. Ferrari, Est. Mangialardi - FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I - 19 luglio 2006, n. 2894 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Cave e miniere - Parco dei Colli Euganei - Attività estrattiva - Autorizzazione - In relazione agli aspetti geologici - Competenza - Sussistenza - D.Lgs. 616/1977, L.R. Veneto n. 38/1989 e n. 11/2001. In materia di attività estrattiva, la L. n. 1097/1971, ha attribuito al soprintendente le competenze autorizzative non solo con riferimenti agli aspetti paesaggistici e ambientali, ma anche a quelli riguardanti la consistenza del sito, in relazione ai tutti i suoi aspetti naturali, geologici e di sicurezza. Detti poteri sono stati poi devoluti alla Regione Veneto con D.Lgs. 616/77 e all’Ente Parco regionale dei Colli Euganei con L.R. Veneto n. 38/1989 e n. 11/2001. Ne deriva la titolarità in capo all’Ente Parco della competenza ad autorizzare l’attività estrattiva anche in rapporto alle sue implicazioni geologiche. (Nella specie, l’Ente Parco, in sede di provvedimento autorizzatorio, ha disposto incombenti istruttori sulla stabilità del fronte di cava e sulle correlazioni tra l’attività estrattiva e una frana in corso). Pres. Schinaia, Est. Maruotti - C. s.p.a. (avv.ti Verino e Zambelli) c. Ente Parco regionale dei Colli Euganei (avv.ti Bettiol e Ceruti) e altri (n.c.) - (Conferma T.A.R. Veneto, n. 555/2005) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 19 settembre 2006 (c.c. 4 luglio 2006), sentenza n. 5458 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree Protette - Conservazione degli habitats naturali nonché della fauna e della flora selvatiche - Direttiva 92/43/CE - Regime di protezione prima dell’iscrizione di un habitat nell’elenco dei siti di importanza comunitaria. Il regime di una protezione appropriata applicabile ai siti che figurano in un elenco nazionale trasmesso alla Commissione delle Comunità europee, in forza dell’art. 4, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, richiede che gli Stati membri non autorizzino interventi che rischiano di compromettere seriamente le caratteristiche ecologiche di questi siti. Gli Stati membri sono tenuti ad adottare, conformemente alle disposizioni del diritto nazionale, tutte le misure necessarie per evitare interventi che rischiano di compromettere seriamente le caratteristiche ecologiche dei siti che figurano nell’elenco nazionale trasmesso alla Commissione delle Comunità europee. Spetta al giudice nazionale valutare se tale sia il caso. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. II, 14 settembre 2006, procedimento C-244/05 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Parchi - L.R. Veneto n. 38/98 - Parco regionale dei Colli Euganei - Approvazione del Piano Ambientale - Modifica ai confini del Parco - Legittimità - Contrasto con le competenze regionali di cui alla L.R. Veneto n. 40/1984 - Inconfigurabilità. L’art. 2, lett. a) della L.R. Veneto n. 38 del 1989 (“Norme per l’Istituzione del parco regionale dei Colli Euganei”) non impedisce modifiche al perimetro del parco in sede di adozione e di approvazione del Piano Ambientale, risultando per contro evidente la volontà del legislatore regionale di affidare alla competenza della discrezionalità tecnico amministrativa l’introduzione di eventuali variazioni, ove indotte dalle esigenze del perseguimento dei fini istituzionali dell’ente enunciati dall’art. 2 della medesima L.R. 38/1989. Non osta a tale interpretazione la disciplina di ordine generale contenuta nell’art. 7, secondo comma, n. 2, della L.R. 40 del 1984, posto che essa va riguardata come disposizione di principio che affida alla competenza del legislatore regionale la fissazione dei confini dei Parchi e delle Riserve al momento della loro contestuale istituzione: da ciò non può per certo discendere un divieto, per lo stesso legislatore, di consentire che siano successivamente apportate modifiche ai confini stessi mediante ulteriori provvedimenti amministrativi. Pres. Amoroso, Est. Rocco - C.M. S.p.A. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Ente Parco Regionale dei Colli Euganei (avv.ti Schiller e Quaglia) - T.A.R. VENETO, Sez. I - 6 settembre 2006, n. 2858 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Parchi - L.R. Veneto n. 38/98 - Piano Ambientale del Parco - P.R.G. - Rapporti. Il Piano Ambientale del Parco, ai sensi della L.R. Veneto n. 38 del 1989, ha valenza paesistica e la sua approvazione comporta, quando si tratta di prescrizioni e vincoli, l’automatica variazione degli strumenti urbanistici generali e attuativi. La validità del P.R.G. comunale va quindi necessariamente intesa non già come indiscriminata ma in quanto lo strumento urbanistico del Comune non confligga con la sovrastante disciplina dello stesso Piano Ambientale. Pres. Amoroso, Est. Rocco - C.M. S.p.A. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Ente Parco Regionale dei Colli Euganei (avv.ti Schiller e Quaglia) - T.A.R. VENETO, Sez. I - 6 settembre 2006, n. 2858 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Caccia - Conservazione uccelli selvatici - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 79/409/CEE - Conservazione degli uccelli selvatici - ZPS Zona di protezione speciale - Modifica senza fondamento scientifico. La Repubblica portoghese, avendo modificato la delimitazione della zona di protezione speciale «Moura, Mourão, Barrancos», ed avendo in tal modo escluso zone che ospitano specie di uccelli selvatici la cui protezione ha giustificato la designazione di tale zona, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 4, n. 1, della direttiva 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Commissione delle Comunità europee c. Repubblica portoghese. CORTE DI GIUSTIZIA Comunità Europee, Sez. II, Sentenza -13 luglio 2006 - Causa C-191/05

 

Aree protette - SIC e ZPS - Valutazione di incidenza negativa - Approvazione di un progetto - Condizioni - Habitat e/o specie prioritari - Dir. 92/43/CEE e D.P.R. 357/1997 - DPGP Bolzano n. 63/2001. Alla luce della direttiva europea n. 92/43/CEE del 21.05.1992 (“Direttiva Habitat”), del DPR 08.09.1997, n. 357, come modificato dal DPR 12.03.2003 n. 120 e del DPGP di Bolzano n. 63 del 26.10.2001, un progetto può essere approvato nonostante la valutazione di incidenza negativa su siti di importanza comunitaria (sistema “natura 2000”, che comprende, tra l’altro, anche i parchi naturali e parti di essi) solamente quando non esistono soluzioni alternative e quando deve essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi i motivi di natura sociale o economica. Se poi nel sito colpito si trovano un tipo di Habitat prioritario naturale o una specie prioritaria (all. dir. 92/43/CEE) possono essere adottate soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente. Pres. Demattio, Est. Widmair - W.W.F. (avv.ti Zozin e Ladiser) c. Provincia Autonoma di Bolzano (avv.ti von Guggenberg, Cavallar e Pischedda) e Comune di Naturno (avv. Ganner) - T.R.G.A. BOLZANO - 8 giugno 2006, n. 254 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Aree contingue al parco - Disciplina - Varianti al Piano territoriale del Parco - Ammissibilità. Le aree contigue al parco, come risulta dall’art. 32 della legge n. 394/1991, sono aree diversamente disciplinate rispetto a quelle interne ad esso, sulle quali di dispiegano i poteri di altri Enti territoriali le cui scelte coinvolgono e si riflettono all’interno del perimetro del Parco. Ne consegue che, laddove sia previsto uno speciale strumento operativo (nella specie, conferenza di programmazione), non può essere esclusa la possibilità di apportare varianti al Piano territoriale del Parco conseguenti a differenti delimitazioni del suo perimetro e differenti caratterizzazioni dei riferimenti strutturali, infrastrutturali e ambientali. Pres. Vacirca, Est. Romano - W.W.F., Legambiente e altro (avv.ti Angella e Pino) c. Ente Parco Regionale Migliarino - San Rossore - Massaciuccoli (avv. Toscano) - T.A.R. TOSCANA, Sez. I - 1 giugno 2006, n. 2636 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Parco di San Rossore e Migliarino - Recupero edilizio ed urbanistico - Limiti - Previsione di nuove volumetrie non destinate alle funzioni del Parco - Illegittimità. Ai sensi del Piano per il Parco di San Rossore e Migliarino, per il recupero edilizio ed urbanistico sono consentite nuove volumetrie solo per realizzare funzioni del Parco; nel caso invece di riuso del patrimonio edilizio esistente, non sussiste vincolo funzionale, consentendosi anche un’utilizzazione per funzioni compatibili. Ne consegue l’illegittimità del Piano di gestione del Parco nella parte in cui ammette la realizzazione di nuove volumetrie per strutture alberghiere, extra alberghiere e villaggi turistici. Pres. Vacirca, Est. Romano - W.W.F., Legambiente e altro (avv.ti Angella e Pino) c. Ente Parco Regionale Migliarino - San Rossore - Massaciuccoli (avv. Toscano) - T.A.R. TOSCANA, Sez. I - 1 giugno 2006, n. 2636 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Parco di San Rossore e Migliarino - Piano di gestione - Piano di indirizzo e promozione - SIC e ZIP - Preventiva VIA - Necessità - Esclusione. Il piano di gestione del Parco di San Rossore e Migliarino, che incide su siti qualificati come SIC e ZPS, nei limiti in cui è esclusa la natura di piano particolareggiato, configurandosi come piano di indirizzo e promozione di un successivo strumento di attuazione (piano di recupero), non richiede la valutazione di impatto ambientale. Pres. Vacirca, Est. Romano - W.W.F., Legambiente e altro (avv.ti Angella e Pino) c. Ente Parco Regionale Migliarino - San Rossore - Massaciuccoli (avv. Toscano) - T.A.R. TOSCANA, Sez. I - 1 giugno 2006, n. 2636 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Art. 13 L. 394/1991 - Nulla osta preventivo dell’ente parco - Non è limitato ai soli lavori pubblici, ma riguarda tutti gli interventi - Fattispecie. L’art. 13 della legge quadro n. 394 del 1991, che prevede che ogni attività ricedente all’interno del Parco deve essere espressamente subordinata al nulla osta preventivo da rilasciarsi a cura dell’Ente medesimo al fine di verificare la conformità, la compatibilità nonché l’incidenza dell’intervento sulla disciplina di tutela dell’area, ha portata meramente esemplificativa e non può ritenersi limitata ai soli lavori pubblici, ricomprendendo piuttosto, con la locuzione “interventi” anche (come nella specie) l’autorizzazione per l’attività sportiva all’interno di un lago protetto. Pres. ed Est. Capuzzi - Ente Parco regionale Castelli Romani (avv. Brancaccio) c. Provincia di Roma (avv. Sieni) e Associazione sportiva S. (avv. Pallottino) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II - 30/05/2006, n. 4047

 

Aree protette - Urbanistica ed edilizia - Rilascio di concessioni o autorizzazioni per interventi all'interno dei parchi - Preventivo nulla osta dell'ente parco - Necessità - Anche in assenza della previa approvazione del piano e del regolamento del parco. In tema di aree protette, il rilascio di concessioni (ora permessi di costruire) o autorizzazioni per interventi, impianti e opere all’interno dei parchi è sottoposto in ogni caso al preventivo nulla osta dell’Ente Parco, anche in assenza quindi della previa approvazione del piano e del regolamento del parco, di cui agli artt.11.e.12 della L.6.12.1991, n.394, atteso che in assenza dell’approvazione di detti strumenti deve e può farsi riferimento ai piani paesistici territoriali o urbanistici o agli altri strumenti di pianificazione previsti dal citato art.12, 7°comma, che, stabilendo che “il piano…sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione”, conferisce implicita ultrattività a detti strumenti fino al momento della loro sostituzione con il nuovo piano (Cass.pen., sez.III, 14.1.12004, n.5863). Pres. Balba, Est. Rasola - Ente Autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo (avv.ti Iannotta e Di Felice) c. Comune di Pescasseroli (avv. Cerulli Irelli) - T.A.R. ABRUZZO, L'Aquila - 24 maggio 2006, n. 374 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Parchi e riserve - Nomina dei presidenti degli enti parco - L.R. Campania n. 33/93 - Requisito della distinzione per gli studi e/o l’attività nel campo della protezione ambientale - Nozione e finalità. Lo specifico requisito di idoneità che richiede la nomina dei presidenti degli Enti parco "tra persone che si siano distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente" (l.r. Campania n. 33/93), risponde all'esigenza di assicurare che al vertice degli enti di diritto pubblico responsabili della gestione dei parchi siano preposte personalità munite di una particolare sensibilità per le tematiche ambientali, in coerenza con le finalità di garanzia e promozione della conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale perseguite attraverso la disciplina dell'istituzione e della gestione delle aree protette (legge 6.12.1991, n. 394; l.r. Campania n. 33/93). Requisito per la nomina non è pertanto l’aver compiuto studi o svolto attività comunque attinenti all'ambiente, ma l'essersi segnalati in virtù della propria opera, per impegno superiore alla media, nello specifico campo della protezione dell'ambiente. Pres. f.f. Donadono, Est. Guarracino - B.G. (avv. Carrera) e N.D. (avv.ti Pinto, Renditiso e Persico) c. Regione Campania (avv. Marzocchella) T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 18 maggio 2006, n. 4744

 

Aree protette - Divieto di caccia all'interno delle aree protette - Tabellazione perimetrale dell'area - Necessità - Esclusione - Reato di cui all'art. 30, c. 1° lett. a), L. n. 157/92. I parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non necessitano della tabellazione perimetrale prevista dall'art. 10 della L. 11 febbraio 1992 n. 157 al fine di individuarli come aree ove sia vietata l'attività venatoria, gravando in tal caso su chi esercita la caccia l'onere di individuazione dei confini dell'area protetta all'interno della quale si configura il reato di cui all'art. 30, comma primo lett. a), della citata L. n. 157/92. Pres. Onorato P. Est. Ianniello A. Rel. Ianniello A. Imp. Romeo. P.M. Passacantando G. (Parz. Diff.), (Rigetta, App. Reggio Calabria, 6 Marzo 2004). Rv. 233677. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez.III, 28/03/2006 (Ud. 23/02/2006), Sentenza n. 10616
 

Aree protette - Fauna e flora - Inadempimento di uno Stato -Direttiva 79/409/CEE - Conservazione degli uccelli selvatici - Re di quaglie - Zona di protezione speciale del parco naturale nazionale del Lauteracher Ried - Esclusione dei siti di Soren e di Gleggen-Köblern - Direttiva 92/43/CEE - Conservazione degli habitat naturali - Fauna e flora selvatiche - Procedura relativa a un piano o progetto di costruzione - Procedura di fissazione del tracciato di una strada a scorrimento veloce - Procedura di valutazione dell’impatto ambientale - Violazioni procedurali legate al progetto di costruzione sul territorio austriaco della strada federale a scorrimento veloce S 18 - Applicazione nel tempo della direttiva 92/43. Omettendo di includere nella zona di protezione speciale del parco naturale nazionale del Lauteracher Ried i siti di Soren e di Gleggen-Köblern che fanno parte, secondo criteri scientifici, allo stesso titolo di detta zona di protezione speciale, dei territori più idonei in numero e in superficie ai sensi dell’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, come modificata con la direttiva della Commissione 29 luglio 1997, 97/49/CE, la Repubblica d’Austria è venuta meno agli obblighi impostile da detta direttiva. CORTE DI GIUSTIZIA delle Comunità Europee, sez. II - 23 marzo 2006, causa C-209/04 (vedi: sentenza per esteso)

 

Fauna e flora - Aree protette - Conservazione degli habitat naturali e della fauna e flora selvaggi - Protezione delle specie - Inadempimento di Stato - Direttiva 92/43/CEE. Non prendendo, entro il termine, le misure necessarie per instaurare e mettere atto un sistema efficace di protezione rigorosa della Vipera Schweizeri sull'isola di Milos che proibisce la perturbazione intenzionale di questa specie, in particolare durante il periodo di riproduzione, di dipendenza e di ibernazione, come qualsiasi deterioramento o distruzione delle località di riproduzione o delle superfici di riposo della suddetta specie, la Repubblica ellenica ha mancato agli obblighi che gli incombono ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 1, sotto b) e d), della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali come della fauna e della flora selvaggi. La repubblica ellenica è condannata alle spese. (Testo Ufficiale: En ne prenant pas, dans le délai prescrit, les mesures nécessaires pour instaurer et mettre en œuvre un système efficace de protection stricte de la vipère Vipera schweizeri sur l’île de Milos interdisant la perturbation intentionnelle de cette espèce, notamment durant la période de reproduction, de dépendance et d’hibernation, ainsi que toute détérioration ou destruction des sites de reproduction ou des aires de repos de ladite espèce, la République hellénique a manqué aux obligations qui lui incombent en vertu de l’article 12, paragraphe 1, sous b) et d), de la directive 92/43/CEE du Conseil, du 21 mai 1992, concernant la conservation des habitats naturels ainsi que de la faune et de la flore sauvages. La République hellénique est condamnée aux dépens). CORTE DI GIUSTIZIA delle Comunità Europee, 16 marzo 2006, C-518/04

 

Aree protette - Enti parco - Individuazione dei presidenti - Atto di alta amministrazione - Sindacato del giudice amministrativo - Non è escluso. Gli atti di individuazione dei presidenti degli Enti parco, quali atti di alta amministrazione connotati di un tasso di discrezionalità particolarmente elevato, non sono sottratti al principio di legalità ed al sindacato del giudice amministrativo, che, proprio in relazione alla natura squisitamente discrezionale del provvedimento, è destinato ad indirizzarsi soprattutto verso il riscontro di eventuali profili di eccesso di potere (TAR Campania, Napoli, I, 8 maggio 2001, n. 1994). Pres. f.f. Nappi, Est. Guarracino - B.G. (avv. Carrera) c. Regione Campania (avv. Marzocchella), riunito ad altro - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 9 marzo 2006, n. 2803 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Ente parco - Nomina del presidente - Amministrazione - Ambito di discrezionalità - Limiti normativi - Obbligo di motivazione. L'ambito della discrezionalità rimesso all'amministrazione in materia di nomina dei presidenti degli enti parco è prefissato dal legislatore regionale, il quale ha imposto alla Giunta dapprima di specificare i motivi a sostegno delle designazioni effettuate, con particolare riferimento alla idoneità professionale in relazione all'incarico da conferire (art. 7, commi 1 e 2, l.r. Campania 7 agosto 1996, n. 17) e, quindi, di valutare il parere della commissione consiliare competente ovvero di trarre conclusioni dalla sua omissione nei termini fissati. Ciò si riflette in un corrispondente obbligo di motivazione, dovendosi dar conto, anche per relationem ad atti endoprocedimentali, delle ragioni che hanno indotto a privilegiare un aspirante in luogo di un altro, se non in rapporto di comparazione diretta quanto meno mediante evidenziazione della coerenza dei requisiti professionali dei candidati prescelti rispetto alla peculiarità dell'incarico da conferirsi. Pres. f.f. Nappi, Est. Guarracino - B.G. (avv. Carrera) c. Regione Campania (avv. Marzocchella), riunito ad altro - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 9 marzo 2006, n. 2803 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Enti parco - Nomina del presidente - Requisiti di idoneità professionale - L.R. Campania n. 33/93 - Finalità. I requisiti di idoneità professionale ai fini della nomina dei presidenti degli Enti parco sono specificati dall'art. 8 della l.r. Campiania n. 33/93, il quale prescrive che la nomina avvenga "tra persone che si siano distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente". La disposizione risponde all'esigenza di assicurare che al vertice degli enti di diritto pubblico responsabili della gestione dei parchi siano preposte personalità munite di una particolare sensibilità per le tematiche ambientali, in coerenza con le finalità di garanzia e promozione, in forma coordinata, della conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale perseguite, attraverso la disciplina dell'istituzione e della gestione delle aree protette, dal legislatore nazionale (legge 6.12.1991, n. 394) e dal legislatore regionale (l.r. n. 33/93). La rappresentanza all'interno dell'ente dei diversi interessi coinvolti è assicurata dalla composizione del consiglio direttivo, nel quale siedono, oltre al presidente, sia i rappresentanti degli enti locali interessati che quelli delle associazioni ambientalistiche e naturalistiche nonché delle organizzazioni professionali agricole, maggiormente presenti sul territorio. Il legislatore ha invece voluto che l'ente parco fosse presieduto da una figura evidentemente rappresentativa di quei medesimi valori che, attraverso lo strumento delle aree naturali protette, si è inteso sottoporre a uno speciale regime di tutela, in attuazione degli artt. 9 e 32 della Carta costituzionale. Pres. f.f. Nappi, Est. Guarracino - B.G. (avv. Carrera) c. Regione Campania (avv. Marzocchella), riunito ad altro - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 9 marzo 2006, n. 2803 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Navigazione a motore in aree marine protette - Divieto - Individuazione dell'area con strumenti di segnalazione - Necessità - Fondamento - Artt. 19 e 30 L. n. 394/1991 - L. n. 172/2003. La navigazione a motore nelle aree marine protette non segnalate non è più prevista quale reato, ai sensi degli artt. 19 e 30 L. 6 dicembre 1991 n. 394, a seguito dell'entrata in vigore della legge 8 luglio 2003 n. 172, che ha introdotto, con l'art. 9, il comma nono bis dell'art. 2 della citata legge n. 394, ai sensi del quale i limiti geografici delle aree protette entro i quali è vietata la navigazione senza la prescritta autorizzazione devono essere individuati con mezzi di segnalazione conformi alla normativa dell'Association International de Signalisation Maritime. Presidente: Vitalone C. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: Ariberti. P.M. Izzo G. (Parz. Diff.), (Annulla con rinvio, Trib. Genova, 24 Maggio 2005). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 22/02/2006 (Cc. 18/01/2006), Sentenza n. 6745
 

Aree protette - Cave, miniere e torbiere - Regione Siciliana - L.R. 6 ottobre 1999 - Cave esistenti ricedenti all’interno di parchi regionali - Nulla osta rilasciato dal Presidente dell’Ente Parco - Prescrizioni - Imprescindibilità della loro funzionalizzazione alla salvaguardia dell’ambiente - Prescrizioni dirette a garantire la sicurezza dei lavoratori - Illegittimità. In tema di cave esistenti ricadenti all’interno di parchi regionali, il nulla osta rilasciato dal Presidente dell’Ente Parco, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della l.r. 6 ottobre 1999, deve avere come sua principale, sebbene non esclusiva, giustificazione la tutela del paesaggio (“l’impatto ambientale”, secondo la lettera della legge). In altri termini, se può ammettersi che le condizioni imposte alla attività estrattiva siano finalizzate in via secondaria e subordinata a tutelare interessi ulteriori, è comunque imprescindibile la loro principale funzionalizzazione alla salvaguardia dell’ambiente, che rappresenta la ragione della istituzione dei parchi. Ne deriva l’illegittimità del nulla osta che rechi prescrizioni dirette, in via prioritaria, alla garanzia della sicurezza dei lavoratori (Nella specie, era stato imposto l’abbassamento dell’altezza dei gradoni finalizzato alla tutela della sicurezza degli operatori, con generiche prescrizioni dirette alla limitazione degli impatti ambientali) Pres. Adamo, Est. Lento - R.S. s.p.a. (avv. Lo Verde) c. Ente Parco delle Madonie (avv. Armao) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. II - 25 gennaio 2006, n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Ente parco nazionale dell'arcipelago toscano - Nomina del commissario straordinario - Non spetta allo Stato in mancanza della previa intesa con la Regione per la nomina del Presidente. Non spetta allo Stato e, per esso, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la nomina del commissario straordinario dell’Ente Parco nazionale dell’arcipelago toscano nel caso in cui tale nomina avvenga senza che sia stato avviato e proseguito il procedimento per raggiungere l’intesa con la Regione Toscana per la nomina del Presidente dello stesso Ente, e, per l’effetto, annulla i decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 18 novembre 2004 DEC/DPN 2211 e 8 giugno 2005 DEC/DPN 1048 di proroga del commissario straordinario del predetto Ente Parco. Pres. Marini, Red. Finocchiaro - Regione Toscana c. Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio - CORTE COSTITUZIONALE, del 27 gennaio 2006 (23/01/2006) Sentenza n. 21 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Inquinamento - Zona di protezione speciale (ZPS) - C.d. "patto d'area" - Misure idonee a prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat - Fauna e flora - Conservazione degli uccelli selvatici - Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche - Dir. 79/409/CEE - Dir. 92/43/CEE. La Repubblica italiana, omettendo di adottare misure idonee a prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli con conseguenze significative, in riferimento al piano denominato "patto d'area" ed ai progetti ivi previsti, nella zona poi designata come Zona di protezione speciale (ZPS) "Valloni e steppe pedegarganiche", è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 4, paragrafo 4, della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, nonché successivamente al 28 dicembre 1998, agli obblighi derivanti dagli artt. 6, paragrafi 2, 3 e 4, e 7 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, 13 GENNAIO 2006 Ricorso del 24/10/2005, Causa C-388/05

 

Aree protette - Repubblica Federale di Germania - Direttiva 92/43/CEE - Conservazione degli habitat naturali - Flora e fauna selvatiche - Valutazione dell’incidenza di taluni progetti sul sito protetto - Tutela delle specie - Inadempimento. Omettendo di prevedere, per taluni progetti realizzati all’esterno di zone speciali di conservazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, un esame obbligatorio dell’incidenza sul sito, conformemente all’art. 6, nn. 3 e 4, di tale direttiva, indipendentemente dal punto se tali progetti possano avere un’incidenza significativa su una zona speciale di conservazione;
- permettendo emissioni in una zona speciale di conservazione indipendentemente dal punto se tali emissioni possano avere un’incidenza significativa su questa zona,
- escludendo dall’ambito di applicazione delle norme relative alla tutela delle specie alcuni pregiudizi non deliberati causati ad animali protetti,
- non garantendo il rispetto delle condizioni previste per la concessione delle deroghe di cui all’art. 16 per quanto riguarda taluni atti compatibili con la conservazione della zona,
- disponendo di una normativa sull’uso dei prodotti fitosanitari che non prende sufficientemente in considerazione la tutela delle specie, e
- non provvedendo a che tali disposizioni comportassero divieti di pesca sufficienti,
la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù dell’art. 6, nn. 3 e 4, nonché degli artt. 12, 13 e 16 della direttiva. Pres. Timmermans, rel. Gulmann - Commissione delle Comunità Europee c. Repubblica Federale di Germania - CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Sez. II - 10 gennaio 2006, causa C-98/03 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Istituzione di una riserva - Qualificazione di area naturale protetta - Condizioni - Apprezzamenti delle autorità competenti - Discrezionalità amministrativa e tecnica. Condizione necessaria e sufficiente affinché un determinato territorio possa essere legittimamente qualificato alla stregua di area naturale protetta ed inserito nell’ambito di una riserva naturale è che lo stesso rivesta oggettivamente (sotto uno qualunque degli aspetti normativamente indicati - artt. 1 e 2 della Legge 6 Dicembre 1991, n. 394) un rilevante valore naturalistico-ambientale e/o sia inserito in un ecosistema di una certa importanza. Gli apprezzamenti espressi in proposito dalle Autorità competenti statali e regionali rappresentano valutazioni di merito, espressione di un potere istituzionale inevitabilmente caratterizzato da ampi margini di discrezionalità amministrativa e tecnica. (nella specie, il TAR ha ritenuto legittima l’istituzione della zona umida “Riserva di Torre Guaceto”, ricomprendente, oltre ad aree paludose, anche delle aree agricole costituenti, a detta dei ricorrenti, un biotipo e un ecosistema del tutto diverso). Pres. Ravalli, Est. D’Arpe - V.V. e altri (Avv.ti Pellegrino e Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato), Regione Puglia (n.c.), Comune di Carovigno (Avv. Ciullo), Comune di Brindisi (Avv.ti Trane e Guarino) e Provincia di Brindisi (Avv. Rainò) - T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. I - 19 dicembre 2005, n. 6010 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - D.M. 25 marzo 2005 del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio - Sospensione. Il decreto del 25 marzo 2005 del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6/7/2005, recante " Annullamento della deliberazione 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette; gestione e misure di conservazione delle Zone di protezione speciale (ZPS) e delle Zone speciali di conservazione (ZSC)", è sospeso, considerato che la conflittualità interpretativa richiamata nel provvedimento avrebbe legitimato interventi diversi da quello adottato del mero annullamento della deliberazione del Comitato delle aree naturali protette; le misure introdotte nel provvedimento appaiono peraltro meno incisive di quelle conseguenti alla ricomprensione delle ZPS e ZSC nella categoria delle riserve naturali protette di cui alla legge n. 394/1991. Pres. Giulia, Est. Conti - Associazione Verdi Ambiente e Società ONLUS (Avv.ti Lofoco e Chieffi) c. Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio (avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis - 24 novembre 2005, n. 6856 (vedi: ordinanza per esteso)

 

Aree protette - Urbanistica - Costruzione ricadente entro i confini dell’area protetta - Accorpamento di fondi omogenei ex art. 2 L.R. Veneto n. 24/85 - Superamento del limite di copertura di cui al mappale ricompreso nell’area protetta - Preclusione. Il ricorso all’accorpamento di fondi omogenei a fine edificatorio, ex art. 2 della Legge Regionale Veneto n. 24/85 deve ritenersi precluso ove esso determini la violazione di una prescrizione della normativa speciale istitutiva di un’area protetta, diretta a contenere il carico edificatorio nelle aree comprese nel perimetro del Parco (Nella specie, la disciplina urbanistica del Comune di Casale sul Sile, per i fondi compresi in Sottozona E2, prevede il limite del 3%; la norma di cui all’art. 10 della L.r. 8/91, istitutiva del Parco Sile, prevede un limite del 2%, con volumetria non superiore a 300 mq, per quei fondi che, pur compresi in sottozona E2, ricadano in area tutelata; la costruzione progettata dagli istanti, pur rimanendo nell’ambito della volumetria massima assentibile, non rispettava il limite del rapporto di copertura relativo al mappale, ricompresso entro i confini del Parco, sul quale la costruzione avrebbe dovuto essere realizzata. In questo caso, il ricorso all’accorpamento con altri due mappali omogenei situati al di fuori del perimetro dell’area protetta, è stato ritenuto dal T.A.R. contrastante con le finalità della legge regionale istitutiva del Parco). Pres. Stevanato, Est. Farina - T.L. (Avv.ti Ronfini e Zambelli) c. Comune di Casale sul Sile (Avv. Sartorato) - T.A.R. VENETO, Sez. II - 4 novembre 2005, n. 3839 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Zona di protezione speciale (ZPS) - Definizione - Le cave sono assoggettate sempre a vincolo paesaggistico, se situate in area naturale protetta - Classificazione delle aree protette - Normativa. Zona di protezione speciale (ZPS) - ai sensi dell'art. 2 della deliberazione 2.12,1996 del Ministero dell'ambiente - e "un territorio idoneo per estensione e/o per localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli di cui all'allegato 1 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, tenuto conto della necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre a cui si applica la direttiva stessa". Con la medesima deliberazione le ZPS sono state inserite nella classificazione delle aree protette di cui all'art. 2 della legge-quadro 6.12.1991, n, 394. Le ZPS sono successivamente confluite nell'unica rete ecologica europea istituita con la direttiva 92/43/CEE, recepita in Italia con il D.P.R. 8.9.1997, n, 357. Pertanto, alla stregua dei provvedimenti anzidetti, le cave sono assoggettate a vincolo paesaggistico, in quanto situate in area naturale protetta (conf. Cass. Sez. III sentenza n, 38707/2004, Cass. Sez. III, sentenza 7.10.2003, ric. Natale). Pres. A. Grassi, Rel. A. Fiale - Ric. Nardilli. (conferma Tribunale di Bari, con ordinanza del 19.7.2004) CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 23 settembre 2005 (ud. 12 aprile 2005), Sentenza n. 34102 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Parco Nazionale d’Abruzzo - Interventi urbanistici - Potere di verificare la congruenza con le previsioni urbanistiche vigenti nel Comune di Pescasseroli - Sussistenza. L’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo, all’interno del suo ambito territoriale ha il potere dovere di verificare la congruenza degli interventi sia con le norme istitutive del parco, sia con le previsioni urbanistiche vigenti nel Comune di Pescasseroli, in virtù del protocollo d’intesa stilato tra i due enti; tale potere ben può essere esercitato, in coerenza con i precetti costituzionali (art. 9) e le finalità della legislazione in materia ambientale, anche antecedentemente all’approvazione del piano e del regolamento del Parco di cui all’art. 13 delle legge n. 394 del 1991. Pres. Balba, Est. Mattei - D. s.n.c. (Avv. Agnelli) c. Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo (Avv.ti Iannotta e Di Felice) - T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila - 18 maggio 2005, n. 327

 

Aree protette - Caccia - Introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, non autorizzati all'interno di un'area protetta - Divieto - Art. 30 L. n. 394/1991 - Configurabilità. A norma dell'art. 11, 3° comma, della legge 6.12.1991, n. 394, nei parchi sono vietate "le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali, tutelati con particolare riguardo alla flora ed alla fauna protette e ai rispettivi habitat." Segue, nel testo normativo, un'elencazione di divieti specifici tra i quali figura [lett. f] quello dell' "introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati". Il divieto riguarda un'attività che si presume ope legis potenzialmente pericolosa per gli equilibri naturali della fauna protetta. E poiché il legislatore fissa con sufficiente chiarezza le condotte vietate nella citata disposizione e prevede in caso di violazione del divieto una specifica sanzione penale nel successivo art. 30, deve ritenersi che la disciplina normativa in esame sia immediatamente applicabile, pure in mancanza di ulteriori determinazioni regolamentari (Cass., sez. III, 2.6.1995, Carlino, rv. 202710). Pres. Vitalone - Rel. Petti - Ric. Marmo ed altro - P.M. Izzo - (conferma Tribunale di Salerno sez. dist. di Eboli del 20/02/2002). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 10 maggio 2005 (ud. 22 marzo 2005), Sentenza n. 17611 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Caccia - Possesso di arma e munizioni all'interno di un'area protetta - Assenza autorizzazione - Reato di cui cui agli artt. 11 c. 3°, lett f) e 30 1° c L. 1991 n. 394 - Configurabilità - Sussiste - Diritti reali e usi civici delle collettività locali - Limiti. Ai fini della configurabilità del reato di cui agli artt. 11 comma 3°, lett f) e 30 primo comma legge 6 dicembre 1991 n. 394, è sufficiente la constatata presenza del privato, senza la prescritta autorizzazione, all'interno di un'area protetta e in possesso di arma e munizioni, a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria o dell'atteggiamento di caccia, costituendo il relativo divieto lo strumento prescelto dal legislatore per la radicale salvaguardia della fauna protetta del parco (Cass., sez. III, 17.5.1994, Marinelli, rv. 199337). Per realizzare tale finalità l'articolo 11 comma terzo lettera F) della legge n. 394 del 1991 vieta a tutti privati di introdurre, senza autorizzazione, armi nel territorio delle aree protette senza operare alcuna distinzione tra residenti e non residenti. Da ciò consegue che anche i residenti, se vogliono introdurre o trasportare armi nel territorio delle aree protette,devono munirsi della prescritta autorizzazione. Infine, del tutto inconferente è il richiamo al comma 5 dell'articolo 11 che fa salvi i diritti reali e gli usi civici delle collettività locali, esercitati secondo le consuetudini locali, in quanto il trasporto di armi nelle aree protette non costituisce uso civico del territorio. Anzi la norma impone di liquidare eventuali diritti esclusivi di caccia delle comunità locali o altri usi civici di prelievi faunistici da parte del competente commissario per la liquidazione degli usi civici ad istanza dell'Ente Parco. Pres. Vitalone - Rel. Petti - Ric. Marmo ed altro - P.M. Izzo - (conferma Tribunale di Salerno sez. dist. di Eboli del 20/02/2002). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 10 maggio 2005 (ud. 22 marzo 2005), Sentenza n. 17611 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Regione Abruzzo - Parco Regionale del Sirente Velino - Riduzione del perimetro - Delibera di giunta n. 23/2000 - Atto di iniziativa legislativa - Impugnazione innanzi al T.A.R. - Inammissibilità. La delibera di giunta regionale recante l’approvazione della proposta di legge di modifica della L.R. Abruzzo 7.3.2000, n. 23, di riduzione del perimetro del Parco naturale regionale Sirente-Velino, in relazione alla sua natura di atto di iniziativa legislativa, è assoggettata al regime giuridico di sindacabilità proprio delle leggi, per cui sfugge al sindacato del giudice amministrativo. Pres. Balba, Est. Rasola - Ente Parco naturale del Sirente-Velino (Avv. Camerini) c. Regione Abruzzo (Avv.ti Valeri e Pasquali) e altri (n.c.) - T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila - 18 aprile 2005, n. 183

 

Aree protette - Cave, miniere e torbiere - L.R. Umbria n. 2/2000, art. 5, cc. 2, 3 e 5 - Disciplina dell’attività di cava nei parchi nazionali - Illegittimità costituzionale. Sono costituzionalmente illegittimi i commi 2, 3 e 5 dell’art. 5, della legge della Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni), come sostituito dall’art. 5 della legge della Regione Umbria 29 dicembre 2003, n. 26, nella parte in cui disciplina l’attività di cava all’interno dei parchi nazionali. La tutela dell’ambiente, di cui alla lettera s) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, si configura infatti come una competenza statale non rigorosamente circoscritta e delimitata, ma connessa e intrecciata con altri interessi e competenze regionali concorrenti, nell’ambito delle quali risulta legittima l’adozione di una disciplina regionale maggiormente rigorosa rispetto ai limiti fissati dal legislatore nazionale (cfr. sentt. n. 222/2003; 307/2003; 407/2002; 259/2004; 303/2003 e 312/2003). Dal confronto fra la norma statale interposta in materia di parchi nazionali (art. 11, comma 3, lettera b, della legge n. 394 del 1991) e la norma regionale impugnata emerge evidente che le modifiche introdotte, lungi dal disporre una disciplina più rigorosa rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, derogano in peius agli standard di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale. La questione non è invece fondata per quanto riguarda i parchi regionali. Pres. Contri, Red. Finocchiaro - Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato Fiorilli) c. Regione Umbria (Avv. Pedetta) - CORTE COSTITUZIONALE, 18 marzo 2005, n. 108 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Aree naturali - Misure di salvaguardia - Art. 44, c. 13, L.R. Lazio n. 29/1997 - Fase di pianificazione urbanistica - Piani attuativi del PRG - Fase di attuazione, inerente il rilascio delle concessioni edilizie - Nulla osta dell’ass. reg. competente - Nulla osta dell’Ente gestore - Sospensione dell’attività - L. n. 394/91. L’art. 44, comma 13, della legge regione Lazio 6 ottobre 1997 n. 29 fa salve, nelle aree protette, esclusivamente le previsioni dei piani attuativi del piano regolatore generale, adottati o approvati dal Comune di Roma, o dei programmi di intervento oggetto di accordi di programma approvati dalla Regione alla data di entrata in vigore della legge regionale medesima. E’ certamente “salva”, quindi, la fase di pianificazione generale e di localizzazione, ma non la fase di attuazione, inerente il rilascio delle concessioni edilizie e le vicende ad esse conseguenti. E’ ben vero che il precitato art. 44, comma 13, stabilisce che alle aree vincolate non si applica l’art. 8 (in tema di misure di salvaguardia), commi 5, 6 e 7: ma i commi 5 e 6 attengono alla zona B, e non alla zona oggetto di causa; mentre il comma 7, che riguarda la zona A, comporta l’inapplicabilità alla fattispecie del nulla osta preventivo dell’assessorato regionale competente, ma non si riferisce assolutamente al nulla osta dell’Ente gestore. Soccorre peraltro in proposito l’art. 28 della legge regionale - emanata antecedentemente al rilascio della concessione - che prevede espressamente, al primo comma, la necessità di preventivo nulla osta dell’ente di gestione per il rilascio di concessioni o autorizzazioni relativo ad interventi all’interno dell’area naturale protetta e, al terzo comma, che l’ente di gestione “dispone la sospensione dell’attività” qualora nell’area naturale protetta venga esercitata un’attività difforme dal piano, dal regolamento o dal nulla osta (quest’ultimo, nella specie, addirittura mancante). Pres. Salvatore - Est. Mollica - Società cooperativa edilizia “Sagittario Casa Felice” (avv. Izzo) c. Ente regionale per la gestione delle aree naturali protette del Comune di Roma - “Roma Natura”, n.c. ed altri (conferma TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, n. 1544/02 e ric. n. 1959/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 13 aprile 2005 (C.C. 7/12/2004), sentenza n. 1706 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - V.I.A. - Intervento edilizio - Art. 44, c. 13, L.R. Lazio n. 29/1997 - Riduzione dell’impatto ambientale - Procedimento concessorio - Legittimità - Fase del rilascio delle concessioni edilizie - Valutazione di impatto ambientale - Non assoggettabilità dell’intervento - Effetti. E’ corretta la decisione di distinguere (ex art. 44, comma 13, della legge regione Lazio 6 ottobre 1997 n. 29) la fase di pianificazione urbanistica, relativa alla preordinazione dell’intervento edilizio in una determinata località, dalla fase del rilascio delle concessioni edilizie che, se non può implicare negazione dell’intervento stesso, può però assicurarne il minimo impatto ambientale e la realizzazione con modalità rispettose dei valori dell’area protetta. Da ciò discende, da un lato, la riconducibilità del potere di sospensione all’alveo delle attribuzioni dell’ente di gestione; dall’altro, la radicale illegittimità del procedimento concessorio in quanto carente di una fase prescritta dal sistema normativo regionale. Né la eventuale fondatezza della residua censura inerente la non assoggettabilità dell’intervento a valutazione di impatto ambientale varrebbe a sottrarre il procedimento dalla rilevata illegittimità. Pres. Salvatore - Est. Mollica - Società cooperativa edilizia “Sagittario Casa Felice” (avv. Izzo) c. Ente regionale per la gestione delle aree naturali protette del Comune di Roma - “Roma Natura”, n.c. ed altri (conferma TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, n. 1544/02 e ric. n. 1959/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 13 aprile 2005 (C.C. 7/12/2004), sentenza n. 1706 (vedi: sentenza per esteso)

Aree naturali protette - Caccia - Attività venatoria - Divieto di caccia in zone sottoposte a vincolo ex legge 394 del 1991 - Facoltà delle regioni di perimetrazione delle zone di divieto - Zona precedentemente perimetrata - Nuova perimetrazione con decreto regionale - Conseguente legittimità della caccia - Art. 21, L. n. 157/1992. In materia di caccia, la facoltà delle Regioni di provvedere all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali, ove restringere il divieto sancito dalla legge statale, ex art. 21, legge 11 febbraio 1992 n. 157, anche se esercitata con decreto dell'assessore regionale, determina la abolizione della fonte subprimaria integrativa della fattispecie ed il conseguente disvalore penale dell'attività di caccia, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della condotta punibile. Presidente: Papadia U. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Cannilla ed altri. P.M. Galasso A. (Conf.), (Annulla senza rinvio, App. Catania, 4 Giugno 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Boschi - Fascia di 200 metri dal bosco - Realizzazione di un fabbricato rurale - Autorizzazione - Ente Parco - Diniego - Anteriormente alle modifiche normative di cui alle L.R. 16/96, 13/99, 6/01 e 7/03 - Legittimità - Cd. “definizione naturalistica di bosco”. Il diniego opposto dall’Ente Parco ai sensi dell’art. 15 lett. e) della l. 78/1976 per la realizzazione di un fabbricato rurale a distanza inferiore dai mt. 200 da un querceto, è legittimo ove intervenuto prima delle modifiche normative di cui alle LL.RR. nn. 16/1996, 13/1999, 6/2001 e 7/2003, giacchè era sino ad allora operante la definizione “naturalistica” di bosco, comprendente un’estensione notevole di terreno ricoperta, totalmente o parzialmente, da alberi d’alto fusto (nella specie, trattatavasi di “area boscata governata ad alto fusto, della estensione di mq. 12670, con una copertura del suolo superiore al 50%). Pres. f.f. Salamone, Est. Boscarino - T.L. (Avv. Spampanato) c. Ente Parco dell’Etna (n.c.) - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 10 marzo 2005, n. 406

 

Aree protette - Regione Siciliana - Parco dell’Etna - Presidente del Parco - Nulla osta di cui alla L. 1947/1936 e r.d. 3267/1923 - Competenza - Sussistenza - Decorrenza - Dalla L. 98/81 di introduzione dei vincoli del Parco. Le norme regionali (artt.24 della L.R. n.14/1988 e 125 della L.R. n. 6/2001) che attribuiscono al Presidente del Parco dell’Etna la competenza al preventivo rilascio del nulla osta sostitutivo anche di quelli previsti dalla L. 1947/1936(vincolo paesaggistico) e dal R.D. n. 3267/1923 (vincolo idrogeologico) al fine della concessione od autorizzazione da parte delle autorità competenti di ogni attività che comporti trasformazione del territorio del Parco, trovano applicazione con decorrenza non già dal momento dell’entrata il vigore del D.A. istitutivo del Parco (1987), ma dall’entrata in vigore della L.n.98/1981 con cui sono stati introdotti i vincoli specifici afferenti il territorio rientrante nell’area del Parco. Pres. Milana, Est. Salamone - M.S. e altri (Avv. Chiarenza) c. Parco dell’Etna (n.c.) e Comune di Ragalna (n.c.) - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 3 marzo 2005, n. 383

 

Aree protette - Opere da realizzare in aree protette - Nulla osta dell’ente parco - Autorizzazione paesaggistica - Equiparabilità - Esclusione - Espressione di discipline concorrenti. Il nulla osta dell’Ente Parco per la realizzazione di interventi, opere e costruzioni in area protetta si differenzia, per competenza e contenuti, dal parere paesaggistico di cui all’art.32 della legge n.47 del 1985, che, nel Lazio, i Comuni rendono in forza della subdelega regionale (l.n.59 del 1995), essendo funzionalmente diretto unicamente al controllo della conformità delle iniziative e dei progetti alle previsioni del piano del parco e del relativo regolamento. L’autorizzazione paesaggistica e il nulla osta dell’ente parco sono frutto di una duplice valutazione anche se rimessi ad un unico organo, e mantengono la loro autonomia ad ogni effetto in quanto espressione di due discipline concorrenti. Ne deriva che né il nulla osta del parco, né il suo diniego, fanno venire meno la necessità dell’autorizzazione paesaggistica. Pres. f.f. Patroni Griffi, Est. Aureli - M.B. (Avv. Pontoriero) c. Comune di Capagnano di Roma (n.c.) - (Annulla T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis, 1 gennaio 2004) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 28 febbraio 2005 (Ud. 18 novembre 2004), n. 714

 

Aree protette - Aree destinate a riserva naturale - Apertura di nuove cave - Divieto - Piano d’attuazione convenzionato - Esercizio delle attività estrattive ai fini della rimodellazione e rinaturalizzazione dei bacini di cava esistenti - Progetto di risistemazione dell’area - Parco fluviale del Po - L.R. Piemonte n. 28/1990 - n. 65/95. Ai sensi dell’art. 10 della legge regionale Piemonte n. 28/1990, come sostituito dall’art. 8 della legge regionale n. 65/95, nelle aree destinate a riserva naturale, pur essendo vietata l’apertura di nuove cave, erano, tuttavia, fatti salvi gli interventi di ripristino ambientale e di costituzione di aree di interesse naturalistico, anche attraverso la prosecuzione di attività estrattive autorizzate in atto alla data di entrata in vigore della legge; con la considerazione ulteriore che, nel rispetto di tale disposizione, l’art. 3.10 delle norme di attuazione del Piano d’area consentiva l’esercizio delle attività estrattive anche in zona di riserva ai fini della rimodellazione e rinaturalizzazione dei bacini di cava esistenti. Pres. GIOVANNINI - società Dafne et Cloe Immobil s.a.s. (avv.ti Siniscalco, Montanaro e Vaiano) ed altri Comune di Carmagnola (avv. Piero Golinelli) ed altri (dichiara ammissibili i ricorsi riuniti respingendoli, Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. 1, del 27 luglio 2000, n. 899). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16.02.2005 (c.c.5.11.2004), sentenza n. 479 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po - Obiettivi di sistemazione idrogeologica e idraulica dell’utilizzazione delle acque. La normativa generale, relativa ai bacini idrografici di rilievo nazionale, con riferimento al caso in esame, doveva considerarsi integrata dalla legislazione regionale cui si riconosceva carattere prevalente ed assorbente; per cui, prevaleva la legge n. 28, del 17 aprile 1990, della regione Piemonte che, come già rilevato, istituiva il Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po ed il cui art. 15 individuava nel Piano d’aera il principale strumento di relativa pianificazione. La regione Piemonte era, quindi, dotata di una propria specifica legislazione che non riguardava soltanto la tutela degli aspetti paesaggistici e naturalistici della fascia del Po ma anche quelli ulteriori ai quali era, più limitatamente, preordinato il P.S.F.F. e che ineriva ai soli obiettivi di sistemazione idrogeologica e idraulica dell’utilizzazione delle acque. Pres. GIOVANNINI - società Dafne et Cloe Immobil s.a.s. (avv.ti Siniscalco, Montanaro e Vaiano) ed altri Comune di Carmagnola (avv. Piero Golinelli) ed altri (dichiara ammissibili i ricorsi riuniti respingendoli, Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. 1, del 27 luglio 2000, n. 899). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16.02.2005 (c.c.5.11.2004), sentenza n. 479  (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree Protette - Caccia - Riserva naturale - Abusivo esercizio della caccia all'interno di una riserva regolarmente istituita - Assenza di tabellazione - Buona fede - Esclusione - Onere dell’esatta individuazione dei confini dell’area protetta. Non è invocabile la buona fede in ordine all’esercizio della caccia all'interno di una riserva regolarmente istituita (nella specie con decreto della Regione Sicilia), ma non segnalata da apposite tabelle. Sicché, i parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati nulla Gazzetta ufficiale, non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l’attività vessatoria (Cassazione Sezione terza, 4756/98, Giacometti, Rv 210516). Nella specie infatti col decreto istitutivo della riserva è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale regionale anche la relativa planimetria donde la presunzione di conoscenza dei relativi confini, pertanto l’introduzione a fini di caccia non può essere in alcun modo giustificata sussistendo a carico di chi esercita attività venatoria l’obbligo di acquisire tutti i dati conoscitivi necessari per il suo corretto esercizio desumibili oltre che dallo strumento cartografico regionale, dalla pubblicazione calendario venatorio. Ne consegue che l’abusivo esercizio della caccia è sanzionabile a titolo di colpa anche in assenza di tabellazione gravando su chi esercita la caccia l’onere dell’esatta individuazione dei confini dell’area protetta nella specie violati in profondità. CORTE DI CASSAZIONE Sez III, 26 gennaio 2005, Sentenza n. 5489

 

Aree protette - S.I.C. - Conservazione degli habitat naturali - Art 4, n. 5 dir. 92/43/CEE - Misure di salvaguardia di cui all’art. 6 nn. 2-4 - Si impongono solo nei confronti dei siti iscritti nell’elenco dei S.I.C. - Siti individuati quali S.I.C, ma non ancora iscritti - Stati membri - Adozione di misure idonee di salvaguardia - Obbligo. L’art. 4, n. 5, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che le misure di salvaguardia da questa previste all’art. 6, nn. 2 4, si impongono soltanto in relazione ai siti che siano iscritti, in conformità dell’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva stessa, nell’elenco di quelli selezionati come siti di importanza comunitaria adottato dalla Commissione delle Comunità europee secondo la procedura prevista dall’art. 21 del detto testo normativo. Per quanto riguarda i siti atti ad essere individuati quali siti di importanza comunitaria, compresi negli elenchi nazionali trasmessi alla Commissione, e segnatamente i siti ospitanti tipi di habitat naturali prioritari o specie prioritarie, gli Stati membri sono tenuti, in forza della direttiva 92/43, ad adottare misure di salvaguardia idonee, con riguardo all’obiettivo di conservazione contemplato da quest’ultima, a salvaguardare il pertinente interesse ecologico rivestito dai detti siti a livello nazionale. Società Italiana Dragaggi SpA e altri c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia - Pres. Timmermass, Rel. Gulmann - CORTE DI GIUSTIZIA delle Comunità Europee, Sez. II - 13 gennaio 2005, causa C 117/03 (vedi: sentenza per esteso)

 

Aree protette - Istituzione riserva naturale protetta - Impugnazione - Termini - Cartografia analitica del parco - Momento di visione - Irrilevanza - Cartografia riportante il quadro d’unione - Sufficienza - Art. 17 n. 394/1991 - art. 2 r.d. n. 642/1907. I termini per l’impugnazione del decreto istitutivo di una riserva naturale protetta, adottato ai sensi dell’art. 17 della legge 6 dicembre 1991 n. 394, decorrono dal momento della pubblicazione, trattandosi di atto di generale interesse munito dell’efficacia di cui all’art. 2 del r.d. n. 642 del 1907. Ne deriva che, a fronte della avvenuta pubblicazione del decreto con allegata cartografia riportante il quadro d’unione, nessun rilievo può assumere il momento della presa visione della cartografia analitica del parco. Pres. GIOVANNINI - Est. MONTEDORO - Spa FORUS (avv. Pallottino) c. MINISTERO DELL’AMBIENTE (Avvocatura Generale dello Stato) ed altri, (conferma TAR Lazio II bis - n. 1259 dell’11/8/1998). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 10 gennaio 2005 (C.C. 22 ottobre 2004), sentenza n. 4 (vedi: sentenza per esteso)

 

Parchi, riserve, aree protette - Riserva naturale - Istituzione - Presupposti - Tutela dell’ambiente e tutela dei beni paesaggistici - Interessi differenziati - Individuazione - Fattispecie. A termini dell’art. 2 comma 3 della legga quadro sulla aree protette (6 dicembre 1991, n. 394), l’istituzione di una riserva naturale deve essere ancorata all’esistenza di specifici e ben individuati valori naturalistici (una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche): si tratta di beni che, in un quadro di tutele parallele di interessi differenziati, non deve confondersi con i diversi profili di tutela dal paesaggio storico e antropizzato, facente capo ad altro e distinto plesso amministrativo statale (il Ministero per i beni culturali). Infatti, come esplicitato dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, i beni paesaggistici sono una specie del più ampio genere dei beni culturali e concorrono con questi a costituire il patrimonio culturale nazionale tutelato ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione. La tutela dell’ambiente, invece, mira a garantire la conservazione di caratteri fisici, chimici e biologici delle matrici ambientali (terra, aria, acqua) tali da mentenerle capaci di sorreggere la vita dell’uomo e, più in generale, di comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate. (Nella specie, il T.A.R. ha ritenuto illegittima l’istituzione della riserva naturale dell’isola di Ischia, finalizzata alla tutela “del tipico intreccio, proprio del paesaggio storico antropizzato, tra secolare opera dell’uomo - con l’annessa stratificazione storico-architettonica - e contesto naturalistico di straordinaria bellezza”). Pres. f.f. Nappi, Est. Carpentieri - Comune di Ischia (Avv. Bonelli) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato), Comitato per le aree protette, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Regione Campania (n.c.) - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 10 gennaio 2005, n. 43


Aree protette - Nulla osta ambientale - Parere negativo - Motivazione specifica - Necessità. Il parere dell’Ente Parco sulla richiesta di nulla osta ambientale per la realizzazione di nuove opere, deve dare contezza in ordine agli specifici profili che realizzano l’incompatibilità ambientale e al contrasto dell’opera su individuati elementi tipici del paesaggio. Pres. f.f. Stevanato, Est. Antonelli - A.A.S. s.r.l. (Avv.ti Ruffolo e Zambelli) c. l’Ente Parco Regionale Veneto del Delta del Po (Avv. Migliorini) e altro (n.c.) T.A.R. VENETO, Sez. II - 3 dicembre 2004, n. 4256

 

Aree Protette - Parchi nazionali - Individuazione diretta dello Stato - Legittimità - Fondamento. L’individuazione di parchi nazionali direttamente per legge, come il Parco nazionale del Vesuvio ( art. 34 comma 1 lett. f della legge n. 394/1991), anziché tramite procedimento amministrativo, è espressione della posizione eminente del Parlamento nel rappresentare l’interesse nazionale e dell’importanza dell’area protetta. Essa indubbiamente non consente di inserire formalmente nel procedimento legislativo che conduce alla decisione di istituire il parco la partecipazione delle regioni e degli enti locali interessati; ma, fino a tanto che non si abbia una distorsione degli apprezzamenti del legislatore e un evidente abuso della sua funzione, con l’attribuzione ad aree evidentemente prive di valore ambientale e naturalistico di importanza nazionale della qualificazione di parco nazionale, la Corte Costituzionale ha sempre ritenuto non vi sia motivo di negare al legislatore il potere di provvedere direttamente all’istituzione di parchi nazionali. Pres. GIOVANNINI - Est. MONTEDORO - ENTE PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO (avv.ti Sanino, Abbamonte e Corporente) c. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (Avvocatura Generale dello Stato) ed altri (annulla TAR della Campania- Napoli - n. 1014 del 1999). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 novembre 2004 (C.c. 4 giugno 2004) sentenza n. 7472 (vedi: Sentenza per esteso)

Aree Protette - Rifiuti - Compatibilità fra parchi e discariche - Tutela ambientale - Limiti - Conservazione integrale dell’area protetta - Alterazione dell’ecosistema del parco - Eccezione - Presupposti - Condizioni. In materia di compatibilità fra parchi e discariche, occorre ricordare che l’art. 11 comma 3 della legge n. 394 del 1991 contiene l’iniziale affermazione che l’apertura e l’esercizio di cave , di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali sono vietate nei parchi pubblici. Il successivo quarto comma, però, ridimensiona fortemente la perentorietà dell’affermazione, statuendo che il regolamento del Parco stabilisce eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3. Non vi è quindi un’incompatibilità assoluta fra aree protette ed interventi invasivi quali l’attivazione e la realizzazione di discariche nei parchi naturali, ma ciò nel rispetto del principio generale che vuole garantita, per quanto possibile, in forma tendenziale, la conservazione integrale dell’area protetta ed ammette l’alterazione dell’ecosistema del parco solo in quanto non vi siano alternative possibili alla scelta adottata ed in quanto sia garantita una successiva bonifica e ripristino dell’area. Pres. GIOVANNINI - Est. MONTEDORO - ENTE PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO (avv.ti Sanino, Abbamonte e Corporente) c. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (Avvocatura Generale dello Stato) ed altri (annulla TAR della Campania- Napoli - n. 1014 del 1999). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 novembre 2004 (C.c. 4 giugno 2004) sentenza n. 7472 (vedi: Sentenza per esteso)

 

Parchi e aree protette - Parchi e delimitazione dell’area protetta - Funzione ed effetti - Principio di «leale collaborazione» - L. n. 394/1991 - Artt. 9 e 32 Cost.. La ragione d’essere della delimitazione dell’area protetta risieda nell’esigenza di protezione integrale del territorio e dell’eco-sistema e che, conseguentemente, ogni attività umana di trasformazione dell’ambiente all’interno di un’area protetta, vada valutata in relazione alla primaria esigenza di tutelare l’interesse naturalistico, da intendersi preminente su qualsiasi indirizzo di politica economica o ambientale di diverso tipo, sicché in relazione all’utilizzazione economica delle aree protette non dovrebbe parlarsi di sviluppo sostenibile ossia di sfruttamento economico dell’eco-sistema compatibile con esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi economici che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici essenziali per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra interesse alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui l’utilizzazione del parco non alteri in modo significativo il complesso dei beni compresi nell’area protetta. Gli aspetti più qualificanti della legge 394 del 1991 sono l’individuazione del fondamento costituzionale della protezione integrale della natura negli artt. 9 e 32 della Carta fondamentale; l’istituzione di alcuni parchi nazionali, il superamento di una concezione pan-urbanistica del territorio, ponendosi il parco proprio come ambito nel quale è necessario evitare gli effetti dell’antropizzazione, al fine di tutelare valori estetici, scientifici, ecologici di raro pregio, la priorità assegnata alla conservazione dell’ambiente, e ciò in sintonia alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale intervenuta in materia di parchi. (v. ad esempio Corte Costituzionale sentenze n. 175 del 1976, e n. 1031 del 1988). Pres. GIOVANNINI - Est. MONTEDORO - ENTE PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO (avv.ti Sanino, Abbamonte e Corporente) c. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (Avvocatura Generale dello Stato) ed altri (annulla TAR della Campania- Napoli - n. 1014 del 1999). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 novembre 2004 (C.c. 4 giugno 2004) sentenza n. 7472 (vedi: Sentenza per esteso)


Aree protette - Area marina protetta - Affidamento “ordinario” della gestione - L. n. 426/1998 e L. n. 394/1991 - Interpretazione giurisprudenziale - Abrogazione tacita di una norma senza verificare la compatibilità. La disposizione contenuta nell’art. 2, comma 37 della legge n. 426/1998 abroga il solo comma 1 dell’art. 19 della legge n. 394/1991, lasciando invariato e vigente il comma 2 dello stesso articolo. Pertanto non è condivisibile la tesi, secondo la quale l’art. 2, comma 37 della legge 426/1998 avrebbe tacitamente abrogato l’art. 19, comma 2 della legge 394/1991. La novella legislativa ha dettato una nuova disciplina in tema di affidamento “ordinario” della gestione, senza nulla modificare in ordine alla speciale ipotesi di cui al comma 2 del ripetuto art. 19 della legge n. 394/1991. Circostanza, questa, che non risulta sufficientemente chiarita neppure dal parere n. 1976/1998 del Consiglio di Stato (peraltro intervenuto su diversa fattispecie), in quanto detto Consesso motiva la supposta abrogazione tacita con il mero richiamo al principio della successione delle leggi nel tempo (art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale). In effetti, la cessazione dell’efficacia della norma è stata riferita alla abrogazione tacita senza verificare la compatibilità del citato art. 19, comma 2 della legge n. 394/1991 con le modifiche normative intervenute. Tale interpretazione trova conforto nella lettura degli atti parlamentari concernenti l’approvazione dell’art. 2, comma 37 della più volte citata legge n. 426/1998, dai quali si evince che la norma in questione, oggetto di apposito emendamento al testo iniziale del disegno di legge (che non la prevedeva), era stata proposta sia nella versione, non accolta, con cui si disponeva espressamente l’abrogazione del comma 2 dell’art. 19 della legge-quadro, sia in quella, poi recepita, non contenente alcun riferimento abrogativo. CORTE DEI CONTI Sezione centrale di controllo di legittimità, 25 ottobre 2004, (ad. 30 .09.2004) Deliberazione n. 10 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Gestione dell’area marina protetta - Convenzione per l’affidamento definitivo - Comune di Ustica - Illegittimità - Affidamento precario - Provincia regionale - Competenza - Art. 19 c.2 L. n. 394/1991. Il decreto interministeriale con il quale è stata approvata la convenzione per l’affidamento al Comune di Ustica della gestione dell’area marina protetta denominata “Isola di Ustica”, è illegittimo per violazione dell’art. 19 della legge n. 394 del 6 dicembre 1991 “Legge quadro sulle aree protette” che al comma 2 stabilisce che, nel caso di aree marine protette istituite in acque confinanti con un’area protetta terrestre, la questione è attribuita al soggetto competente per quest’ultima, nel caso di specie la Provincia regionale di Palermo. Mentre è legittimo l’affidamento precario al Comune reso necessario proprio al fine di poter assicurare provvisoriamente, per il tramite di un soggetto istituzionale, l’esercizio delle attività gestionali volte alla salvaguardia dell’ambiente protetto, in prossimità della stagione estiva, nelle more dell’espletamento dell’iter istruttorio volto all’affidamento definitivo della gestione. CORTE DEI CONTI Sezione centrale di controllo di legittimità, 25 ottobre 2004, (ad. 30 .09.2004) Deliberazione n. 10 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Parchi - Art. 22, c. 3 L. 394/1991 - Inclusione di aree demaniali o comunque in titolarità pubblica - Esclusione delle aree private - Infondatezza. Il favor espresso dell’articolo 22, comma 3, della legge 394 del 1991 per l’inclusione nelle aree naturali protette di immobili ed aree demaniali o, comunque, in titolarità pubblica, non esclude la possibilità, allorché l’area meritevole di protezione sia prevalentemente in titolarità privata, di procedere comunque al perseguimento, mediante l’istituzione del parco, dell’interesse pubblico preminente alla conservazione della natura e alla promozione di uno sviluppo sostenibile dei territori caratterizzati da interesse naturalistico-ambientale. Pres. Coraggio, Est. Carpentieri - F.G. e altri (Avv. Bagni) c. Regione Campania (Avv. Colosimo) e Comune di Conca della Campania (n.c.) - T.A.R CAMPANIA, NAPOLI, Sez. I - 30 settembre 2004, n. 13240 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Istituzione dei parchi - Atteggiamento sfavorevole della popolazione - Preclusione all’adozione delle misure di conservazione - Inconfigurabilità. La consapevolezza dell’amministrazione dell’esistenza di un atteggiamento spesso sfavorevole delle popolazioni residenti nei confronti delle misure di protezione della natura (atteggiamento dovuto soprattutto a cattiva informazione e ad una aprioristica ostilità verso qualsiasi forma di conformazione della proprietà privata per ragioni di interesse generale), lungi dal precludere l’adozione delle necessarie misure di conservazione, può al più giustificare l’adozione di azioni di sensibilizzazione e di corretta informazione delle popolazioni stanziate nelle aree interessate dal parco, ma non può certo tradursi in una paralisi del procedimento o nel suo snaturamento con subordinazione del suo esito positivo alla prestazione di un inammissibile preventivo consenso unanime da parte di tutti e di ciascuno dei privati interessati. Pres. Coraggio, Est. Carpentieri - F.G. e altri (Avv. Bagni) c. Regione Campania (Avv. Colosimo) e Comune di Conca della Campania (n.c.) - T.A.R CAMPANIA, NAPOLI, Sez. I - 30 settembre 2004, n. 13240 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Parchi - Procedimento di istituzione - Partecipazione dei cittadini - Esclusione - Art. 13 L. 241/1990 - Atto di pianificazione. L’articolo 13 della legge 241 del 1990 esclude dalla partecipazione i procedimenti diretti alla emanazione di atti di pianificazione e di programmazione (tra cui il procedimento volto all’istituzione di un’area protetta), stante l’articolazione in una serie di passaggi istruttori e consultivi che assicurano ampiamente la partecipazione non già dei singoli cittadini, cosa oggettivamente impossibile, bensì degli enti locali territorialmente competenti. Pres. Coraggio, Est. Carpentieri - F.G. e altri (Avv. Bagni) c. Regione Campania (Avv. Colosimo) e Comune di Conca della Campania (n.c.) - T.A.R CAMPANIA, NAPOLI, Sez. I - 30 settembre 2004, n. 13240 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Istituzione di un parco - Carenza di pubblico interesse - Inconfigurabilità - Ragioni. L’istituzione di un parco non è viziata dalla carenza di pubblico interesse, posto che la regione ha competenza istituzionale nella conservazione e protezione della natura per aree di rilievo non nazionale e che l’ordine giuridico dei valori dei beni-interessi protetti, esclude di poter attribuire preminenza assoluta alla proprietà privata. Al contrario, la gestione ambientalmente corretta del territorio e la sua integrità naturalistica - meritevole di conservazione - va intesa come una risorsa, e non già come una causa di svantaggio. Pres. Coraggio, Est. Carpentieri - F.G. e altri (Avv. Bagni) c. Regione Campania (Avv. Colosimo) e Comune di Conca della Campania (n.c.) - T.A.R CAMPANIA, NAPOLI, Sez. I - 30 settembre 2004, n. 13240 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Caccia - Parco nazionale - Commissario straordinario - Abbattimenti selettivi - Autorizzazione alla caccia del cinghiale tramite “braccata” - In assenza del regolamento del parco - Illegittimità. E’ illegittima, in mancanza del regolamento del parco, l’autorizzazione alla caccia al cinghiale entro i confini dell’area protetta “Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano” mediante la c.d. tecnica della “braccata”, disposta dal Commissario Straordinario dell’Ente con ordinanza contingibile e urgente. Essa viola infatti la legge n. 394/91 (artt. 9, 11 e 21) che prevede la possibilità di dettare le misure relative ai prelievi faunistici e abbattimenti selettivi di animali, in deroga al generale divieto di caccia nei parchi nazionali, solo attraverso il regolamento del parco e non autorizza forme diverse di deroga, né può ritenersi normativamente autorizzato il sistema della braccata, tecnica di disturbo per le ulteriori specie animali e per l’ecosistema dell’area protetta. Pres. Lazzeri, Est. Colombati - Legambiente Comitato Toscano O.N.L.U.S. e W.W.F. ITALIA O.N.L.U.S. (Avv. Nocentini) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (Avv. Stato), e altri (n.c.) - T.A.R. TOSCANA, Sez. III - 11 agosto 2004, n. 3180

Aree protette - Urbanistica - Ristrutturazione edilizia - Definizione - Art. 3 D.P.R. 380/2001 - Piano d’Area del Parco - Divieto di demolizione e successiva ricostruzione - Ultrattività - Esclusione. L’art. 3 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a mente del quale sono ricompresi fra gli interventi di ristrutturazione edilizia “anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma (dell’edificio) preesistente, (…)”, deroga le disposizioni aventi valenza urbanistica generale ed esclude l’ultrattività di eventuali diverse definizioni contenute nelle Norme del Piano d’Area del Parco naturale. (Nella specie, la norma ritenuta dal T.A.R. non più operante, non consentiva la demolizione e successiva ricostruzione di edifici esistenti). Pres. Gomez de Ayala, Est. Baglietto - M.M.L. e altro (Avv.ti Borgna e Confente) c. Regione Piemonte (Avv. Lima), Settore di pianificazione aree protette (n.c.) ed Ente di gestione dei Parchi e delle Riserve Naturali del Lago Maggiore (n.c.) - T.A.R. PIEMONTE, Sez. I - 22 luglio 2004, n. 1451

Parchi, riserve, aree protette - Riserva naturale - Atto di istituzione - E’ atto di normazione secondaria - Art. 3, c. 2 L. 241/90 - Motivazione - Necessità - Insussistenza. Un atto di normazione secondaria, qual’è quello che istituisce una riserva naturale e detta le misure di salvaguardia a tutela dei siti vincolati, tra cui le prescrizioni che danno corpo ad una propria ed autonoma disciplina edificatoria, non è soggetto all’obbligo della motivazione (cfr. art. 3, comma 2° della legge n. 241 del 1990). Pres. Giulia, Est. Giordano - Alba Lidense s.r.l. e altri (Avv. Albanese) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Comune di Roma (Avv. Manganelli) T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II - 10 maggio 2004, n. 4102

Aree protette - Parco - Caccia - Piano di controllo faunistico del cinghiale - Previsione di cattura non selettiva - Violazione delle finalità di protezione delle aree protette - L. 349/91 - Preliminare monitoraggio - Necessità - Rispondenza tra il numero dei capi da abbattere e i danni da questi cagionati - Necessità. E’ illegittimo il piano di controllo faunistico del cinghiale approvato dall’Ente Parco di Portofino in quanto dà luogo ad una cattura di capi in termini tutt’altro che selettivi, la cui estensione e le cui modalità appaiono incompatibili con le finalità di protezione delle aree protette di cui alla l. 394\91 e alla l.r. Liguria 12\95. La violazione di tali finalità emerge dalle modalità di abbattimento indiscriminato collegato alla cattura, dall’assenza di un’adeguata rispondenza tra il numero dei capi di cui è previsto l’abbattimento e le denunce dei danni causati dagli animali e dall’assenza di un preliminare monitoraggio, necessario al fine di riconoscere alla successiva determinazione il carattere della selettività. Pres. Vivenzio, Est. Ponte - EN.P.A. Camogli, Legambiente Circ. Tigullio Verde, V.A.S. (Avv. Granara) c. Ente Parco di Portofino (Avv. Mottola) - T.A.R. LIGURIA, Genova, Sez. I - 9 maggio 2004, n. 833 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Cave - Nuova delimitazione delle aree floristiche protette - Art. 7, l. r. Marche n. 52/1974 - Inclusione di due cave in corso di attività - Legittimità. In tema di aree protette, il fatto che nel perimetro dell’area floristica si trovano due cave in corso di attività, non comporta l’illegittimità della delimitazione dell’area; fondata su caratteri di omogeneità delle specie floristiche, esistenti nell’area globalmente considerata, ma non necessariamente in ogni angolo dell’estensione della stessa. Nella specie, la mancanza di vegetazione nelle cave, data la situazione dell’area globalmente considerata, non era di per sé elemento dirimente per escluderle dalla perimetrazione. Conf.: C.d.S. sez. VI, 18 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1438. Pres. SANTORO - Est. VOLPE - FATMA S.P.A. (avv.ti Caia, Cucchieri e Properzi) c. REGIONE MARCHE (avv. Coen) (conferma TAR Marche 12 febbraio 1999, n. 168). CONSIGLIO DI STATO sez. VI, 25 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1614 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Delimitazione delle aree floristiche protette su cartografie - Assenza di sopralluoghi - Legittimità - Fondamento - Art. 7, l. r. Marche n. 52/1974. In tema di delimitazione di aree protette non è di per sé causa di illegittimità il non aver proceduto a sopralluoghi, da parte dell’amministrazione regionale, qualora, come nella specie, la situazione dei luoghi da vincolare era sufficientemente certa ed individuata (sulla base di apposite cartografie) art. 7 della l.r. Marche n. 52/1974. Conf.: C.d.S. sez. VI, 18 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1438. Pres. SANTORO - Est. VOLPE - FATMA S.P.A. (avv.ti Caia, Cucchieri e Properzi) c. REGIONE MARCHE (avv. Coen) (conferma TAR Marche 12 febbraio 1999, n. 168). CONSIGLIO DI STATO sez. VI, 25 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1614 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Nuova delimitazione delle aree floristiche protette - Art. 7, l. r. Marche n. 52/1974 - Inclusione di due cave in corso di attività - Legittimità - Delimitazione di un’area protette - Comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo - Forme di pubblicità idonee - Pubblicazione sul B.U.R. - Legittimità - Nozione di “destinatari”. In tema di aree protette, il fatto che nel perimetro dell’area floristica si trovano due cave in corso di attività, non comporta l’illegittimità della delimitazione dell’area; fondata su caratteri di omogeneità delle specie floristiche, esistenti nell’area globalmente considerata, ma non necessariamente in ogni angolo dell’estensione della stessa. Così che la mancanza di vegetazione nelle cave, data la situazione dell’area globalmente considerata, non é elemento dirimente per escluderle dalla perimetrazione. Quando la nuova delimitazione dell’area protetta è stata effettuata mediante pubblicazione sul B.U.R., con cui è stato comunicato l’avvio del procedimento, risulta osservata la prescrizione della legge sul procedimento amministrativo, la quale prevede che, “qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima” (art. 8, comma 3, della l. n. 241/1990). Infine, la nozione di “destinatari”, deve comprendere tutti i proprietari, e non può essere limitata ai singoli soggetti. Conf.: CONSIGLIO DI STATO sez. VI, 25 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1614. Pres. SANTORO - Est. VOLPE - CAVA GOLA DELLA ROSSA S.P.A (avv.ti Sbano e Caia) c. REGIONE MARCHE (avv. Coen) (conferma TAR Marche 12 febbraio 1999, n. 168). CONSIGLIO DI STATO sez. VI, 18 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1438

Aree protette - Delimitazione di un’area protette - Comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo - Forme di pubblicità idonee - Pubblicazione sul B.U.R. - Legittimità - Nozione di “destinatari”. Quando la nuova delimitazione di un’area protetta è stata effettuata mediante pubblicazione sul B.U.R., con cui è stato comunicato l’avvio del procedimento, risultano osservate le prescrizioni della legge sul procedimento amministrativo, la quale prevede che, “qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima” (art. 8, comma 3, della l. n. 241/1990). Infine, la nozione di “destinatari”, deve comprendere tutti i proprietari, e non può essere limitata ai singoli soggetti. Conf.: C.d.S. sez. VI, 18 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1438. Pres. SANTORO - Est. VOLPE - FATMA S.P.A. (avv.ti Caia, Cucchieri e Properzi) c. REGIONE MARCHE (avv. Coen) (conferma TAR Marche 12 febbraio 1999, n. 168). CONSIGLIO DI STATO sez. VI, 25 marzo 2004 (Cc. 20.01.2004), Sentenza n. 1614 (vedi: sentenza per esteso)

Parchi e riserve - Individuazione dei confini delle aree protette - Legge regionale - Necessità - Atto amministrativo - Insufficienza - L.r. Lombardia n. 86/1983 - Operatività delle prescrizioni inerenti ai parchi con legge meramente formale e di ratifica - Sussistenza. Secondo la legislazione regionale lombarda, i parchi naturali devono essere individuati e disciplinati con legge regionale, e non con semplice atto amministrativo. Dispone, infatti, l’art.16-ter, co. 1, l.r. Lombardia 30 novembre 1983, n. 86, che <<Con la legge regionale di cui al successivo art.19, sono individuati all'interno dei confini dei parchi regionali, comunque classificati, i parchi naturali di cui all'art.1, comma 1, lett. a), corrispondenti alle aree agroforestali o incolte del Parco regionale caratterizzate dai più elevati livelli di naturalità e comunque destinate a funzioni prevalentemente di conservazione e ripristino dei caratteri naturali>>. A norma dei commi da 1 a 2 bis del successivo art.19: <<1. Il provvedimento d'adozione del piano territoriale di coordinamento o delle relative varianti è pubblicato a cura dell'ente gestore negli albi pretori (dei comuni e delle province interessate) per trenta giorni consecutivi, dandone ulteriore avviso sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia e su almeno due quotidiani con l'indicazione della sede ove si può prendere visione dei relativi elaborati; chiunque vi abbia interesse può presentare osservazioni entro i successivi sessanta giorni, indi la proposta è trasmessa alla Giunta regionale entro gli ulteriori sessanta giorni, unitamente alle osservazioni ed alle relative controdeduzioni deliberate dall'ente gestore. Tuttavia, l’eventuale natura di legge meramente formale e di ratifica, non esclude che le prescrizioni inerenti ai parchi naturali non possono operare finché non interviene la legge regionale. Pres. GIOVANNINI - Est. DE NICTOLIS - Consorzio del parco regionale Valle del Lambro (avv.ti Grella e Biagetti) c. Cementeria di Merone s.p.a. ed altri - (Conferma T.A.R. per la Lombardia - Milano, I, 27 marzo 2001, n. 2671). CONSIGLIO DI STATO Sezione VI, 03 marzo 2004, sentenza n. 1052 (vedi: sentenza per esteso)

Parchi e riserve - Cave e torbiere - Divieto assoluto di attività mineraria - Aree non comprese nell’ambito del parco naturale - Illegittimità. Il divieto assoluto di attività mineraria operativo anche per aree non comprese nell’ambito del parco naturale, è eccessivo e in contrasto con la legge quadro statale n.394/1991, atteso che l’art.11, l. n. 394/1991, vieta l’attività di cave e miniere (peraltro con possibilità di proroga), solo all’interno dei confini dei parchi naturali. Pres. GIOVANNINI - Est. DE NICTOLIS - Consorzio del parco regionale Valle del Lambro (avv.ti Grella e Biagetti) c. Cementeria di Merone s.p.a. ed altri - (Conferma T.A.R. per la Lombardia - Milano, I, 27 marzo 2001, n. 2671). CONSIGLIO DI STATO Sezione VI, 03 marzo 2004, sentenza n. 1052 (vedi: sentenza per esteso)

Parchi e riserve - Cave e torbiere - Divieto di cave e miniere all’interno dei parchi - Operatività del divieto - Istituzione dei parchi - Necessità - Legge n. 394/1991 - Deroga al divieto. La legge quadro statale n. 394/1991 sancisce il divieto di cave e miniere, all’interno dei parchi (peraltro con possibilità di deroga al divieto, in sede di adozione del regolamento del parco), solo se ed in quanto i parchi siano stati istituiti. Finché i parchi non sono istituiti, non opera il divieto in questione. Altra questione è quella del procedimento da seguire per l’istituzione dei parchi naturali, e sotto tale profilo non appare in contrasto con la legge statale la legge regionale che demanda l’istituzione dei parchi naturali ad una legge regionale. Pres. GIOVANNINI - Est. DE NICTOLIS - Consorzio del parco regionale Valle del Lambro (avv.ti Grella e Biagetti) c. Cementeria di Merone s.p.a. ed altri - (Conferma T.A.R. per la Lombardia - Milano, I, 27 marzo 2001, n. 2671). CONSIGLIO DI STATO Sezione VI, 03 marzo 2004, sentenza n. 1052 (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Attività di cava in un sito di interesse comunitario (S.I.C.) e/o in zona di protezione speciale (Z.P.S.) - Procedura di valutazione d’incidenza - Obiettivi di conservazione naturalistico ambientale. L’art. 5 D.P.R. n. 357/1997 stabilisce che se la cava rientra in un sito di interesse comunitario (S.I.C.) e/o in zona di protezione speciale (Z.P.S.) e non deve essere assoggettata a V.I.A., soggiace alla procedura di valutazione d’incidenza, mirante a valutare i principali effetti che i progetti possono comportare sui siti comunitari e sulle zone speciali protette, avuto preminente riguardo agli obiettivi di conservazione naturalistico ambientale. Pres. Marrone - Rel. Putignano. TRIBUNALE DI BARI sezione del riesame, 6 febbraio 2004, Ordinanza n. 271 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica e edilizia - Aree protette nazionali, regionali e provinciali - Tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici - Assenza o difformità del titolo abilitativo alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici - Opere abusive - Sanatoria - Conformità agli strumenti urbanistici le opere abusive - Necessità. Le opere realizzate, devono considerarsi non sanabili in forza di quanto disposto dall'art. 32, comma 27, lett. d), dei D.L. n. 269/2003, secondo cui le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria qualora "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Nelle aree sottoposte ai vincoli anzidetti solo nel caso di conformità agli strumenti urbanistici le opere abusive possono essere sanate, previo nulla-osta dell'autorità preposta al vincolo come disciplinato dal nuovo testo dell'art. 32 della legge n. 47/1985 nella formulazione introdotta dal comma 43 dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003. PRES: Zumbo A. EST: Fiale A. IMP: Lasi. P.M: Fraticelli M. (Conf.) (Rigetta, App. Cagliari, 14 febbraio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III del 29 gennaio 2004 (Ud. 13 novembre 2003), Sentenza n. 3350  (vedi: sentenza per esteso)

Aree protette - Opere in muratura realizzate da insediamento produttivo - Assenza del carattere di adeguamento tecnologico in materia di sicurezza o tutela dall’inquinamento - Parere negativo dell’Ente Parco - Legittimità. Un parere negativo reso dall’Ente Parco che metta in luce l’incompatibilità con la tutela dell’ambiente di opere in muratura realizzate da un insediamento industriale, è legittimo qualora dette opere non presentino il carattere prevalente di adeguamento tecnologico in materia di sicurezza o tutela dagli inquinamenti richiesto dalle norme del Piano Territoriale del Parco per l’assentibilità degli interventi nell’area protetta. Incombe infatti su chi operi all’interno di aree tutelate di scegliere le soluzioni tecnologiche più confacenti all’ambito territoriale nel quale si trova ad operare, in vista di bilanciare le opposte esigenze economiche e ambientali. Pres.Vivenzio, Est. Caputo - Società S.E.R.G.(Avv.ti Acquarone e Gerbi) c. Comune di Sarzana (Avv. Rapelli), n.c.d. Consorzio per la gestione del Parco fluviale della Magra (Avv. Spadoni) - T.A.R. Liguria, Genova - 28 gennaio 2004, n. 78

Parchi, riserve, aree protette - Nomina del Commissario straordinario di un Ente Parco - Mancato avvio e sviluppo della procedura dell’intesa con la Regione per la nomina - Principio di leale collaborazione tra Stato e Regione - Illegittimità della condotta del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio - D.M. 19.09.2002 - Va annullato. Non spetta allo Stato e per esso al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la nomina del Commissario straordinario dell’Ente parco nel caso in cui tale nomina avvenga senza che sia stato avviato e proseguito il procedimento per raggiungere l’intesa per la nomina del Presidente dello stesso Ente; conseguentemente, va annullato il decreto adottato il 19 settembre 2002 dal predetto Ministro. Il potere di nomina del Commissario straordinario costituisce attuazione del principio generale, applicabile a tutti gli enti pubblici, del superiore interesse pubblico al sopperimento degli organi di ordinaria amministrazione, i cui titolari siano scaduti o mancanti. Tale potere non è esercitabile liberamente: condizione di legittimità della nomina del Commissario è, quantomeno, l’avvio e la prosecuzione delle procedure per la nomina del Presidente, attraverso lo strumento dell’intesa tra Stato e Regioni, che costituisce una delle possibili forme di attuazione del principio di leale cooperazione e si sostanzia in una paritaria codeterminazione del contenuto dell’atto. L’illegittimità della condotta dello Stato non risiede pertanto nella nomina in sè di un Commissario straordinario, ma nel mancato avvio e sviluppo della procedura dell’intesa per la nomina del Presidente, che esige, laddove occorra, lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare, nel rispetto del principio di leale cooperazione tra Stato e Regione, le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo e che sole legittimano la nomina del primo. - Pres. CHIEPPA, Red. FINOCCHIARO. CORTE COSTITUZIONALE Deposito del 20 gennaio 2004 (Decisione del 19 dicembre 2003) Sentenza n.27

Parchi, riserve, aree protette - Realizzazione di opere e costruzioni in aree protette - Preventivo rilascio di permesso di costruire, autorizzazione paesaggistica e nulla osta dell'Ente parco - Duplice valutazione in merito - Necessità - L. n.431/1985 - L. n.394/1991 - D. L.vo n. 490/1999 - D.P.R. n. 380/2001 - D. L.vo n. 41/2004. La realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette deve essere preceduta da tre autonomi provvedimenti: il permesso di costruire disciplinato dal T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), l'autorizzazione paesaggistica di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 (sostituito dal D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 41 dal 1 maggio 2004), ed il nulla osta dell'ente parco (di cui alla legge 6 dicembre 1991 n. 394). La circostanza che il rilascio di questi due ultimi provvedimenti sia attributo, con Legge regionale, ad un unico organo, non fa perdere agli stessi la loro autonomia, con la conseguente necessità di una duplice valutazione in merito. PRES. Raimondi R REL. Lombardi AM COD.PAR.342 IMP. Messere PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 15/12/2003 (CC.09/10/2003) RV. 226858, Sentenza n. 47706

Aree protette - Oasi di protezione faunistico ambientale denominata “Torre Mattoni - Lago Salinella” - la notifica (di cui è stata accertata l’omissione) della deliberazione che determina il perimetro delle aree da vincolare - silenzio assenso - termini e condizioni per la formazione - il consenso di 2/3 dei proprietari della superficie complessiva - necessità. Alla notifica della deliberazione, che determina il perimetro delle aree da vincolare, è legata la possibilità (art. 7 e art. 8 della legge regionale n. 10/1984) che si formi il silenzio - assenso alla istituzione dell’Oasi di protezione. Decorso, infatti, il termine di sessanta giorni dalla notificazione della predetta deliberazione, senza che sia stata presentata formale opposizione, il consenso si ritiene validamente accordato, e, ove sussista il consenso di un numero di proprietari tale da rappresentare almeno i 2/3 della superficie complessiva su cui si intende costituire la zona, la Regione provvede in merito alla costituzione. La notifica, quindi, non incide sui soli effetti dell’atto, ma produce effetti sostanziali, quali il consenso alla istituzione dell’Oasi, che si intende validamente espresso nel caso in cui non venga presentata opposizione entro il termine di sessanta giorni, che viene appunto fatto decorrere dalla notifica della deliberazione che determina il perimetro delle aree da vincolare secondo le norme del Codice di Procedura Civile ai proprietari dei terreni. Non convince la ulteriore tesi della Regione Puglia, secondo cui gli atti annullati devono essere considerati plurimi, riguardando una pluralità di soggetti, per cui l’annullamento andava disposto in parte qua relativamente ai terreni di proprietà del ricorrente Campa. Non occorre, invero, indagare se gli atti di costituzione dell’Oasi in questione siano scindibili o meno, perché quel che rileva nella specie è che la Regione Puglia non ha acquisito il consenso di 2/3 della superficie complessiva, e questo comporta che la determinazione regionale di costituire l’Oasi (non in forma coattiva) deve considerarsi priva di un elemento che, secondo la normativa regionale più volte richiamata, è essenziale ai fini della sua validità. (In specie, sotto questo profilo, è stata respinta la censura con la quale si vorrebbe sottoporre la deliberazione di perimetrazione delle aree da vincolare a una sorta di prova di resistenza, al fine di dimostrare che l’inconsistenza della proprietà del Rampa rispetto all’1/3 richiesto dalla legge renderebbe priva di interesse la doglianza di quest’ultimo). Pres. PAJNO - Est. ROMEO - Regione Puglia (avv. Caroli Casavola) c. Campa ed altri (avv. Quinto) (Conferma Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sez. II di Lecce del 31 marzo 1998, sentenza n. 313). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, - 9 dicembre 2003, sentenza n. 8093 (vedi: sentenza per esteso)

Parchi e riserve naturali - Incompatibilità tra l’utilizzazione dei terreni demaniali e le destinazioni del Piano territoriale del Parco Fluviale - Trasferimento delle attività ritenute incompatibili - modalità e procedure appositamente individuate. Una volta accertata l’esistenza di una situazione di incompatibilità tra l’utilizzazione dei terreni demaniali e le destinazioni del Piano territoriale del Parco Fluviale, l’interesse non può che essere preso in considerazione secondo le regole che lo governano. Nella specie la legge regionale Liguria n. 43 del 1982 e la disciplina contenuta nel Piano Territoriale del Parco, secondo cui la tutela è realizzata attraverso forme volte a garantire che il trasferimento delle attività ritenute incompatibili avvenga secondo modalità e procedure appositamente individuate. Il Consorzio della Magra comunicava a una concessionaria di terreni demaniali compresi nel perimetro del Piano Territoriale del Parco Fluviale che l’utilizzo del terreno demaniale non era più consentito. Pres. SCHINAIA - Est. PAJNO - Ente Parco di Montemarcello Magra - Parco Naturale Regionale (Avv.ti Bormioli e Romanelli) c. Cemenbit s.r.l. (avv.ti Panunzio e Romano) e altri (conferma TAR Liguria n. 533 del 18 dicembre 1996). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 28 novembre 2003 (C.c. 6 giugno 2003), Sentenza n. 7791

Parchi, riserve e aree protette - Aree naturali protette - Nozione - Inclusione di zone umide, zone di protezione speciale, zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette. Il concetto di “aree naturali protette” ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette è, quindi, più esteso di quello comprendente le sole categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali. Fattispecie: inclusione tra le aree protette della zona di protezione speciale denominata “Murgia Alta”). Imp. Natale. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 22 novembre 2003, Sentenza n. 44409

Parchi riserve e aree protette - Aree protette - Zone di protezione speciale - Disciplina generale delle aree protette - Possibilità di istituzione per lo Stato - Competenza in via sostitutiva e in via principale. In tema di aree protette rientra nella competenza dello Stato istituire, e non solo designare, zone di protezione speciale, sottoponendole alla disciplina generale sulle aree protette, considerato che la competenza alla istituzione delle ZPS non è attribuita alle Regioni, ed allo Stato in via sostitutiva, ma anche a quest’ultimo, in via principale ancor più dopo la modifica costituzionale dell’ art. 117, allorché un determinato habitat naturale o seminaturale sia ritenuto importante, nonché per la conservazione della flora e della fauna selvatica. Imp. Natale. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 22 novembre 2003, Sentenza n. 44409

Parchi, riserve, aree protette - ampliamento di una discarica comunale ricadente nel perimetro del Parco - diniego di autorizzazione - motivazione - legittimità. Non può considerarsi illegittimo per inadeguatezza della motivazione il diniego di autorizzazione ad ampliare una discarica comunale per rifiuti solidi urbani, esistente ma esaurita, ricadente nella perimetrazione di un Parco Nazionale, quando il predetto diniego risulta basato sulla considerazione che la riapertura della discarica rappresenta un deterioramento ambientale; che la località interessata dall’intervento di ampliamento della discarica risulta ubicata nelle immediate adiacenze delle aree di maggior pregio naturalistico del Parco; che dalla riattivazione della discarica conseguirebbero risvolti negativi sia di ordine naturalistico nei riguardi della fauna del Parco, sia di carattere paesaggistico e deriverebbero danni all’immagine dell’area protetta ed alle iniziative di promozione delle attività socioeconomiche intraprese dall’amministrazione, legate alla fruizione dei valori naturalistici e storico-architettonici del Parco stesso. Tali ragioni sono infatti esaurienti e rendono conto dell’iter logico-valutativo seguito dall’Ente Parco nell’adottare la determinazione, tanto da non potersi ravvisare la sussistenza della violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, né del difetto di motivazione quale profilo del vizio di eccesso di potere. Pres. CATONI, Est. DI GIUSEPPE - Comune di Caramanico Terme (Avv. Di Benedetto) c. Ente Parco Nazionale della Majella (Avv. Iannotta). T.A.R. Abruzzo, Pescara - 28 agosto 2003, n. 776 (vedi: sentenza per esteso)

Parchi, Riserve, Aree protette - Parchi - Progetti di costruzioni insistenti nel territorio del Parco - Nulla osta ex art. 13 L. 394/1991 - Sussistenza in capo all’Ente Parco del potere-dovere di verificare la congruenza con le previsioni urbanistiche dei Comuni. In virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1976, l’Ente Parco, ai fini del rilascio del nulla osta di cui all’art. 13 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, nell’esame dei progetti di costruzioni insistenti nel proprio territorio, ha il potere-dovere di verificare la congruenza degli interventi sia con le norme istitutive del Parco che con le previsioni urbanistiche dei Comuni di cui trattasi, contenute nei piani regolatori generali e nei piani attuativi di questi (piani particolareggiati, programmi pluriennali di attuazione, etc.). Pres., Est. BALBA - s.r.lo. Le Viole (Avv.ti Lucci e Piccone) c. Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo (Avv.ti Iannotta e Di Felice) T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila - 18 agosto 2003, n. 590 (vedi: sentenza per esteso)

Parchi, riserve, aree protette - Parchi - Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio - potere di commissariamento di un Ente Parco - Sussistenza - Grave inadempimento degli organi istituzionali - Funzione di vigilanza ministeriale. Sussiste il potere del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di commissariare un Ente Parco. Il potere di commissariamento trova la sua fonte nell’art.29 L. 20 marzo 1975 n.70, che può ritenersi espressione di un principio generale estensibile a tutti i casi di inosservanza agli obblighi che fanno capo all’Ente, dovendosi ritenere connaturato alla funzione di vigilanza ministeriale, intesa ad assicurare il raggiungimento delle finalità di legge e statutarie dell’ente, non solo attraverso l’eliminazione di eventuali irregolarità amministrativo contabili riscontrate nelle varie gestioni, ma anche attraverso la rimozione di ogni fattore che ostacoli o impedisca il raggiungimento delle suddette finalità. (Nella specie, l’art.1 dello Statuto vigente dell’Ente Parco del Pollino prevede un generale potere di vigilanza in capo al Ministero dell’ambiente, con la conseguenza che trovano applicazione le norme in tema di scioglimento degli organi di amministrazione ordinaria per grave inadempimento agli obblighi istituzionali.). - Pres. CAMOZZI, Est. FERRARI - Tripepi (Avv.ti Torchia e Di Nitto) c. Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio (Avv. Stato) T.A.R. Basilicata, 7 luglio 2003, n. 696

Parchi e riserve - Protezione delle bellezze naturali - Parchi nazionali - Perimetrazione tabellare al fine del divieto di caccia - Necessità - Esclusione - Fondamento - Artt. 11, 21, 22 L. n. 394/1991 - L. n. 157/1992. Ai parchi nazionali non si applica la disciplina di cui all'art. 10 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria, atteso che essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla gazzetta ufficiale, non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l'attività venatoria. Pres. Zumbo A - Est. Squassoni C - Imp. Fiorelli ed altro - PM. (Parz. Diff.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 06/06/2003 (UD.10/04/2003) RV. 225314 sentenza n. 24786

Nomina del “rappresentante esperto” - la legittimazione ad agire alle associazioni - limiti - danno ambientale. Non può riconoscersi la legittimazione ad agire alle associazioni, in quanto la contestata nomina del “rappresentante esperto” designato dalla Regione non incide in via diretta nè altrimenti apprezzabile sugli interessi ambientali tutelati dalle associazioni medesime. Diversamente ritenendo, del resto, si finirebbe con l’attribuire a queste ultime un generale potere di controllo sull’Ente Parco, e ciò in palese contrasto con il disposto di cui all’art. 18 della L. 349/1986, che espressamente limita la legittimazione a ricorrere delle associazioni ivi contemplate, nei confronti dei soli atti che possano produrre un danno ambientale. TAR Liguria del 13 marzo 2003, sent. n. 310

La nomina degli esperti in materia ambientale - provvedimento inidoneo ad assicurare la presenza di specifiche competenze ai sensi dell’art. 18 della L. 349 del 1986 - illegittimità. La Corte Costituzionale ha avuto modo recentemente di ribadire che l’ambiente non può essere ritenuto semplicemente una materia, essendo piuttosto da considerare come un “valore” costituzionalmente protetto rinvenibile all’interno di molteplici settori dell’azione amministrativa, con la conseguenza che la sua tutela ben può e deve esser perseguita con riguardo anche a provvedimenti di varia natura se ed in quanto incisivi di detto valore (cfr. Corte Costituzionale 20 dicembre 2002 n. 5236). Tanto premesso, é appena il caso di rilevare come il provvedimento di nomina degli esperti in materia ambientale, ancorché preordinato sul piano formale alla costituzione del Consiglio del Parco dell’Aveto, assolva altresì, sul piano sostanziale, alla specifica funzione di assicurare la presenza di soggetti in grado di tutelare adeguatamente, per la loro competenza, il “valore ambiente” sia in sede di programmazione che di composizione dei vari interessi perseguiti dall’organo di governo in relazione alle finalità statutarie. Così detto provvedimento, ancor prima di ogni altro di natura materiale, non può non costituire oggettivo pregiudizio per il valore stesso, laddove risulti illegittimo proprio perchè inidoneo ad assicurare la presenza di quelle specifiche competenze, e come tale ben può essere sindacato ai sensi del citato art. 18 della L. 349 del 1986. TAR Liguria sez. I del 13 marzo 2003, sent. n. 309 (vedi: sentenza per esteso)

Piano Territoriale del Parco - inclusione della zona nell’elenco - rilascio concessione - compatibilità con il regime giuridico di tutela e gestione dell’area naturalistica - necessità - misure di salvaguardia dell’area - i parametri e i vincoli di destinazione da osservarsi. L’inclusione della zona nell’elenco di cui all’art. 5 della legge della Regione Campania 01 settembre 1993 n. 93, recante l’individuazione delle aree naturali protette, comporta l’applicazione, nei confronti di tali aree e per la loro tutela e gestione, del regime giuridico dalla stessa legge predisposto. Tale regime è incompatibile con l’assentimento della concessione da parte del Comune di Castel Volturno. La legge Regionale n. 33 del 1993 da una parte, infatti, affronta con riferimento alle aree naturali protette apposite misure di salvaguardia dell’area (art. 6), in attesa del Piano Territoriale del Parco, che indica il quadro generale dell’assetto territoriale dell’area, nonché le norme, i parametri e i vincoli di destinazione da osservarsi (art. 19); dall’altro affida la gestione delle aree naturali protette ad appositi enti - parco (art. 7) o agli appositi enti di gestione delle riserve naturali (art.17). Appare chiaro, pertanto, che l’assentimento di eventuali concessioni ( a prescindere da ogni questione riguardante la destinazione di uso civico) da parte del Comune non può prescindere dal regime giuridico di tutela e gestione dell’area naturalistica, e non può avvenire senza la puntuale specifica considerazione dei vincoli derivanti da misure introdotte con i decreti istituitisi delle aree naturali protette e dal piano territoriale, nonché dalla articolazione in zone con essa prevista (art. 22 legge r. n. 33 del 1993), e senza l’intervento dell’Autorità di gestione dell’area naturalistica. La stessa appellante invoca a sostegno della propria tesi, le eventuali previsioni contenute nel Piano Territoriale del Parco, così confermando l’impossibilità di pervenire alla concessione sostanzialmente prescindendo dal regime giuridico delle aree protette. Legittima appare, pertanto la determinazione del Comune, il quale ha evidenziato come dal semplice accoglimento della prospettazione dell’interessata - che prescinde da qualunque considerazione della specifica tutela e salvaguardia ambientale deriverebbe la sostanziale impossibilità di mantenere le destinazioni di legge. Consiglio di Stato, Sezione VI del 6 marzo 2003, sentenza n. 1247

Demanio libero - l’inclusione della zona nell’elenco delle aree naturali protette - di cause ostative al rilascio della concessione. Una volta accertata l’inclusione della zona nell’elenco delle aree naturali protette di cui all’art. 5 della legge regionale della Campania n. 33 del 1993, irrilevanti appaiono le ulteriori considerazioni concernenti il fatto che, contrariamente a quanto deduce il Comune, la presenza dello stabilimento “L’Oasi” interromperebbe la continuità del demanio libero. La determinazione discrezionale dell’Amministrazione di non procedere alla formulazione di proposte alla Regione, di non procedere a richieste di mutamento di destinazione d’uso del demanio di uso civico per la presenza di cause ostative al rilascio della concessione rimane, infatti, affidato all’esistenza di ragioni immuni da vizi di legittimità, consistente nell’inclusione della zona in questione fra le aree naturali protette di cui alla legge regionale n. 33 del 1993. Si osserva, comunque, che il rilievo dell’appellante non può trovare accoglimento, dal momento che la locuzione utilizzata nel provvedimento impugnato ubbidisce esclusivamente all’esigenza di evidenziare come l’assentimento dell’eventuale concessione verrebbe ad incidere sul demanio libero. Consiglio di Stato, Sezione VI del 6 marzo 2003, sentenza n. 1247

 

Beni culturali e ambientali - Realizzazione di discarica in zona sottoposta a vincolo - In difetto di autorizzazione - Reato di cui all'art. 163 del D.L.G. n. 490 del 1999 - Configurabilità. In tema di protezione delle bellezze naturali, integra il reato di cui all'art. 163 del Decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 la realizzazione di una discarica in zona vincolata in assenza dell'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. PRES. Postiglione A - REL. Novarese F - PM. (Conf.) Hinna Danesi F - IMP. Ferretti E. CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 17/01/2003 (UD.27/11/2002) RV. 223293 Sentenza n. 02125

 

Applicabilità della sanzione anche in caso di condono edilizio di opere abusive che ricadono in zone paesaggisticamente vincolate - la sanatoria di abusi edilizi in zone protette - la caratterizzazione sanzionatoria e non riparatoria della fattispecie - l'autonomia dei procedimenti. La nuova formulazione (art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490), sostitutiva dell'art. 15 della normativa del 1939, conferma gli indici dai quali si è ricavata la caratterizzazione sanzionatoria e non riparatoria della fattispecie (mancata specificazione del riferimento ad illeciti sostanziali, quantificazione dell'importo in relazione al profitto oltre che al danno); in più, avendo riguardo al semplice pagamento di una somma di denaro, la norma è spogliata dal riferimento al termine « indennità », che si è visto essere argomento, peraltro non decisivo, a conforto della matrice necessariamente sostanziale degli illeciti considerati. Si è poi altresì concluso nel senso della applicabilità della sanzione anche in caso di condono edilizio di opere abusive che ricadono in zone paesaggisticamente vincolate, e per le quali l'Autorità preposta alla tutela del vincolo abbia espresso, ai sensi del citato art. 32 della legge n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità dell'abuso. L'assunto non è smentito dall'art. 2 comma 46 L. 23 dicembre 1996 n. 662, e successive modificazioni (richiamato nella decisione impugnata) a norma del quale: “Per le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla L. 29 giugno 1939 n. 1497, e al D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985 n. 431, il versamento dell'oblazione non esime dall'applicazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 15 della citata legge n. 1497 del 1939. Allo scopo di rendere celermente applicabile la disposizione di cui al presente comma ai soli fini del condono edilizio, con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono determinati parametri e modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria prevista dall'art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto del vincolo". L'art. 2 comma 46 L. n. 662 del 1996, chiarisce, infatti, ancora che la inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative, sancita in termini generali dall'art. 38 legge n. 47 del 1985, non si estende alle sanzioni in materia paesistica di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, anche se l'abuso edilizio sia stato ritenuto condonabile dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo. La disposizione appena richiamata non va dunque intesa nel senso che la indennità di cui all'art. 15 legge n. 662 del 1996, è una forma di risarcimento del danno e non una sanzione amministrativa, ma nel senso che si tratta di una sanzione amministrativa che rimane applicabile nonostante il concesso condono edilizio. Facendo applicazione al caso di che trattasi delle coordinate ermeneutiche appena indicate con riferimento al condono di cui all'art. 31 e seguenti della legge n. 47 del 1985, si deve ritenere che, diversamente da quanto opinato dal primo giudice con la decisione di appellata, la sanzione pecuniaria amministrativa di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939 prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale. Ne consegue altresi che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente favorevole definizione del procedimento di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1985, non ne escludono l'applicabilità; al contrario si può dire che in presenza di una valutazione in tal senso l'Amministrazione avrà il potere dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo preclusa ovviamente, alla stregua di un elementare principio di non contraddizione, la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell'importo alla luce dei criteri cristallizzati dall'art. 15. La esposta soluzione garantisce appieno l'autonomia dei procedimenti di cui trattasi ed il rispetto della disciplina di cui alla legge n. 1497 del 1939 che, in relazione alle opere costruite abusivamente, impone l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 15 (Cons. Stato, VI Sez., n. 421/2000, cit.). Ed il sistema non è in sé contraddittorio, perché se da un lato consente la sanatoria di abusi edilizi in zone protette, qualora compatibili con l'ambiente, dall'altro lato il condono edilizio riguarda, appunto e soltanto, gli abusi edilizi, e non quelli paesistici. L'illecito paesistico che sia compatibile con l'ambiente, se consente la sanatoria dell'abuso edilizio, non viene in altri termini sanato integralmente dalla sanatoria edilizia, e deve perciò trovare sanzione con le misure di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, e, segnatamente, con il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)

 

Vincoli paesaggistici - art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490 - quantificazione della sanzione - danno arrecato e profitto conseguito mediante la commessa trasgressione - realizzazione di un'opera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove la stessa sia in concreto conforme alle prescrizioni ambientali - l'alternatività del criterio del danno. Secondo l'art. 15, legge n. 1497 del 1939, l'indennità è pari “alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione". Il concetto di "danno arrecato" viene in rilievo, nella norma, solo al fine della quantificazione della sanzione, e dunque in sede del quantum debeatur e non dell’ an. Detto indice, inoltre, non è criterio esclusivo di commisurazione della indennità, essendo alternativo al profitto conseguito dalla violazione. Ne consegue che in ipotesi di realizzazione di un'opera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove la stessa sia in concreto conforme alle prescrizioni ambientali, e dunque non sia produttiva di danno alcuno, l'indennità verrà commisurata al profitto conseguito dall'abuso sicchè sarà dovuta anche in mancanza di un danno ambientale, e commisurata al diverso criterio del profitto. In sintesi, l'alternatività del criterio del danno rispetto al criterio del profitto, quale parametro di commisurazione della sanzione, denota che l'indennità è dovuta anche in mancanza di danno, e in tal caso sarà quantificata in relazione al profitto: di talché non può non concludersi che il danno ambientale, nella logica dell'art. 15 legge n. 1497 del 1939, non è l'oggetto della tutela, ma solo il criterio di commisurazione della sanzione pecuniaria. D'altro canto, l'ordinamento appresta un diverso, specifico strumento per il risarcimento del danno ambientale: ed è l'azione di risarcimento del danno di cui all'art. 18 L. 8 luglio 1986 n. 349 » (conf. Cass., Sez. un. , 10 agosto 1996 n. 7403; Cass., Sez. un. , 18 maggio 1995 n. 5473; Cons. Stato, V Sez., 21 novembre 1985 n. 419; Cons. Stato, II Sez., 29 ottobre 1997 n. 2065; Cons. Stato, II Sez., 29 ottobre 1997 n. 2066; 4 giugno 1997 n. 2479/1996, in questa Rassegna 1997, II, 32; 1995, II, 1975; 1985, I, 1443). Le considerazioni svolte nella decisione appena ricordata con riguardo alla disciplina originaria di cui all'art. 15 della legge n. 1497 del 1939 risultano confermate (ancorchè non applicabile ratione temporis), e per certi versi rafforzate, dalla nuova disciplina dettata dall'art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490, recante il Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali che così dispone: “In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti da questo Titolo, il trasgressore è tenuto, secondo che la Regione ritenga più opportuno, nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'art. 138, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata mediante perizia di stima ». Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279  (vedi: sentenza per esteso)

 

Parchi, riserve e aree protette - Modificazione del regime delle acque nel territorio di un parco nazionale - Natura - Reato permanente - Contravvenzione di cui all’art. 11, comma 3, lettera c, legge 394/1991. Il reato di modificazione del regime delle acque, previsto dall’art. 11, della legge n. 394 del 1991, è un reato permanente in quanto la modificazione del regime delle acque è posta in essere sia dalla realizzazione della struttura impiegata per attingere l’acqua abusivamente sia dal perdurante prelievo non autorizzato. Pertanto per individuare il momento di cessazione del reato e quindi della sua permanenza si deve considerare il momento in cui è cessato il prelievo non autorizzato. - Pres. TORIELLO, Est. GRILLO. CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale - 4 ottobre 2002 (25 giugno 2002)
 

La nozione di “bene culturale” sostituisce ormai le vecchie categorie di cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità - protezione del bene “culturale”. Il “bene culturale” è la nozione che sostituisce ormai le vecchie categorie di cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità, realizzando una considerazione unitaria della materia. Il bene “culturale” viene protetto per ragioni non solo o non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, così sottolineandosi l’importanza dell’opera o del bene per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza. Si deve ritenere abbandonata, nell’intentio legislatoris e nella prassi amministrativa, nonché nell’interpretazione giurisprudenziale costituzionalmente orientata (artt.9 e 33 Cost. ) una concezione estetizzante (o estetico-idealistica) del bene culturale (come del bene paesaggistico-ambientale), che era alla base della legge fondamentale del 1939, in favore dell’evoluzione della nozione che ne valorizza il significato di documento del tempo e dell’ambiente in cui è sorta. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

 

La nozione di “bene culturale” - la legittimità del provvedimento amministrativo che impone un vincolo indiretto. La nozione di bene culturale passa da un’accezione di tipo materialistico, legata alle cose quae tangi possunt ad una diversa connotazione, di tipo immateriale, che vede nel bene un valore espressivo di un ambiente storico e sociale. In questo quadro conta il valore di civiltà inerente un bene od un compendio al fine dell’affermazione di un'esigenza conservativa, mentre la proiezione del bene nell’attività di esecuzione di ricerche archeologiche riguarda solo i beni sottoposti a vincolo diretto. Si deve quindi ritenere che per la legittimità del provvedimento amministrativo che impone un vincolo indiretto non occorra accertare dirette presenze archeologiche nell’area, pure considerata parte di un compendio considerabile un unitario bene culturale sulla base di fonti storiche, né occorre far precedere l’atto impositivo del vincolo da indagini ed esplorazioni ai sensi dell’art.43 della legge fondamentale n.1089 del 1939. Si devono invece indicare con precisione il bene oggetto del vincolo, le cose in funzione delle quali il vincolo indiretto è imposto, il rapporto di complementarietà fra le misure limitative ed il fine pubblico perseguito, le ragioni di adozione della misura limitativa. Tanto esclude che il vincolo indiretto debba trovare il suo presupposto in reperti insistenti sull’area e già venuti alla luce, essendo un vincolo su bene contiguo al bene culturale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

 

La legittimità del vincolo - probabilità di rinvenimento di reperti di significativo valore - motivato giudizio tecnico-discrezionale - fonti storiche. Secondo un giurisprudenziale consolidato è sufficiente, per la legittimità del vincolo, la probabilità di rinvenimento di reperti di significativo valore, valutata secondo un motivato giudizio tecnico-discrezionale (CdS VI 19/2/1992 n.674), spettando all’amministrazione l’attenta valutazione di tutte le circostanze di fatto esistenti in loco, nonché delle diverse intensità e modalità della presenza dei beni archeologici in un determinato territorio da sottoporre a vincolo. In particolare si è riconosciuta ampia discrezionalità all’amministrazione nella valutazione della presunta disseminazione dei reperti archeologici e, in particolare, dei ruderi, anche se non ancora portati alla luce, poiché l’imposizione del vincolo non richiede che i reperti siano stati già trovati o portati alla luce (CdS VI 18/11/1991 n.874). Deve quindi ritenersi che il vincolo dell’antico ed importante predio imperiale - documentato dalle fonti storiche - sia legittimo con riferimento alle preesistenze sotterranee esistenti in loco, anche quale vincolo diretto, se non fosse che l’amministrazione ha imposto un vincolo indiretto sulle aree degli appellati. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566  (vedi: sentenza per esteso)

 

Definizione di “unitarietà di un’area archeologica” - distanza dell’area - differenza tra vincolo diretto e vincolo indiretto. L’unitarietà di un’area archeologica deriva dalla vastità del complesso insistente su di essa e dalla unitarietà del “praedium”, documentata dalle fonti antiche, oltre che dalle modalità, storicamente stratificatesi, di fruizione estetica e visiva dei beni del complesso archeologico medesimo. Il mero dato della distanza dell’area (in specie, dalla via Labicana, per quanto rilevato nel ricorso, è variabile da 350 a 650 mt. Circa) non assume valore significativo e decisivo, in sé considerato, dovendosi valutare se le condizioni di prospettiva, luce, decoro del complesso archeologico rendano necessaria l’imposizione di un vincolo indiretto. La giurisprudenza citata dai ricorrenti è riferibile al potere di imposizione del vincolo diretto e non al diverso potere di imposizione del vincolo indiretto (che non potrebbe mai essere concepito se fosse condizionato dalla esistenza in loco di preesistenze archeologiche). Ed allora in relazione al potere di imposizione del vincolo diretto occorre valutare “il carattere unitario del complesso”, quale risulta “dall’affioramento di resti murari e di materiale mobile, dall’omogeneità delle strutture, dalla dimensione e dalla continuità degli allineamenti murari tra i singoli settori scavati e visibili o ricoperti e parzialmente sommersi (CdS VI 6/10/1986 n.758); con valutazione specifica dei “singoli reperti e della loro ubicazione al fine di dimostrare che essi costituiscono un complesso inscindibile” (CdS VI n.923/1983), essendo illegittima ad es. l’imposizione del vincolo su un intera collina ove non risulti valutata la notevole dimensione ed eterogeneità del comprensorio in questione (CdS Ad. Plen. n.6/1973). Non può dubitarsi che il vincolo diretto può risultare sproporzionato ove non sia stata indicata specificamente l’ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali di una vasta area vincolata (CdS n.322/1982), potendosi ritenere legittima l’imposizione del vincolo diretto esteso ad un’area solo quando i ruderi costituiscano un complesso inscindibile (Csi n.400/1989). Tutto ciò - in ogni caso - non può rilevare quando si tratta di valutare la legittimità dell’imposizione di un vincolo indiretto che può fondarsi su una mera situazione di adiacenza o vicinanza del bene indirettamente vincolato all’immobile da tutelare. Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso costruito sul presupposto che il vincolo in esame sia un vincolo diretto, mentre si tratta - in parte qua - di un vincolo indiretto.  Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

 

Vincolo di inedificabilità assoluta - motivazione - il nulla-osta della Sovrintendenza - diritto di proprietà - vincolo posto essenzialmente a tutela della continuità storica e dell’integrità e del decoro ambientale di un comprensorio. La scelta dell’inedificabilità assoluta è ben motivata quando siano indicate le finalità che si è inteso perseguire e le circostanze che, avuto riguardo alla natura del bene ed alla sua ubicazione hanno condotto al tipo di scelta adottata (CdS VI 10/2/1999 n.122). Nella specie l’importanza del comprensorio giustifica la misura adottata, mentre va rimarcato che sono possibili utilizzazioni a fini economici dell’area diverse dall’edificazione, previo nulla-osta della Sovrintendenza. Né può rilevare la circostanza di episodi di edificazione ai margini dell’ara in questione, poiché la finalità del vincolo indiretto è la necessità di evitare ulteriori compromissioni del bene culturale tutelato a seguito di un uso incontrollato del diritto di proprietà (CdS VI 9/4/1998 n.460). Del pari non ha rilievo l’esistenza di vegetazione o di qualche impianto che non diminuiscono certo in modo significativo la possibilità della visuale (CdS VI 7/10/1987 n.806). Nella specie poi deve escludersi che il vincolo sia stato posto per assicurare uno spettacolo di godimento panoramico del bene (CdS VI 18/3/1998 n.291; CdS VI 9/4/1998 n.460), trattandosi di vincolo posto essenzialmente a tutela della continuità storica e dell’integrità e del decoro ambientale di un comprensorio - coincidente con l’antico praedium imperiale costantiniano - del massimo interesse storico-archeologico. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566  (vedi: sentenza per esteso)

 

L’imposizione del vincolo su immobili adiacenti ad un complesso monumentale o alle cose vicine all’oggetto tutelato o agli immobili anche non contigui - la motivazione con riferimento all’ampiezza della fascia di rispetto. La giurisprudenza ammette l’imposizione del vincolo su immobili adiacenti ad un complesso monumentale (CdS IV n.707/1966), o alle cose vicine all’oggetto tutelato (CdS VI n.188/63), agli immobili anche non contigui, ma pur sempre vicini, i quanto separati da una via pubblica o da un giardino (CdS IV n.711/66). Si ricorda la sentenza del Tar del Lazio II n.1376/1985 che ha ritenuto illegittimo un vincolo indiretto di inedificabilità assoluta nella fascia di rispetto profonda mt. 21 che circonda Villa Torlonia in Roma, si rileva l’abnormità del vincolo posto ad una distanza davvero notevole dal complesso archeologico. Si sostanzia la censura sotto altro profilo per difetto di motivazione, fondandola sull’orientamento interpretativo della giurisprudenza teso a richiedere un’apposita congrua motivazione con riferimento all’ampiezza della fascia di rispetto, ai valori ed interessi secondari tutelati, alla giustificazione del sacrificio del diritto del proprietario (CdS VI n.26/1984), che va tenuto in considerazione specie quando si tratti di vietare del tutto l’edificazione (CDS VI n.301/1984); si sottolinea, in ultimo la necessità di una motivazione autonoma rispetto a quella che sorregge l’imposizione del vincolo diretto (CdS VI n.353/1985; CdS VI n.619/1989; CDS VI n.806/1987; CdS VI n.706/1988). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

 

Fascia di rispetto - principio di proporzionalità. La mera circostanza della distanza fisica non può avere valore significativo di una violazione del principio di proporzionalità, non esistendo un criterio assoluto per la determinazione dell’ampiezza e della lunghezza della fascia di rispetto attorno ad una zona monumentale, ma dovendosi fare riferimento alla situazione storicamente determinatasi relativa alle condizioni della prospettiva e della visuale di un monumento dalla aperta campagna. L’imposizione della visuale poi garantisce non solo l’integrità e la visibilità del monumento ma anche l’integrità dell’ambiente circostante ed il decoro. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

 

La continuità dell’area - continuità stilistica o estetica fra le aree - della continuità c.d. storica fra monumento ed insediamenti circostanti - non rileva il mero rapporto di contiguità fisica dei terreni ai fini dell’inclusione dei terreni nell’area vincolata - dequotazione dell’importanza del requisito della distanza. La continuità dell’area non deve essere intesa in senso solo fisico, né richiede necessariamente una continuità stilistica o estetica fra le aree (data ad es. dalla presenza, pure esistente nella specie, di ruderi quali quelli inglobati nel Casale Ambrogetti, nella fascia di rispetto) ma può essere posta anche a tutela della continuità c.d. storica fra monumento ed insediamenti circostanti (rilevabile dalle fonti e dall’iconografia riscontrabile nelle varie epoche, per opera degli artisti che hanno dedicato all’ambiente vincolato l’attenzione espressiva delle esigenze dello spirito che il vincolo è volto a tutelare) (CdS VI 21/4/1999 n.493); proprio nel caso della vasta porzione di territorio, di interesse paesistico e culturale, qualificabile comprensorio non rileva il mero rapporto di contiguità fisica dei terreni ai fini dell’inclusione dei terreni nell’area vincolata (CdS VI 14/10/1998 n.1391). Tale irrilevanza del dato fisico deve comportare una dequotazione dell’importanza del requisito della distanza che può essere indice di sproporzione del vincolo solo quando il fondo si trova in lontananza tale dal bene considerato da fare considerare del tutto irragionevole l’imposizione del vincolo. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

 

I diversi provvedimenti impositivi del vincolo possono anche essere adottati contemporaneamente in un unico atto versato in un unico documento, senza che ciò escluda l’autonomia delle relative motivazioni a sostegno dei diversi vincoli. Non ha rilievo la circostanza che il provvedimento impugnato non contenga solamente l’imposizione di vincolo indiretto sul comprensorio, riguardando anche il vincolo diretto (come da planimetria allegata al decreto e facente parte integrante di esso) infatti i diversi provvedimenti impositivi del vincolo possono anche essere adottati contemporaneamente in un unico atto versato in un unico documento, senza che ciò escluda l’autonomia delle relative motivazioni a sostegno dei diversi vincoli. Deve quindi ritenersi che sia nella specie irrilevante la circostanza dell’adozione simultanea di più vincoli con un unico provvedimento, stante la ricchezza del percorso motivazionale citato, in parte riferibile al vincolo indiretto in modo autonomo ed esaustivo. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il nulla osta paesaggistico non produce alcuna espansione dello ius edificandi - l’interesse ambientale. La sola autorizzazione regionale o sub-regionale ex art.7 della legge n.1497/1939 non produce alcuna espansione dello ius edificandi, ma determina una semplice aspettativa all’esito dell’ulteriore fase procedimentale di competenza dell’amministrazione statale e sempre che l’intervento edilizio non venga ritenuto contrario all’interesse ambientale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

La funzione del vincolo paesaggistico - l’autorizzazione - insufficienza della motivazione - l’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo - l’integrità di valore dei luoghi. L’autorizzazione paesaggistica non è una sorta di deroga al vincolo ma è lo strumento per una corretta gestione del vincolo medesimo, (in specie è illegittima l’autorizzazione che causa l’alterazione di tratti paesaggistici della località protetta che sono la ragione stessa per la quale la località è sottoposta a tutela ai sensi della normativa di tutela paesaggistica attualmente vigente). Non v’è dubbio sulla circostanza della riconduzione all’area della legittimità del vizio d’omessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante o dell’insufficienza della motivazione. Il caso più dubbio è quello dell’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

E’ legittimo l’atto di annullamento del nulla osta paesaggistico per difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune - l’obbligo di motivazione. La Soprintendenza non può ritenere l’esistenza di un’autorizzazione (illegittima) in deroga al vincolo, solo sovrapponendo il proprio giudizio estetico e tecnico al giudizio dell’autorità comunale o regionale, ma deve evidenziare carenze dell’attività procedimentale che costituiscano indice dello sviamento. Nel caso di specie il provvedimento impugnato ben sottolinea la superficialità dell’atto amministrativo di assenso annullato, evidenziando che l’autorità locale non ha tenuto conto della necessità di un parere obbligatorio, non ha preso le mosse dai valori paesistici tutelati, non ha dato il giusto peso all’assenza di “qualità ambientale” del manufatto realizzato in zona vincolata, così decampando dalla valutazione di compatibilità per assentire un bene considerato compatibile solo perché di piccole dimensioni o ben mimetizzato nella vegetazione. In sostanza la Soprintendenza prende le mosse da una difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune, per giungere alla conclusione che l’atto di assenso non risponde alla causa tipica del potere di cui all’art.7 della legge n.1497/1939. Se ne deve inferire che l’amministrazione statale si è mossa nell’ambito del suo potere di riesame per motivi di legittimità. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

I provvedimenti positivi (o negativi) di nulla-osta paesaggistico devono essere sufficientemente motivati - il difetto di motivazione rende illegittimo l’atto - l’inversione procedimentale - l’annullamento ministeriale. I provvedimenti positivi di nulla-osta paesaggistico devono essere motivati ed il punto appare di indubbia esattezza anche alla luce dell’art.3 della legge n.241/1990. Quanto alla sufficienza della motivazione dell’atto di annullamento, di cui si assume l’illegittimità per difetto di motivazione, si deve rilevare che il Ministero ha perfettamente evidenziato le ragioni per le quali esercitava il potere di annullamento, ossia come già detto, l’inversione procedimentale (o violazione del principio di giusto procedimento), il difetto di motivazione del nulla-osta paesaggistico ed il giudizio sostanzialmente derogatorio del vincolo reso dal Comune. Ciascuno di questi vizi del nulla osta è già in grado di reggere autonomamente l’annullamento ministeriale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

E’ legittimo il provvedimento di annullamento di autorizzazione per “insufficiente motivazione” - la portata del vulnus arrecato all’area vincolata - la valutazione dell’intervento - dimensioni modeste del fabbricato - è da ritenersi sufficiente l’evidenziazione della carenza dell’atto comunale “insufficientemente motivato”. In sostanza ciò che l’atto ministeriale sottolinea è che non è possibile un giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica che si risolva in una minimizzazione della portata del vulnus arrecato all’area come quando si assegna rilievo alle dimensioni modeste del fabbricato od alla circostanza che esso non è visibile (ben mimetizzato) come se la protezione del bene ambiente si debba risolvere solo nella tutela della fruibilità estetica del paesaggio e non nei suoi valori di effettiva integrità. L’intervento deve essere valutato, non solo per il suo dato dimensionale, al fine di verificare se esso sia o meno compatibile con i valori tutelati dal vincolo o sia causa di degrado (piccolo o grande che sia) del paesaggio. Il vincolo poi nel provvedimento sindacale non è nemmeno descritto, mentre il provvedimento del Ministro ricorda che la zona è tutelata giusta D.M. 22/11/1955 perché “oltre a formare con le bianche case distribuite in pittoresco disordine nell’angusto sbocco della Valle dei Mulini, con i villaggi sparsi sui fianchi di monti che si affacciano sull’ampio golfo di Salerno, con le ville, i giardini, i campielli con ulivi ed agrumi, un quadro naturale di singolare bellezza e nel suo insieme un complesso avente valore estetico e tradizionale, offre dei punti di vista accessibili al pubblico dai quali si godono visuali panoramiche di singolare ed eccezionale bellezza”. Avendo il vincolo tali specifiche motivazioni a suo fondamento, risulta logica e non censurabile la considerazione del provvedimento di annullamento del Ministro che ritiene non sufficiente una motivazione che non considera la necessità di coerenza delle caratteristiche del manufatto abusivo con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, limitandosi a valutarne l’entità modesta e la mimetizzazione o l’essenzialità della struttura architettonica che non significa compatibilità con un vincolo imposto anche al fine di tutelare “le bianche case distribuite in pittoresco disordine”. Quindi è condivisibile quanto rilevato dal Tar che ha sostenuto che il nulla-osta avrebbe dovuto esplicitare le ragioni dell’assenza dell’impatto ambientale, non meramente correggendo i grafici e indicando la mimetizzazione del manufatto, ma valutando in modo più approfondito le ragioni di contrasto o armonia dell’intervento abusivo con i caratteri propri dell’edilizia dei luoghi. Né doveva essere il Ministro ad indicare i motivi del contrasto dell’intervento con il vincolo, come asserito dall’appellante nel terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, dovendo invece ritenersi sufficiente l’evidenziazione della carenza dell’atto comunale che non ha spiegato come avrebbe dovuto le ragioni di compatibilità dell’intervento edilizio in raffronto alle ragioni del vincolo. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

Lo scopo del vincolo ex D.M. 22/11/1955 - la conservazione della continuità estetica dell’urbanistica locale - quadri panoramici. E’ irrilevante la circostanza per cui nella zona in questione (la zona è tutelata giusta D.M. 22/11/1955) non si presenterebbe alcuna tipologia particolare di edilizia, né insediamenti antichi, né organizzazione agricola, presentandosi come zona rocciosa e periferica del comprensorio comunale, giova rilevare che le asserzioni sono rimaste prive di riscontro probatorio e che comunque esse sono irrilevanti poiché lo scopo del vincolo in esame è chiaramente quello di garantire la conservazione della continuità estetica dell’urbanistica locale , indipendentemente dalle particolari situazioni esistenti in quella od altra delle zone vincolate, oltre che di mantenere intatti dei quadri panoramici. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

Difetto di giusto procedimento da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta - illegittimità dell’atto - obbligo del preventivo parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo - il potere autorizzatorio. Difetto di giusto procedimento ossia sul mancato rispetto della normativa di cui all’art.32 della legge n.47/1985 da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta mentre avrebbe dovuto acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo; il comune sembra aver valutato compatibile l’opera abusiva ignorando le caratteristiche essenziali del vincolo e sottolineando aspetti non decisivi ai fini della valutazione di compatibilità in tal modo risolvendo il suo giudizio in un'obiettiva deroga al vincolo, che lo rende illegittimo non solo e non tanto per l’omessa acquisizione del parere del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali ed ambientali richiesto in caso di revoca e modificazione del vincolo (come si rileva singolarmente nell’atto di appello) quanto per il fatto che il potere autorizzatorio ex art.7 della legge n.1497/1939 non è stato esercitato in modo conforme alla sua causa tipica. Né può dirsi che il Ministero avrebbe dovuto rendere il parere mentre ha adottato l’atto di annullamento, infatti a fronte di un atto di nulla-osta non v’era parere da rendere ma solo eventuale annullamento da esercitare. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

Permane la preminenza dell’interesse ambientale alla logica del provvedimento di condono - necessità del parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo al fine di consentire l’accoglimento dell’istanza di condono. L’art.32 della legge n.47/1985 mira proprio a garantire la preminenza dell’interesse ambientale alla logica del provvedimento di condono, non prevedendosi altro che un procedimento teso ad acquisire un parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo al fine di consentire l’accoglimento dell’istanza di condono. Dal tenore della norma non è dato desumere alcun favor per la sanatoria, né alcuna posizione recessiva dell’interesse ambientale che si paleserebbe ovviamente, nell’ipotesi (denegata) in cui fosse ricostruibile una tale mens legis, sospetta di incostituzionalità. Pertanto, non può condividersi l’assunto dell’appellante secondo il quale nella normativa del condono edilizio, il legislatore avrebbe teso a conservare il realizzato anche nelle zone vincolate, con l’esclusione di ipotesi tassative ed eccezionali. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

Autorizzazione paesistica - la nozione di merito - discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica - il vincolo procedimentale - l’azione obiettivata e vincolata della pubblica amministrazione - incidenza del sindacato giudiziario e delle autorità preposte ai controlli o titolari - potere di riesame - gli influssi comunitari tendenti alla riduzione dell’area delle valutazioni amministrative insindacabili - vizi sintomatici dell’eccesso di potere. La nozione di merito non vive nel vuoto ed è condizionata dal modo in cui il diritto vivente intende la discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica (si pensi a quanto deciso da CdS IV 9/4/1999 n.601), il vincolo procedimentale, l’agire obiettivato e vincolato della pubblica amministrazione, ed in ultimo dall’incidenza del sindacato giudiziario e delle autorità preposte ai controlli o titolari - come nella specie - di un potere di riesame. Si deve registrare, in questa ottica, anche per gli influssi comunitari, una tendenza alla riduzione dell’area delle valutazioni amministrative insindacabili, per effetto del controllo di proporzionalità, del passaggio di parte del merito alla discrezionalità tecnica, per la costante esigenza di verifica della legalità sostanziale delle attività amministrative mediante l’usuale tecnica del sindacato sui vizi sintomatici dell’eccesso di potere. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

La funzione del vincolo paesaggistico - l’accertamento di compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

E’ illegittima la sostanziale inversione procedimentale da parte del Comune che ha rilasciato un’autorizzazione a fronte di una richiesta di sanatoria - la valutazione della compatibilità ambientale delle opere ancora da realizzare - il giusto procedimento - la sequenza procedimentale - tutela del vincolo, il parere è obbligatorio e vincolante. E’ illegittima la sostanziale inversione procedimentale, poiché, a fronte di una richiesta di sanatoria, ai sensi della legge n.47/1985 - in ordine alla quale doveva essere espresso un parere ai sensi e per gli effetti dell’art.32 della legge n.47/1985 - il Comune ha rilasciato un’autorizzazione, con atto formalmente emanato ai sensi dell’art.7 della legge n.1497/1939 che riguarda invece la valutazione della compatibilità ambientale delle opere ancora da realizzare. Già questo profilo si traduce in illegittimità per non avere il comune rispettato il giusto procedimento ed avere reso un provvedimento di definitiva valutazione della compatibilità ambientale quando invece l’amministrazione comunale era tenuta a rispettare la sequenza procedimentale di cui all’art.32 della legge n.47/1985 che prevede l’emissione di un parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, parere che viene ritenuto obbligatorio e vincolante (C. Stato, sez. VI, 19/7/1996, n.968). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

Abuso commesso rispetto ai valori paesistici tutelati - legittimità del provvedimento ministeriale di annullamento il quale ha espressamente fatto riferimento al difetto di motivazione del provvedimento comunale - E’ legittimo il provvedimento ministeriale di annullamento il quale ha espressamente fatto riferimento al difetto di motivazione del provvedimento comunale, ritenendo non sufficiente la valutazione di compatibilità attuale dell’abuso commesso rispetto ai valori paesistici tutelati, in quanto l’autorità competente non ha tenuto conto del fatto che l’intervento abusivo, privo di qualità ambientali, nonostante le correzioni apportate dalla CECI, contrasta con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, comportando il degrado del sito di notevole valore ambientale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

 

Autorizzazione paesistica - la modifica dello stato dei luoghi quando le determinazioni del Ministero siano divenute inoppugnabili - termine. Si è detto in proposito che, salva la necessità degli ulteriori prescritti titoli abilitativi, l’ordinamento consente la modifica dello stato dei luoghi quando le determinazioni del Ministero siano divenute inoppugnabili e, in particolare, quando il Ministero, con atto espresso, ritenga di non annullare l’autorizzazione paesistica, ovvero lasci decorrere il termine di sessanta giorni senza disporne l’annullamento (Cass. pen. Sez.VI 26/5-7/7/1999 n.8631; Cass. pen. Sez.III 9/2/1998 Svara; Cons. Stato VI 13/2/2001 n.685; CdS VI 20/10/2000 n.5651; CdS V 15/9/1997 n.963). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561  (vedi: sentenza per esteso)

 

L’atto di annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico - ius receptum - “autorizzazione” complessa fattispecie sui generis - il termine di sessanta giorni. E’ ius receptum nella più recente giurisprudenza amministrativa il carattere non recettizio dell’atto di annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico (contra CdS Ad. Plen. n.8/1980, richiamata dall’appellante ma riferita all’annullamento regionale, ex art.27 della legge urbanistica, della licenza edilizia). Nello schema normativo della tutela paesaggistica predisposta dall'art.82 d.p.r. n.616 del 1977, l'intervento ministeriale di annullamento dell'autorizzazione regionale rilasciata ai sensi dell'art.7 l. n.1497 del 1939 costituisce un elemento costitutivo, sia pure in termini negativi e operante nella ridotta sfera della verifica della legittimità, di una complessa fattispecie autorizzatoria sui generis, nell'ambito della quale l'autorizzazione regionale (o sub regionale) è un elemento essenziale, ma non esclusivo, al fine di rimuovere gli ostacoli giuridici per il concreto esercizio dell'attività edilizia nell'ambito delle zone sottoposte a vincoli; pertanto il decorso del termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere di annullamento, senza che alcun provvedimento sia stato adottato, vale a rendere definitivamente operativa l'autorizzazione, già di per sé efficace, ed ultronea qualunque pronuncia tardiva del ministro: ciò dimostra che la causa ultima della caducazione dell'autorizzazione regionale (o sub regionale) deve essere rinvenuta direttamente nella norma, la quale prevede il potere di annullamento e ne configura l'esercizio come produttivo di per sé di effetti giuridici, a prescindere dalla partecipazione all'ente interessato degli esiti dell'esercizio di tale potere, con la conseguenza che il provvedimento ministeriale di annullamento non ha natura di atto recettizio (C. Stato, sez.VI, 19/7/1996, n.968; in senso analogo CdS VI n.421/2000; CdS Sez.II 4/6/1997 n.1249/97; CdS Sez.II 10/9/1997 n.468/1997 per una completa recente ricostruzione CdS Ad. Plen. n.9/2001). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Il termine perentorio di sessanta giorni si riferisce solo all’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento di nulla osta paesistico - la legittimità delle autorizzazioni a costruire rilasciate dalle Regioni - dell’iter procedimentale relativo al controllo ministeriale. Costituisce orientamento consolidato di questa Sezione (cfr., di recente, sentenza 4 settembre 2991, n. 4639), fatto proprio anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr., sentenza 22 luglio 1999, n. 20), quello secondo cui il termine perentorio di sessanta giorni in questione si riferisce solo all’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento di nulla osta paesistico, e non anche alla successiva fase di comunicazione o notificazione. Più precisamente, il procedimento col quale il Ministero per i beni culturali e ambientali controlla la legittimità delle autorizzazioni a costruire rilasciate dalle Regioni ai sensi dell’art. 7 L. 29 giugno 1939 n. 1497 si conclude o con l’inutile scadenza del termine all’uopo previsto ovvero con l’emanazione nel suddetto termine del decreto di annullamento; pertanto, è irrilevante che la successiva notifica dell’atto di annullamento al privato titolare dell’autorizzazione regionale avvenga dopo la scadenza del detto termine, trattandosi di incombente del tutto esterno rispetto al perfezionamento dell’iter procedimentale relativo al controllo ministeriale. Consiglio di Stato Sezione VI, 07 agosto 2002, n. 4129.

Il disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, relativo alla tutela dell'ambiente - la disciplina regionale è legittima quando prevede limiti più severi di quelli fissati dallo Stato - configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto. Non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998). In definitiva, si può quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato. In conclusiva, quindi, il decreto n. 334 del 1999 riconosce che le regioni sono titolari, in questo campo disciplinare, di una serie di competenze concorrenti, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente. In questo senso, d'altronde, si è già espressa questa Corte, quando in una vicenda analoga, a proposito dei limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico, ha ritenuto non incostituzionale una disciplina regionale "specie a considerare che essa se, da un canto, implica limiti più severi di quelli fissati dallo Stato, non vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest'ultimo perseguiti" (sentenza n. 382 del 1999). Corte Costituzionale Sentenza 26 luglio 2002 n. 407.

Soprintendenza esercizio del potere di annullamento - acquisizione diretta tramite un sopralluogo, o delegata - perentorietà del termine di 60 giorni - annullamento per vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria - autorizzazione rilasciata - documentazione tecnico-amministrativa - mancata trasmissione della documentazione - nulla osta regionale (o sub-delegato). La giurisprudenza, data ormai per pacifica la perentorietà del termine di 60 giorni (cfr., Cons. Stato, VI, n. 1267/94, n. 558/96, 1825/96 e n. 129/98), previsto per l’esercizio del potere di annullamento, ha ritenuto che tale termine decorra dalla ricezione da parte della Soprintendenza dell’autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnico - amministrativa, sulla cui base il provvedimento è stato adottato; in caso di omessa o incompleta trasmissione di detta documentazione, il termine non decorre e la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti (cfr. fra tutte, Cons. Stato, VI, n. 114/98). Tale richiesta istruttoria può, quindi, essere effettuata nel solo caso di mancata trasmissione della documentazione, sulla cui base l’autorizzazione è stata rilasciata, e non di altra documentazione ritenuta utile dalla Soprintendenza. Una volta che la documentazione acquisita nel procedimento conclusosi con il nulla osta regionale sia stata trasmessa in modo completo, unitamente ovviamente all’autorizzazione stessa, si deve ritenere che decorra il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento senza che lo stesso possa essere interrotto da richieste istruttorie, che risultano idonee ad interrompere il termine solo in caso di incompleta trasmissione della documentazione su cui l’ente regionale (o sub-delegato) si sia pronunciato. Del resto, tale impostazione appare conforme alla natura di riesame di sola legittimità, e non di merito (confermato recentemente dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 9 del 14-12-2001), di cui al predetto potere di annullamento: se la Soprintendenza ritiene che l’autorizzazione è stata rilasciata in assenza della documentazione necessaria, potrà annullare l’atto, rilevando il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, come evidenziato anche dal Tar. Comunque, qualora l’autorità preposta al controllo ritenga di dover acquisire elementi ulteriori rispetto quelli posti alla base dell’autorizzazione, potrà acquisirli direttamente tramite un sopralluogo, o delegare tale acquisizione, tenendo però conto che tale richiesta non è idonea ad interrompere il termine perentorio di 60 giorni per la conclusione del procedimento, in quanto relativa a documenti diversi ed ulteriori, rispetto quelli acquisiti nel procedimento conclusosi con l’autorizzazione. Ogni diversa interpretazione attribuirebbe alla suddetta autorità un potere, che potrebbe agevolmente essere sospeso indefinitamente con richieste di elementi integrativi, che condurrebbero al concreto risultato dell’elusione del termine perentorio. Una siffatta elusione del termine perentorio finirebbe per porsi in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale in materia di distribuzione legislativa, tra Stato e Regioni, dei poteri autorizzatori in ambito paesaggistico, alterando, attraverso un potere di annullamento in pratica esercitabile senza termine certo, quel principio di giusto equilibrio tra i poteri di varie autorità, valorizzato dal giudice delle leggi (cfr., Corte Cost., n. 359/85, n. 153/86, n. 302/88 e n. 1112/88). (Nel caso di specie, la Soprintendenza aveva richiesto alla Regione documentazione fotografica e copia del provvedimento di autorizzazione dell’originario progetto. Dagli atti prodotti in giudizio risulta che si trattava di documentazione ulteriore rispetto a quella acquisita nel procedimento conclusosi con l’annullato nulla osta, come dimostra il fatto che la Regione non era in grado di trasmettere direttamente gli atti, ma li ha richiesti alla Pevero Hills s.r.l., che li ha poi fatti pervenire direttamente alla Soprintendenza (v. nota del 25-10-2000 della Regione e la lettera del 13-12-2000 della società appellata). Trattandosi di documentazione ulteriore rispetto a quella sui cui la Regione si era pronunciata, la richiesta non era idonea ad interrompere il termine perentorio di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento, che decorreva dalla data (2-8-2000), in cui l’originaria documentazione era pervenuta completa alla Soprintendenza. L’impugnato decreto è quindi illegittimo per essere stato adottato dopo la scadenza del termine perentorio di sessanta giorni). Consiglio Stato Sez. VI, 12 luglio 2002, n. 4182. (vedi: sentenza per esteso)

Area qualificata quale biotopo in base alla L.P. Trento n. 14 del 1986 - la censura di carenza di motivazione e di istruttoria. A mente dell’articolo 2, lettera a) della citata L.P. Trento n. 14 del 1986, si considerano biotopi di interesse ambientale, culturale e scientifico “le zone umide che presentano importanti funzioni per la salvaguardia del regime e della qualità delle acque o che costituiscono fonte di alimentazione o luogo di riproduzione e di sosta per gli uccelli acquatici nel periodo delle migrazioni o che costituiscono ricetto di particolari entità floro-faunistiche […]”. Alla stregua di tale definizione, per qualificare un’area quale biotopo di interesse provinciale non è indispensabile che la zona umida abbia acquisito le sue caratteristiche morfologiche esclusivamente per effetto di fenomeni naturali, potendo costituire oggetto di tutela anche aree modificate e modellate in passato da attività di sfruttamento da parte dell’uomo, purché l’attuale compimento delle attività umane elencate dall’articolo 3 della citata L.P. n. 14 del 1986 - che sarebbe effettuato con strumenti e secondo modalità certamente diversi da quelli tradizionali - possa compromettere l’idoneità della zona umida a svolgere le indicate funzioni di protezione del regime idrico, dei volatili acquatici e di particolari entità floro-faunistiche. Quanto alla censura di carenza di motivazione e di istruttoria si rileva che l’estensione della zona protetta alle aree limitrofe a quelle umide è motivata dall’Amministrazione provinciale osservandosi, fra l’altro, che “con l’avanzare del fronte di cava è possibile la captazione delle falde acquifere che alimentano le zone umide, con conseguente inaridimento del terreno e trasformazione delle caratteristiche ambientali della zona”. La determinazione amministrativa si sottrae, pertanto, alla censura di difetto di motivazione, avendo l’Amministrazione indicato le ragioni che hanno suggerito un’interpretazione estensiva della previsione dell’articolo 2, lettera a) della citata L.P. n. 14 del 1986, che porti ad includere nel biotopo anche le aree non umide che siano indispensabili al fine della preservazione delle aree umide perché inscindibilmente correlate all’ecosistema da proteggere. La censura di difetto di istruttoria risulta, poi, priva di pregio, avendo l’Amministrazione provinciale adottato il provvedimento sulla base di un’articolata proposta del Comitato provinciale per l’ambiente che prende in specifica considerazione lo stato dei luoghi. Consiglio di Stato Sezione IV, sentenza 2 luglio 2002, n. 3602.

Il nulla osta paesistico rilasciato dal Sindaco in sede adozione di una concessione edilizia - vizio di eccesso di potere per sviamento - vizio di eccesso di potere per illogicità della motivazione - il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica - difetto di motivazione. Il gravame contesta sotto diversi i profili il provvedimento con il quale il Ministero dei beni culturali ed ambientali ha annullato, a norma dell’art. 82, comma 9, del d.P.R. n. 616 del 1977, nel testo introdotto dall’art. 1 della legge n. 431 del 1985, il nulla osta paesistico rilasciato dal Sindaco in sede adozione di una concessione edilizia. Le censure afferenti alla violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, alla tardività del provvedimento per mancato rispetto del termine di sessanta giorni dalla comunicazione, ed alla pretesa insussistenza dell’obbligo di ottenere, per la costruzione in questione, il nulla osta paesistico, riproposte con il ricorso in appello, non sono fondate per le ragioni indicate nella sentenza impugnata, che il Collegio condivide. Risulta invece fondato il motivo afferente al vizio di eccesso di potere per sviamento, con il quale si è denunciato che il provvedimento ministeriale di annullamento è stato adottato, a) per quanto concerne l’autorizzazione alla sopraelevazione di un fabbricato preesistente, in ragione della mancata comunicazione al Ministero della autorizzazione alla realizzazione del detto edificio, sebbene la costruzione fosse stata eseguita prima della imposizione del vincolo; b) con riguardo alla costruzione del nuovo edificio, per valutazioni attinenti al merito della compatibilità ambientale, esulante dalle attribuzioni del Ministero e riservate alla Regione o all’organo comunale ove, come nella specie, delegato al rilascio del nulla osta paesistico, senza l’allegazione di precise ragioni di illegittimità dell’atto comunale annullato. Per quanto concerne il profilo sub a), come anche ammesso dal primo giudice, il vizio di eccesso di potere per illogicità della motivazione risulta fondato, posto che, secondo la documentazione in atti, l’edificio da sopraelevare era stato autorizzato nel 1983, e quindi anteriormente alla imposizione del vincolo paesistico, risalente al d.m. 28 marzo 1985. Con riguardo al profilo sub b), la censura coinvolge il problema dei limiti del potere ministeriale di annullamento di cui all’art. 82, comma 9, del d.P.R. n. 616 del 1977, nel testo introdotto dalla legge n. 451 del 1985, che ha formato oggetto di recentissima ed approfondita riflessione da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, pronunciatasi sul punto con sentenza 14 dicembre 2001, n. 9. A conclusione dell’esaustiva disamina dell’intera tematica, la decisione, confermando un indirizzo già largamente accolto dalla giurisprudenza, ha affermato che “Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sull’esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall’autorità che ha concesso l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola cardine della leale cooperazione o con gli altri principi di legittimità dell’azione amministrativa” (punto 13.3 del Diritto). In altri passi della motivazione risulta ancor più chiaramente espresso che il potere di annullamento è condizionato dall’individuazione, nel provvedimento autorizzatorio, di un vizio rientrante nella tipologia tipica delle invalidità degli atti amministrativi. Il Ministero infatti, “pur non potendo sovrapporre le proprie determinazioni a quelle della Regione o dell’ente da questa individuato, può salvaguardare l’ambiente ed il paesaggio (senza bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale), mediante il motivato annullamento della autorizzazione che risulti illegittima, anche per eccesso di  potere e pure per gli specifici profili di inadeguata valutazione delle circostanze o per insufficiente motivazione, illogicità manifesta e violazione del principio di leale cooperazione per mancata considerazione degli interessi nazionali.” (punto 12.1). In altri termini il Ministero può svolgere un sindacato di legittimità “corrispondente a quello che potrebbe esercitare il giudice amministrativo nel caso di impugnazione dell’autorizzazione non annullata in sede amministrativa” (punto 13). Alla stregua di tali principi il motivo di eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione dedotto avverso il decreto ministeriale di annullamento risulta fondato. La motivazione impugnata, infatti, si limita ad affermare che il fabbricato “per le sue notevoli dimensioni verrebbe ad alterare un ambiente caratterizzato da manufatti di tipo rurale, sparsi e di modeste dimensioni” e quindi “comporterebbe l’alterazione dei tratti distintivi della località protetta”. Ritiene il Collegio che tali proposizioni si risolvano nella mera espressione da parte del Ministero di una propria valutazione sul merito della compatibilità ambientale dell’edificio autorizzato, destinata sovrapporsi, illegittimamente, a quella compiuta dall’ente competente nel quadro della ripartizione di funzioni voluta dall’art. 82 del d.P.R. 616, come illustrato dalla giurisprudenza citata. Era invece compito del Ministero esporre le ragioni per le quali l’apprezzamento di compatibilità ambientale espresso dal Comune doveva ritenersi viziato, per una delle figure sintomatiche tipiche dell’eccesso di potere, quali il difetto di istruttoria, il travisamento dei fatti, l’illogicità, l’incoerenza. In altri termini, come anche è imposto al giudice amministrativo, la valutazione del Comune doveva essere sindacata, non per il contenuto in sé, la cui mancata condivisione in sede ministeriale deve restare irrilevante, ma per le non corrette modalità con le quali l’Ente è pervenuto al convincimento della compatibilità ambientale, così evidenziando una invalida origine dell’atto di volontà. In senso contrario non potrebbero addursi le menzioni dell’eccesso di potere e della violazione di legge, figuranti nelle premesse finali della motivazione del provvedimento. Senza il supporto di precise circostanze di fatto attinenti alla formazione dell’atto annullato, tali richiami si risolvono in mere clausole di stile, inidonee a soddisfare l’obbligo di motivazione imposto dalla normativa, come specificata dalla giurisprudenza. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 1 luglio 2002, n. 3595. (vedi: sentenza per esteso)

Nulla osta - richiesta di integrazione documentale - le varie fasi dell’istruttoria - illegittimità del comportamento dilatorio ingiustificato. La ricostruzione delle varie fasi dell’istruttoria, (inerente alla richiesta di rilascio del nulla osta ex lege n. 1497/1939) compiuta dal primo giudice, non consente di avere dubbi sull'inutilità della seconda richiesta di integrazione documentale da parte della Sovrintendenza, fatta dopo che la stessa Sovrintendenza aveva ricevuto la prima documentazione richiesta. Oltretutto, il comportamento dilatorio (ed illegittimo) della Sovrintendenza è avvalorato dal contenuto della seconda richiesta di integrazione istruttoria: un parere del consiglio comunale (privo di competenza in materia) in relazione ad un’opera per la quale la Commissione consultiva per i Beni Ambientali della Provincia di Vicenza si era espressa positivamente. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2629.

Soggezione ai vincoli paesaggistici e ambientali - nuova costruzione e specifico carico urbanistico determinato dall’alterazione anche se non vulnerante - opere pertinenziali - assoggettamento a concessione edilizia - autorizzazione gratuita inoperatività nelle zone vincolate. La soggezione ai vincoli paesaggistici e ambientali determina, di per sé, nel caso di nuova costruzione, uno specifico carico urbanistico determinato dall’alterazione, anche se non vulnerante, dello specifico contesto. La ratio dell’art. 7, comma 2 del richiamato decreto legge n. 9 del 1982 è evidentemente quella di impedire la libertà di costruzione anche di opere pertinenziali, per gli effetti distorsivi del paesaggio e dell’ambiente che anche da queste ultime possono derivare. Lo strumento tecnico per questa finalità è l’assoggettamento a concessione edilizia dell’intervento, cui naturalmente consegue, quasi come naturale negotii, il pagamento del contributo per costruzione e oneri di urbanizzazione. (Tra i casi di autorizzazione gratuita e richiama, a questo fine, il disposto dell’articolo 7 comma 2 del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni con legge 25 marzo 1982, n. 94: “sono altresì soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non sottoposte ai vincoli previsti dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, e legge 29 giugno 1939, n. 1497: le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti;…”). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 13 maggio 2002, n. 2575. (vedi: sentenza per esteso)

Rinvenimento di reperti di interesse artistico, storico o archeologico - presupposti per l’imposizione del vincolo diretto - non è sufficiente una mera indicazione di esistenza del bene - attività ricognitiva, preparatoria all’imposizione di vincolo - l’Amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti solo attraverso atti sufficientemente motivati. E’, dato, acquisito dalla giurisprudenza il principio secondo cui imprescindibile presupposto per l’imposizione del vincolo diretto di cui agli artt.1 e 3 della legge n.1089 del 1939 è la dimostrata (anche per presunzione), effettiva esistenza delle cose da tutelare; con la conseguenza che il relativo decreto si deve considerare illegittimo, per carenza o errore nei presupposti, ove si dimostri che nella zona vincolata in realtà non esiste alcun bene archeologico suscettibile di protezione. La legge in esame, infatti, dove consente l’imposizione del vincolo diretto sulle cose di interesse artistico, storico o archeologico, incide, comprimendolo, sul diritto di proprietà; se ne trae la conseguenza che, al fine di evitarne un'inutile limitazione, è consentito all’Amministrazione di adottare il relativo provvedimento soltanto nel presupposto della già acquisita certezza dell’esistenza delle cose oggetto di tutela e previa rigorosa delimitazione della zona da proteggere. D’altra parte, se così non fosse e si ammettesse la possibilità di adottare la misura vincolistica sulla base di una mera indicazione di esistenza del bene archeologico ed in vista di una successiva attività diretta ad individuarne la consistenza ed a portarlo alla luce, il relativo provvedimento di vincolo finirebbe con l’assumere la fisionomia di misura di salvaguardia del patrimonio in questione non prevista dalla legge n. 1089 del 1939 e pertanto non suscettibile di applicazione. Senza contare che l’esigenza connessa allo svolgimento di un’attività ricognitiva, preparatoria all’imposizione di vincolo, trova soddisfazione nel disposto di cui all’art. 43 della stessa legge, in base al quale può essere disposta l’occupazione temporanea dei terreni con eventuale adozione, in caso di esito favorevole della ricerca, del successivo provvedimento di vincolo. D’altra parte, è altresì acquisito alla giurisprudenza l’ulteriore principio secondo cui l’Amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti: è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stesso costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabili il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l’imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinata. Nel caso di specie, tuttavia, come, del resto, emerge dalla relazione annessa al provvedimento, il vincolo imposto è da considerare esorbitante, in quanto, come si ripete, il reperimento dei reperti ha interessato un’area di cui non fanno parte i terreni dell’appellata ed è stato adottato senza alcun riscontro sull’esistenza in loco di ulteriori reperti da portare alla luce, sicché lo stesso è illegittimo per difetto di istruttoria e insufficiente motivazione. Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2525.

Beni culturali e ambientali - Reato di cui all'art. 118 del D.Lgs n. 490 del 1999 - Esecuzione di opere su beni culturali in difetto di autorizzazione - Esistenza di autorizzazione condizionata - Mancato rispetto delle condizioni - Reato - Sussistenza - Fondamento - L. del 1/6/1939 n. 1089 artt. 11 e 59. In tema di beni culturali, integra il reato di cui all'art. 118 del D. Lgs 29 ottobre 1999 n. 490, (esecuzione di opere su beni culturali in difetto di autorizzazione) la mancata ottemperanza alle condizioni apposte dalla P.A.in sede di rilascio del provvedimento autorizzativo, atteso che in tale ipotesi esso deve considerarsi inefficace. (Fattispecie nella quale la autorizzazione alla installazione dell'impianto di illuminazione della cattedrale di Trani era condizionata alla necessita' che "ogni passaggio esecutivo" fosse verificato da sopralluogo della Sovrintendenza). PRES. Zumbo - REL. Grillo (Conf.) - PM. Favalli - Ric. Palmieri. CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 20/03/2002 (CC.17/01/2002) RV. 221433 Sentenza n. 11275

Eventi sismici - assegnazione di provvidenze - provvidenze di emergenza - interventi a favore delle attività produttive - interventi a favore del patrimonio culturale - esclusione. Il D.L. 30.1.1998, n. 6, conv. nella legge 30.3.1998, n. 61, recante “ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi”, nello stabilire, all’art. 5, gli “interventi a favore delle attività produttive”, diretti cioè, per il comma 1 dello stesso articolo, alla ripresa delle attività produttive industriali, agricole, commerciali, artigianali, turistiche ecc., prevede, al comma 2, l’assegnazione di contributi per la ricostruzione e il ripristino degli immobili “utilizzati” per le attività produttive di cui al comma 1, distrutti o danneggiati dalla crisi sismica. L’art. 4 della legge regionale 12.8.1998, n. 30, prevede l’assegnazione di tali provvidenze anche per “gli edifici nei quali siano prevalenti unità immobiliari destinate ad attività produttive che, per effetto degli eventi sismici, risultino distrutti, demoliti o inagibili”. Si tratta, quindi, all’evidenza, degli immobili con destinazione ad attività produttive (opifici, centri commerciali, botteghe artigiane, stalle, ecc.). Si tratta di provvidenze di emergenza dirette alla ricostruzione e/o alla rimessa in esercizio dei locali dove si svolgevano le anzidette attività produttive, delle sedi, cioè, in cui queste erano allocate prima degli eventi sismici. La terza fascia di priorità prevista dall’Allegato A alla deliberazione della Giunta regionale n. 4718 del 1998, nel quale sono inseriti gli “interventi tesi a ripristinare la funzionalità delle strutture pubbliche e del patrimonio culturale” riguarda gli interventi relativi ad immobili già facenti parte del patrimonio culturale danneggiati dagli eventi sismici, al fine di ripristinarne le precedenti condizioni, di carattere strutturale e funzionale, che ne consentivano la fruizione da parte della collettività in quanto beni culturali. Non rientrano in tale quadro, pertanto, gli interventi di ristrutturazione relativi ad immobili che, oltre a non essere qualificabili formalmente come beni culturali, per il loro stato strutturale non svolgevano alcuna funzione tipica di questi anteriormente agli eventi sismici del 1997. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1492.

Vincolo paesaggistico - efficacia - zona deturpata. Il vincolo paesistico legale e la esigenza di tutela ad esso sottesa non vengono meno per il solo fatto che il vincolo è stato già in passato violato e la zona deturpata, imponendosi, al contrario, un maggiore rigore per il futuro, onde prevenire ulteriori danni all’ambiente e salvaguardare quel poco di integro che ancora residua. La circostanza che una zona sia prevalentemente urbanizzata, o addirittura già paesisticamente degradata, non fa venir meno la esigenza di evitare che una zona soggetta per legge a vincolo sia preservata da ulteriori interventi deturpanti. Consiglio Stato Sez. VI, 04 febbraio 2002, n. 657.  (vedi: sentenza per esteso)

Realizzazione di porti turistici - l’interpretazione da darsi agli art. 5 e 6 del regolamento ex DPR 2 dicembre 1997 n 509 - conferenza di servizi per l’approvazione dei progetti - la tutela dei beni paesistico-ambientali. L’interpretazione da darsi agli art. 5 e 6 del regolamento ex DPR 2 dicembre 1997 n 509, concernente la realizzazione di porti turistici. Il problema posto consiste nel fatto che i predetti artt. 5 e 6 prevedono il modulo della conferenza di servizi per l’approvazione dei progetti, escludendo espressamente dalla conferenza la partecipazione del Ministero per i beni e le attività culturali, e affidando la tutela dei beni paesistico-ambientali esclusivamente alla regione o ai comuni interessati eventualmente delegati; ma, mentre l’art. 5, concernente i progetti preliminari, prevede espressamente, nel comma 9, l’invio immediato al Ministero delle determinazioni assunte ex art. 7 L. n. 1497/39 (ora art. 151 T.U.), affinchè questi possa esercitare i poteri di riesame e annullamento previsti, una disposizione analoga non è contemplata nell’art. 6, che riguarda l’approvazione dei progetti definitivi e che, pur affidando tale approvazione a una conferenza di servizi o a un accordo di programma (a seconda che il progetto sia conforme o meno alle previsioni urbanistiche) tiene ferma l’esclusione dalla conferenza di servizi e dall’accordo di programma del Ministero per i beni e le attività culturali, ribadendo la previsione già operata nell’art. 5. Di qui il quesito se possa ritenersi in via interpretativa che anche il progetto definitivo vada sottoposto al vaglio ministeriale, ovvero se il silenzio del legislatore sul punto richieda un’integrazione normativa. Ritiene la Sezione che non sia necessaria un’integrazione normativa, potendosi in via intepretativa pervenire alla conclusione che anche nel caso di cui all’art. 6 del DPR n. 509/97 sia dovuto l’invio al Ministero, per i fini di cui all’art. 151 T.U. n. 490/99, delle determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi o di accordo di programma. Consiglio di Stato Adunanza della Sezione II, 6 febbraio 2002, n. 2457. (Vedi: sentenza per esteso)

 

I poteri ministeriali di cui alla L. n. 431/85 sono posti "ad estrema difesa" dei vincoli paesaggistici per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9), come norme fondamentali di riforma economico-sociale - il potere di riesame e di annullamento previsto dall’art. 151 T.U. n. 490/99 - la conferenza sul progetto preliminare e la conferenza sul progetto definitivo - la necessità di un rinnovato esame ex art. 151 T.U. n. 490/99. La Corte Costituzionale ha più volte avuto occasione di sottolineare che il paesaggio costituisce, nel nostro sistema costituzionale, un valore etico-culturale che trascende le competenze della Regione e coinvolge tutte le amministrazioni, e in primo luogo lo Stato e le Regioni, ordinarie e speciali, in un vincolo reciproco di leale cooperazione, e che i poteri ministeriali di cui alla L. n. 431/85 sono posti "ad estrema difesa" dei vincoli paesaggistici, e, come tali, costituiscono parte di una disciplina qualificabile, per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9), come norme fondamentali di riforma economico-sociale (cfr. Corte Cost., sent. n. 341 del 18 ottobre 1996 ed altre ivi richiamate). Da ciò deriva che il potere di riesame e di annullamento previsto dall’art. 151 T.U. n. 490/99 si pone come regola generale dell’ordinamento di settore, e quindi sempre operante, anche se non espressamente previsto da norme specifiche (salvo, naturalmente, come si è visto, il caso in cui il potere stesso sia esercitato e consumato all’interno delle conferenze dei servizi mediante assenso o dissenso). Si deve quindi ritenere che, analogicamente a quanto previsto dall’art. 5, anche l’art. 6 del DPR n. 509/97 vada interpretato nel senso che le determinazioni finali assunte in sede di conferenza di servizi o di accordo di programma debbono essere inviate al Ministero per i beni e le attività culturali: diversamente opinando, infatti, poiché il Ministero è espressamente escluso dalla procedura per volontà normativa , si dovrebbe ammettere che nella fattispecie verrebbero meno sia il vincolo di leale cooperazione che deve caratterizzare il rapporto Stato-Regione, che i poteri di "estrema difesa del vincolo" che sono affidati allo Stato: ciò che, alla luce delle argomentazioni sviluppate in proposito dal giudice delle leggi, sarebbe incompatibile con i principi costituzionali in materia e segnatamente con l’art. 9 Cost. Non varrebbe opporre che la mancata ripetizione nell’art. 6 del DPR n. 509/97 (che concerne, come si è accennato, i progetti definitivi) della previsione contenuta nell’art. 5 (che viceversa riguarda i progetti preliminari) potrebbe essere attribuita ad una ritenuta inutilità di una nuova pronuncia ministeriale dopo l’esito favorevole dell’esame del progetto preliminare: come osserva l’Ufficio Legislativo referente sul punto, argomentando dall’art. 14 bis della L. n. 241/90, la conferenza sul progetto preliminare e la conferenza sul progetto definitivo costituiscono procedure autonome con finalità diverse, e d’altra parte non si può neppure escludere che in sede di approfondimento definitivo, dopo la fase preliminare, il progetto non possa aver subito modifiche, con conseguente ovvia, ribadita necessità di un rinnovato esame ex art. 151 T.U. n. 490/99. Consiglio di Stato Adunanza della Sezione II, 6 febbraio 2002, n. 2457. (Vedi: sentenza per esteso)

 

Testo unico in materia di edilizia 6 giugno 2001 n. 380 (procedura per il rilascio del permesso di costruire) - i poteri ministeriali nei confronti delle autorizzazioni paesistiche rilasciate dalle regioni o dagli enti locali subdelegati - salvaguardia dei beni ambientali - conferenza di servizi - il dissenso (eventualmente) manifestato. Va escluso che il Ministero possa annullare le autorizzazioni paesistiche rilasciate dalle regioni o dagli enti locali subdelegati sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle operate a monte, si prende posizione anche sulla partecipazione delle sovrintendenze alle conferenze dei servizi, nel quadro di una serie di argomentazioni volte a dichiarare manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate dal Ministero nel corso del giudizio nei confronti di una interpretazione "riduttiva" dell’art. 82, comma 9 DPR n. 616/77, come tale capace, a causa della sostanziale prevalenza delle valutazioni dell’autorità delegata, di indebolire la salvaguardia dei beni ambientali. (Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria sentenza n. 9 del 14 dicembre 2001). In particolare, premesso che l’equilibrio dei poteri disposto dall’art. 82 comma nove non appare irrazionale anche se confrontato con le diverse e sopravvenute soluzioni istituzionali previste quando le valutazioni vanno effettuate in sede di conferenza di servizi, osserva l’ A.P.:

- che il combinato disposto degli artt. 14 ss L. n. 241/90, nel testo modificato dalla L. n. 340/200, e dell’art. 20 comma 6 del testo unico in materia di edilizia 6 giugno 2001 n. 380 (procedura per il rilascio del permesso di costruire) che prevede una conferenza di servizi e rimanda agli artt. 14 bis, ter e quater della citata L. n. 241/90, dà vita a una normativa la quale, mirando a semplificare l’azione amministrativa, ha previsto un istituto (volto alla contestuale valutazione di un progetto o di una domanda di permesso di costruire da parte di più amministrazioni) che può concludersi con un "provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole", che "sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare alla conferenza" (art. 14 ter comma 9);

- che il richiamo ad ogni "atto di assenso comunque denominato" si riferisce anche ai casi di modifica di un bene sottoposto a vincolo paesistico e al potere autorizzativo regionale ed a quello statale di riesame dell’autorizzazione, che possono manifestarsi con il consenso o con il dissenso;

- che rispetto al potere esercitabile prima della conclusione del procedimento ai sensi del nono comma dell’art. 82 del DPR n. 616/77 e dell’art. 151 T.U. n. 490/99, nell’ambito della conferenza di servizi il Ministero è titolare del più ampio potere di veto, che può basarsi su valutazioni di salvaguardia diverse e opposte da quelle formulate dalla Regione o dall’ente titolare del potere di rilasciare l’autorizzazione;

- che peraltro il dissenso (eventualmente) manifestato in sede di conferenza dal Ministero non si sovrappone ex se e definitivamente alle valutazioni difformi dell’autorità competente al rilascio della autorizzazione paesistica, poiché in tal caso si attiva l’ulteriore competenza del Consiglio dei Ministri, la cui motivata determinazione finale comporta la conclusione del procedimento, in sede di alta amministrazione (art. 14 quater comma 3). La Sezione non vede ragione di discostarsi, risultano configurati con chiarezza i poteri che il Ministero, e per esso le sovrintendenze, può esercitare nell’ambito delle conferenze di servizi nelle quali, tra gli altri, viene coinvolto l’interesse pubblico alla tutela paesistico-ambientale. Con la precisazione che, in ogni caso, nella relativa procedura resta assorbito l’esercizio del potere di riesame e di annullamento ex art. 151 T.U. n. 490/99. Infatti, in caso di dissenso, la determinazione finale e conclusiva, a componimento dei contrastanti interessi in gioco, non importa se adesiva o meno al dissenso manifestato, viene assunta dal Consiglio dei Ministri, in sede di alta amministrazione (art. 14 quater comma 3); nel caso invece che il Ministero o la sovrintendenza esprimano il loro assenso al progetto, opera il meccanismo già visto in base al quale il provvedimento finale sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato (art. 14 ter comma 9). In altre parole, la procedura della conferenza di servizi si pone come alternativa a quella di cui all’art. 151 T.U. n. 490/99. Consiglio di Stato Adunanza della Sezione II, 6 febbraio 2002, n. 2457. (Vedi: sentenza per esteso)

 

Tutela paesistica dei fiumi e dei torrenti - elenchi acque pubbliche - definizione di torrenti e fiumi - D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - tutela degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna - il testo unico delle acque pubbliche - art. 822 cod. civ. - beni demaniali - acque fluenti - fiumi e torrenti il vincolo paesistico è imposto ex lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi. Da una interpretazione letterale, logica e sistematica, si evince che i fiumi e i torrenti sono soggetti a tutela paesistica di per sé stessi, e a prescindere dalla iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. Solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche ha efficacia costitutiva del vincolo paesaggistico. Sul piano letterale, l’art. 82, comma 5, lett. c), D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, introdotto dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312, conv. nella L. 8 agosto 1985, n. 431, assoggetta a tutela <<i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>. La previsione è stata riprodotta, con formulazione identica, nell’art. 146, comma 1, lett. c), D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali, a norma del quale sono soggetti a tutela: <<i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>. La collocazione delle virgole e delle congiunzioni tra le parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>> non è di per sé significativa e dirimente, al fine dell’accogliere la tesi che riferisce la iscrizione in elenco ai soli corsi d’acqua ovvero anche ai fiumi e ai torrenti. Occorre piuttosto soffermarsi sul significato delle parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>>, che va desunto dal sistema normativo complessivo, in cui si inserisce la previsione in commento, e dal significato letterale delle parole utilizzate. Sul piano strettamente letterale, il dato comune a fiumi, torrenti e corsi d’acqua, è di essere acque <<fluenti>>. Si può anche aggiungere che a rigore i <<corsi d’acqua>> sono un  genere, in cui si collocano, quali specie, i fiumi e i torrenti. Dal significato proprio delle parole nella lingua italiana, si apprende,  infatti, che: il <<corso d’acqua>> indica semplicemente <<lo scorrere delle acque in movimento>>, ed è il <<nome generico di fiumi, torrenti, etc..>>; il <<fiume>> è un <<corso d’acqua a corrente perenne>>; mentre il <<torrente>> è un <<corso d’acqua caratterizzato da notevoli variazioni di regime, con periodi in cui scorre gonfio e impetuoso ed altri in cui è quasi completamente secco>>. In tale logica, solo per le acque fluenti di minori dimensioni e importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, al fine della loro rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. Ulteriori argomenti esegetici a sostegno di tale tesi si colgono sul piano della interpretazione sistematica. Il testo unico delle acque pubbliche, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, all’art. 1 stabilisce che <<Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse. Le acque pubbliche sono iscritte, a cura del ministero dei lavori pubblici, distintamente per province, in elenchi da approvarsi per decreto reale, su proposta del ministro dei lavori pubblici, sentito il consiglio superiore dei lavori pubblici, previa la procedura da esperirsi nei modi indicati dal regolamento>>. Da tale norma si evince che la pubblicità di un’acqua discende dal requisito sostanziale di avere attitudine ad uso di pubblico interesse generale, mentre la iscrizione in elenco ha una portata solo dichiarativa e ricognitiva, ma non costitutiva della pubblicità. Anche l’art. 822 cod. civ. nell’individuare il demanio pubblico, considera beni demaniali <<i fiumi, i torrenti e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia>>. Da tale disamina si evince che fiumi e torrenti sono considerati beni pubblici demaniali di per sé, senza necessità alcuna di inserzione costitutiva in elenchi.  Le altre acque fluenti, che hanno minore importanza e che sono una categoria residuale, sono pubbliche se abbiano attitudine ad uso pubblico di interesse generale. In nessun caso la inserzione in elenco ha portata costitutiva della pubblicità dell’acqua, ma solo ricognitiva della attitudine dell’acqua all’uso pubblico di interesse generale. Se dunque, dal sistema normativo è dato evincere che la iscrizione di un bene in un elenco di beni pubblici non ha portata costitutiva della natura giuridica del bene medesimo, siffatta regola non può non essere stata seguita dal legislatore anche nella individuazione dei beni soggetti a vincolo paesistico. Significativo è poi l’uso, da parte della L. n. 431 del 1985, della stessa terminologia impiegata nell’art. 822 cod. civ.: in entrambe le norme si parla di fiumi e torrenti, rispetto ai quali si collocano le altre acque, per le quali si richiede, ai fini della individuazione, la iscrizione in elenco. Sicché, per fiumi e torrenti la pubblicità degli stessi esiste di per sé, in base all’art. 822 cod. civ., e conseguentemente anche il vincolo paesistico è imposto ex lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi.  Consiglio Stato Sez. VI, 04 febbraio 2002, n. 657.  (vedi: sentenza per esteso)

Danni cagionati ad allevamento ittico dalla fauna che gode di protezione all’interno del Parco - il risarcimento è dovuto. L’art. 15 della L. 394/91 prevede che “l’Ente Parco è tenuto ad indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco”, mentre l’art. 13, c. 4, della L.R. 8/91 prevede che - in caso di eccessive concentrazioni di fauna selvatica dannosa (tra l’altro), per la piscicoltura, l’Ente Parco cura gli interventi di riequilibrio naturalistico, mediante cattura selettiva. Tali norme anche se non hanno ricevuto idoneo svolgimento con disposizioni regolamentari ed applicative, attribuiscono tuttavia poteri discrezionali all’Ente Parco per realizzare le relative finalità. E’ perciò evidente che precise norme di legge impongono interventi indennitari e/o preventivi all’Ente Parco, che potrà discrezionalmente provvedere a limitare o eliminare i danni con altri mezzi preventivi, specificamente diretti al singolo allevamento, come quello dei ricorrenti, che vantano dunque un’evidente posizione differenziata e qualificata, legittimante l’azione proposta. Non altrettanto si può dire per la Provincia, che non ha un obbligo di provvedere sulla concreta situazione. Tar Veneto, Sez. II, Sentenza del 04.02.2002, n. 348.

Legittimità costituzionale - art. 34 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 - invariate ex legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  le competenze tra lo Stato, le regioni e gli enti locali in materia di istituzione e gestione di parchi e riserve di interesse nazionale. E’ legittimo l’art. 34 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), in relazione agli artt. 5 e 128 della Costituzione. (Il  giudizio di legittimità era stato sollevato dal T.A.R. della Sardegna; la questione verteva sulla richiesta di numerosi Comuni finalizzata all’annullamento del D.P.R. 30 marzo 1998 (Istituzione dell’Ente parco nazionale del golfo di Orosei e del Gennargentu), delle intese di programma tra il Ministero dell’ambiente e la Regione Sardegna stipulate il 29 dicembre 1995 e il 19 febbraio 1998 e delle determinazioni assunte dal Comitato istituzionale di coordinamento per il Parco del golfo di Orosei e del Gennargentu, per presunta incostituzionalità dell’art. 34 della legge n. 394 del 1991 nella parte in cui, ai fini dell’istituzione del Parco nazionale del golfo di Orosei e del Gennargentu, prevede la stipula di intese tra lo Stato e la Regione, limitando il coinvolgimento dei comuni interessati all’espressione di un parere non vincolante, relativo soltanto alle misure di salvaguardia e non anche alla delimitazione territoriale del Parco, in relazione alla sfera di autonomia assegnata ai comuni dagli artt. 5 e 128 della Costituzione. La Suprema Corte  ha accolto le memorie difensive depositate dall’Avvocatura dello Stato, affermando inoltre che l’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), non ha modificato il riparto delle competenze tra lo Stato, le regioni e gli enti locali in materia di istituzione e gestione di parchi e riserve di interesse nazionale). Corte Costituzionale Ordinanza del 30 gennaio 2002 n. 9. (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - inapplicabilità dell’art. 60 L. 689/1981 - esclusione dei reati ambientali dalla depenalizzazione e dalla applicabilità delle pene sostitutive. L’art. 60 L. 689/1981 stabilisce la non applicabilità delle sanzioni sostitutive alle “leggi in materia edilizia ed ambientale” senza richiamare le disposizioni che determinano la esclusione dal beneficio; tale formulazione del testo normativo ha creato difficoltà di interpretazione per le disposizioni che regolano la materia entrate in vigore dopo il 1981. Nel caso concreto, è pacifica la non sostituibilità della sanzione detentiva per il reato ex L. 47/1985, che riguarda la materia edilizia, mentre un problema può sorgere per il residuo illecito ambientale. Sul punto, si deve ritenere, in base ai criteri sistematici e storici dell’ermeneutica, che il Legislatore del 1981, quando ha menzionato i reati previsti dalle norme in materia edilizia ed urbanistica, per escluderli dalla depenalizzazione e dalla applicabilità delle pene sostitutive, si è riferito alla disciplina all’epoca vigente ed, in particolare, il D.P.R. 616/1977. Tale testo ha adottato una nozione ampia di materia urbanistica coincidente con l’assetto complessivo del territorio; al riguardo è decisivo il tenore dell’art. 80 secondo il quale “le funzioni amministrative relative alla materia urbanistica concernono la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. È chiaro, pertanto, che il Legislatore del 1977 e, di conseguenza, quello del 1981, ha ricompreso nella materia urbanistica tutta la salvaguardia del territorio e la protezione dell’ambiente anche se il Legislatore successivo ha differenziato la disciplina urbanistica in senso stretto da quella ambientale. Pertanto si deve ritenere che il reato previsto dall’art. 30 L. 394/1991, rientrando nella materia urbanistica così come intesa dal Legislatore del 1981, sia annoverabile tra quelli per i quali è inibita la sostituzione della pena detentiva. Cass. pen., sez. III, 3 agosto 2001, n. 30375.

I pareri ex art. 32 legge n. 47/85 - motivazione sanatoria  delle opere edilizie realizzate abusivamente in zone protette - controllo: dell'autorità locale e del Soprintendente - potere di annullamento - limiti del riesame. Premesso che i pareri ex art. 32 della legge n. 47/85, per la sanatoria di opere edilizie realizzate abusivamente in zone protette, "devono essere ancora più adeguatamente motivati in ordine all'effettiva compatibilità delle stesse opere con gli specifici valori paesaggistici dei luoghi". Ne consegue che l'autorizzazione comunale deve essere necessariamente motivata ed il controllo di legittimità dell'autorità statale si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione (Cons. St., VI, 28.1.2000 n. 424; Idem, 3.2.2000 n. 630; Idem, 8.3.2000 n. 1162). Si palesa legittimo, sotto il profilo in esame, il provvedimento con cui il Soprintendente, cui compete il controllo in ordine alla corretta gestione del vincolo da parte dell'autorità locale, censura per carenza di motivazione la determinazione recante il parere favorevole al rilascio della concessione in sanatoria per le opere abusivamente realizzate. Il potere di annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico non deve risolversi in un riesame complessivo delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dalla Regione, con una conseguente sovrapposizione o sostituzione di una nuova ed opposta valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità il quale, però, si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere (Cons. St., ult. cit; Idem, 8.3.2000 n. 1162). T.A.R. Toscana, sez. III, 11 luglio 2001 n. 1197.  (vedi: sentenza per esteso)

 Annullamento ministeriale - decorrenza del termine per l’emanazione del provvedimento. Né sussiste la violazione dell’articolo 82 del D.P.R. n. 616/77 per emanazione tardiva del provvedimento di annullamento. Il termine in questione per l’emanazione del provvedimento (non recettizio), decorre dalla data di ricevimento, da parte dell’Amministrazione competente, del provvedimento autorizzatorio completo dell’intera documentazione, salva la possibilità di disporre integrazioni istruttorie che interrompono il predetto termine perentorio (cfr ex multis CdS, sez. V, 3/2/2000, n. 678; CdS, sez. VI, 28/1/2000, n. 403; CdS, sez. VI, 10/11/2000, n. 6045) nel medesimo termine di sessanta giorni (CdS, sez. VI, 28/12/2000, n. 7044). Tar Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, sent. del 24 maggio 2001 n. 262  (vedi: sentenza per esteso)  

Nulla osta paesistici - il termine di 60 giorni - decorrenza - richiesta d’integrazione d’istruttoria - annullamento da parte del Ministero per i beni culturali ed ambientali - pareri paesistici e necessità di specifica motivazione. I nulla osta paesistici devono essere inoltrati direttamente all’amministrazione centrale. E il termine di sessanta giorni per l’annullamento ministeriale decorre, pertanto, da quando gli atti arrivano all’amministrazione centrale, atteso che competente a provvedere è il Ministro. Il termine di sessanta giorni inizia a decorrere solo da quando la ocumentazione perviene, completa, all’organo competente a decidere (C. Stato, sez.IV, 4 dicembre 1998, n.1734; sez.VI, n.1096/2000 cit.), essendo inidonea a far iniziare la decorrenza del termine la presentazione di documentazione incompleta, e dunque tale da non consentire il corretto esercizio del potere di controllo attribuito all’amministrazione per i beni culturali e ambientali in materia paesistica (C. Stato, sez.VI, 14 febbraio 1996, n.209). Essendo necessario, ai fini del corretto esercizio del potere di controllo attribuito all’amministrazione, che a questa pervenga una documentazione completa, deve coerentemente ammettersi, senza che a nulla rilevi una specifica previsione di legge, che possano essere chieste le necessarie integrazioni istruttorie (C. Stato, sez.VI, 14 febbraio 1996, n.209). La Consulta ha ritenuto costituzionalmente legittimo l’art.82, co. 9, D.P.R. n.616 del 1977, nella parte in cui non prevede alcun preciso e univoco referente temporale per la decorrenza del termine di sessanta giorni entro cui il Ministero può annullare il nulla osta paesistico regionale (C. Cost., 4 giugno 1997, n.170). Quest’ultima pronuncia ha anche osservato che in caso di inerzia amministrativa l’interessato può tutelare la propria situazione soggettiva attivando anche le misure per un sollecito inoltro della pratica e comunque può rivolgersi direttamente al Ministero per i beni culturali e ambientali; inoltre le regole procedimentali sul responsabile del procedimento e sui diritti di partecipazione e di accesso assicurano il rispetto del buon andamento. Deve aggiungersi che presupponendo il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento che la pratica sia pervenuta completa di tutta la documentazione, se tale completezza documentale non sussiste (nella specie mancava nella documentazione anche il parere al quale rinviava l’autorizzazione paesistica, all’evidenza necessario nell’ottica della verifica di legittimità), deve ritenersi possibile la richiesta di integrazione istruttoria nel medesimo termine di sessanta giorni. Neppure può sostenersi che i pareri paesistici, in quanto atti autorizzatorii ampliativi, non necessiterebbero di specifica motivazione, in quanto, trattandosi di atti che incidono sull’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ambiente, devono essere specificamente e congruamente motivati. Consiglio di Stato, sez. VI, 28 dicembre 2000, n. 7044.

Soluzione del conflitto in materia di paesaggio e di rapporti tra Stato e Regione - regime giuridico dei provvedimenti autorizzativi - il potere di eventuale annullamento dell’autorizzazione concessa dalla regione - il principio di leale cooperazione tra Stato e Regione. Ai fini della soluzione del conflitto occorre richiamare i seguenti principi in materia di paesaggio e di rapporti tra Stato e Regione: a) il regime giuridico dei provvedimenti autorizzativi regionali in materia paesistica è definito esaustivamente dall’art. 1 del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modifiche, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, il quale pone - a carico di tutte le Regioni, anche di quelle ad autonomia speciale - l’obbligo di comunicazione di tali provvedimenti - insieme alla relativa documentazione - al Ministero per i beni culturali ed ambientali, proprio ai fini dell’esercizio dei poteri di controllo e di estrema difesa del vincolo paesistico (sentenze n. 341 del 1996; n. 151 del 1986); b) tali poteri statali di cui alla legge n. 431 del 1985 (che comprendono anche il potere di eventuale annullamento dell’autorizzazione concessa dalla regione), proprio per il fatto di essere posti ad estrema difesa dei vincoli paesaggistici, costituiscono parte di una disciplina qualificabile, per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9 della Costituzione), come norme fondamentali di riforma economico-sociale, in conformità, del resto, alla esplicita ed, in questo caso, pertinente autoqualificazione contenuta nell’art. 2 della stessa legge (sentenze n. 341 del 1996; n. 151 del 1986); c) la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali è affidata ad un sistema di intervento pubblico basato su competenze statali e regionali che concorrono o si intersecano, in una attuazione legislativa che impone il contemperamento dei rispettivi interessi, con l’osservanza in ogni caso del principio di equilibrata concorrenza e cooperazione tra le due competenze, in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio (v. sentenze n. 157 del 1998; n. 170 del 1997); d) non sussiste una incompatibilità tra la leale collaborazione tra Stato e Regione, da attuarsi concretamente attraverso la semplice informazione alla regione dell’avvio del procedimento di annullamento, e la previsione normativa del termine perentorio di sessanta giorni per l’esercizio di detto potere di annullamento, in quanto la semplice informativa alla regione può essere data con qualsiasi mezzo di comunicazione ed in maniera sintetica, senza la necessità di contestazione o di acquisizione del previo parere regionale. Corte Costituzionale Sentenza 25 ottobre 2000 n. 437. (vedi: sentenza per esteso)

La semplice comunicazione - termini perentori per l’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione da parte dello Stato - l’esercizio del potere di annullamento statale delle autorizzazioni paesistiche. Non può ritenersi - come invece sostiene la difesa dello Stato - irrilevante, ai fini del procedimento (in corso) di annullamento, la comunicazione alla Regione Valle d’Aosta, in quanto anche essa è titolare (sia pure come espressione di concorrenza di poteri, secondo un modello ispirato alla leale cooperazione: sentenza n. 151 del 1986; v. anche sentenza n. 242 del 1997) della funzione di tutela del paesaggio, rientrante anche nella sfera degli interessi regionali per previsione statutaria e quindi esercitabile anche autonomamente secondo le previsioni di legge. La semplice comunicazione, infatti, può consentire alla Regione (così come tale possibilità non può essere esclusa per il soggetto titolare della autorizzazione) di fornire - se crede opportuno - eventuali ulteriori elementi, documenti o delucidazioni, tenuto conto dei termini perentori per l’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione da parte dello Stato e, a sua volta, di informare il soggetto titolare della stessa autorizzazione (rilasciata dalla medesima Regione, con conseguenti eventuali responsabilità) dei rischi di iniziare o proseguire i lavori oggetto di autorizzazione regionale, efficace ed operante pure in pendenza del termine per l’annullamento. Infine deve essere sottolineato che l’anzidetto esercizio del potere di annullamento statale delle autorizzazioni paesistiche come espressione di sistema di concorrenza di poteri, realizzato non attraverso un atto complesso o una intesa, costituisce sempre una fase di secondo grado (rispetto ad una autorizzazione regionale perfetta ed efficace), nella quale vi è possibilità di introdurre - d’ufficio o su iniziativa dei soggetti portatori di interessi qualificati - documentazione ed elementi di fatto ulteriori rispetto all’istruttoria regionale. Questa speciale fase di secondo grado si caratterizza per l’autorità (statale) diversa da quella di primo grado (regionale), con un diverso responsabile del procedimento (argomentando anche da d.m. 13 giugno 1994, n. 495, art. 9 e tabella A) con poteri anche istruttori. Soprattutto la differenziazione si rileva nella discrezionalità propria di tale potere di annullamento statale, il cui esercizio e messa in moto d’ufficio (anche se ha per presupposto necessario, per la decorrenza del termine, la trasmissione di copia della autorizzazione regionale con la relativa documentazione) non è mai assolutamente dovuto o vincolato, ma è sempre eventuale e collegato alla valutazione discrezionale di esigenze "di estrema difesa del vincolo paesistico". Corte Costituzionale Sentenza 25 ottobre 2000 n. 437. (vedi: sentenza per esteso)

Introduzione nelle aree protette, da parte di privati non autorizzati, di armi. Il reato previsto dal combinato disposto degli artt. 11, comma 3, lett. f), e 30, comma 2, della legge 6 dicembre 1991 n.394, (introduzione nei parchi nazionali, da parte di privati non autorizzati, di armi), è configurabile anche a carico di un soggetto il quale rivesta la qualifica di guardia particolare giurata addetta alla vigilanza venatoria ed attraversi il territorio del parco recando con sè l’arma di cui, in forza di detta qualifica, gli è consentito il porto; ciò in quanto la generica autorizzazione a portare armi equivale a quella specifica che deve ritenersi richiesta per l’introduzione di armi nell’area protetta, la cui vigilanza, d’altra parte, è affidata in via esclusiva agli agenti del corpo forestale dello Stato. Cass. pen., sez. I, 22 maggio 2000, n. 5977.

Istituzione di nuovi parchi e riserve naturali interregionali - competenza - Comitato per le aree naturali protette - parere della Regione - competenza eccezionale del Consiglio dei Ministri. In materia di istituzione di nuovi parchi e riserve naturali interregionali, l'individuazione delle relative aree spetta, ai sensi degli artt. 4 e 8, legge 6 dicembre 1991, n. 394, al Comitato per le aree naturali protette, previo parere della Regione, ad eccezione dell'ipotesi del mancato raggiungimento della maggioranza all'interno del suddetto Comitato, nel qual caso il potere spetta al Consiglio dei Ministri. Consiglio di Stato, sez. VI, 21 gennaio 2000, n. 306

Tutela della vegetazione dei parchi regionali, l'autorizzazione al del taglio bosco. A norma dell'art. 6 l. reg. Lombardia 27 gennaio 1977 n. 9, sulla tutela della vegetazione dei parchi regionali, l'autorizzazione al del taglio bosco è consentita eccezionalmente in considerazione degli interessi ambientali del parco. Consiglio Stato, sez. VI, 3 novembre 1998, n. 1509.

CONCESSIONE, AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA, NULLA OSTA sono tre distinti provvedimenti autonomi necessari per realizzare opere in aree protette. Per la realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette (parchi nazionali, regionali e riserve naturali) occorrono tre distinti autonomi provvedimenti: la concessione edilizia, l'autorizzazione paesaggistica e, ove necessario, il nulla osta dell'Ente parco. Questi ultimi due atti amministrativi possono essere attribuiti da l.reg. anche ad un organo unico, chiamato a compiere la duplice valutazione. Essi, pero', mantengono la loro autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio. Ne deriva che in tali casi sono applicabili sia il d.l. 27 giugno 1985, n. 312, conv. con modificazioni con l. 8 agosto 1985, n. 431, sia la l. 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), in quanto le due discipline concorrono. Cassazione penale sez. III, 13 ottobre 1998, n. 12917

Vincolo paesaggistico - inefficacia della concessione in mancanza di nulla osta. Nell'ipotesi di realizzazione di una costruzione in zona soggetta a vincolo paesaggistico, la relativa autorizzazione si inserisce nel procedimento di rilascio della concessione e ne condiziona l'emanazione, assumendo il ruolo di presupposto. Ne consegue che la concessione è priva di efficacia, qualora il sindaco l'abbia rilasciata in assenza del provvedimento abilitativo (c.d. nulla osta) dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. L'interesse protetto è non soltanto quello formale della realizzazione della costruzione nel rispetto della concessione, ma anche quello della tutela sostanziale del territorio, il cui sviluppo deve avvenire in conformità alle previsioni urbanistiche. La concessione, costituendo un elemento normativo delle fattispecie tipiche di cui all'art. 20 l. 28 febbraio 1985, n. 47, va sottoposta a verifica di legalità da parte dell'autorità giudiziaria, la quale deve accertare che il provvedimento sia conforme al modello legale previsto, anche con riferimento all'osservanza della normativa vigente in materia. Cassazione penale sez. III, 4 maggio 1998, n. 6671.

ATTIVITA' AGRO-SILVO-PASTORALE: In tema di tutela dell`ambiente, l`art. 1, comma 8, della legge n. 431/1985 prevede che per l`attività agro-silvo-pastorale non occorre l`autorizzazione, quando non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi per costruzioni od altre opere civili. Tale alterazione acquista il carattere di permanenza qualora essa sia di tale durata, da comportare per un lungo periodo di tempo l`impossibilità di una ricostituzione del patrimonio naturale. Né è indispensabile che il mutamento derivi da strutture edilizie, essendo sufficiente qualsiasi opera civile, intendendosi per tale anche l`aratura o l`estirpazione di piante o vegetazione.  Cass. pen., sez. III, 18 giugno 1997, n. 5961 (ud. 3 giugno 1997). 

SALVAGUARDIA:  Dal quadro normativo di riferimento, si desume che l'art. 3 delle misure di salvaguardia (allegato al d.P.R. 15 novembre 1993) prevede, per tutto il territorio del parco nazionale del Pollino, un doppio e concorrente meccanismo di divieto sicche' sono vietate non solo tutte le attivita' nominate (in quanto il loro oggetto e' intrinsecamente dannoso), ma anche tutte quelle innominate che possono avere effetti di danneggiamento e/o di disturbo della flora e della fauna; peraltro, il carattere provvisorio della normativa introdotta dalle misure di salvaguardia (destinata a rimanere in vigore fino all'approvazione del regolamento del Parco), ne impone un'esegesi esattamente aderente al dato testuale. T.A.R. Basilicata 13 maggio 1998, n. 144.

DINIEGO DI NULLAOSTA DI RILIEVI GEOFISICI: E' legittimo il diniego di nullaosta all'esecuzione di rilievi geofisici sul territorio del Parco nazionale del Pollino, che sia motivato con riferimento ai divieti di attività comportanti danneggiamento e disturbo della fauna selvatica e danneggiamento della flora selvatica, imposti dalla misura di salvaguardia contenuta nell' all. A) al d.P.R. 15 novembre 1993, di istituzione del parco stesso.  T.A.R. Basilicata 13 maggio 1998, n. 144.

PARCHI E TAGLIO DI BOSCO: A norma dell'art. 6 l. reg. Lombardia 7 gennaio 1977 n. 9, sulla tutela della vegetazione dei parchi regionali, l'autorizzazione al taglio del bosco e' consentita eccezionalmente in considerazione degli interessi ambientali del parco. Consiglio Stato sez. VI, 3 novembre 1998, n. 1509. 

Vincolo paesaggistico - vincoli nelle zone di riserva naturale - limitazioni a carattere espropriativo - l'indennizzabilità - vincoli conformativi - la legislazione comunitaria - la riduzione a coltura nei terreni boschivi, i movimenti di terreno e gli scavi suscettibili di alterare l'ambiente, la raccolta, l'esportazione, il danneggiamento della flora spontanea, fatti salvi gli interventi relativi all'attività agricola, nè quelli diretti a tagliare a raso, bruciare, estirpare. È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 9 l. reg. Veneto n. 8 del 1991, sollevata sotto il profilo che tale norma, inserita in una legge che ha istituito il parco naturale del fiume Sile, nel prevedere, fino all'entrata in vigore del piano ambientale, e comunque per un periodo non eccedente i tre anni, una serie di vincoli nelle zone di riserva naturale (non consentendo, tra l'altro, la riduzione a coltura nei terreni boschivi, i movimenti di terreno e gli scavi suscettibili di alterare l'ambiente, la raccolta, l'esportazione, il danneggiamento della flora spontanea, fatti salvi gli interventi relativi all'attività agricola, nè quelli diretti a tagliare a raso, bruciare, estirpare), determinerebbe limitazioni a carattere espropriativo di diritti dominicali senza determinare, in contrasto con la legislazione comunitaria, strumenti compensativi di tali vincoli, tra l'altro, irragionevoli in rapporto alla funzione sociale perseguita, che è quella di tutela del patrimonio naturale. Trattasi cioè di vincoli conformativi che definiscono il vincolo paesaggistico come accertamento di una peculiare conformazione della proprietà e che si estende ai parchi naturali, per i quali la Corte costituzionale ha sempre negato l'indennizzabilità, con riferimenti ai vincoli relativi al divieto di rimboschimento e di coltura, oltreché di edificabilità, più volte sottolineando che "i beni naturali per la loro ubicazione in sede di complessi autorizzati ai fini di utilità sociale, costituiscono categoria ab origine di interesse pubblico generale, essendo connaturata ad essa quella destinazione di elevato valore paesaggistico che li contraddistingue quale mezzo di realizzazione del corrispondente interesse pubblico." Conseguendo da ciò "l'esigenza intrinseca di assicurare la conservazione a siffatti fini delle preesistenti qualità essenziali, assorbenti o, quanto meno, prevalenti rispetto al godimento dei singoli"; secondo un regime al quale rimane del tutto estranea la materia della espropriazione, non contenendo tali disposizioni limiti di effetto ablativo (cfr. corte cost. sentenze 20 maggio 1968, n. 56; 26 aprile 1971, n. 79; 16 giugno 1988 n. 648; 11 luglio 1989, n. 391; 3 ottobre 1990, n. 430). Nè assume rilievo il richiamo ai regolamenti Cee n. 797 del 1985 e n. 2328 del 1991 e alla direttiva Cee n. 268 del 1975, in quanto, da un lato, nessuna delle disposizioni invocate vieta l'imposizione di vincoli paesaggistici o ne subordina l'attuazione al previo indennizzo a favore della parte interessata; dall'altro, esse rispondono ad una diversa "ratio" e finalità. Cassazione civile, sez. I, 21 settembre 1998, n. 9433 

Un territorio coperto da bosco è sottoposto a vincolo "ex lege" - in mancanza della prescritta autorizzazione regionale s'integra il reato di cui all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985. Il sistema di tutela ambientale delineato dalla l. n. 431 del 1985 prevede, per determinate categorie di beni, l'imposizione di un vincolo "ex lege". Pertanto, il piano paesistico regionale non è in grado di costituire o escludere il vincolo ambientale, perché questo deriva direttamente dalla legge. Un territorio coperto da bosco è da ritenere sottoposto a vincolo, ancorché non incluso tra i boschi dal bosco paesistico regionale. L'intervento in tali zone senza la prescritta autorizzazione regionale integra pertanto il reato di cui all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985. L'esistenza del vincolo deve essere esclusa se il bosco risulta incluso come area edificabile nel piano triennale di attuazione del piano regolatore generale vigente prima dell'entrata in vigore della c.d. legge Galasso. Cassazione penale, sez. III, 6 dicembre 1995, n. 4319.