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1974-9562
TAR VENETO, Sez. II – 12 gennaio 2010, n. 53
DIRITTO DELLE ACQUE - 
Provvedimenti amministrativi aventi ad oggetto solo indirettamente l’acqua - 
Giurisdizione del TAR - Fattispecie: autorizzazione all’esercizio di 
acquacoltura. L’impugnazione di provvedimenti amministrativi che solo 
indirettamente hanno a che fare con l’acqua, rientra pacificamente nella 
giurisdizione del giudice amministrativo (fattispecie relativa 
all’autorizzazione all’esercizio di acquacoltura, che soltanto si esercita in un 
bacino imbrifero e non ha, invece, ad oggetto l’acqua in sé). Pres. De Zotti, 
Est. Franco – A. s.r.l. (avv. Grimani) c. Comune di Carmignano di Brenta (avv. 
Testa). TAR VENETO, Sez. II - 12 gennaio 2010, n. 53
 
N. 00053/2010 REG.SEN.
N. 04034/1996 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
I
ll Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 4034 del 1996, proposto da: 
Agroittica Veneta s.r.l., in persona del rappresentate legale in carica Giaretta 
Pio, rappresentata e difesa dall'avv. Pier Vettor Grimani, con domicilio eletto 
presso lo studio di questi, in Venezia, S. Croce, 466/G, come da procura a.l. a 
margine del ricorso, 
contro
Comune di Carmignano di Brenta (PD) in persona del sindaco pro-tempore, 
rappresentato e difeso dall'avv. Mario Testa, con domicilio eletto presso l’avv. 
Franco Zambelli in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22 come da deliberazione di 
autorizzazione a resistere della G.M. n. 457 del 24.12.96 e procura a.l. a 
margine della memoria di costituzione,; 
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 9116 dell’1.10.96, con il quale il sindaco di 
Carmignano di Brenta ha inflitto la sanzione pecuniaria di £. 469.349.100 ai 
sensi dell’art. 15 della legge 29.06.39 n. 1497.
Visto il ricorso, notificato il 28.11.96, e depositato preso la segreteria del 
TAR entro il termine di legge, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Carmignano di Brenta, 
depositato il 19.06.97;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2009 il dott. Italo Franco 
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La richiesta (del 20.02.90) di Agroittica s.r.l. di autorizzazione per la 
sistemazione ambientale di un’area in comune di Carmignano di Brenta – bacino 
boschi di Camazzola, al fine di esercitarvi l’acquacoltura, ai sensi dell’art. 7 
della l. 29.06.39 n. 1497, dopo l’ottenimento dell’autorizzazione da parte del 
Magistrato alle acque (con atto del 4.05.90), veniva accolta, limitatamente a un 
primo stralcio, su conforme parere della commissione consultiva ambientale. Non 
veniva, invece dato favorevole riscontro all’istanza di autorizzazione relativa 
ad altri stralci, nonostante –si dice- la produzione di cospicua documentazione 
attestante l’opportunità dell’intervento. Dopo la notifica di una diffida, 
l’autorizzazione veniva negata, con provvedimento del 26.01.95 su conforme 
parere della commissione menzionata, per rischio di grave danno all’ambiente, 
per la modifica della falda freatica e del regime idraulico dell’area di 
intervento. Tale diniego veniva annullato con sentenza di questo TAR n. 1628/96.
Ciononostante il comune, dopo avere accertato che il fronte di scavo 
oltrepassava di 60 metri il limite dello stralcio autorizzato e che il materiale 
estratto ammontava a mc. 93.869,829, irrogava –sulla scorta della stima 
effettuata dall’UTC, ai sensi dell’art. 15 della l. n. 1497/39, - la sanzione 
pecuniaria di £. 469.349.100 pari alla maggior somma tra il danno ambientale 
arrecato e il ricavo realizzato.
Contro siffatta determinazione insorge ora la società interessata con il ricorso 
in epigrafe, deducendo sei ordini di censure, a partire (primo motivo) dalla 
violazione della norma che impone la comunicazione dell’avvio del procedimento. 
Quindi (secondo motivo) si sostiene che sull’area di escavo non insiste alcun 
vincolo, nemmeno quello contemplato nella legge Galasso.
Si lamenta, altresì, con il terzo motivo, difetto di istruttoria, per l’omessa 
verifica che lo scavo possa essere stato effettuato da altri. Si aggiunge 
(quarto mezzo) che l’illegittimità del diniego –accertata da TAR VE n. 1628/96- 
comporta l’illegittimità della sanzione ex art. 15. Ancora, con il quinto mezzo 
di impugnazione, si osserva che, nello stesso provvedimento impugnato (e ancora 
prima, nella sentenza richiamata) si afferma non esservi danno ambientale, per 
l’invisibilità dell’approfondimento dello scavo, e che l’indennità ex art. 15 
presuppone il danno all’ambiente.
Infine, con il sesto motivo si lamenta che la perizia di stima andava comunicata 
all’interessato, e che solo in caso di adesione alla stessa o di istanza di 
revisione potesse irrogarsi la sanzione, e che non sono stati indicati i 
parametri utilizzati per il calcolo.
Si è costituito il comune, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione 
in favore del TSAP, e quindi l’infondatezza nel merito, sul rilievo che il 
superamento del limite concernente il primo stralcio è stato accertato dal 
Magistrato alle acque, soggiungendo che la ricorrente già sapeva che era 
iniziato il procedimento, come dimostra la comunicazione della Provincia (doc. 9 
di parte ricorrente), e che sull’area insiste il vincolo di cui alla “legge 
Galasso” (150 m. dalla riva del Brenta) e, infine, che la sentenza invocata è 
successiva al provvedimenti qui impugnato.
Con memoria conclusionale parte ricorrente ribadisce i suoi assunti, aggiungendo 
che non c’è stato contraddittorio sulla perizia di stima, e che la sanzione è 
stata calcolata per approssimazione.
All’udienza i difensori comparsi hanno insistito sulle rispettive domande ed 
eccezioni, dopo di che la causa è stata spedita in decisione.
DIRITTO
1- In via preliminare, pochi cenni vanno dedicati all’eccezione di difetto di 
giurisdizione, sollevata dalla difesa della p.a. resistente. Secondo detta 
difesa, la giurisdizione apparterrebbe al Tribunale superiore delle acque 
pubbliche (TSAP), poiché la controversia impinge nella materia relativa, 
appunto, alle acque pubbliche.
L’eccezione non ha pregio. Anche, se, infatti, nel caso di specie vi fosse, a 
monte, una concessione di uso o attingimento dell’acqua da parte dell’autorità 
demaniale competente –ma così non pare, versandosi, piuttosto, in ipotesi di 
autorizzazione all’esercizio di acquacoltura che, dunque, soltanto si esercita 
in un bacino imbrifero e non ha, invece, ad oggetto l’acqua in sé- qui si 
controverte in tema di autorizzazione a fini paesaggistico- ambientali (o, 
semmai, congiuntamente, in materia di scavo di materiale argilloso o ghiaioso 
dal fondo del bacino lacustre), che l’amministrazione provinciale –che a suo 
tempo aveva rilasciato detta autorizzazione- ha accertato essere stata gestita 
oltre il limite territoriale assentito. Più precisamente, anzi, si controverte 
in tema di irrogazione della sanzione (dalla legge chiamata indennità) di cui 
all’art. 15 della (ora abrogata) legge 29.06.39 n. 1497. Né, a tutto concedere, 
si discute di regime idrico di una determinata area.
Insomma, nel caso di specie si versa in ipotesi di impugnazione di provvedimenti 
amministrativi che solo indirettamente hanno a che fare con l’acqua, e che 
rientrano, pertanto, pacificamente nella giurisdizione del giudice 
amministrativo.
2- Nel merito il ricorso non può, tutto considerato, ritenersi fondato.
In particolare, la ricorrente non può dire di non essere stata messa al corrente 
del procedimento di irrogazione dell’indennità di cui si discute. Che la 
ricorrente fosse stata messa a conoscenza dell’inizio del procedimento di 
irrogazione della sanzione sub specie di indennità, di cui all’art. 15 della l. 
n. 1497/39, è attestato dalla nota del 14.06.93 (doc. 9 di parte ricorrente), 
con la quale la Provincia di Padova comunicava al sindaco di Carmignano di 
Brenta e alla ricorrente che “con successivo provvedimento verrà irrogata 
l’indennità determinata ai sensi dell’art. 15 della l. n. 1497/39”. Ma, a parte 
detta comunicazione, anteriore ai provvedimenti qui impugnati, rileva il fatto 
che il Magistrato alle acque – Nucleo operativo di Padova, estendeva alla 
odierna ricorrente la comunicazione dell’accertato “sforamento” del limite 
fisico di scavo che è all’origine del provvedimento di irrogazione della 
sanzione (indennità) di cui è causa (cfr. nota prot. 5832 del 21.11.95).
Non può, pertanto, condividersi la censura di omessa comunicazione di avvio del 
procedimento, mossa con il primo motivo.
3- Quanto all’asserto alla base del secondo mezzo di impugnazione, la p.a. 
resistente ha eccepito, senza essere stata smentita sul punto, che l’impianto è 
situato entro la fascia di 150 m. dalla riva del fiume, e, dunque, è soggetta al 
vincolo di cui alla legge 8.08.85 n. 431 (c.d. legge Galasso). Del resto, con 
quella stessa comunicazione della Provincia del 14.06.93 (poco addietro 
richiamata), si comunicava anche l’avvio del procedimento di assoggettamento a 
detto vincolo.
4- Quanto agli assunti posti a base del terzo motivo, osserva il Collegio che 
non solo lo stesso è formulato in senso generico e dubitativo, ma che dalla nota 
del Magistrato alle acque del 21.11.95 più addietro richiamata, si evince che 
detto organismo ha svolto adeguati accertamenti, dai quali è risultato che lo 
scavo era andato oltre il limite del primo stralcio di 60 metri.
Anche dette censure, pertanto, debbono considerarsi prive di pregio.
5- Le censure svolte con il quarto mezzo si innestano sul dictum della sentenza 
di questa Sezione n. 1628/96 (che la p.a. resistente fa notare essere successiva 
alla data del provvedimento oggetto del presente giudizio), con la quale è stato 
annullato il diniego di autorizzazione ex art. 7 della l. n. 1497/39.
Tuttavia, come appare evidente, la sentenza riguarda il diniego (e le relative 
motivazioni) di ampliamento dello scavo, con estensione ad altri stralci (del 
che si è riferito nella narrativa in fatto che precede). Dunque, si tratta non 
solo di provvedimento diverso, ma anche, di conseguenza, di questione diversa da 
quella alla base del contenzioso che ne occupa. Per tali semplici ragioni, la 
stessa pronuncia giudiziale non rileva ai fini del decidere.
6- Il fatto, poi (e siamo, così, pervenuti ad esaminare il quinto motivo), che 
nello stesso provvedimento qui impugnato si dia atto non esservi un danno 
all’ambiente –poiché, in sostanza, l’approfondimento dello scavo non si 
concretizza in opere o manufatti visibili dall’esterno- non toglie che un danno 
alle falde possa verificarsi ugualmente (sul punto, invero, nel provvedimento ci 
si esprime in termini possibilistici). Comunque sia, ciò che appare rilevante, 
nel dato testuale del menzionato articolo 15, è che, a giudizio dell’autorità 
competente, possa pretendersi dal trasgressore una somma pari a quella maggiore 
tra il danno arrecato (alle “bellezze naturali e panoramiche”) e il profitto 
conseguito mediante la trasgressione.
Ora, che trasgressione vi sia stata –consistente nell’essersi spinta la 
ricorrente oltre il confine dello stralcio autorizzato di 60 metri con 
l’estrazione di mc. 93.869,829- è fuori discussione. Del pari incontestata e 
pacifica appare la realizzazione di un profitto, da correlarsi alla quantità del 
materiale scavato. Dunque, appare legittima l’irrogazione della sanzione 
(indennità) corrispondente al profitto realizzato, dal momento che non si sa con 
certezza se l’attività di escavazione abbia comportato (o comporterà) un danno 
all’ambiente. Ne segue che anche detta censura si manifesta infondata.
7- Quanto, infine al sesto mezzo di impugnazione –con il quale si lamenta la 
mancata instaurazione del contraddittorio sulla perizia di stima, nonché la 
mancata indicazione del parametro di riferimento per il calcolo della somma 
addebitata- se è vero che, effettivamente, è mancato un contraddittorio sul 
punto, è anche vero che, al di là della allegazione di un vizio del 
procedimento, non vengono dalla parte ricorrente additati elementi atti a 
dimostrare l’eccessività della somma, né si indicano possibili (e più 
realistici, nella prospettazione attorea) elementi di calcolo o parametri di 
riferimento.
Pertanto il Collegio ritiene di non potere dare seguito alle deduzioni formulate 
sul punto nel ricorso.
Conclusivamente, per le ragioni su esposte, il ricorso all’esame deve 
considerarsi infondato e va, di conseguenza, rigettato.
Le peculiarità della fattispecie –quali si evincono da quanto sopra esposto- 
giustificano la compensazione integrale fra le parti delle spese e onorari di 
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione II, definitivamente 
pronunciando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni contraria domanda ed 
eccezione, lo rigetta.
Compensa integralmente frale parti le spese e onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2009 con 
l'intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Italo Franco, Consigliere, Estensore
Brunella Bruno, Referendario
L'ESTENSORE                                  
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/01/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
		
		
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