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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 
1974-9562
T.A.R. UMBRIA, sez. I - 1 giugno 2010, n. 353
FAUNA E FLORA - Comune - Prevenzione del randagismo - Canili - L.r. Umbria n. 
19/94 - Gestione diretta o convenzione con associazioni - Utilizzo delle 
strutture privati esistenti - Esternalizzazione ad imprese - Divieto - 
Inconfigurabilità. Ai sensi della L.r. Umbria n. 19/94, per la gestione dei 
canili pubblici, i Comuni possono optare per la gestione diretta, o ricorrere a 
convenzioni con gli enti e le associazioni aventi finalità di protezione degli 
animali, iscritte all'apposito albo regionale. In alternativa, qualora i canili 
pubblici non esistano, e non risulti possibile o conveniente realizzarli ex 
novo, i Comuni “possono stipulare convenzioni per l' utilizzo” delle strutture 
“private esistenti” (articolo 10, comma 3). Questa seconda ipotesi dà luogo ad 
una concessione di servizio pubblico, tale essendo configurabile l’attività in 
questione (il servizio di prevenzione del randagismo rientra nei compiti che 
l’ente locale, ai sensi della disposizione citata, è tenuto ad 
espletare).L’espressione “provvedono, direttamente o mediante la stipula (…) di 
apposite convenzioni con gli Enti e le associazioni” di protezione, non può 
significare il divieto di esternalizzare ad imprese il servizio di ricovero dei 
cani randagi. Una simile interpretazione si porrebbe in sospetto di 
illegittimità per contrasto con i principi di derivazione comunitaria di 
concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi (come, da 
ultimo, recepiti dalla Direttiva 2004/18/CE), nonché ai principi costituzionali 
di non discriminazione (uguaglianza sostanziale), libertà economica e buon 
andamento dell’azione amministrativa, sanciti rispettivamente dagli articoli 3, 
41 e 97, Cost., che postulano un’ottimale ed imparziale gestione delle risorse 
da parte della p.a., che non può escludere a priori lo svolgimento del servizio 
avvenga in forma imprenditoriale. Pres. Lignani, Est. Ungari - D.M.M. (avv. 
Ranalli) c. Comune di Narni (avv. Petullà) - TAR UMBRIA, sez. I - 1 giugno 
2010, n. 353
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00353/2010 REG.SEN.
N. 00341/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 341 del 2009, integrato da motivi 
aggiunti, proposto da:
Ditta Marchegiani Marcello, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Ranalli, 
con domicilio eletto presso Lietta Calzoni in Perugia, via Bonazzi, 9;
contro
Comune di Narni, rappresentato e difeso dall'avv. Francesca Petullà, domiciliato 
presso il T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni, 3;
per l'annullamento
A) con il ricorso introduttivo:
1) della Deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Narni n. 52 de! 
30.03.2009, avente ad oggetto: Definizione della posizione relativa ai cani 
randagi ospitati nel rifugio della Ditta Marchegiani Marcello. Parziale 
attuazione della Delibera di G.M. n. 61/O7”, ricevuta dalla ditta odierna 
ricorrente in data 23 aprile 2009;
2) della Deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Narni n. 102 del 
18.05.2009, avente ad oggetto: “Approvazione protocollo d’intesa con Enpa 
Perugia per lo sviluppo di un modello di
autogestione dei cani randagi” pubblicata all’Albo Pretorio del Comune di Narni 
dal 27 maggio 2009 all’ 11 giugno 2009;
3) di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o comunque connesso;
B) con il primo ricorso per motivi aggiunti:
1) della Deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Narni n. 153 del 29 
giugno 2009, pubblicata all’Albo Pretorio in data 9 luglio 2009, avente ad 
oggetto: “proroga attività di gestione cani randagi alla ditta Marchegiani 
Marcello al 31/12/09” nella parte in cui conferma e fa proprie le determinazioni 
assunte con la D.G.C. n. 52 del 30 marzo 2009 (impugnata dalla ditta Marchegiani 
Marcello con il ricorso indicato in epigrafe n. 341/2009) e viene stabilito di 
intraprendere un nuovo iter amministrativo in lesione dei diritti e degli 
interessi della Ditta Marchegiani,
2) di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o, comunque connesso inclusi, 
per quanto possa occorrere: il Bilancio di previsione 2009 e la relazione 
programmatica 2009/1011 del Comune di Narni, di estremi e contenuto sconosciuti, 
nella parte in cui dovessero confermare e fare proprie le determinazioni assunte 
con la D.G.C. n. 52 del 30 marzo 2009 (impugnata dalla ditta Marchegiani 
Marcello con il ricorso indicato in epigrafe n. 341/2009) e dovesse essere 
stabilito di intraprendere un nuovo iter amministrativo in lesione dei diritti e 
degli interessi della Ditta Marchegiani;
C) con il secondo ricorso per motivi aggiunti:
1) dell’atto del Comune di Narni prot. n. 37041 del 31 dicembre 2009, con cui 
viene comunicata la volontà di prorogare la convenzione n. 2292/2000 in essere 
tra la ricorrente ed il Comune di Narni fino al 31.3.2009 e di confermare la 
deliberazione della Giunta Comunale n. 52 del 2009;
2) di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o comunque connesso inclusi, 
per quanto possa occorrere: a) l’atto prot. n. 36944 del 30.12.2009 del Comune 
di Narni – Area Dipartimentale Lavori Pubblici; b) la proposta di delibera G.M. 
n. 329 del 21.12.2009, allegate all’atto del Comune di Narni prot. n. 37041 del 
31 dicembre 2009; c) la deliberazione della Giunta Comunale, di estremi e 
contenuto sconosciuti, con la quale è stata approvata la “proposta di delibera 
GM n. 329/21.12.2009”;
D) con il terzo ricorso per motivi aggiunti:
1) della deliberazione della Giunta Comunale di narni n. 295 del 30 dicembre 
2009, pubblicata in data 2 febbraio 2010, con la quale il Comune di Narni ha 
deciso di indire “l’avviso pubblico per la manifestazione di interesse alla 
gestione del servizio fino al 31/12/2010”;
2) di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o comunque connesso, inclusa la 
relazione dell’Ing. Pietro Flori del 28.12.2009 allegata alla D.G.C. n. 
295/2009, nonché, se esistenti, gli atti dirigenziali volti alla determinazione 
del procedimento di evidenza pubblica;
e, in via subordinata, per la dichiarazione
dell’obbligo del Comune di Narni di riconoscere in favore della ditta ricorrente 
l’indennizzo previsto dall’art. 21-quinquies della L. n. 241 dei 1990;
Visto il ricorso introduttivo ed i tre ricorsi per motivi aggiunti, con i 
relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Narni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2010 il dott. Pierfrancesco 
Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ditta ricorrente è titolare di un canile (“pensione per cani”) in Narni, 
frazione Schifanoia.
La struttura ha gestito negli ultimi anni il servizio di ricovero e mantenimento 
dei cani randagi per conto del Comune (cfr., da ultimo, l’affidamento con 
convenzione rep. n. 1869 in data 12 aprile 2005, successivamente prorogato).
2. E’ opportuno sottolineare fin d’ora che, ai sensi dell’articolo 10 (“Canili e 
strutture di ricovero per gli animali di affezione”) della l.r. 19/1994 (“Norme 
per la tutela degli animali di affezione e per la prevenzione ed il controllo 
del fenomeno del randagismo”), i Comuni, singoli o associati e le Comunità 
montane:
- “provvedono al risanamento dei canili pubblici esistenti e costruiscono rifugi 
per gli animali di affezione anche per la custodia temporanea dopo la cattura” 
(comma 1);
- “provvedono, direttamente o mediante la stipula, entro novanta giorni dall' 
entrata in vigore della presente legge, di apposite convenzioni con gli Enti e 
le associazioni iscritte all' albo regionale di cui all' art. 12, alla gestione 
delle strutture di cui al comma 1” (comma 2);
- “in carenza di strutture pubbliche, possono stipulare convenzioni per l' 
utilizzo di quelle private esistenti” (comma 3);
La disposizione, per le strutture di cui al comma 1 – vale a dire, per i “canili 
pubblici”, le cui “opere” sono oggetto di cofinanziamento regionale (comma 8) - 
dispone la presenza di appositi locali per primi interventi di pronto soccorso 
degli animali di affezione, per l' isolamento e il controllo di eventuali 
malattie infettive, per la profilassi sanitaria (comma 4); e prevede altresì 
alcune “caratteristiche generali” funzionali (comma 5).
Per quanto concerne le “strutture private”, viene previsto soltanto che esse 
“adeguano, entro un anno dall' entrata in vigore della presente legge, i propri 
standards a quanto previsto al comma 5 e sono soggette alle norme di cui all' 
art. 24 del DPR 8 febbraio 1954, nº 320” (comma 9).
3. In data 21 febbraio 2007, tra il Comune di Narni e la ricorrente è stato 
sottoscritto un “verbale di accordo”, che prevedeva: a) il trasferimento al 
Comune del canile per un prezzo di oltre 836 mila euro; b) l’affidamento alla 
ricorrente della gestione del canile per un periodo di 25 anni; c) l’ampliamento 
ed il completamento della struttura da parte della ricorrente; d) nelle more 
della definizione dell’atto di trasferimento, la continuazione della gestione 
del canile da parte del ricorrente, alle medesime tariffe praticate fino ad 
allora.
L’accordo presupponeva che il canile diventasse “canile comprensoriale” 
pubblico, vale a dire espletasse il servizio per altri dieci Comuni della zona 
(quelli del comprensorio della ex U.S.L. n. 11, per i quali il Comune di Narni 
fungeva da capofila).
L’accordo è stato approvato con deliberazione giuntale n. 61 in data 19 aprile 
2007. Nel frattempo, la ricorrente ha continuato la gestione – a suo dire, 
astenendosi dal partecipare a concorsi per l’affidamento di altri canili 
pubblici ed effettuando importanti lavori di ampliamento e ristrutturazione 
della struttura.
4. Tuttavia, non è risultato possibile definire l’accordo tra i Comuni per la 
istituzione del canile comprensoriale (cfr. la conferenza di servizi convocata 
con la nota prot. 32314 in data 11 dicembre 2007 e tenutasi infruttuosamente in 
data 28 dicembre 2007). Così che, dapprima, con atto n. 8 in data 15 gennaio 
2008 il Comune di Narni ha prorogato al 30 giugno 2008 l’affidamento del 
servizio alla ricorrente (previo aggiornamento delle tariffe del servizio). In 
seguito, sfumando la possibilità di un apporto finanziario degli altri Comuni, 
necessario all’attuazione dell’accordo del 21 febbraio 2007, il Comune di Narni 
– a quanto sembra, per non perdere (o dover restituire) il contributo ottenuto 
dalla Regione per razionalizzare il servizio - ha deciso di realizzare 
autonomamente un canile pubblico comunale.
Pertanto, con deliberazione giuntale n. 52 in data 30 marzo 2009, ha stabilito 
di sottoporre all’accettazione della ricorrente una proposta consistente : a) 
nella (ulteriore) proroga del servizio fino al 30 giugno 2009; b) nell’acquisto 
del canile ad un prezzo di poco più di 537 mila euro – quindi assai inferiore a 
quello precedentemente ipotizzato, e senza l’affidamento della gestione.
Quanto alla gestione, con deliberazione giuntale n. 102 in data 18 maggio 2009, 
è stato approvato un protocollo d’intesa con l’E.N.P.A. di Perugia (che gestisce 
il canile comunale del capoluogo) “per lo sviluppo di un modello di autogestione 
dei cani randagi”.
5. La ricorrente ha impugnato detti provvedimenti, deducendo le censure che 
verranno appresso esaminate.
In sostanza, lamenta che detti provvedimenti costituiscano una revoca immotivata 
e non partecipata dell’accordo del 21 febbraio 2007, che vincolava il Comune a 
contenuti ben diversi.
In via subordinata all’annullamento, ha chiesto l’accertamento dell’obbligo del 
Comune di corrispondergli l’indennizzo previsto, a fronte della revoca di un 
provvedimento, dall’articolo 21-quinquies della legge 241/1990.
6. Nel frattempo, con deliberazione giuntale n. 153 in data 26 giugno 2009, il 
Comune di Narni, preso atto dell’indisponibilità della ditta ricorrente ad 
accettare la predetta proposta di acquisto della sua struttura, ha stabilito di 
“protrarre la proroga” del servizio svolto dal ricorrente fino al 31 dicembre 
2009, “termine utile per definire le azioni per la gestione dei cani randagi”.
La ricorrente ha impugnato detto provvedimento con un primo ricorso per motivi 
aggiunti, ribadendo e puntualizzando le censure originarie, anche a titolo di 
invalidità derivata.
7. L’incertezza sulle modalità di svolgimento in futuro del servizio ha indotto 
il Comune ad ulteriori proroghe del servizio svolto dalla ricorrente.
Così, è stata dapprima ipotizzata una proroga fino al 31 marzo 2010, “termine 
utile per definire un avviso pubblico per la manifestazione di interesse alla 
gestione sul territorio comunale e limitrofo del servizio riguardante la 
gestione dei cani randagi” (cfr. proposta di deliberazione giuntale n. 329 in 
data 21 dicembre 2009).
Con nota dell’Area dipartimentale ll.pp. in data 28 dicembre 2009 (prot. 36944 
in data 30 dicembre 2009), è stata prospettata una duplice possibilità di 
continuazione del servizio: mediante acquisizione della struttura della 
ricorrente, e mediante realizzazione di una nuova struttura su un terreno già 
individuato di proprietà dell’A.S.L. di Terni; e viene ipotizzato che nei primi 
mesi del 2010 sia possibile definire una “relazione comparativa sui costi per la 
trasformazione del canile esistente in canile rifugio e la realizzazione ex novo 
di struttura analoga sui terreni di proprietà dell’ASL, nonché dei rispettivi 
costi di gestione.
Con la nota prot. 37041 in data 31 dicembre 2009, è stata proposta alla 
ricorrente una proroga di tre mesi (precisando, peraltro, che i tempi di 
“realizzazione del canile sono stati stimati in circa 6 mesi/un anno”).
La ricorrente ha impugnato detti atti con un secondo ricorso per motivi 
aggiunti, facendo valere vizi di illegittimità derivata.
Con deliberazione giuntale n. 295 in data 30 dicembre 2009, sulla base della 
predetta nota prot. 36944/2009, è stata deciso di “protrarre la proroga” fino al 
31 marzo 2010, “termine utile per definire un avviso pubblico per la 
manifestazione di interesse alla gestione sul territorio comunale e limitrofo 
del servizio riguardante la gestione dei cani randagi”, e di “provvedere con 
successivi atti dirigenziali alla determinazione del procedimento di evidenza 
pubblica”.
La ricorrente ha impugnato detto provvedimento con un terzo ricorso per motivi 
aggiunti, facendo valere vizi di illegittimità derivata.
8. Resiste, controdeducendo puntualmente, il Comune di Narni.
9. Occorre anzitutto esaminare le eccezioni sollevate dal Comune di Narni.
9.1. Quanto all’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di 
interesse, basata sul rilievo del carattere non autoritativo e non lesivo per la 
ricorrente delle deliberazioni n. 52/2009 e n. 102/2009, è sufficiente 
sottolineare che detti provvedimenti costituiscono esternazione di un progetto 
dell’Amministrazione alternativo a quello delineato nell’accordo recepito dalla 
deliberazione n. 61/2007 e presupposto dagli atti successivi del Comune di 
Narni.
Cosicché – ancorché si tratti di atti preordinati ad ulteriori eventuali 
decisioni, come tali inidonei a far nascere nel contro interessato un onere di 
impugnazione - è ben difficile sostenere che la ricorrente non avesse un 
interesse personale, concreto ed attuale a contrastare l’ulteriore attuazione di 
detto progetto, senza dover attendere l’adozione di atti aventi efficacia 
definitiva, e non abbia quindi ancora oggi interesse ad ottenere la rimozione 
(anche) dei predetti provvedimenti.
9.2. Quanto all’eccezione di tardività del ricorso introduttivo, va osservato 
che il termine decadenziale iniziava a decorrere dal quindicesimo giorno dalla 
data di pubblicazione della deliberazione n. 52/2009 ai sensi dell’articolo 124 
del T.U.E.L., vale a dire dal 23 aprile 2009, cosicché la notificazione in data 
22 giugno 2009 appare tempestiva (e ciò, anche qualora fosse provata la 
conoscenza effettiva del provvedimento dal 22 aprile 2009, posto che il 21 
giugno 2009 era domenica).
Al riguardo, infatti, può ritenersi che il principio affermato dalla Corte 
Costituzionale con la sentenza n. 477/2002 - secondo cui la notificazione a 
mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna 
dell’atto all’ufficiale giudiziario – abbia carattere generale e trovi 
applicazione anche nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita dal difensore 
della parte ai sensi dell’articolo 1 della legge 53/1994, e che in tale ipotesi 
rilevi la data di spedizione del piego raccomandato (cfr. Cass. Civ., I, 30 
luglio 2009, n. 17748).
Tuttavia, parte resistente invoca quanto disposto dall’articolo 23-bis, della 
legge 1034/1971, sottolineando che il deposito del ricorso è avvenuto oltre il 
termine dimidiato per effetto di detta disposizione.
Effettivamente, l’eccezione ha una sua consistenza.
La riferibilità dell’esclusione dal dimezzamento dei termini – in applicazione 
dell’articolo 23-bis, lettera c), oggi nella formulazione modificata dal comma 2 
dell’articolo 53 della legge 59/2009, che continua a far salvi “quelli per la 
proposizione del ricorso” - anche al termine per il deposito del ricorso, sembra 
ormai consolidata (cfr. Cons. Stato, A.P., 31 maggio 2002, n. 5; IV, n. 
6599/2009; VI, 29 aprile 2009, n. 2788).
Ma la ricorrente sostiene che le questioni relative alla gestione del canile, 
ancorché di suo interesse, assumono nella controversia legata alla deliberazione 
n. 52/2009 una portata incidentale (tranne che in riferimento agli atti 
finalizzati ad acquisire manifestazioni di interesse, tempestivamente impugnati 
con i motivi aggiunti). Cosicché, il ricorso introduttivo si collocherebbe al di 
fuori dell’ambito delle materie considerate dall’articolo 23-bis.
Il Collegio osserva che l’impugnazione – secondo la stessa prospettazione della 
ricorrente - è fondata sul presupposto che i provvedimenti impediscano 
illegittimamente l’attuazione di un accordo avente per oggetto (anche) 
l’espletamento di un servizio pubblico, in regime di concessione. La differenza 
tra l’oggetto dell’impugnazione originaria e quello delle impugnazioni con 
motivi aggiunti sta solo nel fatto che, alla non attuazione dell’accordo del 21 
febbraio 2007 – effetto costante, sancito o comunque presupposto da tutti gli 
atti impugnati nel presente giudizio - si accompagna anche la prospettazione da 
parte del Comune, in forme invero generiche o ipotetiche, di modalità 
alternative con cui assicurare l’espletamento del servizio.
Tuttavia, la manifesta infondatezza del ricorso nel merito esime il Collegio 
dall’approfondire ulteriormente la questione.
10. Nel merito, infatti, possono svolgersi le seguenti considerazioni.
10.1. La ricorrente lamenta che, in violazione degli articoli 7 e 8 della legge 
241/1990, non gli sia stata data comunicazione di avvio del procedimento 
finalizzato alla revoca dell’accordo del 21 febbraio 2007.
Il Collegio osserva che la deliberazione n. 52/2009 ha ad oggetto una proposta 
nei confronti della ricorrente, concernente l’acquisto della sua struttura e la 
proroga interinale del servizio fino ad allora svolto.
Come tale, ha essa stessa natura di avvio del procedimento finalizzato 
all’acquisizione del consenso della ricorrente in ordine alla continuazione 
interinale del servizio ed alla vendita dell’immobile necessario a gestire in 
futuro il canile secondo il modello “pubblicistico” di organizzazione del 
servizio previsto dall’articolo 10 della l.r. 19/1994 (come appresso precisato).
Sul contenuto espresso del provvedimento, non era dunque necessaria una 
partecipazione preventiva della ricorrente, il quale aveva la possibilità di 
accettare o rifiutare la proposta, o di presentare osservazioni o memorie nel 
termine (ciò che non ha ritenuto opportuno, preferendo impugnare l’atto).
In altri termini, l’aspetto lesivo del provvedimento non è nel suo contenuto 
dispositivo espresso, bensì nel suo contenuto implicito (che, si è detto, assume 
una valenza alternativa all’attuazione dell’accordo originario). Di questo, si 
dirà in prosieguo.
10.2. La ricorrente lamenta inoltre che la deliberazione n. 52/2009 non contenga 
alcuna motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto il Comune a 
disattendere l’accordo del 21 febbraio 2007.
Anzi, il provvedimento appare contraddittorio, in quanto formalmente è rubricato 
come una “attuazione” della deliberazione n. 61/2007, mentre disattende 
l’accordo che detta deliberazione aveva recepito.
Tale cambiamento di indirizzo si porrebbe altresì in contrasto con i principi di 
correttezza e buona fede nell’esecuzione dell’accordo, espressamente ricordati 
anche dall’articolo 6 dell’accordo stesso.
10.2.1. Il Collegio ritiene pacifico che la deliberazione n. 52/2009, anziché 
costituire attuazione della precedente, vada in una direzione (per quanto 
riguarda la gestione del servizio e il corrispettivo della cessione della 
struttura) diversa.
Peraltro, detto disegno non è celato, né contraddittorio; la stessa rubrica 
della deliberazione indica “Parziale attuazione della delibera di G.M. 61/07”.
Soprattutto, il documento istruttorio richiamato ed allegato, quale parte 
integrante, alla deliberazione, dopo aver ricostruito le fasi della vicenda, 
indica in modo lineare le ragioni della scelta; come sopra anticipato, si è 
trattato, in sintesi: di tener conto che non si era concretizzata la 
partecipazione degli altri Comuni coinvolti nel progetto originario, per cui 
occorreva ridimensionare la portata del progetto ed il relativo costo; e di 
tener conto dell’esistenza del contributo regionale, ai fini dell’individuazione 
delle forme di gestione del servizio ai sensi dell’articolo 10 della l.r. 
19/1994.
10.2.2. Occorre a questo punto verificare se esistesse un impegno vincolante o 
se, comunque, la scelta di una soluzione diversa si ponesse in contrasto con i 
doveri di correttezza e buona fede che le parti dell’accordo erano tenuti a 
rispettare nei comportamenti attuativi.
Il Collegio è dell’avviso che i presupposti del coinvolgimento di una 
molteplicità di Comuni, per dar vita ad un canile comprensoriale, fossero 
espliciti e fondamentali, ai fini dell’attuazione dell’accordo in esame.
Venuti meno detti presupposti, non può ritenersi che il Comune fosse comunque 
vincolato a perseguire l’acquisizione della struttura alle stesse condizioni 
concordate in quel contesto progettuale ed operativo.
Quanto accaduto appare invero riconducibile alla clausola di salvaguardia 
prevista dall’articolo 6 dell’accordo, secondo cui “Resta inteso che, qualora 
per fatti non dipendenti dalle parti, ovvero per disposizioni normative 
l’affidamento non dovesse aver luogo, il presente accordo rimarrà privo di 
effetti”. In altri termini, le parti avevano consapevolezza che la fattibilità 
del progetto era soggetta ad incognite non dipendenti dalla loro volontà, e così 
tutti gli impegni erano collegati inscindibilmente tra loro; ciò vale anche ad 
escludere che l’avvenuta esecuzione (in tutto o in parte) da parte della 
ricorrente dei lavori di ristrutturazione previsti, possa comportare – oltre ad 
eventuali pretese di carattere risarcitorio, anche - l’obbligo del Comune di 
adempiere ai propri impegni.
10.3. Quanto esposto evidenzia l’infondatezza del successivo ordine di censura 
prospettato dalla ricorrente.
A suo dire, al di là del “nomen” attribuitogli dal Comune, la deliberazione n. 
52/2009 appare una sostanziale revoca dei precedenti provvedimenti, ed in 
particolare della deliberazione n. 61/2007. Come tale, non risulta conforme agli 
articoli 3 e 21-quinquies della legge 241/1990 ed agli altri principi normativi 
e giurisprudenziali in materia, in quanto:
- non è stata preceduta dalla fase di istruttoria e di partecipazione, nella 
quale avrebbe dovuto essere anzitutto attivamente coinvolto il destinatario del 
provvedimento;
- non è stata adeguatamente motivata con riferimento all’interesse pubblico da 
tutelare, anche in considerazione della posizione consolidata del ricorrente e 
dell’affidamento in lui ingenerato dall’accordo del 21 febbraio 2007, con 
particolare riferimento all’effettivo valore della struttura (il geom. Romualdi, 
tecnico di fiducia della ricorrente, ancora nel dicembre 2008 ha confermato che 
il complesso immobiliare, senza considerare il valore dell’azienda, ha un valore 
corrispondente a quello previsto dall’accordo).
- non è stata accompagnata dalla previsione dell’indennizzo a favore della 
ricorrente.
Ma, si è detto, l’accordo recepito dalla deliberazione n. 61/2007 non poteva 
ritenersi vincolante per le parti prescindendo dalla realizzazione delle 
condizioni (presupposti) fondamentali sopra ricordati.
Pertanto, non si può parlare di revoca di un provvedimento (o dell’impegno 
collegato), e, in generale, di caducazione in via di autotutela; bensì, da un 
lato, di esternazione della mancata realizzazione (e, realisticamente, della 
irrealizzabilità) dei presupposti condizionanti l’impegno; dall’altro, di una 
scelta alternativa orientata da nuovi presupposti (realizzazione di un canile 
del solo Comune di Narni, gestito in una delle forme consentite dalla 
normativa).
Ne consegue che non può ipotizzarsi alcun diritto all’indennizzo previsto 
dall’articolo 21-quinquies della legge 241/1990.
10.4. Per quanto riguarda le forme gestionali del servizio, la ricorrente si 
duole che la scelta sottesa alla deliberazione n. 102/2009 contrasti con 
l’articolo 10 della l.r. 19/1994, in quanto non prevede né la gestione diretta 
del canile, né la stipulazione di una convenzione con privati o con enti, bensì 
una soluzione – denominata “modello di autogestione in permanente supervisione 
dell’ENPA”- non prevista dalla normativa di settore.
Oltretutto, l’affidamento all’ente di protezione degli animali difetta del 
presupposto costituito dalla proprietà comunale della struttura (essendo questa 
tuttora di proprietà del ricorrente).
10.4.1. Ad avviso del Collegio, può convenirsi con la ricorrente che la 
normativa regionale in materia di animali da affezione e prevenzione del 
randagismo non ha istituito una riserva pubblica del servizio di gestione dei 
canili a favore dei Comuni o degli enti di protezione animale, e che detto 
servizio può quindi essere affidato anche a soggetti privati (cfr. Cons. Stato, 
VI, 6 settembre 2000, n. 4688).
Dall’articolo 10 della l.r. 19/1994, può evincersi che i Comuni, o possiedono 
già canili pubblici, e devono risanarli adeguandoli agli standard qualitativi e 
funzionali previsti dalla normativa, oppure, provvedono a realizzarli ex novo, 
ed in entrambi i casi beneficiano di contributi regionali per i lavori 
necessari.
Per la gestione dei canili pubblici, i Comuni possono optare per la gestione 
diretta, o ricorrere a convenzioni con gli enti e le associazioni aventi 
finalità di protezione degli animali, iscritte all'apposito albo regionale.
In alternativa, qualora i canili pubblici non esistano, e non risulti possibile 
o conveniente realizzarli ex novo (si verifichi, cioè, una situazione di 
“carenza di strutture pubbliche”), per lo svolgimento del servizio i Comuni 
“possono stipulare convenzioni per l' utilizzo di quelle private esistenti” 
(articolo 10, comma 3).
Questa seconda ipotesi dà luogo ad una concessione di servizio pubblico, tale 
essendo configurabile l’attività (doverosa) in questione, in forza della duplice 
circostanza che:
- il servizio di prevenzione del randagismo rientra nei compiti che l’ente 
locale, ai sensi della disposizione citata, è tenuto ad espletare;
- il gestore del canile assume i rischi economici di gestione del servizio (il 
numero dei cani ospitati è destinato a variare, a seconda dell’entità del 
randagismo, entro il numero di posti disponibili), che ha come destinatario 
diretto la collettività.
Fermo restando che possono continuare ad esistere, o ad insediarsi, “strutture 
private”, anche al di fuori di un collegamento con il servizio pubblico, purché 
adeguate agli standard qualitativi previsti dalla normativa.
In questa prospettiva, l’espressione “provvedono, direttamente o mediante la 
stipula (…) di apposite convenzioni con gli Enti e le associazioni” di 
protezione, non può significare il divieto di esternalizzare ad imprese il 
servizio di ricovero dei cani randagi.
Una simile interpretazione si porrebbe in sospetto di illegittimità per 
contrasto con i principi di derivazione comunitaria di concorrenza, libertà di 
stabilimento e libera prestazione dei servizi (come, da ultimo, recepiti dalla 
Direttiva 2004/18/CE), nonché ai principi costituzionali di non discriminazione 
(uguaglianza sostanziale), libertà economica e buon andamento dell’azione 
amministrativa, sanciti rispettivamente dagli articoli 3, 41 e 97, Cost., che 
postulano un’ottimale ed imparziale gestione delle risorse da parte della p.a., 
che non può escludere a priori lo svolgimento del servizio avvenga in forma 
imprenditoriale.
L’esigenza di salvaguardare la salute e dignità degli animali, e di valorizzare 
le energie e capacità delle associazioni che dette esigenze perseguono come loro 
scopo istituzionale, non può prevalere in assoluto e condurre ad escludere ogni 
spazio per l’iniziativa economica.
10.4.2. Dunque, la normativa regionale, interpretata con riferimento ai principi 
costituzionali, consentiva di perseguire i fini indicati dalla l.r. 19/1994, 
attraverso sia la realizzazione (o ristrutturazione) di un canile pubblico, sia 
l’utilizzazione di un canile privato; sia la concessione a privati del servizio, 
sia la gestione diretta o mediante convenzione con l’E.N.P.A.
Ciò che risultava vincolato dall’aver chiesto ed ottenuto il contributo 
regionale per la ristrutturazione del canile (cfr. d.G.R. n. 447 in data 22 
dicembre 1997), era la realizzazione di un canile pubblico (di proprietà 
comunale), in quanto l’articolo 10 soltanto per una simile ipotesi prevede detta 
sovvenzione.
Non è inutile sottolineare che la concessione del contributo è successiva 
all’accordo con la ricorrente.
10.4.3. La ricorrente ha puntualizzato le predette censure di difetto di 
motivazione e contraddittorietà, anche nei confronti della deliberazione n. 
153/2009. Sottolinea (con riferimento a quanto affermato nei pareri 
dell’Avvocatura comunale in data 15 dicembre 2008 e dell’avv. Petullà in data 17 
giugno 2009, sottesi al provvedimento) che:
- la revoca dell’accordo contraddice il riconoscimento che il servizio svolto 
dal ricorrente rappresenta un “servizio di interesse pubblico”, e che la 
deliberazione n. 61/2007 “risponde ai criteri di economicità, buona 
amministrazione ed è senz’altro ispirata ai criteri di efficienza e di 
risparmio”;
- è erronea l’asserzione secondo la quale il Comune di Narni, nel momento in cui 
diventasse proprietario della struttura, dovrebbe necessariamente gestire il 
servizio direttamente oppure mediante affidamento in convenzione ad associazioni 
di protezione animale.
Quanto al primo profilo, il Collegio ribadisce che la modifica dell’orientamento 
del Comune trova legittimità nella modifica dei presupposti suindicati. Non vi è 
dunque alcuna contraddizione rilevante, ma soltanto un cambiamento di 
prospettiva.
In ordine al secondo profilo, all’opzione relativa al canile pubblico la legge 
regionale ricollega una gestione in forma diretta o mediante le associazioni 
c.d. animaliste (vale a dire, una gestione no profit). Ma, se anche si volesse 
ritenere, alla luce delle ricordate esigenze di rispetto della concorrenza e 
della libertà di iniziativa economica, che – al di là del tenore testuale 
dell’articolo 10 - la gestione del canile pubblico possa essere affidata anche 
ad un privato imprenditore, secondo il modello della concessione di servizio 
pubblico (eventualmente, collegata ad una concessione di beni pubblici – 
appunto, il canile), resta il fatto che ciò costituirebbe una possibilità, non 
certo un obbligo.
Per cui, l’avviso espresso dai legali a supporto della deliberazione può forse 
essere messo in discussione, ma il contenuto della scelta operata rientrava 
comunque nel novero delle opzioni legittimamente praticabili dal Comune, e 
pertanto non sussistono i vizi lamentati dalla ricorrente.
10.5. La ricorrente sostiene infine – con riferimento alla deliberazione n. 
295/2009 - che l’intento di acquisire manifestazioni di interesse per la 
gestione del canile è privo dei necessari presupposti, dato che:
- il Comune non ha la disponibilità di alcuna struttura;
- non ha alcun progetto o programma per la gestione del canile;
- non ha nemmeno deciso quale delle due soluzioni ipotizzate (l’acquisizione 
della struttura del ricorrente e la realizzazione di un nuovo canile) 
perseguire.
Ad avviso del Collegio, sembra innegabile che, secondo quanto risulta dagli 
atti, il Comune di Narni non abbia ancora sviluppato una seria ipotesi 
progettuale (mancano una relazione illustrativa, una relazione sui costi, una 
relazione sulla tipologia del servizio), e tanto meno acquisito la disponibilità 
di una struttura, o del sedime per realizzarla.
I passaggi della vicenda sopra sintetizzati – che registrano il succedersi di 
una serie di (proposte di) proroghe e di cambiamenti di prospettiva, non 
supportati da elementi di certezza (a cominciare dalla disponibilità del 
ricorrente) – lo dimostrano.
Tuttavia, alla deliberazione n. 295/2009 non può attribuirsi alcuna portata 
concretamente lesiva, trattandosi, per quanto concerne la gestione futura, di 
mera manifestazione di intenti che dovrà tradursi in provvedimenti ulteriori; 
nonchè, per quanto riguarda la proroga, di una proposta (l’ennesima), certamente 
non vincolante, che la ricorrente (al pari delle precedenti) era libero di 
accettare o meno.
11. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
12. Resta da aggiungere che non assumono rilevanza, ai fini della decisione, i 
rilievi mossi dal Comune in ordine a pretese irregolarità della pregressa 
gestione del servizio da parte della ditta ricorrente (rilievi che 
scaturirebbero da una specifica indagine conoscitiva, espletata in corso di 
giudizio).
E che esulano dalla controversia, in quanto non compresi nelle domande di 
annullamento o di accertamento del diritto all’indennizzo, né ad esse 
ricollegabili, i risvolti patrimoniali creditori/debitori della gestione del 
servizio svolto dal ricorrente per effetto dell’affidamento originario e delle 
proroghe oggetto delle proposte di cui si è fatta menzione (qualora le proroghe 
siano state accettate dalla ricorrente e/o il servizio sia proseguito: al 
riguardo il Tribunale non dispone di puntuali elementi informativi).
13. Sussistono giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le 
parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2010 con 
l'intervento dei Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Luigi Cardoni, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE 
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/06/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
 
		
		
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