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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 9 luglio 2010, n. 4457


BOSCHI E FORESTE - Misure normative a tutela dei boschi - Estensione - Limitazione alle sole ipotesi riconducibili ad alberi di alto fusto - Esclusione - Lettura sistematica della normativa - Artt. 2 e 3 L. n. 353/2000 - Art. 2, c. 1 d.lgs. n. 227/2001 - Alberi di olivo - D.lt. 475/1945 - Divieto di abbattimento.
Da una lettura sistematica della normativa in materia di boschi e dalle specifiche finalità di salvaguardia del territorio perseguite dalla legge, emerge con chiarezza che nell'ambito delle misure protettive dei boschi sono indubbiamente ricomprese numerose ipotesi di vegetazione non soltanto riconducibile a quella degli alberi di alto fusto, includendosi anche la vegetazione qualificabile come macchia, oltreché coltivazioni da frutto di vario genere (cfr. artt. 2 e 10 L. n. 353/2000, art. 2, c. 1 d.lgs. n. 227/2001): con specifico riferimento agli alberi di olivo, che come è noto possono raggiungere volumi ed altezze considerevoli e che, sotto tale profilo, possono già di per sé accomunarsi agli alberi di alto fusto, è tuttora vigente la disciplina dettata dal decreto luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475, recante il divieto di abbattimento di tali alberi se non in numero limitato e con specifica autorizzazione delle autorità competenti. Pres. f.f. Maruotti, Est. Lodi - Comune di Ariccia (avv.ti Bellini, Brugnoletti e Michetti) c. A. s.r.l. (avv.ti Ragazzo, Sanino e Funari) - (Annulla T.a.r. Lazio,Roma, n. 11242/2009) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 9 luglio 2010, n. 4457

BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Aree percorse dal fuoco - Divieto di modificazione della destinazione urbanistica -Uliveto - Zona arborata - Inapplicabilità del divieto di cui all’art. 10, c. 1 L. n. 353/2000 - Inconfigurabilità - Ragioni.
Le finalità di salvaguardia del territorio e delle sue entità naturalistiche indispensabili alla vita (fattispecie relativa al divieto di modificazione della destinazione urbanistica, ai sensi dell’art. 10, c. 1 della L. n. 353/2000, di area coltivata ad uliveto percorsa dal fuoco) non possono essere ristrette a limitate ipotesi di particolari tipi di bosco e di pascoli, ponendosi una simile conclusione non solo in stridente contrasto, nella specie, con la normativa riguardante la speciale salvaguardia degli uliveti, ma pure in evidente contraddizione con la vigente disciplina generale in materia forestale, che ammette l'estensione della tutela addirittura alla sola sterpaglia, come ben messo in evidenza anche dalla giurisprudenza del giudice penale (cfr. Cass. Sez. I. penale, 4 marzo 2008, n. 14209). Pres. f.f. Maruotti, Est. Lodi - Comune di Ariccia (avv.ti Bellini, Brugnoletti e Michetti) c. A. s.r.l. (avv.ti Ragazzo, Sanino e Funari) - (Annulla T.a.r. Lazio,Roma, n. 11242/2009) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 9 luglio 2010, n. 4457
 


 

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REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 


N. 04457/2010 REG.DEC.
N. 02852/2008 REG.RIC.
N. 00368/2009 REG.RIC.
N. 04578/2009 REG.RIC.
N. 00830/2010 REG.RIC.
N. 00831/2010 REG.RIC.

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)


ha pronunciato la presente


DECISIONE


I - Sul ricorso numero di registro generale 2852 del 2008, proposto da:
Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv. Vito Bellini, Massimiliano Brugnoletti, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;


contro


Ace S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario Sanino, Florestano Funari, con domicilio eletto presso lo Studio Sciume' Funari Florestano in Roma, via Aniene, 14;

nei confronti di

Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. Mario Fiore, con domicilio eletto presso Mauro Fiore in Roma, via G. Chiovenda, 106;
Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Agenzia Sviluppo Provincia Scarl, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Saverio Mussari, con domicilio eletto presso Francesco Saverio Mussari in Roma, Lungotevere Mellini, 24;


II - Sul ricorso numero di registro generale 368 del 2009, proposto da:
Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vito Bellini, Massimiliano Brugnoletti, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;


contro


Ace Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario Sanino, Florestano Funari, con domicilio eletto presso Florestano Funari in Roma, via Aniene, 14;
Agenzia Sviluppo Provincia Scarl;
Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Conte, con domicilio eletto presso Antonio Conte in Roma, via Carlo Poma, 4;
Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;



III - Sul ricorso numero di registro generale 4578 del 2009, proposto da:
Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vito Bellini, Maurizio Dell'Unto, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti in Roma, via Nicotera,. 29;


contro


Ace S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario Sanino, Florestano Funari, con domicilio eletto presso lo Studio Sciume' Funari Florestano in Roma, via Aniene, 14;

nei confronti di

Agenzia Sviluppo Provincia Scarl; Ministero Beni e Attivita' Culturali-Sopr. B. Arch. Lazio; Regione Lazio;



IV - Sul ricorso numero di registro generale 830 del 2010, proposto da:
Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vito Bellini, Maurizio Dell'Unto, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti in Roma, via Nicotera, 29;


contro


Ace Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario Sanino, Florestano Funari, con domicilio eletto presso Florestano Funari in Roma, via Aniene, 14;

nei confronti di

Aspcr - Agenzia Sviluppo Provincia Per Le Colline Romane - Scarl, rappresentato e difesa dagli avv.ti Paolo Pittori, Elisa Scotti, con domicilio eletto presso Francesco Saverio Mussari in Roma, Lungotevere Mellini, 24;



V - Sul ricorso numero di registro generale 831 del 2010, proposto da:
Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv. Vito Bellini, Maurizio Dell'Unto, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti in Roma, via Nicotera, 29;


contro


Ace Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario Sanino, Florestano Funari, con domicilio eletto presso Florestano Funari in Roma, via Aniene, 14;

nei confronti di

Aspcr - Agenzia Sviluppo Provincia Per le Colline Romane - Scarl;

per la riforma

quanto al ricorso n. 2852 del 2008:

della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I Quater n. 00001/2008, resa tra le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI DI INTERVENTI RESIDENZIALI E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI.

quanto al ricorso n. 368 del 2009:

della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I Quater n. 04256/2008, resa tra le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI.

quanto al ricorso n. 4578 del 2009:

della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I Quatere n. 00576/2009, resa tra le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI INTERVENTI RESIDENZIALI E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI - ESECUZIONE GIUDICATO TAR.

quanto al ricorso n. 830 del 2010:

della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione II Bis n. 11246/2009, resa tra le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI DI INTERVENTI RESIDENZIALI E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI.

quanto al ricorso n. 831 del 2010:

della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione II n. 11242/2009, resa tra le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI DI INTERVENTI RESIDENZIALI E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI.


Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio; Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali; Ace Srl; Aspcr - Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane - Scarl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2010 il cons. Pier Luigi Lodi e uditi per le parti gli avvocati Bellini, Dell'Unto, su delega di Brugnoletti, Ragazzo, Sanino, Fiore, Pittori, su delega di Mussari e l'avvocato dello Stato Marchini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


I - Con il ricorso n. 2852/2008 il Comune di Ariccia ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n. 1/2008, relativa alle impugnative proposte dalla ACE s.r.l. per l'annullamento di una serie di provvedimenti del detto Comune riguardanti l'esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione del complesso commerciale, direzionale e residenziale previsto dal programma integrato di intervento predisposto dall’anzidetta società, approvato con l'accordo di programma in data 15 marzo 2005, ratificato con delibera del Consiglio comunale n. 34 del 13 aprile 2005 ed approvato infine dalla Regione Lazio con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 292 del 22 luglio 2005.

La citata sentenza reca le seguenti statuizioni:

a) per quanto riguarda il ricorso principale, l’accoglimento dell’impugnativa avverso l'ordinanza del dirigente responsabile n. 128 del 21 luglio 2006 che aveva ingiunto alla Società ricorrente di sospendere i lavori e rimettere in pristino lo stato dei luoghi per i permessi di costruire rilasciati il 17 ottobre 2005 per i lotti edificabili del comprensorio; la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnativa avverso la nota n. 19388/06 del 24 luglio 2006 mediante la quale lo stesso dirigente aveva dato notizia dell'avvio del procedimento per l'adozione dei provvedimenti conseguenti all'accertamento di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia in questione;

b) la dichiarazione di inammissibilità dei primi motivi aggiunti, proposti contro la nota di carattere interno del menzionato dirigente n. 251/07 del 5 gennaio 2007, indirizzata al comandante della Polizia municipale, riguardante le opere accertate e già oggetto di sequestro in data 3 gennaio 2007;

c) la dichiarazione di improcedibilità (pur se riconosciuti fondati) dei secondi motivi aggiunti - rivolti nei confronti anche del Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, nonché dell'Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane s.c.a.r.l. - volti all'annullamento della nota n. 6665/07 del 12 marzo 2007, che disponeva la sospensione dell'efficacia dei permessi di costruire sopra ricordati;

d) l'accoglimento dei terzi motivi aggiunti - rivolti oltre che alle autorità suindicate anche nei confronti della Regione Lazio - intesi all'annullamento della determinazione dirigenziale n. 204 del 27 marzo 2007, avente ad oggetto l'annullamento in autotutela del già ricordati permessi di costruire concernenti la realizzazione di un centro polifunzionale;

e) il rinvio ad altra udienza, per la insussistenza dei termini a difesa, dell'esame dei quarti motivi aggiunti rivolti avverso la nota n. 12374 del 17 maggio 2007, mediante la quale il ripetuto dirigente comunale ha invitato e diffidato la società ricorrente al rispetto delle prescrizioni dell'ordinanza del T.A.R. del Lazio n. 5209/2006, disponendo che, in mancanza, i lavori di cui ai permessi di costruire già rilasciati non potevano essere riavviati, restando consentiti unicamente le indagini e i sondaggi archeologici e gli interventi di consolidamento;

f) l'accoglimento, infine, dell'azione risarcitoria nei termini indicati in parte motiva, con assegnazione al Comune di Ariccia del termine di sessanta giorni per proporre alla società ricorrente, ai sensi del vigente art. 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, il pagamento di una somma di danaro secondo i criteri stabiliti.

Il primo giudice è pervenuto alle suesposte conclusioni disattendendo, anzitutto, le eccezioni pregiudiziali sollevate dal Comune e rilevando, in particolare, che l'impugnativa proposta con il ricorso principale avverso la nota n. 19388/06 era inammissibile trattandosi di atto endoprocedimentale, mentre poteva essere esaminata nel merito l'impugnativa avverso l'ordinanza n. 128/06, che veniva quindi ritenuta fondata, per la riscontrata violazione dell'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento. Con riferimento, poi, ai terzi motivi aggiunti, li ha accolti, disattendendo le numerose eccezioni di inammissibilità sollevate da controparte, sul rilievo che il provvedimento di annullamento dei titoli edilizi sarebbe stato adottato sulla scorta di presupposti di fatto e di diritto insussistenti. Per completezza il primo giudice ha infine osservato che non poteva essere esaminata la nuova questione, prospettata con memoria dalla difesa comunale (relativa ad un incendio boschivo verificatosi in precedenza, preclusivo del rilascio dei titoli edilizi), trattandosi di giudizio di annullamento che investe la legittimità del provvedimento impugnato esclusivamente in relazione ai contenuti che connotano il provvedimento stesso.

L'appellante Comune replica nel merito alle argomentazioni della sentenza e, riguardo al risarcimento del danno, eccepisce preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la richiesta di danno sarebbe ricollegabile ad una presunta violazione della convenzione tra le parti; contesta, comunque, la sussistenza dei presupposti per l'azione risarcitoria.

Si è costituita la ACE s.r.l. deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

Si è costituita anche la surricordata ASP Colline Romane, chiedendo anch'essa la reiezione dell'appello.

La Regione Lazio si è costituita per segnalare principalmente la propria estraneità al giudizio e, per conseguenza, la propria carenza di legittimazione passiva.

Le parti, con memorie, hanno ulteriormente ribadito le rispettive tesi.

L'istanza cautelare presentata dal Comune appellante è stata accolta - con ordinanza di questa Sezione n. 2997/2009 emessa nella camera di consiglio del 12 giugno 2009 - sulla base della seguente motivazione: “Considerato che, in attesa della definizione del secondo grado di giudizio, emergono elementi tali da indurre a sospendere l'esecutività della gravata sentenza, in accoglimento della domanda incidentale”.

II - Con il ricorso n. 368/2009 il Comune di Ariccia ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n. 4256/2008 che aveva esaminato ed accolto i quarti motivi aggiunti presentati dalla ACE s.r.l. contro la nota del dirigente responsabile di area del detto Comune n. 12374 in data 17 maggio 2007, relativa al rispetto delle prescrizioni dell'ordinanza del T.A.R. Lazio n. 5209/2006 ed al divieto di riavviare i lavori edilizi, di cui si è detto sopra con riferimento al precedente appello n. 2582/2008.

La statuizione di accoglimento, adottata previa estromissione dal giudizio della Regione Lazio, risulta motivata in riferimento al fatto che il Comune non poteva vietare la prosecuzione di tutti i lavori fino alla ultimazione delle indagini archeologiche, avendo la competente Sovrintendenza espressamente autorizzato la prosecuzione dei lavori per alcune aree, mentre la mancata verifica dei reciproci doveri, prospettata dal Comune, riguarderebbe l'applicazione delle prescrizioni della convenzione, ossia una questione che sfuggirebbe alle competenze proprie dell'Ente locale.

Il Comune appellante, nel fornire ulteriori precisazioni in ordine alla vicenda di cui si tratta, ripropone l'eccezione di improcedibilità o inammissibilità dei motivi aggiunti in esame, in quanto al momento della loro proposizione era in corso la procedura conciliativa, nell'ambito della quale la parte privata aveva assunto l'impegno di non riavviare i lavori; nel merito contesta le statuizioni del primo giudice rilevando che, in effetti, mancavano le condizioni precedentemente poste dal T.A.R. in sede cautelare ai fini della realizzazione delle opere previste; in ordine alla richiesta risarcitoria, infine, eccepisce nuovamente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la sussistenza dei presupposti per il risarcimento.

Resiste in giudizio la società ACE che eccepisce preliminarmente la tardività del gravame e ne prospetta, con ampie argomentazioni, l'infondatezza nel merito.

Le parti anzidette, con memorie, hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi.

La Regione Lazio si è costituita per chiedere la conferma della statuizione del T.A.R. sulla sua estromissione dal giudizio.

Si è formalmente costituito il Ministero per i beni e le attività culturali.

III - Con il ricorso n. 4578/2009 il Comune di Ariccia ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n. 576/2009, emessa nella camera di consiglio del 28 aprile 2009, relativa all’accoglimento del ricorso della ACE s.r.l. per l'esecuzione della sentenza dello stesso tribunale n. 1/2008 (oggetto del primo appello di cui sopra) in quanto all'epoca quest'ultima pronuncia non risultava ancora sospesa dal Consiglio di Stato.

Nella sentenza ora in esame si è ritenuto che la mancata notifica del ricorso alle parti interessate non assumeva rilevanza, attesa la particolare disciplina delle procedure di ottemperanza, mentre si ravvisavano i presupposti per la nomina di un consulente tecnico ai fini di valutare la somma da corrispondere alla società ricorrente a titolo di risarcimento del danno, tenuto conto che, anche dopo la previa notifica della diffida ad adempiere, il Comune non aveva formulato alcuna proposta al riguardo.

Il Comune appellante sostiene che, trattandosi di sentenza non passata in giudicato, la mancata notifica del ricorso introduttivo costituirebbe un difetto insanabile del contraddittorio; lamenta il vizio di procedura che conseguirebbe dalla tardiva notifica dell'avviso di fissazione della camera di consiglio; eccepisce la non debenza del risarcimento del danno, stante la asserita nullità dell'atto di acquisto dei terreni da parte della società ricorrente e stante, altresì, il sopravvenire di un successivo atto di annullamento dei permessi di costruire.

Con memoria la difesa comunale ha ulteriormente insistito nei propri assunti.

Si è costituita per resistere in giudizio la società ACE che contesta, anche con memoria illustrativa, le argomentazioni addotte dal Comune appellante.

L'istanza cautelare presentata dal Comune è stata accolta con ordinanza di questa Sezione n. 3007/2009 emessa nella camera di consiglio del 12 giugno 2009, recante la stessa motivazione della contemporanea ordinanza di sospensiva n. 2997/2009, di cui si è già detto in riferimento al primo appello di cui sopra.

IV - Con il ricorso n. 830/2010 il Comune di Ariccia ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n.11246/2009, che aveva accolto il ricorso e i motivi aggiunti proposti da ACE s.r.l. intesi rispettivamente: a) all’annullamento della deliberazione della Giunta municipale n. 113 del 9 maggio 2008, relativa alla integrazione del “Catasto degli incendi boschivi e delle aree boscate e dei pascoli percorsi dal fuoco”, istituito con la precedente delibera della stessa Giunta n. 72 del 31 marzo 2008, anch'essa impugnata, recependo la nota del dirigente dell'area n. 11706 del 9 maggio 2008 e prendendo atto che il terreno sito nell'ambito comunale, di proprietà della società ACE, risulterebbe essere stato percorso dal fuoco in data 9 agosto 2003; b) all'annullamento della deliberazione del Consiglio comunale n. 66 del 29 luglio 2008, mediante la quale è stato approvato, ai sensi dell'art. 10 della legge 21 novembre 2000, n. 353, l'elenco dei soprassuoli già percorsi dal fuoco nell'ultimo quinquennio, per la parte relativa al terreno di proprietà della società ricorrente.

Il primo giudice ha esaminato le norme della legge citata relative alla fattispecie di “incendio boschivo” ed alla disciplina dei conseguenti divieti edificatori, osservando che l'area di cui è questione risulta coltivata ad ulivi, come tale non rientrante nel concetto di bosco; sarebbe mancata, d'altronde, prova certa sulla estensione dell'incendio su un'area definita circoscritta nell'ambito della proprietà della società ricorrente.

Nell'atto di appello il Comune di Ariccia prospetta, anzitutto, una serie di eccezioni pregiudiziali attinenti: a) alla omessa pronuncia del T.A.R. sull'eccezione di tardività del ricorso principale di primo grado; b) alla omessa pronuncia del T.A.R. sull'eccezione di inammissibilità del primo motivo del ricorso principale per carenza di interesse; c) sul difetto di giurisdizione, avendo il T.A.R. formulato un giudizio tecnico discrezionale sulla estensione dell'incendio, con un sindacato di merito sulle valutazioni spettanti alla pubblica amministrazione. L'appellante contesta, poi, la fondatezza delle conclusioni del primo giudice sia in ordine al fatto storico dell'incendio, sia in ordine all'applicazione al caso concreto della legge n. 353 del 2000.

Resiste in giudizio la società ACE, chiedendo, anche con memoria, la reiezione del gravame e la conferma della sentenza appellata.

V - Con il ricorso n. 831/2009 il Comune di Ariccia ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n. 11242/2009, che aveva accolto il ricorso ed i motivi aggiunti presentati dalla ACE s.r.l. ai fini dell'annullamento: a) della nota del dirigente dell'area n. 19628 del 25 luglio 2008 relativa all'avvio del procedimento di verifica di legittimità e/o annullamento in autotutela dei permessi di costruire rilasciati nel 2005 alla predetta società per la realizzazione di un centro polifunzionale, in attuazione di un programma integrato di intervento, nonché di tutti gli atti pregressi; b) della nota dello stesso dirigente n. 20174 del 31 luglio 2008, relativa alla immediata cessazione, in via cautelare, dei lavori autorizzati con i predetti titoli abilitativi; c) di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi quelli oggetto della pronuncia del T.A.R. impugnata con l'appello di cui si è detto sopra; d) (motivi aggiunti) della determinazione del dirigente in parola n. 797 dell’8 ottobre 2008 mediante la quale è stato disposto l'annullamento in autotutela dei permessi di costruire in questione.

Il Tar ha motivato l’accoglimento delle doglianze della società con argomentazioni corrispondenti a quelle sopra ricordate in riferimento all'altra impugnativa (n. 830/210) ora in esame.

Anche il Comune appellante ripropone sostanzialmente i motivi di censura e l'eccezione di difetto di giurisdizione già dedotti con l'altro gravame.

Resiste la società ACE chiedendo, con memoria, la reiezione dell'appello.

VI - La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 4 giugno 2010.


DIRITTO


1. - Deve preliminarmente disporsi la riunione dei cinque ricorsi in epigrafe, in quanto oggettivamente e soggettivamente connessi, riguardando tutti un'unica, articolata vicenda relativa alla attuazione di un programma integrato di intervento nel Comune di Ariccia.

2. - Deve, inoltre, accogliersi la richiesta di estromissione dal presente giudizio della Regione Lazio, non venendo in discussione questioni specificamente attinenti a provvedimenti di detta Amministrazione.

3. - Prima dei passare all’esame dei singoli appelli, è opportuno premettere che la società originaria ricorrente, in qualità di proprietaria di un appezzamento di terreno in zona agricola di circa otto ettari, sito nel territorio del Comune anzidetto, aveva presentato nell'anno 2003 un progetto denominato “Programma integrato di intervento” ai sensi della legge della Regione Lazio 26 giugno 1997, n. 22, che si proponeva di variare la destinazione di zona (a zona agricola) per realizzare interventi residenziali; centro commerciale; uffici privati e pubblici, nonché un centro sportivo per circa 11.000 mq.

A quest'ultimo proposito, con delibera della Giunta n. 203 del 17 ottobre 2003, il Comune aveva espressamente riconosciuto la natura infrastrutturale del progetto “a condizione che sia previsto nella sua attuazione a carico della società proponente e cessione alla pubblica amministrazione, la realizzazione del centro sportivo e del parco attrezzato, oltre che di tutte le aree previste nel progetto”, ed aveva inserito il progetto stesso nel Patto Territoriale delle Colline Romane.

A seguito di ciò, l’Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane, costituita su iniziativa della Provincia di Roma, aveva attestato la conformità dell'intervento agli indirizzi di Patto.

Poi, il Consiglio comunale di Ariccia, con delibera n. 65 del 16 dicembre 2003, aveva adottato la necessaria variante di PRG riconoscendo la natura infrastrutturale del progetto “secondo quanto già definito dalla delibera di G.C. n. 203 del 17 ottobre 2003 e secondo le condizioni dettate nella stessa”.

Conseguentemente, con successiva delibera dello stesso Consiglio n. 25 del 3 giugno 2004 veniva approvato lo schema di convenzione che prevedeva all'art. 7 “la realizzazione del centro sportivo a cura e spese della società richiedente…senza che ciò comporti scomputo agli oneri dovuti”.

Si giungeva, quindi, alla sottoscrizione, in data 15 marzo 2005, dell’Accordo di Programma tra la Regione Lazio ed il Comune di Ariccia, mediante il quale si procedeva all'approvazione dell'intervento e della relativa variante urbanistica.

Il Consiglio comunale di Ariccia, tuttavia, con delibera n. 24 del 13 aprile 2005, in luogo di ratificare nella sua interezza il predetto Accordo di Programma, provvedeva a stralciare dallo schema di convenzione l'art. 7, inerente all'obbligo di realizzazione del summenzionato centro sportivo. Il successivo 17 ottobre 2005 veniva sottoscritta la convenzione urbanistica tra il Comune di Ariccia e la società proponente, nella quale non veniva trasfusa la disposizione del citato art. 7 dello schema già approvato in sede consiliare e recepito nell'Accordo di Programma; nella stessa data venivano rilasciati i permessi costruire nn. 70-77 riguardanti le previste opere di urbanizzazione e di costruzione del complesso commerciale e dei numerosi edifici residenziali.

4. - Tanto premesso, può ora passarsi all'esame del primo dei ricorsi in epigrafe (n. 2852/2008) proposto dal Comune di Ariccia avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n. 1/2008 che ha accolto in parte il ricorso principale e i terzi motivi aggiunti presentati dalla società interessata, disponendo l'annullamento delle ordinanze dei dirigenti comunali di area n. 128 del 21 luglio 2006 (sospensione lavori e di rimessa in pristino dello stato dei luoghi), e n. 204 del 27 marzo 2007 (annullamento dei permessi di costruire nn. 70-77), con condanna del medesimo Comune al risarcimento dei danni.

4.1. - Il tribunale aveva ritenuto fondata l'impugnativa proposta dalla predetta società con il ricorso principale, rivolta avverso la citata ordinanza n. 128/2006, rilevando che si trattava di provvedimento con un duplice contenuto e sottolineando l'irragionevolezza della contemporanea sospensione dei lavori e della rimessa in pristino, atteso che la rimozione delle opere già realizzate implica comunque l'impossibilità di prosecuzione dei lavori; rilevando, altresì, che sarebbe stato violato l'obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non potendo trovare applicazione nel caso di specie la disposizione del successivo art. 21-octies che esclude l'annullamento dell'atto il cui contenuto si dimostri che non avrebbe potuto essere diverso.

Così sintetizzate le vicende che hanno condotto alla proposizione dell’appello n. 2852 del 2008, ritiene la Sezione che le argomentazioni poste a base della sentenza di primo grado n. 1/2009 non siano condivisibili, apparendo fondate le censure prospettate al riguardo dal Comune appellante.

Come emerge chiaramente dalla sua lettura, il provvedimento è stato adottato sulla base di due diverse ragioni: 1) in quanto i lavori erano stati avviati senza la preventiva esecuzione dei sondaggi archeologici imposti dall'art.3 dell'Accordo di Programma; 2) perché la società aveva nominato un proprio direttore dei lavori ed un proprio collaudatore, mentre tali nomine erano riservate all'Amministrazione comunale come previsto dagli artt. 6 e 8 della convenzione.

In punto di fatto, la effettiva esistenza di tali ragioni ostative all'inizio dei lavori è stata confermata dalla stessa ordinanza del Tar Lazio in data 14 settembre 2006 che aveva accolto “nei limiti di cui in motivazione” l'istanza di sospensiva proposta dalla società interessata, esclusivamente “al fine di consentire le necessarie ispezioni per indagini archeologiche nonché di permettere alle parti di verificare i termini dei reciproci doveri (tra i quali quelli inerenti la funzione di direzione dei lavori) nel quadro del patto territoriale di zona, cui pure le stesse hanno aderito”.

In tale prospettiva, specie in considerazione della necessità di prevenire possibili danni a beni archeologici per l'omessa preventiva esecuzione dei sondaggi previsti, il Comune non poteva omettere di attivarsi immediatamente con un provvedimento cautelare di sospensione dei lavori, nell'esercizio dei poteri di vigilanza attribuiti all'Ente locale dall'art. 27 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non essendo sufficiente per far fronte all’urgenza di intervenire il solo provvedimento ripristinatorio, di esecuzione non immediata, previsto dal successivo art.31 dello stesso decreto.

Né valgono le obiezioni formulate sul piano meramente formale dalla società resistente, atteso che non è questione, in questo caso, di una assenza di permesso ma, semmai, di una rilevante difformità rispetto alle modalità di esecuzione dello stesso; a ciò va aggiunto l'inadempimento rispetto all'obbligo di dare applicazione alla norma che riserva al Comune la nomina del direttore dei lavori, anch'essa evidentemente preordinata a salvaguardare l’interesse pubblico connesso alla corretta esecuzione dei lavori. La nomina precedentemente effettuata dalla società, d’altronde, non poteva essere considerata come tacitamente accettata dal Comune - come obiettato dalla medesima società - una volta stabilita pattiziamente una precisa regolamentazione della fattispecie.

Contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, dunque, la lamentata violazione di norme sul procedimento non poteva, nella specie, comportare l'annullamento dell'ordinanza in esame, ai sensi del citato art. 21-octies, dovendosi ritenere dimostrato che, considerando le preminenti esigenze di immediato intervento da parte dell'Amministrazione preposta alla tutela del territorio, il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Tale statuizione deve essere, pertanto, annullata in accoglimento del motivo d'appello dedotto al riguardo.

4.2. - Il tribunale aveva poi ritenuto fondata l'impugnativa proposta dalla società interessata con i terzi motivi aggiunti, rivolta avverso la surricordata ordinanza n. 204/2007, ritenendo che l'annullamento in autotutela non risultasse sufficientemente giustificato dai motivi indicati nel provvedimento in questione.

Osserva anzitutto il Collegio che è da disattendere l'eccezione pregiudiziale di inammissibilità dei motivi aggiunti in esame, sollevata dal Comune appellante sul presupposto della intervenuta decadenza dei permessi di costruire di cui è stato disposto l'annullamento ora in contestazione: anche se la decadenza avviene “di diritto” al verificarsi dei presupposti di legge (art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva con effetto retroattivo, resta comunque fermo che nel caso di specie non è stato adottato, sia pure per le ulteriori ragioni che saranno di seguito trattate, il necessario atto formale dell'Amministrazione in proposito (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5228).

Nel merito sono, invece, da condividere i motivi di appello che mettono in evidenza le ragioni che hanno effettivamente giustificato l'esercizio del potere di autoannullamento da parte del Comune riguardanti, da un lato, la non conformità del progetto della società interessata alle disposizioni della citata legge della Regione Lazio n. 22/1997 e, comunque alle procedure del Patto Territoriale delle Colline Romane; dall'altro la illegittimità dei permessi di costruire per l'avvenuto stralcio dell'art. 7 della convenzione originaria, inerente alla realizzazione del centro sportivo, con sostanziale violazione dell'Accordo di Programma.

Si rende preliminarmente necessario sgombrare il campo dalle obiezioni di carattere formale delle controparti, accolte dal primo giudice, sollevate con riferimento al principio del “contrarius actus”, sul presupposto che anche dopo il predetto stralcio l'intervento avrebbe mantenuto il necessario carattere infrastrutturale e l'accordo di programma già sottoscritto il 15 marzo 2005 non avrebbe subito alcuna modifica, non venendo meno gli obiettivi previsti.

In primo luogo va puntualizzato che il provvedimento in esame riguarda propriamente l'annullamento di permessi di costruire, ossia gli atti di competenza esclusiva dell’Organo dell'Ente locale al quale viene in particolare attribuita la responsabilità della corretta gestione dell'attività edilizia sul suo territorio.

In secondo luogo, non può non rimarcarsi che nell'ambito della complessa e articolata motivazione del provvedimento in discorso, si è pure evidenziato (pagg. 9 e 10) che il Comune di Ariccia ha avviato un procedimento di “rivisitazione” della programmazione urbanistica del territorio, ottenendo anche un contributo al detto fine dalla Regione ed in questo quadro ha revocato le varianti generali adottate nel 2003, nonché l'adesione prestata al ricordato Patto Territoriale delle Colline Romane.

In terzo luogo, le ragioni di annullamento addotte, oltre a riportarsi al complesso delle valutazioni necessarie per tale “rivisitazione”, ed alla stessa legittimità dell’Accordo di Programma - che si assume posto in essere senza che ne sussistessero i presupposti stabiliti dall’art. 2, comma 3, lettera a) della ripetuta legge regionale n. 22/1997 - si ricollegano a motivi di illegittimità e di pubblico interesse che appaiono in concreto esattamente evidenziati.

A tal proposito, come sottolineato nell’appello, deve convenirsi che il programma integrato di intervento era caratterizzato proprio dalla clausola della realizzazione da parte della società proponente, a proprie cure e spese, del centro sportivo da cedere al Comune, oltreché dalla realizzazione di fabbricati abitativi. La connotazione di un intervento “integrato” - a suo tempo ritenuta decisiva per disporre la stessa variante urbanistica - si rapportava, dunque, alla presenza non solo di strutture di natura residenziale, ma anche e, soprattutto e inscindibilmente, alla realizzazione di un complesso di interesse pubblico, a servizio della collettività: in relazione a ciò, come ricordato sopra, la Giunta comunale aveva espressamente condizionato il riconoscimento della natura infrastrutturale del progetto alla attuazione della parte dello stesso relativa al centro sportivo, mediante la delibera n.203/2003, fatta propria dal Consiglio Comunale con la delibera di variante urbanistica n. 65/2003, successivamente approvata in sede di Accordo di programma dalla Regione.

In tale situazione non appare, invero, in alcun modo coerente lo stralcio dell’art. 7 della convenzione, conseguente alla delibera del Consiglio comunale n. 24 del 13 aprile 2005, che denota una evidente contraddizione interna nell’attività dell’Ente locale ma non può, comunque, comportare un mutamento sostanziale della natura del programma integrato di intervento (di cui ha reso inattuabili le previsioni nel loro complesso) facendo intravedere, piuttosto, profili di responsabilità di diversa natura, non sindacabili in questa sede.

Né appare sostenibile la tesi, esposta nella sentenza appellata, secondo cui lo stralcio in parola avrebbe “semplicemente regolato in maniera differente i rapporti convenzionali” senza incidere sul progetto approvato che sarebbe rimasto immutato. E’ evidente, infatti, che la condizione essenziale per l’approvazione del programma era appunto quella della realizzazione del previsto centro sportivo da parte della società proponente “a proprie cure e spese”, e che la eliminazione di tale parte del progetto è suscettiva di stravolgere sotto diversi profili le valutazioni inerenti al soddisfacimento degli interessi pubblici e le specifiche caratteristiche dell’iniziativa progettata ed approvata.

Nel provvedimento impugnato sono, inoltre, richiamati gli interessi pubblici e privati a confronto e - con espressioni che appaiono pienamente condivisibili - si mette in evidenza, da un lato, che il lasso temporale intercorso dal rilascio dei permessi di costruire risulta essere di poco più di un anno; che i lavori sono allo stato iniziale; che la proposta della società di stralciare la realizzazione del centro sportivo costituiva una pretesa di esclusivo ed ingiustificato vantaggio per la parte privata; tutti elementi, questi, di cui la detta parte privata doveva essere necessariamente consapevole e, quindi, non può ora invocare un reale affidamento sul buon fine dell’iniziativa.

Si sottolinea, dall’altro lato, che “l’aspettativa a realizzare l’intervento - tutt’altro che legittima alla luce di quanto rappresentato - deve necessariamente recedere dinanzi all’interesse pubblico alla conservazione e valorizzazione dei ritrovamenti archeologici ed alla nuova sistemazione urbanistica del territorio comunale già in atto con i provvedimenti sopra richiamati o, comunque, alla salvaguardia della vocazione agricola del terreno”.

In conclusione, il venir meno dei presupposti per il previsto intervento integrato si ripercuote necessariamente sugli atti posti in essere per la pretesa attuazione dello stesso, che invece, allo stato, risulta ormai di impossibile realizzazione, e le determinazioni comunali in tal senso appaiono esenti dai vizi riscontrati dal primo giudice e sono da ritenere valide ed efficaci e pienamente esecutive.

Le contrarie statuizioni della sentenza appellata si palesano, pertanto, erronee e vanno annullate, in accoglimento delle censure dedotte al riguardo in sede di appello, con assorbimento di ogni altra questione prospettata al riguardo.

5. - Sulla scorta di quanto sopra esposto, il Collegio deve osservare che la esecutività delle determinazioni relative all’annullamento dei permessi di costruire comporta dirette conseguenze sul contenzioso instaurato con i ricorsi in trattazione.

5.1. - In particolare, con riferimento al primo ricorso (n. 2852/2008) ora in esame, resta naturalmente caducata la condanna del Comune di Ariccia al risarcimento del danno in favore della società, mancando il presupposto del “danno ingiusto” richiesto al detto fine dalla legge (art. 35, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come novellato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205).

5.2. - Con riferimento al secondo ricorso (n. 368/2009) deve considerarsi che esso risulta rivolto contro la sentenza del T.A.R. che, in accoglimento dell’impugnativa (quarti motivi aggiunti) della società interessata, aveva disposto l’annullamento della nota del dirigente comunale n. 12374 del 17 maggio 2007, mediante la quale si limitava la possibilità di riavviare i lavori alle sole attività inerenti al completamento dei sondaggi archeologici; è evidente, tuttavia, che l’annullamento dei titoli edilizi preclude in radice la possibilità di conseguimento di un risultato utile dalla predetta impugnativa, da ritenersi allo stato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse diretto, immediato ed attuale ad una pronuncia al riguardo.

Resta priva di concreto rilievo, in simile situazione, l’eccezione pregiudiziale di tardività dell’appello, sollevata dalla società odierna resistente.

5.3. - Analoghe conseguenze si verificano con riferimento al terzo gravame (n. 4578/2009) proposto avverso la sentenza del T.A.R. relativa alla esecuzione della precedente sentenza dello stesso tribunale n. 1/2008, ormai divenuta ineseguibile essendo stata annullata con l’accoglimento del primo appello.

5.4. - Anche per il quinto appello (n. 831/2010) si debbono trarre le stesse conclusioni, essendo rivolto avverso la sentenza del T.A.R. di accoglimento del ricorso della società in parola contro il nuovo atto di annullamento, per altre ragioni, degli stessi permessi di costruire in questione, adottato dal funzionario comunale competente con determinazione n. 797 dell’8 ottobre 2008: la esecutività delle precedenti determinazioni relative all’annullamento dei menzionati titoli edilizi, infatti, rende priva di qualsiasi effettivo interesse una decisione su tale ultima impugnativa.

6. - Resta da esaminare il quarto ricorso in appello (n. 830/2010) che riguarda vicende non strettamente correlate alla caducazione dei titoli edilizi già conseguiti, ricollegandosi al ricorso ed ai motivi aggiunti proposti in primo grado dalla menzionata società al fine di tutelare, principalmente, le potenzialità edificatorie delle aree di proprietà mediante impugnazione delle determinazioni del Comune di Ariccia

6.1. - Il Collegio ritiene che possa prescindersi dall’esame delle eccezioni pregiudiziali sollevate dal Comune appellante, con riguardo alla proponibilità ed alla procedibilità del ricorso di primo grado della società interessata, risultando infondate nel merito le censure con esso proposte, alla luce dei motivi prospettati dell’appello.

6.2. - La società odierna resistente aveva impugnato dinanzi al T.A.R. la deliberazione della Giunta municipale di Ariccia n. 113 del 9 maggio 2008, di integrazione del “Catasto degli incendi boschivi e delle aree buscate e dei pascoli percorsi dal fuoco”, nonché la presupposta deliberazione della stessa Giunta municipale n. 72 del 31 marzo 2008; con motivi aggiunti aveva quindi impugnato la deliberazione del Consiglio comunale n. 66 del 29 luglio 2008 mediante la quale, disattendendosi le osservazioni della predetta società, è stato approvato l'elenco dei soprassuoli già percorsi dal fuoco nell'ultimo quinquennio, relativamente al terreno di proprietà della stessa società sito nel territorio comunale, ai sensi dell'art. 10, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 353.

Con la sentenza appellata il tribunale ha rilevato che il dato storico dello svilupparsi di un incendio in data 9 agosto 2003 è obiettivamente desumibile dagli accertamenti svolti dagli organi comunali, dai Vigili del Fuoco e dagli altri enti competenti, mentre sussistevano elementi di incertezza in ordine al fatto che la perimetrazione dell'incendio comprendesse anche l'area di proprietà della società ricorrente. Peraltro, in punto di diritto, il primo giudice aveva ritenuto che, nella specie, stante la presenza di un uliveto nell'area in questione, non sussisterebbero i presupposti per l'applicazione della normativa dettata in materia di “incendi boschivi” dalla citata legge n. 353/2000.

6.3. - Il Collegio è dell’avviso che l'appello del Comune di Ariccia sia fondato.

6.3.1. - Anzitutto, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, non sono in realtà ravvisabili ragionevoli indizi per dubitare del fatto che l'area di proprietà della società interessata fosse stata effettivamente percorsa dall'incendio, in considerazione dell'accurata istruttoria compiuta dai competenti uffici comunali - non smentita in concreto neppure da precisi elementi ed argomentazioni in senso contrario contenuti nella perizia di parte ricorrente - risultando documentato che gli interventi della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco hanno sicuramente riguardato i terreni confinanti; che le conseguenze dell'incendio sulla proprietà in questione si sono manifestate anche con la riduzione della vegetazione, che nell'anno 2000 comprendeva trecento piante ultracentenarie, mentre, da una perizia relativa all'anno 2006, risulta la presenza di soli centocinquanta alberi in uno “stato vegetativo con chioma di area inferiore a quanto riscontrato nell'anno 2000”; che gli esposti presentati da cittadini riguardavano proprio la ricorrenza di incendi sulla proprietà in questione.

6.3.2. - Chiarito quanto sopra, in punto di fatto, può ora passarsi all'esame delle disposizioni di legge da applicare nelle aree percorse dal fuoco, fortemente limitative delle possibilità edificatorie delle aree stesse.

Ai sensi dell'art. 2 della ripetuta legge n. 353/2000 “Per incendio boschivo si intende un fuoco con suscettibilità a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree”.

Nel successivo art. 10, comma 1, primo periodo, è poi espressamente stabilito che “Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni”.

Nella sentenza appellata si afferma, in sostanza, che seppure il surriportato art. 2 fornisca una definizione più ampia dell'incendio boschivo, le successive prescrizioni limitative poste dall’art. 10 riguarderebbero soltanto le ipotesi espressamente indicate relative agli incendi sulle zone boscate ed i pascoli, con esclusione, in particolare, delle zone arborate, come quella in questione già coltivata ad uliveto.

Come puntualmente osservato dal Comune appellante, tuttavia, tale interpretazione restrittiva non può essere condivisa alla luce di una valutazione sistematica della normativa in materia e delle specifiche finalità di salvaguardia del territorio perseguite dalla legge.

In base alla definizione fornita dal decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, riguardante il settore forestale, viene precisato all'art. 2, comma 1, che “i termini bosco, foresta e selva sono equiparati”; all'art. 6, comma 1, che “Nelle more della emanazione delle norme regionali…si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo…”.

Nella Regione Lazio le norme in materia di gestione delle risorse forestali sono state dettate dalla legge regionale 28 ottobre 2002, n. 39, che all'art. 4, dopo aver fornito al primo comma una definizione di bosco sostanzialmente equivalente a quella del menzionato decreto legislativo, precisa al comma 2 quanto segue: “Sono assimilate ai boschi e soggiacciono alle relative disposizioni” non solo gli appezzamenti coperti da vegetazione arborea comprendente i castagneti da frutto e le sughere, ma pure “le aree ricoperte da vegetazione arbustiva, denominate arbusteti…” aventi determinate caratteristiche.

Dal quadro normativo sopra delineato emerge con chiarezza che nell'ambito delle misure protettive dei boschi sono indubbiamente ricomprese numerose ipotesi di vegetazione non certo riconducibile a quella degli alberi di alto fusto, includendosi anche la vegetazione qualificabile come macchia, oltreché coltivazioni da frutto di vario genere.

Per quanto concerne specificamente gli alberi di olivo, che come è noto possono raggiungere volumi ed altezze considerevoli e che, sotto tale profilo, possono già di per sé accomunarsi agli alberi di alto fusto, non sembra superfluo ricordare che è comunque ancora vigente la disciplina dettata dal decreto luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475, recante il divieto di abbattimento di tali alberi se non in numero limitato e con specifica autorizzazione delle autorità competenti.

Tutto ciò considerato, appare evidente che le finalità di salvaguardia del territorio e delle sue entità naturalistiche indispensabili alla vita non possono essere ristrette a limitate ipotesi di particolari tipi di bosco e di pascoli, come ritenuto in prime cure, ponendosi una simile conclusione non solo in stridente contrasto - per quanto ora particolarmente interessa - con la normativa riguardante la speciale salvaguardia degli uliveti, ma pure in evidente contraddizione con la vigente disciplina generale in materia forestale, che ammette l'estensione della tutela addirittura alla sola sterpaglia, come ben messo in evidenza anche dalla giurisprudenza del giudice penale (cfr. Cass. Sez. I. penale, 4 marzo 2008, n. 14209).

6.4. - Per le ragioni sopra esposte le determinazioni comunali impugnate in primo grado risultano esenti dai vizi dedotti dalla società ricorrente e, pertanto, in accoglimento dell'appello proposto dal Comune di Ariccia e in riforma dell’appellata sentenza del T.A.R. Lazio n. 11246/2009, il ricorso in primo grado deve essere respinto.

7. - Per quanto riguarda le spese del giudizio relativo ai ricorsi riuniti in esame, il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporne la parziale compensazione - con i criteri indicati in dispositivo - tenuto conto del comportamento delle parti in causa, e che per la restante parte debbano seguire la soccombenza da liquidarsi come indicato in dispositivo.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi suindicati:

- accoglie l’appello n. 2852/2008 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado;

- pronunciando sull’appello n. 368/2009 dichiara improcedibile il ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado e, per l’effetto, annulla, senza rinvio, la sentenza appellata;

- pronunciando sull’appello n. 4578/2009 dichiara improcedibile il ricorso proposto in primo grado e, per l’effetto, annulla, senza rinvio, la sentenza appellata;

- accoglie l’appello n. 830/2008 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado;

- pronunciando sull’appello n. 831/2009 dichiara improcedibile il ricorso proposto in primo grado e, per l’effetto, annulla, senza rinvio, la sentenza appellata;

- condanna la soccombente società ACE s.r.l. e l’interveniente Agenzia Sviluppo Provincia s.c.a.r.l. (nella proporzione rispettivamente di 2/3 e di 1/3 per ciascuna) a rifondere in favore dell’appellante Comune di Ariccia le spese di ambedue i gradi di giudizio, che liquida nella misura dimezzata di complessivi euro 15.000,00 (quindicimila/00) oltre accessori di legge; dichiara interamente compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio per il Ministero per i beni e le attività culturali e per la Regione Lazio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2010 con l'intervento dei Signori:

Luigi Maruotti, Presidente FF
Pier Luigi Lodi, Consigliere, Estensore
Anna Leoni, Consigliere
Bruno Mollica, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/07/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
 



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