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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 
1974-9562
T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. III - 10 settembre 2010, n. 1962
DIRITTO URBANISTICO - D.I.A. - Presupposto - Conformità dell’opera edilizia 
agli strumenti urbanistici - Attività edilizia oggettivamente abusiva - Ricorso 
all’istituto della D.I.A. - Inammissibilità. L'operatività della D.I.A. è 
subordinata alla conformità dell'attività edilizia alle prescrizioni degli 
strumenti urbanistici e, in generale, della normativa urbanistica vigente 
(T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 20 gennaio 2009, n. 21), come dimostra anche 
la circostanza che tale denuncia deve essere accompagnata dalla asseverazione di 
conformità (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 12 gennaio 2009, n. 68) che 
attesti, tra l’altro, il rispetto delle norme di sicurezza ed igienico 
sanitarie. Ne consegue che, in assenza di detta conformità urbanistico-edilizia 
o alle normative di settore, il ricorso all’istituto non è, a priori, 
ammissibile, rimanendo l’opera senza titolo per mancata produzione degli effetti 
legali tipici. In altri termini, la valenza di tale istituto non può trasformare 
in lecita e/o legittima un'attività edilizia oggettivamente abusiva (T.A.R. 
Campania Napoli, sez. II, 03 febbraio 2006, n. 1506). Pres. Cavallari, Est. 
Caprini - M.A. (avv. Assanti) c. Comune di Oria - TAR PUGLIA, Lecce Sez. III 
- 10 settembre 2010, n. 1962
DIRITTO URBANISTICO - Attività edilizia - Autorità comunale - Potere di 
vigilanza - Potere di sospensione - Ingiunzione di demolizione - Artt- 23 e 27 
d.P.R. n. 380/2001. Il potere di vigilanza e controllo sull'attività 
edilizia attribuito all'autorità comunale non è limitato alla previsione di cui 
all’art. 23, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, relativo alla disciplina della 
denuncia di inizio attività; trattandosi, infatti, di un potere generale 
attribuito all'autorità amministrativa per tutti i tipi di intervento edilizio 
che avvengono sul territorio di competenza,può svolgersi senza limiti di tempo e 
può esplicarsi sia attraverso l’esercizio del potere di sospensione che di 
ingiunzione alla demolizione da parte dell'ente comunale ex art. 27 del d.P.R. 
n. 380 del 2001 (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 03 febbraio 2006, n. 1506). 
Pres. Cavallari, Est. Caprini - M.A. (avv. Assanti) c. Comune di Oria - TAR 
PUGLIA, Lecce Sez. III - 10 settembre 2010, n. 1962
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01962/2010 REG.SEN.
N. 01787/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1787 del 2008, proposto da:
Meo Angelo, rappresentato e difeso dall'avv. Cosimo Assanti, con domicilio 
eletto presso Fabrizio Cananiello in Lecce, via Liguria n. 26;
contro
Comune di Oria;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Corvino Giuseppe, Corvino Cosimo, rappresentati e difesi dall'avv. Fernando 
Palermo, con domicilio eletto presso Francesco Marchello in Lecce, via G. 
Chiriatti n.6;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
della “diffida a demolire – Per opere realizzate in difformità della denuncia di 
inizio attività” del dirigente l’U.T.C. del Comune di Oria, datata 11.09.2008 e 
notificata il 25.09.2008;
di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o connesso con il provvedimento 
innanzi indicato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/05/2010 la dott.ssa Gabriella 
Caprini e uditi per le parti l’avv. Assanti e l’avv. Serafini, in sostituzione 
dell’avv. Palermo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO
Con denuncia di inizio attività acquisita al protocollo dell’ente in data 
22.12.1998, prot. n. 014965, il ricorrente manifestava la volontà di procedere 
alla recinzione dei terreni di proprietà, siti in agro Oria, limitatamente alle 
particelle confinanti con la strada denominata “vicinale Romatizza”. In 
particolare, l’erigenda recinzione sarebbe stata posta al limite tra la sede 
stradale e l’inizio del terreno. In data 20.01.1999, il ricorrente comunicava 
l’inizio dei lavori che venivano interamente realizzati. Con ordinanza n. 15 del 
21.03.2000, l’Amministrazione comunale intimava la sospensione dei lavori perché 
“in difformità dell’art. 26, comma 4, del d.P.R. 16.12.1996 n. 495 e successive 
modifiche ed integrazioni (Regolamento di esecuzione ed attuazione del N.C.D.S.) 
sul terreno distinto in catasto al foglio n. 22 particelle 134 -135 …”. Infine, 
con atto di diffida del 2008 ha ordinato la demolizione delle opere edilizie 
realizzate per difformità dei lavori realizzati rispetto alla DIA presentata nel 
1998, rispetto alla quale il ricorrente riteneva essersi maturato il silenzio 
significativo di rilascio del titolo abilitativo, in quanto la costruzione del 
muro di cinta lungo la sede stradale non avrebbe rispettato l’arretramento 
previsto dal Nuovo Codice della Strada. Invero, nel corso degli anni, il Comune 
ha cercato di individuare gli esatti confini della cd. “vicinale Romatizza”; il 
ricorrente, a tal proposito, osserva che lo stesso tecnico incaricato 
dall’Amministrazione comunale ha concluso la propria relazione nei termini che 
seguono; “In definitiva successivamente alla elaborazione dei dati raccolti in 
loco e alla loro rappresentazione grafica è possibile dichiarare che la vicinale 
denominata Romatizza, così come attualmente ubicata in loco, non identifica la 
strada vicinale riportata nella mappa catastale”. La strada, usata 
esclusivamente per le esigenze dei frontisti in quanto è a fondo cieco, è stata 
dunque trasformata ad opera degli stessi privati confinanti.
Sulla base di tali premesse, ritenendo il provvedimento repressivo illegittimo e 
lesivo dei propri interessi, il ricorrente lo ha impugnato chiedendone 
l’annullamento.
Si sono costituiti, con intervento “ad opponendum”, Corvino Giuseppe e Corvino 
Cosimo, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità e l’improcedibilità 
dell’impugnativa promossa e concludendo, in via subordinata, per il rigetto del 
ricorso.
All’udienza del 20.05.2010 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso la parte deduce l’eccesso di potere per contrasto 
con i precedenti, il travisamento dei fatti, l’esistenza del titolo abilitativo 
e autorizzatorio.
Il motivo è privo di pregio.
1. Sostiene, in primo luogo, il ricorrente che sulla DIA presentata nel 1998 si 
sarebbe maturato il silenzio significativo con valore tipico di provvedimento 
avente contenuto positivo, dunque, autorizzatorio, sicché, da un lato, dovrebbe 
ritenersi tardivo il provvedimento di diniego (in realtà, di demolizione), 
dall’altro, l’Amministrazione potrebbe agire solo in via di autotutela, 
procedendo, in presenza dei relativi presupposti, all’annullamento o alla revoca 
del provvedimento così formatosi.
1.1. Dispone l’art. 22, comma 1, del d.P.R. 380/01: “Sono realizzabili mediante 
denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui 
all'articolo 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli 
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina 
urbanistico-edilizia vigente”.
Si premette che dal dato letterale nonché dalla stessa “ratio” della norma - 
indipendentemente dalla ricostruzione giuridica dell’istituto (sia esso atto 
soggettivamente ed oggettivamente privato che, in presenza di determinate 
condizioni e all'esito di una fattispecie a formazione complessa, attribuisce al 
privato una legittimazione “ex lege” allo svolgimento di una determinata 
attività liberalizzata ovvero provvedimento implicito di assenso) -, emerge 
chiaramente che l'operatività di tale modulo procedimentale è subordinata alla 
conformità dell'attività edilizia alle prescrizioni degli strumenti urbanistici 
e, in generale, della normativa urbanistica vigente (T.A.R. Toscana Firenze, 
sez. III, 20 gennaio 2009, n. 21), come dimostra anche la circostanza che tale 
denuncia deve essere accompagnata dalla asseverazione di conformità (T.A.R. 
Campania Napoli, sez. IV, 12 gennaio 2009, n. 68) che attesti, tra l’altro, il 
rispetto delle norme di sicurezza ed igienico sanitarie. Ne consegue che, in 
assenza di detta conformità urbanistico-edilizia o alle normative di settore, il 
ricorso all’istituto non è, a priori, ammissibile, rimanendo l’opera senza 
titolo per mancata produzione degli effetti legali tipici. In altri termini, la 
valenza di tale istituto non può trasformare in lecita e/o legittima un'attività 
edilizia oggettivamente abusiva (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 03 febbraio 
2006, n. 1506).
1.2. Ciò detto, a parere della parte ricorrente, la conformità delle opere 
effettivamente eseguite a quanto risulta nel titolo abilitativo comunque 
formatosi, in occasione del quale si attestava l’osservanza delle disposizioni 
in merito alle distanze prescritte dal codice della strada e dal regolamento di 
esecuzione, si evincerebbe dalla sentenza n. 406/01 Reg. Sent., passata in 
giudicato. Con tale sentenza, infatti, la parte ricorrente è stata assolta dal 
reato di cui all’art. 20, lett. A l. n. 47/1985 e 41 septies della l. n. 
1150/1942 “per non avere osservato l’art. 26, comma 7, del d.P.R. n. 495/1992 in 
materia di distanza da osservarsi dal confine stradale, nell’edificazione di 
recinzioni fuori dai centri abitati (non inferiore a mt. 1 dal confine)”.
A tal proposito, si osserva che l’assoluzione è stata emessa con la formula 
“perché il fatto non costituisce reato”, non risultando fornita la prova 
dell’elemento psicologico del reato. In particolare, contrariamente all’assunto 
difensivo, osserva il giudice penale “nella condotta posta in essere 
dall’imputato sussistono quindi gli estremi oggettivi della contravvenzione 
contestata, in quanto si è in presenza di una recinzione realizzata ad una 
distanza inferiore ad un metro rispetto al ciglio della strada comunale che 
attraversa la contrada “Romatizza” fuori dal centro abitato. Tuttavia, … si deve 
escludere la responsabilità penale del Meo, in quanto nei suoi confronti è 
ravvisabile una situazione di buona fede ...”. A seguito dell’accertamento in 
sede penale è, invece, definitivamente provata la circostanza che l’edificazione 
del muro di cinta è avvenuta in difformità della DIA presentata in data 
22.12.1998 e della dichiarazione di inizio lavori del 20.01.1999. Infatti, se è 
vero che nel primo atto il ricorrente ha genericamente dichiarato: “detta 
recinzione sarà posta al limite fra la sede stradale e l’inizio del terreno”, 
successivamente, con la comunicazione di inizio lavori, il medesimo ha 
precisato: “nella costruzione della recinzione si rispetterà il confine fra la 
strada ed il proprio terreno, così come individuato dai tecnici di questo 
Comune”. Nella relazione asseverata del tecnico che aveva redatto il progetto, 
allegata, si attestava, ulteriormente, quanto segue. “Il progetto così come è 
stato impostato, con tutte le relative caratteristiche, fra cui l’ubicazione 
della recinzione, il tipo di recinzione, l’altezza della stessa, rispetta il 
contenuto di cui al d.P.R. 26.04.1993 n. 147”. Tale decreto, rubricato 
“Regolamento recante modificazioni ed integrazioni agli articoli 26 e 28 del 
decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (regolamento di 
esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada)”, prescrive, all’art. 
26 (“Fasce di rispetto fuori dai centri abitati”), comma 7: “La distanza dal 
confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare 
lateralmente alle strade siepi vive, anche a carattere stagionale, tenute ad 
altezza non superiore ad 1 m sul terreno non può essere inferiore a 1 m. Tale 
distanza si applica anche per le recinzioni non superiori ad 1 m costituite da 
siepi morte in legno, reti metalliche, fili spinati e materiali similari, 
sostenute da paletti infissi direttamente nel terreno o in cordoli emergenti non 
oltre 30 cm. dal suolo”.
1.3. Atteso che la recinzione risulta costruita ad una distanza inferiore a 
quella legale,nonché a quella dichiarata, ne consegue che la difformità dal 
titolo abilitativo e, conseguentemente, nello specifico, dalla inderogabile 
disciplina in materia di rispetto delle distanze, in relazione alla quale non 
può operare la DIA, non solo “non impedisce, anzi impone, all'Amministrazione di 
esercitare il suo potere inibitorio e/o sanzionatorio anche dopo la scadenza del 
termine previsto per la verifica dei presupposti” (T.A.R. Toscana Firenze, sez. 
III, 20 gennaio 2009, n. 21).
Ciò significa che il potere di vigilanza e controllo sull'attività edilizia 
attribuito all'autorità comunale non è limitato alla previsione di cui all’art. 
23, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, relativo alla disciplina della denuncia di 
inizio attività; trattandosi, infatti, di un potere generale attribuito 
all'autorità amministrativa per tutti i tipi di intervento edilizio che 
avvengono sul territorio di competenza,può svolgersi senza limiti di tempo e può 
esplicarsi sia attraverso l’esercizio del potere di sospensione che di 
ingiunzione alla demolizione da parte dell'ente comunale ex art. 27 del d.P.R. 
n. 380 del 2001 (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 03 febbraio 2006, n. 1506). 
Trattandosi di difformità dal titolo abilitativo formatosi, la fattispecie non 
rientra nell’ambito dell’esercizio del potere di autotutela da parte della 
Pubblica amministrazione, che si attua attraverso provvedimenti di secondo 
grado, quali l’annullamento o la revoca. Essa è, invece, esplicazione del 
diverso potere repressivo-ripristinatorio, conseguente all’accertamento 
dell’abuso compiuto.
2. Con il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso la parte lamenta la 
violazione degli artt. 7, 3 e 2 della l. n. 241/’90, nonché l’eccesso di potere 
per mancanza di presupposti e tardività dell’azione amministrativa.
I motivi, che per connessione logico giuridica possono essere trattati 
congiuntamente, sono infondati.
2.1. Posto che il potere di vigilanza urbanistico-edilizia rientra nell’ambito 
dell’attività vincolata, rispetto alla quale non residua alcuna discrezionalità 
in capo all’Amministrazione comunale in ordine alla repressione degli abusi, i 
cui estremi (particelle catastali interessate dalla recinzione) si desumono “per 
relationem” dalla denuncia di inizio attività e dalla ordinanza di sospensione 
dei lavori richiamate, alcun apporto partecipativo avrebbe potuto essere fornito 
dal ricorrente a seguito della eventuale comunicazione dell’avvio del 
procedimento finalizzato alla demolizione, la cui ingiunzione (o diffida a 
demolire) è stata impugnata con il presente ricorso. Trova, in ogni caso, 
applicazione il disposto di cui all’art. 21 octies della medesima legge, a norma 
del quale: “2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di 
norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata 
del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe 
potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento 
amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio 
del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto 
del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto 
adottato”.
2.2. Quanto alla natura della strada, esterna all’abitato del Comune di Oria, 
contrariamente all’assunto difensivo che, sul punto, deduce il difetto di 
istruttoria, essa è classificata “comunale”, dunque pubblica, nella delibera n. 
183 del 29.07.1981 della G.M., con la quale si è deliberato il piano delle 
strade esterne all’abitato, in ossequio alla l.r. n. 38 del 21.12.1977, 
approvato con Decreto della Regione Puglia n. 281 del 14.06.1982, figurando 
nell’elenco allegato.
2.3. La parte ricorrente sostiene, infine, che il lungo lasso di tempo trascorso 
dalla realizzazione delle opere, nel 1999, avrebbe ingenerato una posizione di 
affidamento sulla legittimità della loro realizzazione con conseguente necessità 
di una puntuale istruttoria, risultante dalla motivazione, in ordine al pubblico 
interesse alla loro demolizione – diverso da quello del mero ripristino della 
legalità - idonea a giustificare il sacrificio degli interessi privati oltre che 
una generica tardività nell’esercizio del potere repressivo che lo renderebbe 
illegittimo.
Osserva preliminarmente il Collegio che non possa ragionevolmente sostenersi 
che, nel caso di specie, l’inerzia della Amministrazione preposta alla vigilanza 
si sia protratta per lunghi periodi di tempo, sì da ritenere necessaria una 
specifica motivazione sulla attualità e sussistenza dell’interesse pubblico 
all’osservanza dell’assetto normativamente delineato e da ingenerare una 
situazione di incolpevole affidamento. Basti, a titolo esemplificativo, 
richiamare la sanzione della contravvenzione di cui all’art. 15, comma 1, del 
C.d.S., con ordine del ripristino dello stato dei luoghi, irrogata in data 
8.10.1999 (relazione di servizio, in pari data, del Corpo di Polizia 
municipale), l’ordinanza di sospensione dei lavori, n. 15 del 21.03.2000 e la 
motivazione della sentenza di assoluzione n. 406/01 Reg. Sent., sopra citata.
Ciò posto, ritiene il Collegio, ribadendo un orientamento già espresso, che 
“l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive costituisce atto dovuto non 
potendo il semplice trascorrere del tempo giustificare il legittimo affidamento 
del contravventore. Il potere di ripristino dello “status quo” non è soggetto ad 
alcun termine di prescrizione né è tacitamente rinunciabile, poiché il semplice 
trascorrere del tempo non può legittimare una situazione di illegalità” (T.A.R. 
Puglia, sez. Lecce, sez. III, n. 335/2010).
2.4. L’ordinanza è correttamente motivata in quanto, considerata la difformità 
dal titolo abilitativo (“costruzione del muro di cinta lungo la sede stradale 
senza avere rispettato l’arretramento previsto dal Nuovo Codice della Strada”, 
con espresso rinvio, per l’esatta indicazione dell’opera abusiva, alla relazione 
di servizio prot. n. 4056 del 22.02.2000, alla ordinanza di sospensione n. 15 
del 21.03.2000 ed alla nota prefettizia del 12.03.2001), richiamata la normativa 
di settore, dispone il consequenziale ripristino della legalità violata. 
Irrilevante, a tali fini, è la circostanza che il decreto prefettizio, 
contenente l’ordine di abbattimento della recinzione, quale sanzione 
amministrativa accessoria per avere violato l’art. 16 C.d.S., sia stato 
annullato con sentenza n. 131/2001 per mancato rispetto dei termini di legge, 
essendo l’Amministrazione comunale titolare di autonomi poteri di vigilanza e 
repressione degli abusi edilizi, una volta verificato il fatto dell’abuso.
2.5. Nell’ambito del modulo procedimentale della DIA, non essendo prevista 
l’emanazione di un provvedimento espresso, indipendentemente dalla 
qualificazione giuridica dell’istituto, non vi è spazio per l’applicazione 
dell’art. 2, della l. n. 241/’90 in ordine al rispetto dei termini per la 
conclusione del procedimento, essendo il soggetto automaticamente abilitato una 
volta trascorso il periodo temporale prescritto.
3. Con il sesto motivo di ricorso la parte lamenta l’eccesso di potere sotto la 
specie della ingiustificata disparità di trattamento.
Il motivo è privo di pregio.
Considerato come dato di fatto acquisito che la recinzione realizzata dal 
ricorrente lungo i terreni di proprietà è stata realizzata in violazione della 
fascia di rispetto delle strade comunali di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 
495/1992, risultando inequivocabilmente dall’accertamento del fatto materiale in 
sede penale, ex art. 654 c.p.p. (oltre che dalle risultanze del giudizio 
possessorio conclusosi con sentenza n. 176/2005, che attestano, altresì, lo 
sconfinamento nella sede stradale pubblica), il Collegio non ritiene che le 
eventuali pari o maggiori illegittimità compiute dagli altri frontisti rispetto 
alla strada in oggetto valgano a giustificare o legittimare la violazione 
compiuta dal ricorrente, si dà rendere censurabile il provvedimento repressivo 
impugnato.
4. Con il settimo motivo di ricorso la parte di duole dell’eccesso di potere 
sotto il profilo del travisamento dei fatti e della contraddittorietà con altro 
procedimento e della asserita natura privata e non classificata della strada 
vicinale “Romatizza”.
Tale motivo è privo di pregio.
Rinviando a quanto già esposto in ordine alla natura della strada vicinale, la 
circostanza meramente addotta ma non provata che il Comune, in occasione 
dell’accertamento tecnico preventivo richiesto, in sede civile, da altri 
frontisti, abbia domandato l’espletamento di una C.T.U. per determinare l’esatta 
classificazione della strada, eccependo il difetto di legittimazione passiva per 
non esserne proprietario, non consente a questo Collegio alcun ponderato 
sindacato, attesa la genericità e la natura della censura, che, da un lato, non 
definisce esattamente l’oggetto del contendere e, dall’altro, rinvia alla 
strategia difensiva assunta in altro giudizio dall’Amministrazione intimata non 
costituita per il presente gravame.
Sulla base delle sovra esposte considerazioni, il ricorso non è meritevole di 
accoglimento.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia – Lecce - sezione terza 
respinge il ricorso indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20/05/2010 con 
l'intervento dei Magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Ettore Manca, Primo Referendario
Gabriella Caprini, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE 
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
 
		
		
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