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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 
1974-9562
T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. III - 17 settembre 2010 n. 17440
DIRITTO URBANISTICO - Art. 36 d.P.R. n. 380/2001 - Tipizzazione legale del 
silenzio - Atto tacito di diniego - Impugnazione - Termine di sessanta giorni - 
Decorrenza. La disposizione normativa recata dall’art. 36, comma 3, del 
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia 
configura a tutti gli effetti un’ipotesi di tipizzazione legale del silenzio 
serbato dall’amministrazione. Una volta inutilmente decorso il suddetto termine, 
sulla domanda di sanatoria si forma a tutti gli effetti un atto tacito di 
diniego, con il conseguente onere della parte interessata di agire in sede 
impugnatoria nel termine di legge di sessanta giorni decorrente dalla data di 
formazione dell’atto negativo tacito (Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 
401; sez. V, 11 febbraio 2003, n. 706; sez. II, par. 12 aprile 2006, n. 
7375/2004; Id., par. 7 maggio 2008, n. 4581/20077; CGA, 14 settembre 2009, n. 
792; Tar Piemonte, sez. I, 8 marzo 2006, n. 1173; Id., 27 novembre 2007, n. 
3508; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 21 marzo 2006, n. 642; Tar Lazio, Latina, 
9 ottobre 2006, n. 1044; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 7 settembre 2006, n. 
7960 e 12 febbraio 2008, Id., sez. II, 21 novembre 2006, n. 10061, 23 settembre 
2008, n. 10619; 8 giugno 2009, n. 3139; Id., sez. VII, 5 dicembre 2006, n. 
10401; Id., sez. II; Tar Campania, Salerno, Sez. II, 7 marzo 2008, n. 257). 
Pres. f.f. ed Est. Carpentieri - A.M.A. (avv. Boccia) c. Comune di Terzigno 
(avv. Napolitano) - TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. III - 17 settembre 2010, n. 
17440
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 17440/2010 REG.SEN.
N. 08480/2005 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
 
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 8480 del 2005, proposto da:
Annunziata Maria Anastasia, rappresentata e difesa dall'avv. Raffaele Boccia, 
con domicilio eletto in Napoli, via Chiatamone n. 6, presso lo studio Foglia 
Manzillo
contro
il Comune di Terzigno, in persona del Sindaco legale rapp.te p.t., rappresentato 
e difeso dall'avv. Vincenzo Napolitano, con domicilio eletto in Napoli, Corso V. 
Emanuele, 670, presso l’avv. Ernesto Procaccini;
per l'annullamento
“a) del verbale di inottemperanza dei VV.UU. del Comune di Terzino del 
30/08/2005; b) di ogni altro atto preordinato, connesso, consequenziale comunque 
lesivo dell’ius aedificandi della ricorrente”.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Terzigno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2010 il dott. Paolo 
Carpentieri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in trattazione, notificato il 10 novembre 2005 e depositato in 
segreteria il 6 dicembre 2005, la sig.ra Annunziata Maria Anastasia, 
proprietaria di un immobile sito in Terzino alla via Delle Vigne, ha impugnato 
il verbale della polizia municipale n. prot. 327/05 del 30 agosto 2005 di 
accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di sospensione e/o demolizione 
dei lavori edilizi abusivi n. 55 del 10 maggio 2005, emessa a carico della 
medesima ricorrente e da questa (asseritamene) impugnata dinanzi a questo Tar.
A sostegno del gravame deduce diversi motivi di illegittimità dell’atto gravato.
Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Terzigno.
Alla pubblica udienza del 15 luglio 2010 la causa è stata chiamata e assunta in 
decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Sotto un primo profilo parte ricorrente invoca l’intervenuta presentazione, in 
data 14 giugno 2005, di un’apposita domanda di sanatoria dell’abuso commesso, 
domanda sulla quale il Comune non ha mai provveduto e della cui esistenza non 
viene dato atto nel verbale di inottemperanza qui impugnato.
Il mezzo di censura è infondato e va respinto, poiché si basa su di una non 
condivisibile ricostruzione dell’istituto dell’accertamento di conformità, di 
cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Come la Sezione ha avuto modo anche di statuire (sentenze 29 marzo 2010, n. 
1712; 27 gennaio 2010, n. 327), merita adesione l’orientamento giurisprudenziale 
prevalente secondo il quale la disposizione normativa recata dall’art. 36, comma 
3, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia 
edilizia, già art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (in base al quale 
“Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del 
competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro 
sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”), configura a 
tutti gli effetti un’ipotesi di tipizzazione legale del silenzio serbato 
dall’amministrazione. Con la conseguenza che, una volta inutilmente decorso il 
suddetto termine, sulla domanda di sanatoria si forma a tutti gli effetti un 
atto tacito di diniego, con il conseguente onere della parte interessata di 
agire in sede impugnatoria nel termine di legge di sessanta giorni decorrente 
dalla data di formazione dell’atto negativo tacito (Cons. Stato, sez. IV, 3 
febbraio 2006, n. 401; sez. V, 11 febbraio 2003, n. 706; sez. II, par. 12 aprile 
2006, n. 7375/2004; Id., par. 7 maggio 2008, n. 4581/20077; CGA, 14 settembre 
2009, n. 792; Tar Piemonte, sez. I, 8 marzo 2006, n. 1173; Id., 27 novembre 
2007, n. 3508; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 21 marzo 2006, n. 642; Tar Lazio, 
Latina, 9 ottobre 2006, n. 1044; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 7 settembre 
2006, n. 7960 e 12 febbraio 2008, Id., sez. II, 21 novembre 2006, n. 10061, 23 
settembre 2008, n. 10619; 8 giugno 2009, n. 3139; Id., sez. VII, 5 dicembre 
2006, n. 10401; Id., sez. II; Tar Campania, Salerno, Sez. II, 7 marzo 2008, n. 
257).
Questa soluzione, oltre che rispondente in tutta evidenza alla lettera del 
disposto normativo (in claris non fit interpretatio), risulta coerente anche con 
i criteri ermeneutici finalistico e sistematico, atteso che, da un lato, 
corrisponde al fine di legge di assicurare prontamente e tempestivamente il 
ripristino dell’interesse pubblico prioritario al corretto assetto 
urbanistico-edilizio del territorio violato dall’abuso, evitando il protrarsi di 
situazioni di incertezza tali che possano premiare e incentivare l’abusivismo, 
dall’altro lato esprime – del tutto logicamente – una presunzione relativa di 
non conformità urbanistico-edilizia dei lavori realizzati senza titolo, ponendo 
ragionevolmente a carico del soggetto che ha violato la legge e versa in una 
condizione illecita l’onere di attivarsi prontamente, anche nelle sedi 
giudiziarie, affinché sia dimostrato il contrario (ossia la natura solo formale 
e non sostanziale dell’abuso). La soluzione “attizia” della tipizzazione del 
silenzio come atto tacito di diniego risulta inoltre congruente con la natura 
vincolata dell’accertamento di conformità.
La Sezione dissente dal diverso orientamento, pure seguito da talune pronunce di 
altra Sezione di questo Tar (ad es., sez. IV, dec. in forma abbreviata 25 maggio 
2006, n. 6134), secondo cui la tesi “comportamentale” del silenzio-inadempimento 
avrebbe trovato formale consacrazione nella previsione dell’art. 43 della legge 
regionale della Campania sul governo del territorio n. 16 del 2004 (peraltro, 
nel senso, qui preferito, della ininfluenza sulla questio juris qui discussa del 
citato art. 43 della legge regionale n. 16 del 2004, cfr. di questo Tar , sez. 
VI, dec. 17 marzo 2008, n. 1366).
L’art. 43 ora citato, rubricato Accertamenti di conformità delle opere edilizie 
abusive, prevede quanto segue: “1. I responsabili dei servizi comunali 
competenti in materia di vigilanza sugli abusi edilizi trasmettono al presidente 
della giunta regionale l'elenco, corredato della relativa documentazione, delle 
opere abusive per le quali è stato richiesto l'accertamento di conformità 
previsto dal D.P.R. n. 380/01, articolo 36. 2. Il presidente della giunta 
regionale, trascorso il termine di cui al D.P.R. n. 380/01, articolo 36, comma 
2, diffida il comune a pronunciarsi con provvedimento espresso sulla richiesta 
di accertamento di conformità entro i termini di cui alla legge regionale n. 
19/01, articolo 1. 3. In caso di protratta inerzia del comune, il presidente 
della giunta regionale richiede l'intervento sostitutivo della provincia, da 
espletarsi nei termini e con le modalità di cui alla legge regionale n. 19/01, 
articolo 4. 4. La provincia trasmette i provvedimenti adottati in ordine 
all'accertamento di conformità al presidente della giunta regionale, al comune 
inadempiente ed all'interessato. 5. Se l'accertamento di conformità dà esito 
negativo, si applicano le disposizioni di cui alla legge regionale 18 novembre 
2004, n. 10, articolo 10. 6. Entro novanta giorni dalla data di entrata in 
vigore della presente legge, i responsabili dei servizi comunali competenti in 
materia di vigilanza sugli abusi edilizi trasmettono al presidente della giunta 
regionale l'elenco delle opere abusive per le quali è stato richiesto e non 
ancora compiuto l'accertamento di conformità previsto dal D.P.R. n. 380/01, 
articolo 36, corredato della relativa documentazione”.
Ora, la disposizione citata – che non qualifica in modo espresso il silenzio 
serbato dall’autorità comunale come inadempimento, ma si limita a predisporre e 
disciplinare un apposito meccanismo sostitutorio volto a provvedere sulla 
domanda in caso di silenzio comunale – deve essere interpretata – ad avviso del 
Collegio - in modo costituzionalmente orientato, nel senso della sua neutralità 
sul tema, qui in discussione, della qualificazione del silenzio nell’ambito del 
meccanismo dell’accertamento di conformità. Ed invero, la scelta del legislatore 
nazionale, chiaramente volta a qualificare il silenzio come atto tacito 
negativo, esprime (per le ragioni sistematiche e finalistiche sopra accennate) 
un principio fondamentale della materia urbanistica (“governo del territorio”), 
come tale non derogabile dalla legislazione regionale. La diversa 
interpretazione – che invece attribuisce alla norma regionale una portata 
qualificatoria del silenzio, in contrasto con il principio fondamentale della 
legge “quadro” nazionale – esporrebbe la disposizione regionale medesima a non 
infondati dubbi di costituzionalità. Non vi è peraltro nessuna contraddittorietà 
– sussistendo, invece, complementarietà e compatibilità logica – tra la 
qualificazione “attizia” negativa del silenzio e la previsione di meccanismi 
sostitutori – quali quelli introdotti dal citato art. 43 della legge regionale 
del 2004 - volti a provocare comunque una pronuncia amministrativa sulla domanda 
del privato. Ed invero, resta pacifica (a partire dalle note pronunce 
dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 16 e 17 del 1989 in tema di 
silenzio-rigetto) la giurisprudenza – del tutto condivisibile – che riconosce il 
potere di decisione postuma dell’amministrazione ed esclude la consumazione del 
potere di pronuncia sulla domanda pur dopo scaduto e inutilmente trascorso il 
termine di legge e ancorché con ciò sia maturata la pronuncia negativa tacita. 
Nulla osta, dunque, acché al meccanismo acceleratorio della tipizzazione legale 
del silenzio in senso negativo si affianchi un meccanismo volto ad assicurare in 
ogni caso una pronuncia, ancorché in via sostitutoria, sul merito della domanda. 
Né contrasta con questa soluzione l’onere di impugnativa giurisdizionale che 
incombe sulla parte, poiché nulla vieta che, una volta proposto ricorso innanzi 
al Tar avverso il diniego tacito, l’eventuale pronuncia dell’autorità sostituita 
determini (a seconda se favorevole o sfavorevole e confermativa del diniego) la 
sopravvenuta carenza d’interesse all’impugnativa giurisdizionale o l’onere di 
proposizione, in quella sede, di appositi motivi aggiunti.
La diversa soluzione, pur da taluna giurisprudenza propugnata, nel senso della 
natura non significativa del silenzio e nel senso, dunque, della inefficacia (o 
successiva invalidità) dell’ingiunzione di demolizione, onde l’improcedibilità 
del ricorso giurisdizionale avverso la misura sanzionatorio-ripristinatoria, sol 
che la parte abbia depositato una qualche domanda di sanatoria, rimasta inevasa, 
condurrebbe, d’altro canto, all’esito aberrante di paralizzare la reazione 
sanzionatoria dell’ordinamento avverso gli abusi edilizi, così di fatto 
facilitando il consolidamento degli abusi e incentivando la prosecuzione 
dell’abusivismo edilizio, con sostanziale svuotamento delle finalità 
dichiaratamente perseguite dal legislatore (non deve dimenticarsi in proposito 
che l’originario art. 13 della legge n. 47 del 1985 era contenuto nel capo primo 
di quella legge, destinato all’inasprimento della reazione sanzionatoria avverso 
l’abusivismo edilizio, in contrappeso dialettico al capo quarto di quella stessa 
legge, introduttivo, come è noto, del condono edilizio per il passato). In 
questo senso – sia pur con riferimento ad analoga previsione della legislazione 
regionale pugliese – si è espresso di recente anche il Giudice d’appello (Cons. 
Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 100, che ha annullato Tar Puglia, Bari, sez. 
III, 25 giugno 2005, n. 3035) affermando il principio per cui la legge regionale 
che prevede un potere sostitutivo nel caso in cui il sindaco omette di 
pronunciarsi entro sessanta giorni sulla domanda in sanatoria, essendo norma di 
organizzazione, non è incompatibile con l’art. 13 della legge n. 47 del 1985, a 
norma della quale la detta omissione comporta il rigetto della domanda.
Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente si duole della circostanza che 
il verbale impugnato non determina la superficie esatta che si pretende abusiva, 
che costituirebbe “elemento assolutamente necessario del successivo 
provvedimento di acquisizione”.
Il mezzo di censura in esame è anch’esso infondato. Come si evince dalla stessa 
prospettazione di parte ricorrente, la esatta determinazione della superficie 
destinata all’acquisizione può ritenersi elemento necessario del “successivo 
provvedimento di acquisizione”, ma non anche dell’odiernamente impugnato verbale 
di accertamento dell’inottemperanza all’ordine demolitorio (che non reca alcuna 
statuizione attuale in merito alla paventata acquisizione).
Con il terzo e ultimo motivo di ricorso si lamenta l’omissione della 
partecipazione procedimentale del privato.
La tesi è priva di fondamento. In disparte la questione inerente la natura 
interamente vincolata degli atti sanzionatori edilizi, cui consegue la ordinaria 
superabilità dei loro eventuali vizi formali e procedurali alla stregua 
dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, vi è risolutivamente da 
osservare, nel caso di specie in esame, che il verbale impugnato – già, come 
detto in principio, di dubbia autonoma impugnabilità – si sostanzia in un mero 
atto accertativo vincolato di fatti di inottemperanza rispetto a precedenti 
provvedimenti, atto propedeutico e preparatorio di successivi, eventuali 
provvedimenti incidenti nella sfera di proprietà privata della parte ricorrente, 
onde la non necessità, per esso, di adempiere alle formalità partecipative 
prescritte dalla legge n. 241 del 1990.
Per tutte le esposte ragioni il ricorso deve giudicarsi infondato e andrà come 
tale respinto.
Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico della parte 
ricorrente, nell’importo liquidato in dispositivo.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE III^, 
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si 
liquidano in complessivi euro 1.000,00 (mille/00).
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2010 con 
l'intervento dei Signori:
Paolo Carpentieri, Presidente FF, Estensore
Ida Raiola, Primo Referendario
Ines Simona Immacolata Pisano, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
 
 
		
		
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