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CORTE 
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 40945
RIFIUTI - Veicoli fuori uso - Modalità di raccolta e rottamazione - Attività 
organizzate per il traffico illecito di rifiuti - D.L.vo n. 209/2003 - Dir. 
2000/53/CE - Artt. 231 e 260 D.L.vo 152/2006 - Art. 416 c.p.. II trattamento 
sanzionatorio previsto dal D.L.vo n. 209/2003, che costituisce attuazione della 
direttiva 2000/53/CE, riguarda la violazione delle espresse previsioni contenute 
nel medesimo D.L.vo in tema di raccolta e trattamento dei veicoli fuori uso, e 
conseguentemente non "esaurisce" e "sostituisce" ogni ipotesi relativa alla 
disciplina dei rifiuti prevista dalla normativa "generale" di cui al D.L.vo n. 
152/2006. Tant'è che l'art.231 di quest'ultimo D.L.vo si limita a disciplinare 
le modalità di rottamazione dei veicoli a motore o dei rimorchi non previsti dal 
D.L.vo n.209/2003. Pertanto, non essendovi una deroga esplicita, né 
incompatibilità, anche per i veicoli fuori uso di cui al D.L.vo n. 209/2003, 
trova applicazione, ove ne ricorrano i presupposti, l'ipotesi delittuosa di cui 
all'art.260. Peraltro, sarebbe in contrasto con la stessa 'ratio' ed i principi 
ispiratori del D.L.vo 209/2003, che ha previsto una disciplina rigorosa per la 
raccolta ed il trattamento dei veicoli fuori uso, escludere l'ipotesi delittuosa 
ex art.260 in presenza di un'attività organizzata per il traffico illecito di 
detti rifiuti. (riforma ordinanza del 28.1.2010 del Tribunale di Napoli) Pres. 
Ferrua, Est. Amoresano, Ric. Del Prete ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, 
Sez. III, 19/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 40945
RIFIUTI - Gestione di rifiuti - Veicoli fuori uso - Attività organizzate - 
Presupposti - Art.53 bis del D.L.gs.n.22/97 ora Art. 260 D.L.vo 152/2006 - Art. 
416 c.p.. Il carattere abusivo dell'attività organizzata di gestione dei 
rifiuti, idoneo ad integrare il delitto di cui all'art.53 bis del D.L.gs.n.22/97, 
ora art.260 del D.Lgs. n.152 del 2006, si riferisce anche a quelle attività che, 
per le loro concrete modalità, risultino totalmente difformi da quanto 
autorizzato (Cass. pen. sez.3, 20.11.2007, n.358). Pertanto, sussiste il 
carattere abusivo dell'attività organizzata di gestione rifiuti qualora essa si 
svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle 
autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni 
manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano 
scadute o come, nella specie, palesemente illegittime e comunque non commisurate 
al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati 
e accompagnati da bolle false quanto a codice attestante la natura del rifiuto, 
in modo da celarne le reali caratteristiche e farli apparire conformi ai 
provvedimenti autorizzatori. (Cass. sez.5, 11.2.2006, n.40330). (riforma 
ordinanza del 28.1.2010 del Tribunale di Napoli) Pres. Ferrua, Est. Amoresano, 
Ric. Del Prete ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/11/2010 (Ud. 
21/10/2010) Sentenza n. 40945
RIFIUTI - Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti - 
Requisito dell'ingente quantità - Nozione - Conseguimento dell’ingiusto profitto 
- Nozione - Semplice riduzione dei costi aziendali - Giurisprudenza. In 
relazione al requisito dell'ingente quantità, è pacifico che esso vada riferito 
al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità 
di operazioni che, se considerate singolarmente, potrebbero essere di modesta 
entità. Anche se tale requisito non può essere desunto automaticamente dalla 
stessa organizzazione e continuità dell'abusiva gestione di rifiuti (Cass. pen. 
sez.3, 15.112005, n.12433). Ed è stata anche ritenuta manifestamente infondata 
la questione di legittimità costituzionale dell'art.53 bis D.L.gs.n.22 del 1997, 
ora art.260 del D.Lgs. n.152 del 2006 per violazione dell'art.25 Cost. sul 
presupposto dell'asserita indeterminatezza del concetto di ingente quantità di 
rifiuti, "essendo al contrario senz'altro possibile definire l'ambito 
applicativo della disposizione tenuto conto che tale nozione, in un contesto che 
consideri anche la finalità della norma, va riferita al quantitativo di 
materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni, anche 
se queste ultime, considerate singolarmente, potrebbero essere di entità 
modesta" (Cass. pen. sez.3, 20.11.2007, n.358). In ordine al "fine di conseguire 
un ingiusto profitto" deve considerarsi il risparmio dei costi aziendali di 
smaltimento, che i soggetti avrebbero dovuto sostenere se si fosse applicato in 
modi corretto la normativa di cui al D.L.vo 209/2003. Sicché, ai fini della 
sussistenza del dolo specifico richiesto per l'integrazione del delitto di 
gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti, il profitto perseguito 
dall'autore della condotta può consistere nella semplice riduzione dei costi 
aziendali (Cass. pen. Sez.4, 2.7.2007, n.28158). Non dovendo tale profitto 
necessariamente assumere natura di ricavo patrimoniale, potendo integrarsi anche 
con il semplice risparmio di costi o con il perseguimento di vantaggi di altra 
natura (Cass. sez.3, 6.10.2005, n.40827). (riforma ordinanza del 28.1.2010 del 
Tribunale di Napoli) Pres. Ferrua, Est. Amoresano, Ric. Del Prete ed altri. 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 
40945
RIFIUTI - Gestione e traffico illecito di rifiuti - Attività organizzate - 
Configurabilità del reato di cui all'art.416 c.p. - Art.260 D.L.vo 152/2006 - 
Fattispecie: falsa attribuzione del codice CER - mulino di frantumazione, con 
produzione del "proler" e del "fluff" senza bonifica preventiva - falsificazione 
dei documenti di trasporto. Si configura il reato di cui all'art.416 c.p., 
anche, quando il programma criminoso, preveda la commissione di una serie 
indeterminata di reati non riconducibili solo alla violazione dell'art.260 
D.L.vo 152/2006. Nella specie, al fine di organizzare l'ingente e lucrativo 
traffico illecito di rifiuti si faceva ricorso ad una indeterminata serie di 
reati di falso, ad un avvio fraudolento dei veicoli non bonificati allo 
smaltimento presso altre ditte facendo ricorso alla falsificazione dei documenti 
di trasporto, celando alle ditte di smaltimento la reale natura dei veicoli 
conferiti (veniva sistematicamente e sostanzialmente omessa l'operazione di 
messa in sicurezza) ricorrendo alla falsificazione dei codici identificativi. 
(Cass. n.18351 del 7.5.2008; Cass. sez. 3 s n.45057/2008 e n.25207/2008). 
Infine, al sodalizio, partecipavano anche soggetti estranei alla compagine 
sociale (ad es. autotrasportatori di "fiducia") e con diversi ruoli. Sicché 
anche sotto tale profilo, le condotte risultavano "assolutamente scisse 
dall'oggetto sociale statutariamente esistente" e qualificate " come 
sintomatiche di quell'affectio societatis di cui all'art.416 c.p.. 
(riforma ordinanza del 28.1.2010 del Tribunale di Napoli) Pres. Ferrua, Est. 
Amoresano, Ric. Del Prete ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 
19/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 40945
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Controllo di legittimità - Limiti e compiti - 
artt.273 e 274 c.p.p.. In tema di ricorso in Cassazione, la Suprema Corte 
non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle 
vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione 
delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle esigenze cautelari 
ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito 
rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del 
tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto 
all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le 
ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di 
illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine 
giustificativo del provvedimento (Cass. sez.6, 25.5.1995, n.2146). 
L'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art.273 c.p.p. e delle 
esigenze cautelari di cui all'art.274 stesso codice è, quindi, rilevabile in 
cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge 
od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Il controllo di 
legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei fatti, né 
l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la 
rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le 
censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella 
prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice 
di merito (Cass. sez.1, 23.3.1995, n.1769). Sicché, ove venga denunciato il 
vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di 
colpevolezza, è demandato al giudice di merito "la valutazione del peso 
probatorio" degli stessi, mentre alla Corte di cassazione spetta solo il compito 
"di verificare, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle 
ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a 
carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante 
la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai 
principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie" 
(Cass. sez.4, 3.5.2007, n.22500). (riforma ordinanza del 28.1.2010 del Tribunale 
di Napoli) Pres. Ferrua, Est. Amoresano, Ric. Del Prete ed altri. CORTE DI 
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 40945
     
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UDIENZA del 21.10.2010
SENTENZA N. 1342
REG. GENERALE N. 16960/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg. 
Dott. Giuliana Ferrua                                         
Presidente
Dott. Alfredo Teresi                                           
Consigliere
Dott. Amedeo Franco                                        
Consigliere
Dott. Silvio Amoresano                                      
Consigliere Rel.
Dott. Giulio Sarno                                             
Consigliere 
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Del Prete Mattia nato il xx.ad.xxxx
2) Del Prete Michele nato il xx.ad.xxxx
3) Del Prete Mariano nato il xx.ad.xxxx
4) Del Prete Giuseppe nato il xx.ad.xxxx
5) Del Prete Pasquale nato il xx.ad.xxxx
6) Di Nuzzo Andrea nato il xx.ad.xxxx
- avverso l'ordinanza del 28.1.2010 del Tribunale di Napoli
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
- sentite le conclusioni del P. G., dr. M.Giuseppina Fodaroli, che ha chiesto il 
rigetto del ricorso
- sentito il difensore, avv. Antonio Abet, che ha chiesto l'accoglimento dei 
ricorsi.
OSSERVA
1) Con ordinanza in data 28.1.2010 il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta 
di riesame proposta da Del Prete Pasquale, Del Prete Mattia, Del Prete Michele, 
Del Prete Mariano, Del Prete Giuseppe, Maselli Delio, Di Nuzzo Andrea, Di Nuzzo 
Angelo, Di Nuzzo Mario e Palmiero Salvatore avverso l'ordinanza emessa il 
10.12.2009 dal GIP del Tribunale di Napoli, con la quale era stata applicata ai 
primi sei la misura cautelare della custodia in carcere ed agli altri la misura 
dell'obbligo di dimora nel comune di residenza in relazione ai reati di cui: 
A) art.416 c.p. acc.in Arzano e Caivano da dicembre 2004 con condotta tuttora 
perdurante; 
B) artt.110, 81 c.p. e 260 D.L.vo 152/06, acc.in Arzano da dicembre 2004 con 
condotta tuttora perdurante; 
C) artt,110, 81 c.p. e 260 D.L.vo 152/06, acc. in Arzano da gennaio 2006 con 
condotta perdurante.
Premetteva il Tribunale che l'indagine era stata avviata a seguito di un 
sopralluogo eseguito in data 21.11.2005 dal Comando CC. N.O.E. di Napoli, 
unitamente all'ARPAC, presso la Ditta Cartofer, con sede in Arzano, di cui era 
rappresentante legale Del Prete Mattia. Tale ditta risultava autorizzata 
all'esercizio di attività di demolizione e rottamazione di autoveicoli ed 
all'esercizio di stoccaggio provvisorio, cernita e trattamento di rifiuti 
derivanti dall'attività di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi e non. Si 
accertava, però, che in contrasto con le prescrizioni previste nell'originario 
decreto di autorizzazione emesso dal Presidente Commissario per l'emergenza 
rifiuti in Campania e nei successivi decreti di rinnovo, la ditta, di fatto, 
ometteva l'attività di bonifica (veniva eseguita solo una parte delle operazioni 
necessarie alla effettiva messa in sicurezza) e smaltiva le parti provenienti 
dal parziale trattamento unitamente ad altri rifiuti. Veniva a delinearsi, 
quindi, un illecito smaltimento di rifiuti speciali (pericolosi e non).
Gli operanti proseguivano le investigazioni con intercettazioni autorizzate 
sulle utenze dei fratelli Del Prete e di Maselli Delio, responsabile tecnico 
della Cartofer, con ulteriori sopralluoghi sugli impianti dei bel Prete medesimi 
e delle ditte che ricevevano i veicoli avviati allo smaltimento, con servizi di 
osservazione, controllo e pedinamento. Si accertava così la prosecuzione 
dell'irregolare gestione dei rifiuti da parte della CARTOFER, ma anche della 
DEL.FRAN.srl , altra società riconducibile ai Del Prete.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che, a carico degli indagati, sussistesse 
un grave quadro indiziario, suffragato ulteriormente dalle indagini riportate 
nella informativa dei CC. N.O.E. del 27.1.2010 prodotta in udienza.
Nel rinviare all'ordinanza impugnata ed alla ricostruzione approfondita degli 
atti di indagine in essa operata, assumeva il Tribunale che risultasse 
univocamente che il complesso plurisocietario gravitante intorno ai fratelli Del 
Prete (stratagemma ideato per sopperire a contingenti situazioni di emergenza e 
per continuare ad operare utilizzando formalmente nel conferimento dei rifiuti 
altre società) avesse gestito quantitativi ingenti di rifiuti. La disciplina 
applicabile era quella di cui al D.L.vo 152/06 che aveva recepito la previgente 
disciplina del D.L.vo 22/97 e, in particolare, la materia relativa ai veicoli 
fuori uso ed alla bonifica necessaria per il recupero di detto materiale era 
regolata dal D.L.vo 209/2003 che costituiva attuazione della direttiva 
200/53/CE. Secondo il predetto D.L.vo 209/03 il veicolo può definirsi fuori uso 
quando sia stata osservata la rigida disciplina in esso prevista e sia stato 
bonificato. Contenendo le autovetture sostanze altamente tossiche (in 
particolare i liquidi dei freni e delle batterie), il veicolo non correttamente 
bonificato deve considerarsi rifiuto pericoloso avente codice CER 16.01.04.
Come emergeva dalle indagini, le prescrizioni normative erano state 
sistematicamente disattese dalla Cartofer e dal gruppo societario ad essa 
riconducibile, con conseguente realizzazione di ingiusti profitti derivanti dal 
mancato sostenimento dei costi richiesti per la corretta attività di recupero 
lecito dei rifiuti gestiti, cui veniva, all'atto del conferimento, 
strumentalmente attribuito il falso codice CER 160106 (veicoli fuori uso non 
contenenti liquidi né altre componenti pericolose) invece di quello 
normativamente previsto (CER 160104-rifiuti pericolosi costituiti da veicoli 
fuori uso).
Riteneva, poi, il Tribunale corretta la qualificazione delle condotte poste in 
essere dagli indagati ex art. 416 c.p. e 260 D.L.vo n.152/06, disattendendo la 
tesi difensiva della ipotizzabilità della fattispecie contravvenzionale di cui 
all'art.183 lett.d) D.L.vo 152/06 ovvero delle altre ipotesi contravvenzionali 
in tema di attività svolta in difformità dall'autorizzazione previste dal 
medesimo D.L.vo. Il delitto di traffico illecito di rifiuti riguarda, come 
chiarito dalla Corte di Cassazione, qualsiasi forma di gestione dei rifiuti, 
svolta in violazione delle disposizioni in materia, e non può ritenersi 
agganciato alla nozione di gestione di cui all'art.6 commal lett.d) D.L.vo 22/97 
(ora 183 lett.d) D,.L.vo 152/2006).
La disciplina di cui al D.L.vo n.209/2003 considera il veicolo fuori uso 
appartenente ad una delle categorie indicate nello stesso articolo un rifiuto, 
per cui l'attività del soggetto che provvede allo smantellamento di veicoli non 
più funzionanti rientra nell'ambito dello smaltimento e del recupero e non può 
essere esercitata senza autorizzazione.
Ricorrevano, poi, tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all'art.416 
c.p. (vincolo associativo stabile, indeterminatezza del programma criminoso, 
struttura organizzativa). Escludeva il Tribunale che vi fosse una illegittima 
duplicazione di contestazioni, essendo pienamente ipotizzabile il reato 
associativo con l'ipotesi concorsuale ipotizzata in relazione al reato di cui 
all'art.260.
Passava quindi il Tribunale ad esaminare la posizione dei singoli indagati, 
evidenziando per ciascuno di essi il grave quadro indiziario che giustificava 
l'applicazione della misura e le esigenze cautelari.
2) Propongono ricorso per cassazione Del Prete Mattia, Del Prete Mariano, Del 
Prete Giuseppe, Del Prete Michele, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione 
in relazione agli artt. 416 c.p. e 260 D.L.vo 152/2006.
La disciplina di cui al D.L.vo 152/06 è inapplicabile, trovando applicazione, 
per le autovetture fuori uso da rottamare, la normativa speciale di cui al 
D.L.vo 209/2003. La stessa giurisprudenza richiamata dal Tribunale, lungi 
dall'ipotizzare il concorso delle due normative le considera alternative. 
Insussistenti sono poi i reati ipotizzati. Palese è la sovrapposizione delle 
condotte e delle contestazioni. Ci si trova in presenza non dei requisiti 
strutturali del delitto associativo, ma di una serie di operazioni di bonifica 
di autovetture da rottamare, che, anche se in alcuni casi possono essere state 
svolte in modo non conforme alle prescrizioni, non sono certo frutto di una 
programmazione criminoso, ma della attuazione di una normale attività di impresa 
che si avvaleva dei dipendenti o di lavoratori autonomi (trasportatori). 
Peraltro la motivazione della sentenza impugnata è palesemente illogica, laddove 
per giustificare il cumulo delle due imputazioni fa mero riferimento alla 
compatibilità astratta tra delitto associativo e reati fine.
II Tribunale non si è reso conto, anche in ordine alle presunte difformità di 
gestione del ciclo di rottamazione, che nel biennio 2006-2007 erano stati 
smaltiti oli per motori e batterie in misura quanto meno accettabile rispetto al 
numero di veicoli fuori uso entrati. Non è esatto, pertanto, che la bonifica, 
come recita il capo b), non venisse affatto eseguita.
Per quanto riguarda il reato di cui al capo e) (relativo al traffico organizzato 
di rifiuti in capo alla bel. Fran) l'interpretazione della normativa fornita dal 
Tribunale è chiaramente erronea, essendo stato ipotizzato il reato di cui 
all'art.260 per la presunta pericolosità del "fluff" e del "proler" prodotto 
dalla Del Fran.
Il Tribunale, poi, omette di considerare che i requisiti della fattispecie di 
cui all'art.260 sono del tutto mancanti sotto il profilo dell'abusività 
dell'attività (in presenza di autorizzazioni si sarebbe dovuto individuare le 
difformità in termini qualitativi e quantitativi), di ingenti quantitativi (non 
potendo tale requisito essere desunto automaticamente dalla stessa 
organizzazione e continuità dell'abusiva gestione) e di dolo specifico (da 
dimostrare a carico di ciascun indagato e non potendosi fare apoditticamente 
riferimento ai minor costi).
Con il secondo motivo denunciano la violazione di legge ed il vizio di 
motivazione in relazione all'art.483 c.p. (contestato ai capi c), f) i) ed m). 
Venendo la bonifica eseguita, anche se in misura incompleta, non è affatto vero 
che il "pacco" debba automaticamente essere classificato come rifiuto 
pericoloso. Bisogna infatti accertare se l'incompletezza della bonifica derivi 
dalla omessa rimozione di materiale pericoloso o non pericoloso. Non è quindi 
dimostrato che al "pacco" non potesse essere attribuito il codice di rifiuto non 
pericoloso 16.01.06. In ogni caso andavano accertate le responsabilità 
individuali.
Illogica, infine, è la motivazione nella parte in cui attribuisce rilievo 
indiziario della partecipazione dei singoli indagati alle ipotesi delittuose 
contestate sulla base delle intercettazioni attestanti la partecipazione ai 
singoli atti di gestione o esecuzione dell'attività di impresa.
3) Propone ricorso per cassazione Del Prete Pasquale, con atto sottoscritto 
personalmente, con gli stessi motivi del ricorso precedente.
4) Ricorre per cassazione Di Nuzzo Andrea, a mezzo del difensore.
Dopo una premessa in fatto, denuncia, con il primo motivo, la violazione di 
legge ed il vizio di motivazione in relazione all'art.273 comma 1 ed 1 bis 
c,p.p., avendo il Tribunale ritenuto sussistente un grave quadro indiziario nei 
confronti del ricorrente in relazione ai delitti di cui agli artt.416 c.p. e 260 
D.L.vo 152/06.
Secondo il Tribunale, per valutare la partecipazione all'illecito traffico di 
rifiuti, fondamentali sono le intercettazioni telefoniche. In assenza però di 
intercettazioni riferibili al Di Nuzzo, ha desunto la partecipazione al delitto 
associativo dalla documentazione rinvenuta presso la Siderurgica srl, dalla 
quale emergerebbe che il predetto tra il 2.1.2006 e il 21.9.2006 avrebbe 
conferito alla stessa 2.665.410 tonnellate di rifiuti non bonificati provenienti 
dalla Cartofer. Ma in assenza di riscontri è altrettanto plausibile l'ipotesi 
che l'indagato conferisse in virtù delle autorizzazioni della Regione Campania 
materiale classificato come CER 16.01.06.
Gli elementi raccolti, comunque, non consentono di ritenere lo stabile 
inserimento del ricorrente nella struttura organizzativa facente capo ai Fr.lli 
Del Prete. La prova del delitto associativo non può desumersi dalla consumazione 
dei singoli delitti, né automaticamente dalla effettuazione di una serie di 
trasporti.
Quanto al reato di cui aIl'art.260 D.L.vo 152/2006, il delitto implica una 
pluralità di condotte in continuità temporale e più operazioni illegali.
Il Tribunale apoditticamente ha ritenuto che i conferimenti effettuati 
dall'indagato presso la Siderurgica fossero conferimenti di pacchi non 
bonificati; ha omesso, però, di indicare in modo preciso il grado di difformità, 
in termini qualitativi e quantitativi, tra le attività autorizzate e quelle 
effettivamente poste in essere.
Quanto al reato di cui all'art.260 ascritto al capo e) in relazione alle ingenti 
quantità di rifiuti ferrosi di varia natura che sarebbero stati lavorati presso 
la Del.Fran, in assenza delle prescritte autorizzazioni, ricavandone una materia 
prima secondaria "proler" ed un rifiuto "fluff" senza effettuare alcun 
trattamento di bonifica, non vi è prova alcuna di trasporti da parte 
dell'indagato.
Denuncia ancora la violazione di legge in relazione all'art.260 D.L.vo 152/06. 
Per il perfezionamento del reato occorre la predisposizione di una vera e 
propria organizzazione professionale, anche se rudimentale, per gestire in modo 
continuativo ed illegale ingenti quantitativi di rifiuti al fine di conseguire 
un ingiusto profitto.
Il Tribunale non ha tenuto conto, in particolare, sotto il profilo dell'elemento 
costitutivo dell'ingente quantità, che il quantitativo trasportato dall'indagato 
(pari a 2.665.410 tonnellate è assai modesto rispetto all'intero quantitativo di 
rifiuti trattati e conferiti dalla Cartofer e dalla Del.Fran. Tenuto conto che i 
rifiuti trasportati dall'indagato venivano lecitamente trattati dalla CARTOFER, 
in assenza di prova contraria, il dato quantitativo risulta ancora inferiore 
rispetto a quello stimato. Il Tribunale ha inoltre omesso di considerare che 
mancava il carattere della continuità ed abitualità ed era assente il requisito 
dell'ingiusto profitto (il risparmio di costi costituiva un vantaggio per il 
produttore ma non per l'indagato).
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5) Va premesso, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei 
provvedimenti "de libertate", che, secondo giurisprudenza consolidata, la Corte 
di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e 
fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè di 
rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle 
esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di 
apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha 
applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all'esame del contenuto 
dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo 
hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di illogicità evidenti, ossia la 
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento 
(Cass.sez.6 n.2146 del 25.5.1995).
L'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art.273 c.p.p. e delle 
esigenze cautelari di cui all'art.274 stesso codice è, quindi, rilevabile in 
cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge 
od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione 
dei fatti, né l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle 
fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono 
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si 
risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze 
esaminate dal giudice di merito (cfr.ex multis Cass. sez.1 n.1769 del 
23.3.1995). Sicchè, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla 
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandato al giudice di merito 
"la valutazione del peso probatorio" degli stessi, mentre alla Corte di 
cassazione spetta solo il compito " ...di verificare..., se il giudice di merito 
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la 
gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza 
della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto 
ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l'apprezzamento 
delle risultanze probatorie" (Cass.sez.4 n.22500 del 3.5.2007).
5.1) Tanto premesso, il Tribunale ha rilevato che, sulla base delle acquisizioni 
probatorie, sussistevano, nei confronti dei fratelli Del Prete, gravi indizi di 
colpevolezza in ordine a tutti i reati contestati.
I Giudici del riesame, pur con i limiti del giudizio cautelare, hanno accertato, 
in modo inequivocabile, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del 
reato di cui all'art.260 D.L.vo 152/2006 (attività organizzata per il traffico 
illecito di rifiuti). 
5.1.1) Con accertamento in fatto, adeguatamente motivato, hanno innanzitutto 
evidenziato, sulla base di quanto accertato dai Carabinieri del N.O.E. e doll' 
ARPAC presso la Cartofer, che la bonifica dei veicoli non veniva svolta secondo 
le prescrizioni di cui al D.L.vo 209/2003 e di cui agli stessi provvedimenti 
autorizzatori. Mentre infatti la regolare procedura prevedeva la raccolta dei 
veicoli da rottamare, la loro bonifica e messa in sicurezza, la pressatura e la 
riduzione in cubi, l'avvio per lo smaltimento presso le ditte autorizzate, si 
accertava che, di fatto, era omessa proprio l'attività di bonifica (venivano 
eseguite soltanto parzialmente le operazioni per la messa in sicurezza e, 
peraltro, senza l'adozione delle necessarie cautele). Sulla pavimentazione dove 
erano stoccati i veicoli fuori uso, bonificati in attesa di conferimento, erano 
presenti "vistose chiazze di liquidi scuri che percolavano dai cubi costituiti 
dalle autovetture pressate.."; dalla ispezione dei predetti cubi emergeva che 
essi erano composti da autoveicoli fuori uso che, pur privi di motore, cambio e 
batteria, erano ancora provvisti "di ruote complete di pneumatici, della 
tappezzeria, ammortizzatori, scatola guida, cruscotto e paraurti, parabrezza, 
pompa freno e frizione, nonché in cinque cubi su dieci-erano rinvenuti i filtri 
del carburante ancora gocciolante. Le investigazioni eseguite dagli operanti 
(anche a mezzo di video riprese e di intercettazioni telefoniche) confermavano 
l'illecito "modus operandi.' Le analisi eseguite sui campioni sia dall'Arpac di 
Napoli che dall'Arpac di Udine e Brescia confermavano la natura "ibrida" e di 
fatto pericolosa dei rifiuti conferiti, "in quanto composti da autoveicoli fuori 
uso solo parzialmente bonificati e ancora dotati di parti pericolose, quali 
pneumatici, ammortizzatori, scatole guida, pompe freno e frizione, filtri 
carburanti". Sulla base di tali precise circostanze indizianti il Tribunale è 
fondatamente pervenuto alla conclusione che gli autoveicoli convertiti in pacchi 
"siano rimasti un rifiuto speciale pericoloso: infatti solo alcune parti del 
veicolo (batteria, carburante, motore e marmitta) sono state prelevate, ma vi 
sono rimasti tutti i liquidi (condensatori, filtri e grassi costituenti 
anch'essi rifiuti speciali pericolosi). Altrettanto correttamente il Tribunale 
ha ritenuto che il "pacco" non potesse essere avviato allo smaltimento come 
rifiuto non pericoloso e che, quindi, andasse attribuito il codice CER 16.01.04 
/ (rifiuti pericolosi costituiti da veicoli fuori uso) e non quello falso CER 
16.01.06 (veicoli fuori uso non contenenti liquidi né altre componenti 
pericolose).
Ha accertato poi il Tribunale che i motori e le marmitte provenienti dalle 
autovetture demolite presso la Cartofer, unitamente ad altri parti ferrose ed 
alle carcasse di autoveicoli non compattati conferite da altre ditte, venivano 
trasportati presso la Del.Fran, come emergeva dai servizi di O.C.P. e dalle 
video riprese, senza alcuna documentazione (F.I.R.). Tali rifiuti, dopo essere 
stati scaricati su un piazzale, venivano macinati con un mulino di 
frantumazione, con produzione del "proler" e del "fluff". Le conversazioni 
telefoniche e le analisi dell'ARPAC confermavano, secondo il Tribunale, la 
natura ibrida e di fatto pericolosa di tali rifiuti conferiti alle imprese del 
Nord.
5.1.2) Correttamente il Tribunale ha ritenuto che l'attività posta in essere 
venisse svolta in modo abusivo, perchè in violazione della normativa e delle 
stesse autorizzazioni (venendo sostanzialmente omessa la bonifica e la messa in 
sicurezza dei veicoli) o, addirittura, in assenza di autorizzazioni (negli archi 
temporali in cui esse risultavano revocate) o presso impianti non autorizzati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti "Il carattere abusivo 
dell'attività organizzata di gestione dei rifiuti, idoneo ad integrare il 
delitto di cui all'art.53 bis del D.L.gs.n.22/97, ora art.260 del D.Lgs. n.152 
del 2006, si riferisce anche a quelle attività che, per le loro concrete 
modalità, risultino totalmente difformi da quanto autorizzato" (cfr.Cass.pen-sez.3 
n.358 del 20.11.2007). Sicchè "Sussiste il carattere abusivo dell'attività 
organizzata di gestione rifiuti...qualora essa si svolga continuativamente 
nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica 
non solo allorchè tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività 
clandestina), ma anche quando esse siano scadute o come, nella specie, 
palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, 
aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati e accompagnati da bolle 
false quanto a codice attestante la natura del rifiuto, in modo da celarne le 
reali caratteristiche e farli apparire conformi ai provvedimenti autorizzatori..." 
(Cass. sez.5 n.40330 dell' 11.2.2006).
5.1.3) Quanto alla gestione dei rifiuti "con più operazioni e l'allestimento di 
mezzi ed attività continuative organizzate" ha accertato il Tribunale che 
pacificamente ci si trovava in presenza di molteplici cessioni, ricezioni ed 
azioni di trattamento, svolte in un lungo arco temporale, posti in essere dalla 
CARTOFER e dalla DEL.FRAN con utilizzo di uomini, impianti, mezzi e risorse 
finanziarie.
In relazione al requisito dell'ingente quantità, è pacifico che esso vada 
riferito al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una 
pluralità di operazioni che, se considerate singolarmente, potrebbero essere di 
modesta entità; anche se tale requisito non può essere desunto automaticamente 
dalla stessa organizzazione e continuità dell'abusiva gestione di rifiuti (Cass.pen.sez.3 
n.12433 del 15.112005). Ed è stata anche ritenuta manifestamente infondata la 
questione di legittimità costituzionale dell'art.53 bis D.L.gs.n.22 del 1997, 
ora art.260 del D.Lgs. n.152 del 2006 per violazione dell'art.25 Cost. sul 
presupposto dell'asserita indeterminatezza del concetto di ingente quantità di 
rifiuti, "essendo al contrario senz'altro possibile definire l'ambito 
applicativo della disposizione tenuto conto che tale nozione, in un contesto che 
consideri anche la finalità della norma, va riferita al quantitativo di 
materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni, anche 
se queste ultime, considerate singolarmente, potrebbero essere di entità 
modesta" (cfr.Cass.pen.sez.3 n.358 del 20.11.2007).
Il Tribunale si è attenuto a tali consolidati principi ed ha accertato che si 
era in presenza di migliaia di tonnellate al mese per un totale di 68.000 
tonnellate nel solo periodo gennaio 2006-aprile 2007. L'accertamento del 
requisito dell'ingente quantitativo viene fondato, quindi, su un dato fattuale 
preciso (neppure specificamente contestato dai ricorrenti) e non certo desunto, 
automaticamente, dalla continuità dell'abusiva gestione.
5.1.4) Anche in ordine al "fine di conseguire un ingiusto profitto" il Tribunale 
ha ineccepibilmente ritenuto che tale debba considerarsi il risparmio dei costi 
aziendali di smaltimento, che la Certofer e la Del Fran avrebbero dovuto 
sostenere se si fosse applicato in modi corretto la normativa di cui al D.L.vo 
209/2003.
Anche sul punto la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente consolidata 
("Ai fini della sussistenza del dolo specifico richiesto per l'integrazione del 
delitto di gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti.., il profitto 
perseguito dall'autore della condotta può consistere nella semplice riduzione 
dei costi aziendali "cfr.ex multis Cass.pen. Sez.4 n.28158 del 2.7.2007; 
non dovendo tale profitto necessariamente "assumere natura di ricavo 
patrimoniale, potendo integrarsi anche con il semplice risparmio di costi o con 
il perseguimento di vantaggi di altra natura" Cass.sez.3 n.40827 del 6.10.2005).
5.2) Attraverso l'approfondita disamina delle acquisizione probatorie il 
Tribunale ha quindi ritenuto sussistenti tutti gli elementi costituivi 
(stabilità, continuità, organizzazione, ingente quantità) del delitto di cui 
all'art.260 b.L.vo 152/2006 e non delle contravvenzioni di cui al medesimo 
D.L.vo. Sono invero le modalità del fatto a consentire di stabilire se si verta 
nella ipotesi delittuosa o in quelle contravvenzionali. Non può, poi, essere 
accolta l'interpretazione prospettata dai ricorrenti in ordine alla 
applicabilità della disciplina "specifica e speciale" di cui al D.L.vo 209/2003, 
che escluderebbe l'applicabilità della normativa di cui al D.L.vo 152/2006.
Il D.L.vo 209/2003, che costituisce attuazione della direttiva 2000/53/CE, si 
applica ai veicoli fuori uso, come definiti dall'art.3, comma 1, lett.b), e ai 
relativi componenti e materiali a prescindere dal modo in cui il veicolo è stato 
mantenuto o riparato durante il suo ciclo di vita e dal fatto che esso è dotato 
di componenti forniti dal produttore o di altri componenti ...." (art.1) e 
disciplina la raccolta dei veicoli destinati alla demolizione (art.5), le 
prescrizioni relative al trattamento dei veicoli fuori uso, destinati alla 
demolizione, messa in sicurezza, bonifica, separazione dei materiali) -art.6 - 
L'art.13 prevede poi delle ipotesi contravvenzionali (commi 1 e 2) nei confronti 
di chiunque effettua attività di gestione dei veicoli fuori uso e dei rifiuti 
costituiti dei relativi componenti e materiali in violazione delle disposizioni 
degli artt. 5 e 6. II trattamento sanzionatorio previsto dal predetto D.L.vo 
riguarda quindi la violazione delle espresse previsioni contenute nel medesimo 
D.L.vo in tema di raccolta e trattamento dei veicoli fuori uso, e 
conseguentemente non "esaurisce" e "sostituisce" ogni ipotesi relativa alla 
disciplina dei rifiuti prevista dalla normativa "generale" di cui al D.L.vo 
152/2006. Tant'è che l'art.231 di quest'ultimo D.L.vo si limita a disciplinare 
le modalità di rottamazione dei veicoli a motore o dei rimorchi non previsti dal 
D.L.vo 209/2003.
Non essendovi una deroga esplicita, né incompatibilità, anche per i veicoli 
fuori uso di cui al D.L.vo 209/2003, trova applicazione, ove ne ricorrano i 
presupposti, l'ipotesi delittuosa di cui all'art.260. Sarebbe, peraltro, in 
contrasto con la stessa 'ratio' ed i principi ispiratori del D.L.vo 
209/2003, che ha previsto una disciplina rigorosa per la raccolta ed il 
trattamento dei veicoli fuori uso, escludere l'ipotesi delittuosa ex art.260 in 
presenza di un'attività organizzata per il traffico illecito di detti rifiuti.
5.3) In ordine alla configurabilità del reato di cui all'art.416 c.p. il 
Tribunale non si è limitato ad affermare la compatibilità in astratto dello 
stesso con i reati-fine.
Ha richiamato la sentenza di questa Corte n.18351 del 7.5.2008 che ha ritenute 
sussistente il concorso tra i due delitti (implicitamente, nello stesso senso, 
vanno ricordate anche le sent. di questa 3 sezione n.45057/ 2008 e 
n.25207/2008).
Ed ha sottolineato che, accanto al delitto di cui all'art.260 D.L.vo 152/2006, 
era ravvisabile "una seconda e distinta condotta, che si è rivelata connotata 
dall'ideazione e realizzazione, da parte di soggetti non necessariamente legati 
tra loro, di un programma criminoso generico ed indeterminato, al quale ciascuno 
ha coscientemente partecipato aderendo ai suoi scopi e ponendo in essere una 
serie reiterata di singoli reati-fine: condotta questa, cui non può non 
riconoscersi -in quanto distinto pactum sceleris- l'autonomia del delitto 
di cui all'art.416 c.p.".
Come emerge dalla complessiva motivazione del provvedimento impugnato il 
Tribunale ha ritenuto cioè che il sodalizio criminoso non coincideva con 
l'organigramma societario della Cartofer- Del.FRAN, ma si estendeva anche ad 
altri soggetti (persone fisiche e giuridiche) appartenenti ad assetti societari 
anche diversi ed aveva come programma un numero indeterminato di reati non solo 
in materia ambientale ma anche di falso.
Non si trattava quindi di una "normale attività di impresa" avente ad oggetto 
una serie di operazioni di bonifica di auto da rottamare., ma di una vera e 
propria "societas sceleris", sovraordinata rispetto alla trafila 
commerciale dela Cartofer e della Del.Fran.
II sodalizio faceva addirittura ricorso alla creazione di società satelliti o 
alla cessione fittizia di rami d'azienda o di quote sociali per sopperire a 
contingenti situazioni e continuare a svolgere l'attività. Si accertava infatti 
che, nonostante la revoca delle autorizzazioni, sia la Cartofer che la Del Fran 
continuavano ad operare attraverso il ricorso appunto a cessioni fittizie (la 
Cartofer cedeva fittiziamente il proprio ramo d'azienda alla società ECO.TOR e 
le quote sociali della DEL.FRAN. venivano cedute in favore di altri soggetti e 
la carica di amministratore unico era assunta da Capone Giovanni, il quale era 
stato appena assunto come operaio in prova presso la Cartofer). Il programma 
criminoso, poi, prevedeva la commissione di una serie indeterminata di reati non 
riconducibili solo alla violazione dell'art.260 D.L.vo 152/2006. Al fine di 
organizzare l'ingente e lucrativo traffico illecito di rifiuti si faceva ricorso 
ad una indeterminata serie di reati di falso. Ha in proposito sottolineato il 
Tribunale che l'avvio fraudolento dei veicoli non bonificati allo smaltimento 
presso le ditte del Nord avveniva facendo ricorso alla falsificazione dei 
documenti di trasporto. Per celare, infatti, alle ditte di smaltimento la reale 
natura dei veicoli conferiti (si è visto come venisse sistematicamente e 
sostanzialmente omessa l'operazione di messa in sicurezza) si ricorreva alla 
falsificazione dei codici identificativi.
Al sodalizio, infine, partecipavano anche soggetti estranei alla compagine 
sociale (ad es. autotrasportatori di "fiducia") e con diversi ruoli; sicché 
anche sotto tale profilo, osserva correttamente il Tribunale, le condotte degli 
indagati risultano "assolutamente scisse dall'oggetto sociale statutariamente 
esistente" e vanno qualificate "piuttosto come sintomatiche di quell'affectio 
societatis di cui all'art.416 c.p.
5.4) Con motivazione esente da vizi logici e giuridici il Tribunale ha ritenuto 
sussistenti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti dei ricorrenti Del 
Prete. Sulla base di specifiche emergenze (in particolare le intercettazioni 
telefoniche) ha individuato il contributo da ciascuno apportato alla 
realizzazione del programma criminoso e dei reati fine e la consapevole 
partecipazione al sodalizio criminoso.
Tali gravi indizi, specificamente esaminati e riportati nell'esame delle singole 
posizioni (Del Prete Mattia-pag.23-25; Del Prete Pasquale pag.25-28; Del Prete 
Michele pag.28-30; Del Prete Mariano -pag.30-31; Del Prete Giuseppe-pag.32-36), 
non risultano, peraltro, neppure espressamente contestati, se non attraverso una 
generica censura (le intercettazioni documenterebbero solo la partecipazione ai 
singoli atti di gestione o esecuzione della fase di lavorazione dell'impresa).
5.5) A diverse conclusioni deve invece pervenirsi in ordine alla posizione di Di 
Nuzzo Andrea. La motivazione del Tribunale è in proposito assolutamente 
generica. Dopo aver dato atto che le intercettazioni non sono certamente a lui 
riferibili, i giudici del riesame si limitano ad osservare che dalle indagini 
(in particolare dalla documentazione di trasporto) è emerso che il predetto ha 
trasportato presso la Siderurgica ingenti quantitativi di rifiuti provenienti 
dalla CARTOFER. Non spiegano, però, da quali elementi desumano l'inserimento e 
la consapevole partecipazione del Di Nuzzo Andrea al sodalizio criminoso e la 
consapevolezza che il codice risultante dai documenti di trasporto fosse falso 
(e che quindi si trattasse di rifiuti pericolosi).
L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata sul punto, con rinvio per nuovo 
esame al Tribunale di Napoli.
P. Q. M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla posizione di Di Nuzzo Andrea, 
con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli. 
Rigetta i ricorsi degli altri ricorrenti che condanna al pagamento delle spese 
processuali.
Dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore 
dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito 
dall'art.94 comma 1 bis norme di attuazione c.p.p.
Così deciso in Roma il 21 ottobre 2010 
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 19 Nov. 2010
		
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