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CORTE 
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/04/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n.14828
 
DANNO AMBIENTALE - Associazioni riconosciute e non - Legittimazione delle 
associazioni ecologiche a costituirsi parte civile nel processo penale - Lesione 
di un diritto soggettivo o di un interesse giuridicamente rilevante - 
Giurisprudenza - Risarcimento del danno ambientale - Condizioni e limiti. Le 
associazioni riconosciute o non, possono costituirsi parte civile qualora 
abbiano subito la lesione di un diritto soggettivo (o di un interesse 
giuridicamente rilevante secondo la Sentenza della Cass. Sezioni Unite civili 
n°500 del 1999) da una azione criminosa è stato riconosciuto, dopo varie 
oscillazioni giurisprudenziali, alle associazioni ecologiche in relazione ai 
reati che hanno come ricaduta un danno ambientale. Tale nocumento ha dimensioni 
diversificate: la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il danno in 
esame presenta, oltre a quella pubblica, una dimensione personale e sociale 
quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni uomo e delle 
formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità: il danno ambientale 
in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale, quanto meno indiretta, 
reca una offesa alla persona umana nella sua sfera individuale e sociale. In 
tale contesto, è riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche un interesse 
legittimo alla tutela del territorio ed è stata riconosciuta la loro possibilità 
di costituirsi parti civili nel processo. Le ricordate associazioni non possono 
costituirsi parte civile al fine di chiedere la liquidazione del danno 
ambientale di natura pubblica (a sensi dell'art.18 L.348/1986 ed ora D. L.vo n. 
152/2006), ma possono agire in giudizio - in virtù del principio fondamentale in 
tema di nocumento ingiusto risarcibile enucleato dall'art.2043 cc - per il 
risarcimento dei danni patiti dal sodalizio a causa del degrado ambientale. 
Occorre, inoltre, rilevare che non possono costituirsi parte civili le 
associazioni portatrici di interessi meramente diffusi - comuni a più persone e 
non passibili di appropriazione individuale - che non sono suscettibili di 
tutela giurisdizionale; al fine che rileva, necessità che le associazioni siano 
esponenziali di interessi ambientali concretamente individualizzati, cioè, di 
interessi collettivi legittimi (Cass. Sez. III, sentenza n.33887/2006). 
Pertanto, non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le 
associazioni quando l'interesse perseguito sia quello genericamente inteso 
all'ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da un mero 
collegamento con quello pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del 
sodalizio e non risarcibile. Perché una associazione possa essere considerata 
esponenziale di un interesse della collettività, in cui si trova il bene oggetto 
di protezione, necessita che abbia come fine essenziale statutario la tutela 
dello ambiente, sia radicata nel territorio anche attraverso sedi sociali, sia 
rappresentativa di un gruppo significativo di consociati, ed abbia dato prova di 
continuità del suo contributo a difesa del territorio. A tali condizioni, le 
associazioni ecologistiche sono legittimate in via autonoma e principale alla 
azione di risarcimento per il danno ambientale con diritto al ristoro del 
nocumento commisurato alla lesione degli interesse collettivi rappresentati. 
Pres. Onorato, Est. Squassoni, Ric. De Flammineis ed altro. CORTE DI 
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/04/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n.14828
     
      
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UDIENZA dell' 11.02.2010
SENTENZA N. 302
REG. GENERALE N. 22378/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi 
Sigg.ri Magistrati: 
Dott. PIERLUIGI ONORATO                                  
- Presidente
Dott. CLAUDIA SQUASSONI                                
- Rel. Consigliere
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI                      
- Consigliere
Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI - Consigliere
Dott. GIOVANNI AMOROSO - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DE FLAMMINEIS ALBERTO N. IL VV/00/XXXX
2) S.P.A. ING. O. MAZZITELLI
- avverso la sentenza n. 1111/2007 CORTE APPELLO di BARI, del 03/06/2008
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2010 la relazione fatta dal Consigliere 
Dott. CLAUDIA SQUASSONI
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco che ha 
concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i 
reati estinti per prescrizione con conferma delle statuizioni civili.
-Udito, per la parte civile, l'Avv.,
Uditi i difensori Avv.ti Gargano Raffaele; D'Amato Pantaleo; De Gennaro Davide.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Confermando la decisione del 
Tribunale, la Corte di Appello di Bari, con sentenza 3 giugno 2008, ha ritenuto 
De Flammineis Alberto responsabile dei reati previsti dagli artt.81 cpv cp, 51 
c.1,2,3 DLvo 22/1997, 24 c.4 DPR 203/1988,674 cp, 59 c.8 D.L.vo 152/1999 e l'ha 
condannato alla pena di giustizia oltre al risarcimento dei danni nei confronti 
delle costituite parte civili.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno disatteso la prospettazione 
difensiva di nullità dello avviso di chiusura delle indagini e di 
inammissibilità della costituzione delle parti civili (Circolo Legambiente e WWF 
Italia) per difetto di legittimazione; sul punto, hanno rilevato come le 
associazioni ambientalistiche si fossero costituite in base alla legge allora 
vigente (art.18 xL.349/ 1986) per cui la costituzione mantiene efficacia 
nonostante la novazione legislativa. Indi, i Giudici hanno ricordato il 
procedimento amministrativo che si è concluso con la determina 50 del 2003, con 
la quale la Provincia di Bari ha rilasciato alla impresa Orfeo Mazzitelli spa (di cui l'attuale imputato era l'amministratore) autorizzazione per l'esercizio 
dell'attività di trattamento e smaltimento di rifiuti urbani e fanghi da 
impianti di depurazione mediante compostaggio (il compost doveva servire per 
ammendante in agricoltura).
Effettuato un sopralluogo in data 29 ottobre 2003, gli accertatori hanno 
evidenziato che l'impianto era gestito in maniera non corretta e riscontravato 
varie irregolarità che hanno originato il presente processo. Alla base della 
illegale situazione, si poneva la circostanza che l'impianto era stato 
progettato e realizzato per trattare 85
tonnellate di rifiuti al giorno, mentre l'autorizzazione consentiva la gestione 
di 270 tonnellate per una dolosa prospettazione della capacità dell'impianto da 
parte dell'imputato; costui, inoltre, per scelta imprenditoriale e senza adeguata 
programmazione, aveva aperto la ricezione di rifiuti ad altri bacini anche 
extra- regionali.
La Corte ha concluso per la sussistenza di tutti i reati per i quali De 
Flammineis era stato condannato dal Tribunale (per i motivi che saranno in 
prosieguo precisati) ed ha confermato le statuizioni civili. Per l'annullamento 
della sentenza, l'imputato, anche nella sua qualità di responsabile civile, ha 
proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di 
legge, in particolare, rilevando: 
= che è nullo il decreto di citazione a 
giudizio avanti il Tribunale perché l'avviso di conclusione delle indagini, dopo 
l'interrogatorio dello imputato, avrebbe dovuto essere reiterato;
= che non era ammissibile la costituzione di parte civile del Circolo 
Legambiente, WWF Italia, ASM di Molfetta in quanto la richiesta risarcitoria 
per danno ambientale è attribuita in via esclusiva al Ministro dell'Ambiente a 
sensi dell'art.311 D.L.vo n.152/2006 e, comunque, mancavano i requisiti richiesti 
dalla giurisprudenza per la loro costituzione: inoltre, i primi due enti non 
avevano subito in concreto un danno e quello della ASM era stato oggetto di 
transazione;
= che era legittimo il provvedimento autorizzatorio che permetteva la gestione 
di 270 tonnellate al giorno (al posto delle precedenti 85) dal momento che 
l'aumento non incideva sulle caratteristiche del ciclo produttivo; inoltre, era 
legittima la ricezione dei rifiuti non pericolosi provenienti da siti 
extraregionali;
= che sussistevano i requisiti temporali e quantitativi per ritenere non 
l'abbandono di rifiuti per cui 6 stato condannato ( art.52 c.2 DLvo 22/1997) , 
ma il deposto temporaneo;
= che non è configurabile il reato di cui all' art.51 c.4 D. L.vo n. 22/1997 in 
relazione alla qualità del compost prodotto perché le prescrizioni riguardavano 
le modalità di lavorazione e non il raggiungimento di un risultato;
=
che la giacenza dei rifiuti era dovuta dalla illecita opposizione dei gerenti 
delle discariche di altri bacini di accoglierli: comunque, l'accumulo non aveva 
carattere di definitività e non costituiva una discarica con conseguente 
inapplicabilità della previsione dell'art.51 c.3 DLvo 22/1997;
= che non vi è prova che le emissioni in atmosfera superassero i limiti indicati 
in sede di collaudo per cui è insussistente la violazione all'art.24 c.4 DPR 
203/1988;
= che il reato previsto dall'art.674 cp 6 provato solo dalle sensazioni 
soggettive di alcuni testi;
= che nessuna analisi conferma che il liquido possa qualificarsi percolato e, 
comunque, lo scarico era occasionale con conseguente inesistenza della 
contravvenzione ex art.59 c.8 D.L.vo 152/1999; 
= che la Corte non ha tenuto conto 
che, per i fatti per cui è processo, l'imputato era già stato giudicato con 
sentenza 117/2005 del Tribunale di Trani;
= che non è congrua la motivazione sul diniego delle attenuanti generiche, sulla 
quantificazione della provvisionale alle parti civili sulla mancata rinnovazione 
del dibattimento;
= che i reati sono prescritti.
L'ultima deduzione è meritevole di accoglimento.
Si deve rilevare che, per le contravvenzioni (accertate fino al 29 ottobre 2003) 
si è maturato il termine previsto dagli artt.157, 160 cp anche tenuto conto dei 
periodi di sospensione del corso della prescrizione.
Di conseguenza, la Corte deve annullare la impugnata sentenza senza rinvio per 
essere i reati estinti per prescrizione; il contenuto dell'atto di ricorso- 
poiché nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna al risarcimento 
dei danni nei confronti delle parti civili- deve essere esaminato ai limitati 
fini dell'art.578 cpp.
A sensi di tale articolo, la Corte deve compiere una duplice valutazione: da un 
lato, stabilire se siano provati gli estremi dei reati dai quali le parti civili 
fanno discendere il loro diritto al risarcimento e, dall'altro, accertare, sia 
pure in modo sommario, la sussistenza di tale diritto.
Tanto premesso, si osserva come non sia evidenziabile la nullità del decreto di 
citazione a giudizio prospettata dal ricorrente sotto il profilo della mancata 
reiterazione dell'avviso di chiusura delle indagini in esito all'interrogatorio 
dell'imputato; si è verificato che il Pubblico Ministero - dopo la emissione 
dell'avviso previsto dall'art.415 bis cpp e la scadenza del termine per 
espletare le indagini e prima dell'esercizio della azione penale- ha provveduto 
alla audizione dell'imputato.
L'errore procedurale comportava, a sensi dell'art.407 uc cpp, solo la sanzione di inutilizzabilità dello interrogatorio, che non è stato neppure menzionato nelle sentenze dei Giudici di merito.
Non fondato è il motivo di ricorso concernente la inammissibilità della 
costituzione delle partii civili Circolo Legambiente e WWF Italia in
relazione alle quali la conclusione dei Giudici di merito è condivisibile anche 
se deve essere sorretta da diverso apparato argomentativo.
Il principio indiscusso che tutte le associazioni, riconosciute o non, possono 
costituirsi parte civile qualora abbiano subito la lesione di un diritto 
soggettivo (o di un interesse giuridicamente rilevante secondo la Sentenza 
delle Sezioni Unite civili n°500 del 1999) da una azione criminosa è stato 
riconosciuto, dopo varie oscillazioni giurisprudenziali, alle associazioni 
ecologiche in relazione ai reati che hanno come ricaduta un danno ambientale.
Tale nocumento ha dimensioni diversificate: la giurisprudenza di legittimità ha 
chiarito che il danno in esame presenta, oltre a quella pubblica, una dimensione 
personale e sociale quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre 
di ogni uomo e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità: 
il danno ambientale in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale, 
quanto meno indiretta, reca una offesa alla persona umana nella sua sfera 
individuale e sociale.
In tale contesto, è riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche un 
interesse legittimo alla tutela del territorio ed è stata riconosciuta la loro 
possibilità di costituirsi parti civili nel processo alle seguenti condizioni.
Le ricordate associazioni non possono costituirsi parte civile al fine di 
chiedere la liquidazione del danno ambientale di natura pubblica (a sensi 
dell'art.18 L.348/1986 ed ora dell'art.DLVO 152/2006), ma possono agire in 
giudizio - in virtù del principio fondamentale in tema di nocumento ingiusto 
risarcibile enucleato dall'art.2043 cc - per il risarcimento dei danni patiti dal 
sodalizio a causa del degrado ambientale.
Occorre, inoltre, rilevare che non possono costituirsi parte civili le 
associazioni portatrici di interessi meramente diffusi - comuni a più persone e 
non passibili di appropriazione individuale - che non sono suscettibili di 
tutela giurisdizionale; al fine che rileva, necessità che le associazioni siano 
esponenziali di interessi ambientali concretamente individualizzati, cioè, di 
interessi collettivi legittimi (ex plurimis Sezione terza sentenza 33887/2006).
Pertanto, non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le 
associazioni quando l'interesse perseguito sia quello genericamente inteso 
all'ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da un mero 
collegamento con quello pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del 
sodalizio e non risarcibile.
Quando, invece, l'interesse allo ambiente non rimane una categoria astratta, ma 
si concretizza in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio 
scopo, esso cessa di essere comune alla generalità dei consociati. In questo 
caso, le associazioni sono centri di tutela e di imputazione dell'interesse 
collettivo all'ambiente che, in tale modo, cessa di essere diffuso e diviene 
soggettivizzato e personificato.
Poiché una associazione possa essere considerata esponenziale di un interesse 
della collettività, in cui si trova il bene oggetto di protezione, necessita che 
abbia come fine essenziale statutario la tutela dello ambiente, sia radicata 
nel territorio anche attraverso sedi sociali, sia rappresentativa di un gruppo 
significativo di consociali, abbia dato prova di continuità del suo contributo a 
difesa del territorio.
A tali condizioni, le associazioni ecologistiche sono legittimate in via 
autonoma e principale alla azione di risarcimento per il danno ambientale con 
diritto al ristoro del nocumento commisurato alla lesione degli interesse 
collettivi rappresentati.
Dal testo della sentenza di primo grado, emerge che il Circolo Legambiente e WWF 
Italia avevano i requisiti su richiesti per cui la loro costituzione di parti 
civile è legittima.
Questi Enti hanno subito, quanto meno, una potenziale lesione di natura non 
patrimoniale attinente alla personalità del sodalizio per il discredito 
derivante dal mancato raggiungimento dei fini istituzionali. In relazione alla 
parte civile ASM (per la quale non sono di attualità le problematiche trattate) 
si rileva come l'azienda abbia prospettato, ed in parte provato, l'esistenza di 
danni materiali dovuti ai maggiori costi subiti per lo smaltimento dei rifiuti 
in discariche alternative cui ha dovuto fare ricorso a causa delle inadempienze 
della ditta del l'imputato.
Il ricorrente ha lamentato che i Giudici di merito, nella condanna generica al 
risarcimento dei danni e nella quantificazione della provvisionale, non hanno 
considerato la transazione intervenuta con la ASM. Ma la parte civile ha 
sostenuto - senza essere smentita sul punto - che la transazione era subordinata 
ad una condizione risolutiva che si è verificata. Il problema, peraltro, può 
essere affrontato dal Giudice civile davanti al quale le parti sono state 
rinviate per la liquidazione definitiva del danno.
In merito alla quantificazione della provvisionale, si osserva come il relativo 
provvedimento non sia impugnabile in Cassazione in quanto, per la sua natura 
insuscettibile di passare in giudicato, è destinato ad essere superato dalla 
effettiva liquidazione dello integrale risarcimento.
Le censure sulla configurabilità dei reati non sono meritevoli di accoglimento.
La Corte di Appello, nella impugnata sentenza, ha dato atto delle indagini di 
natura tecnica e delle fonti probatorie dalle quali ha tratto il suo 
convincimento, ha sorretto la conclusione con motivazione congrua e completa e, 
dopo avere preso in considerazione le deduzioni difensive, e le correttamente 
confutate: la decisione non presenta vizi motivazionali deducibili in questa 
sede.
In particolare, per la contravvenzione di abbandono dei rifiuti (art.52 c.2 DLvo 22/1997), la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fossero gli estremi 
quantitativi e qualitativi e le altre condizioni richieste dalla legge per 
considerare il deposito temporaneo con conseguente deroga alla disciplina dal DLvo 22/1997: la conclusione, correttamente motivata, ha come referente i dati 
provenienti dallo stesso imputato. Relativamente al reato di violazione alle 
prescrizioni della autorizzazione (art.51 c.4 DLvo 22/1997), i Giudici hanno 
indicato le analisi (ritenute pienamente attendibili ed il cui esito non è 
messo in discussione dal ricorrente) dalle quali risultava come il compost non 
avesse le caratteristi richieste dalla legge e da uno specifico obbligo 
contrattuale.
In riferimento al reato di discarica abusiva (art.51 c.3 DLvo 22/1997), la 
Corte ha avuto cura di indicare gli elementi fattuali dai quali ha tratto la 
conclusione che le aree adiacenti allo impianto fossero diventate ricettacolo di 
rifiuti indifferenziati e di compost fuori specifica; i materiali, ammassati da 
tempo e con caratteri di definitività, non erano destinati al trattamento ed al 
recupero e, pertanto, la conclusione circa la sussistenza di una discarica 
abusiva non merita censure.
Per superare questa conclusione, il ricorrente ha formulato motivi in fatto che 
esulano dai limiti cognitivi di questa Corte.
Per quanto concerne la violazione alla disciplina sui rifiuti, la deduzione 
della difesa, secondo la quale l'impianto poteva gestire 270 tonnellate al 
giorno e ricevere rifiuti extraregionali, non ha influenza alcuna sulla 
comprovata configurabilità dei reati.
I rifiuti generavano un percolato che invadeva il suolo e le acque sotterranee e 
questa circostanza ha permesso ai Giudici di merito di affermare la 
responsabilità dell'imputato per il reato previsto dall'art.59 c.8 DLvo 152/1999; la tesi del ricorrente circa la natura del liquido e l'occasionalità dello 
scarico non trova conforto nel testo della sentenza impugnata.
Con riguardo alla contravvenzione prevista dall'art.24 c.4 DPR 203/1988, la 
Corte ha rilevato come l'autorizzazione prevedesse che i processi (ad eccezione 
della fermentazione) fossero effettuati al coperto e che le emissioni fossero 
convogliate, prima dello scarico in atmosfera, in un impianto di abbattimento; 
tali prescrizioni non erano rispettate per cui la gestione avveniva in modo 
difforme da quanto previsto dal progetto approvato dalla Provincia.
Essendo stata contestata la fattispecie di inosservanza alle ricordate 
prescrizioni e non il superamento dei limiti di emissione, la prospettazione 
difensiva sul tema non è conferente.
Infine, la gestione dell'impianto in generale e dei rifiuti in particolare senza 
il rispetto della normativa di settore ha avuto come ricaduta la diffusione di 
odori che procuravano molestie ai vicini (con
conseguente configurabilità della fattispecie di reato prevista dall'art.674 cp); la circostanza è dimostrata non da soggettive percezioni, ma dagli 
accertamenti tecnici e dalle analisi effettuate.
La residua deduzione, sulla violazione del ne bis in idem, è già stata 
sottoposta al vaglio dei Giudici di merito e disattesa sotto il profilo
che la precedente sentenza n°117/2005 del Tribunale di Trani riguardava fatti 
diversi (per l'epoca dei commessi reati) da quelli per cui si procede; nulla 
ha rilevato il ricorrente per contrastare questa conclusione.
PQM
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti 
per prescrizione; conferma le statuizioni civili; condanna i ricorrenti alla 
rifusione delle spese delle parti civili di questo grado di giudizio liquidate 
in complessivi euro duemilacinquecento per l'ASM di Molfetta, euro duemila per 
WWF, euro 2000 per Legambiente, euro mille ciascuno per le restanti parti civili 
oltre gli accessori di legge.
Roma 11 febbraio 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 16 APR. 2010
     
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