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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 
VI - 8 giugno 2010, n. 3638
APPALTI - Art. 34 d.lgs. n. 163/2006 - Società semplici - Partecipazione alle 
gare di appalti pubblici - Preclusione - Contrasto con il diritto comunitario - 
Esclusione - Ragioni. L’art. 10, l. n. 109/1994 e l’art. 34, lett. a), 
d.lgs. n. 163/2006, laddove non consentono alle società semplici la 
partecipazione alle gare di appalti pubblici, non contrastano con il diritto 
comunitario dei pubblici appalti che, pur affermando il principio di libertà di 
forma del concorrente, tuttavia non impedisce agli Stati membri di regolare la 
capacità giuridica dei soggetti diversi dalle persone fisiche, e di vietare a 
determinate categorie di persone giuridiche di offrire lavori, beni o servizi 
sul mercato. Invero, la regola contenuta nel c.c. secondo cui la società 
semplice non può svolgere attività commerciale, è coerente con l’art. 4, par. 1, 
direttiva 2004/18/CE che lascia agli Stati membri la possibilità di autorizzare 
o meno determinate categorie di soggetti a offrire prestazioni sul mercato e, in 
definitiva, di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità 
giuridica. Pres. Ruoppolo, Est. De Nictolis - Autorità per la Vigilanza sui 
Lavori Pubblici (Avv. Stato) c. V. s.s. (avv. Iaria)- (Riforma Tar Veneto, sez. 
I, n. 1899/2006) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 8 giugno 2010, n. 3638
 
 
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
N. 03638/2010 REG.DEC.
N. 08928/2006 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 8928 del 2006, proposto dall’Autorità 
per la vigilanza sui lavori pubblici, rappresentata e difesa dall'Avvocatura 
Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
Vivai Piante Azienda Agricola Erica società semplice, rappresentata e difesa 
dall'avv. Domenico Iaria, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez, in Roma, 
corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
nei confronti di
SOA Bentley s.p.a.;
per la riforma
della sentenza del Tar Veneto, sez. I, n. 1899/2006, resa tra le parti, 
concernente attestazione di qualificazione per partecipazione a gare d'appalto.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2010 il Cons. Rosanna De 
Nictolis e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Melillo e l'avvocato Iaria;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società odierna appellata, Vivai Piante azienda agricola, avente forma di 
società semplice, dopo aver acquisito, nel 2004 il ramo di azienda di altra 
impresa agricola esercente lavori di costruzione, manutenzione, ristrutturazione 
di opere e lavori necessari per la difesa del territorio, ha chiesto e ottenuto 
dalla Bentley SOA s.p.a. l’attestazione SOA in relazione alle categorie OG13 e 
OS24.
1.1. L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con il suo comunicato 24 
novembre 2004 n. 42, diretto a tutte le SOA, ha statuito che non può essere 
rilasciato l’attestato di qualificazione alle società semplici, perché l’art. 
10, l. n. 109/1994 consente alle sole società commerciali la partecipazione alle 
gare di appalto di lavori pubblici.
1.2. Per l’effetto, con note del 4 marzo 2004 e del 5 luglio 2005, l’Autorità ha 
invitato la Bentley SOA a revocare l’attestazione rilasciata alla società 
odierna appellata.
1.3. La SOA ha revocato l’attestazione con nota dell’8 luglio 2005.
2. Contro il provvedimento di revoca dell’attestazione SOA e contro le 
presupposte deliberazioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici è 
stato proposto ricorso al Tar, che è stato accolto con la sentenza in epigrafe.
3. Ha appellato l’Autorità di vigilanza.
4. La sentenza di primo grado sostiene che l’art. 10, l. n. 109/1994, e l’art. 
34, del sopravvenuto d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui consentono la 
partecipazione alle gare di appalto alle sole società commerciali con esclusione 
delle società semplici, si porrebbero in contrasto con le direttive comunitarie 
in materia, e segnatamente la direttiva 93/37/CEE e la direttiva 2004/18/CE, che 
contengono una nozione ampia di operatore economico, e che vietano agli Stati 
membri di esigere una particolare forma giuridica dell’operatore economico per 
la partecipazione alle gare di appalto.
5. L’appello sostiene che la questione attiene non tanto ai soggetti ammessi 
alle gare di appalto, quanto alla capacità di tali soggetti regolata non dal 
diritto comunitario, ma dal diritto nazionale e, in Italia, dal codice civile.
Secondo il codice civile le società semplici non possono svolgere attività 
commerciale nella nozione lata di cui all’art. 2195 c.c., e pertanto non 
possono, conseguentemente, partecipare alle gare di appalto di lavori pubblici.
Chi vuole partecipare a gare di appalto deve scegliere la forma societaria della 
società commerciale.
Non vi sarebbe il contrasto con il diritto comunitario, in quanto da un lato la 
direttiva 2004/18/CE non è applicabile ratione temporis, e dall’altro lato la 
direttiva 93/37/CEE utilizza la nozione di imprenditore, e non è tale la società 
semplice.
6. L’appello è fondato.
6.1. La questione di diritto è se la normativa italiana, che vieta alle società 
semplici la partecipazione alle gare di appalti pubblici, sia o meno conforme al 
diritto comunitario.
Il Collegio ritiene che, alla luce della giurisprudenza della C. giust. CE, sia 
possibile fornire una interpretazione del quadro comunitario non ostativa della 
previsione normativa italiana che preclude alle società semplici la 
partecipazione alle gare di appalti pubblici, e che non occorra pertanto 
rinviare la questione pregiudiziale alla C. giust. CE, la quale ha già avuto 
modo di chiarire l’esegesi delle norme comunitarie rilevanti nel caso di specie.
6.2. Si impongono una precisazione in diritto e una in fatto.
In diritto, si osserva che sia l’art. 10, l. n. 109/1994, sia l’art. 34, d.lgs. 
n. 163/2006, consentono la partecipazione alle gare di appalto alle “società 
commerciali” così escludendo la partecipazione delle “società semplici”. Si 
tratta di una limitazione che riguarda gli operatori nazionali.
In fatto giova osservare che i provvedimenti impugnati risalgono al 2005, epoca 
in cui la direttiva 2004/18/CE era in vigore, ma non ne era scaduto il termine 
di recepimento (31 gennaio 2006).
La direttiva 2004/18/CE non era pertanto direttamente applicabile.
6.3. A sua volta, la direttiva 93/37/CEE, applicabile ratione temporis, non 
conteneva la nozione di “operatore economico” introdotta con la direttiva 
2004/18/CE, e utilizzava il termine “imprenditore” senza tuttavia fornirne una 
definizione.
6.4. Si può in astratto concordare con parte appellante laddove sostiene che la 
nozione di imprenditore, secondo la giurisprudenza comunitaria, coincide con 
quella esistente nell’ordinamento italiano, ossia di soggetto che svolge una 
attività economica per la produzione o lo scambio di beni o servizi.
Tuttavia, il diritto comunitario prescinde dalla forma giuridica che 
l’imprenditore deve assumere.
Mentre, dunque, nell’ordinamento italiano si stabilisce che imprenditore può 
essere una persona fisica singola o una società commerciale, e si esclude che la 
società semplice possa svolgere attività commerciale (come definita nell’art. 
2195 c.c.), nel diritto comunitario nulla si dice sulla forma giuridica del 
soggetto che partecipa alle gare di appalti pubblici.
Rileva che il soggetto abbia la “sostanza” di imprenditore a prescindere dalla 
sua veste giuridica.
Le questioni sottoposte dal contenzioso in esame non possono essere risolte, 
pertanto, sulla scorta della impostazione di parte appellante secondo cui la 
società semplice non è imprenditore, in quanto, in punto di fatto, la società 
semplice odierna appellata svolgeva attività imprenditoriale, al di là della 
veste giuridica rivestita.
6.5. La questione va invece impostata alla luce dell’ulteriore profilo dedotto 
nell’atto di appello, che è quello della capacità giuridica di un soggetto a 
svolgere attività imprenditoriale, e che si assume essere regolata non dal 
diritto comunitario, ma dal diritto nazionale.
6.6. Nell’esegesi della direttiva 93/37/CE si deve osservare che:
a) detta direttiva non dà alcuna definizione della forma giuridica dei soggetti 
ammessi alle gare di appalto;
b) detta direttiva non dà alcuna definizione della nozione di imprenditore, 
lasciando intendere, in coerenza con la giurisprudenza comunitaria, che è tale 
chi offre sul mercato beni o servizi a prescindere dalla sua forma giuridica;
c) il principio della libertà della forma giuridica del soggetto offerente si 
desume, indirettamente, dall’art. 21, direttiva 93/37/CE, a tenore del quale “i 
raggruppamenti di imprenditori sono autorizzati a presentare offerte. La 
trasformazione di tali raggruppamenti in una forma giuridica determinata non può 
essere richiesta per la presentazione dell'offerta, ma il raggruppamento 
prescelto può essere obbligato ad assicurare tale trasformazione quando 
l'appalto gli è stato aggiudicato”; il principio di liberà di forma per i 
raggruppamenti non può non valere anche per i concorrenti singoli;
d) il principio della libertà della forma giuridica del soggetto offerente si 
desume, indirettamente, anche dall’art. 24, direttiva 93/37/CE, che 
nell’indicare le cause di esclusione per difetto di requisiti generali, non 
menziona il difetto di una forma giuridica determinata;
e) detta direttiva lascia comunque impregiudicata la questione della capacità 
giuridica a essere imprenditore, che resta regolata dal diritto nazionale.
7. Quanto esposto in relazione alla direttiva 93/37/CE si desume anche dalla 
successiva 2004/18/CE che, ancorché non applicabile ratione temporis, va presa 
in considerazione per la sua portata sistematica e per l’ausilio che, sotto tale 
profilo, fornisce per chiarire la portata della direttiva 93/37/CEE.
7.1. La direttiva 2004/18/CE reca una nozione ampia di operatore economico, 
utilizzata, tuttavia, al solo scopo di semplificare il testo, atteso che sotto 
tale nozione si comprendono i soggetti che partecipano a gare di lavori, 
servizi, forniture.
La nozione di operatore economico comprende, quanto ai lavori, la nozione di 
“imprenditore”, ed è tale una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un 
raggruppamento di tali persone o enti che offra sul mercato la realizzazione di 
lavori (art. 1, co. 8, direttiva 2004/18/CE).
7.2. La direttiva 2004/17/CE esprime pertanto con chiarezza la libertà di forma 
del soggetto imprenditore/operatore economico.
Nonostante il maggiore sforzo definitorio, sin qui la direttiva 2004/18/CE nulla 
aggiunge rispetto alla precedente, dalla quale poteva comunque desumersi che ciò 
che rileva è la sostanza dell’imprenditore (l’offerta di prestazioni sul 
mercato), non la veste giuridica.
7.3. L’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE, dispone che “i candidati o gli 
offerenti che in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono 
stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione di cui trattasi non possono 
essere respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato 
membro nel quale è aggiudicato l’appalto, essi avrebbero dovuto essere persone 
fisiche o persone giuridiche”.
Questa previsione contiene due norme:
a) la libertà di forma del soggetto che partecipa alla gara di appalto;
b) la possibilità che gli Stati membri regolino la capacità giuridica del 
soggetto, autorizzandolo o meno a fornire prestazioni sul mercato.
7.4. Anche sotto tale profilo, sebbene la direttiva 2004/18/CE espliciti norme 
che formalmente nella direttiva 93/37CEE non sono contenute, essa non innova ma 
traduce in norme positive corollari che già si desumevano dalla direttiva 
precedente.
Pertanto, i risultati ermeneutici cui si perverrà nell’interpretazione dell’art. 
4, direttiva 2004/18/CE sono estensibili anche all’esegesi della direttiva 
93/37CE.
7.5. Sull’esegesi dell’art. 4, direttiva 2004/18/CE è utile riportare le 
conclusioni raggiunte da C. giust. CE 23 dicembre 2009, C-305/08, resa su una 
questione pregiudiziale sollevata dalla II sezione del Consiglio di Stato, in 
ordine alla possibilità di partecipazione alle gare di appalto, in qualità di 
operatori economici, di enti pubblici non economici, e segnatamente le 
Università e i consorzi universitari.
In sintesi, la pronuncia citata da un lato afferma che operatore economico non è 
necessariamente un soggetto che persegue un fine di lucro e che abbia struttura 
di impresa. Ma dall’altro lato aggiunge che i singoli Stati membri possono, con 
propria normativa, autorizzare o non autorizzare determinate categorie di 
soggetti a offrire prestazioni sul mercato, in virtù dell’art. 4, par. 1, 
direttiva 2004/18/CE.
7.6. In dettaglio, secondo la Corte “le disposizioni della direttiva 2004/18, ed 
in particolare quelle di cui al suo art. 1, nn. 2, lett. a), e 8, primo e 
secondo comma, che si riferiscono alla nozione di «operatore economico», devono 
essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un 
preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di 
un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le 
università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da 
università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di 
servizi.”.
La Corte ritiene pertanto che i pubblici appalti sono aperti alla partecipazione 
di qualsivoglia soggetto che sia idoneo a prescindere dalla sua forma giuridica, 
dalla natura pubblica o privata, dal carattere duraturo o occasionale della sua 
attività: “è ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o 
ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo 
a garantire l’esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo 
ricorso al subappalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di 
diritto privato o di diritto pubblico e di essere attivo sul mercato in modo 
sistematico oppure soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere 
sovvenzionato tramite fondi pubblici o meno”.
Osserva la Corte che:
a) ai sensi dell’art. 1, n. 8, direttiva 2004/18/CE, operatore economico può 
essere anche un ente pubblico, e un ente pubblico può anche non avere fine di 
lucro;
b) ai sensi del 4° considerando della citata direttiva anche l’organismo di 
diritto pubblico può partecipare a gare di appalto;
c) ai sensi dell’art. 4 della citata direttiva, i concorrenti alle gare non 
possono essere esclusi sulla base del loro status di persona fisica o giuridica, 
o di soggetto pubblico o privato.
7.7. La Corte si è però occupata anche della questione ulteriore, della 
possibilità per gli Stati membri di subordinare l’esercizio di determinate 
attività da parte degli operatori economici ad autorizzazione.
La Corte ricorda che ai sensi dell’art. 4, n. 1, direttiva 2004/18, gli Stati 
membri hanno il potere di autorizzare o meno talune categorie di operatori a 
fornire certi tipi di prestazioni.
In particolare, gli Stati membri possono autorizzare o non autorizzare tali 
soggetti ad operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in 
questione sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari.
7.8. In sintesi, sia dal silenzio della direttiva 93/37/CEE, sia dalla regola 
espressa dettata dall’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE, si desume che un 
conto è la libertà di forme dei soggetti che partecipano alle gare di appalto, 
un conto è la loro capacità giuridica, in quanto gli Stati membri possono 
vietare a determinate categorie di soggetti, in astratto rientranti nella 
nozione di operatore economico, l’esercizio di attività imprenditoriali.
8. Alla luce di tale quadro, va osservato che il codice civile italiano regola 
la capacità di essere imprenditore che svolge attività commerciale ai sensi 
dell’art. 2195 c.c., e la esclude per le società semplici.
Infatti lo svolgimento di una attività commerciale è riservato alle società 
commerciali, con esclusione della società semplice (art. 2249 c.c.).
Si può allora ritenere che la società semplice non è autorizzata dallo Stato 
italiano a svolgere attività commerciale, e dunque a offrire sul mercato lavori, 
beni, servizi.
Tale regime appare ragionevole e non discriminatorio in quanto si giustifica per 
il peculiare regime della responsabilità della società semplice verso i terzi, 
rispetto al regime della responsabilità delle altre società, ben più garantista 
per i terzi.
Infatti, nella società semplice non è prescritto un patrimonio o un capitale 
minimo della società; e nei confronti dei creditori risponde il patrimonio della 
società, che può tuttavia essere infimo, e i soli soci che hanno agito in nome e 
per conto della società. Gli altri soci rispondono solo se non c’è un patto 
contrario. Basta dunque un patto societario contrario a limitare la 
responsabilità dei soci diversi da quelli che hanno agito.
Si comprende, allora la scelta legislativa di non autorizzare le società 
semplici a svolgere attività commerciale, e di riservare tale attività alle sole 
società commerciali, in funzione della adeguata tutela dei terzi creditori.
Il regime non è discriminatorio perché un soggetto che riveste la forma 
giuridica di società semplice e che intenda svolgere attività commerciale, può 
agevolmente, e senza gravosi oneri economici e burocratici, trasformarsi in 
qualsivoglia altro tipo di società commerciale, scegliendo tra un ampio 
ventaglio di possibilità.
9. Alla luce di quanto esposto, si deve ritenere che l’art. 10, l. n. 109/1994 
(e segnatamente l’art. 34, lett. a), d.lgs. n. 163/2006) laddove non consentono 
alle società semplici la partecipazione alle gare di appalti pubblici, non 
contrastano con il diritto comunitario dei pubblici appalti che, pur affermando 
il principio di libertà di forma del concorrente, tuttavia non impedisce agli 
Stati membri di regolare la capacità giuridica dei soggetti diversi dalle 
persone fisiche, e di vietare a determinate categorie di persone giuridiche di 
offrire lavori, beni o servizi sul mercato.
Invero, la regola contenuta nel c.c. secondo cui la società semplice non può 
svolgere attività commerciale, è coerente con l’art. 4, par. 1, direttiva 
2004/18/CE che lascia agli Stati membri la possibilità di autorizzare o meno 
determinate categorie di soggetti a offrire prestazioni sul mercato e, in 
definitiva, di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità 
giuridica.
10. Per quanto esposto, l’appello va accolto, con conseguente reiezione del 
ricorso di primo grado e reviviscenza dei provvedimenti amministrativi annullati 
dalla sentenza di primo grado.
La novità e complessità delle questioni giustifica la compensazione delle spese 
di lite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente 
pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto respinge il 
ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2010 con 
l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Domenico Cafini, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
L'ESTENSORE 
IL PRESIDENTE
Il Segretario
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/06/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
 
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