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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 
VI - 27 aprile 2010, n. 2377
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Sito degradato - Imposizione del vincolo 
paesaggistico-ambientale - Preclusione - Inconfigurabilità - Prevenzione 
dell’aggravamento del degrado e perseguimento del possibile recupero. La 
qualificazione di rilevanza paesaggistico-ambientale di un sito non è 
determinata dal suo grado d'inquinamento - ché, allora, in tutti i casi di 
degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio 
riconosciuto meritevole di tutela - , l'imposizione del relativo vincolo 
servendo piuttosto a prevenire l'aggravamento della situazione e di perseguirne 
il possibile recupero. (Consiglio di Stato , sez. V, 27 marzo 2000, n. 1761, 
Consiglio di Stato , sez. VI, 02 novembre 2007, n. 5662). Pres. Ruoppolo, Est. 
Taormina - F.R. (avv. Costa) c. Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali (n.c.) 
- (Conferma TAR Lazio, Roma, n. 5480/2007). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 27 
aprile 2010, n. 2377
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico - Compromissione 
del’ambiente ad opera di preesistenti realizzazioni - Nuove costruzioni in 
contrasto con il vincolo - Adozione di provvedimenti sanzionatori. Ogni 
eventuale situazione di compromissione dell'ambiente ad opera di preesistenti 
realizzazioni, non esime l'amministrazione dall'assumere provvedimenti 
sanzionatori nei riguardi delle nuove costruzioni eseguite in contrasto con il 
vincolo paesaggistico ed anzi maggiormente richiede, per la legittimità 
dell'azione amministrativa, che ulteriori interventi non deturpino ulteriormente 
l'ambiente protetto. (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3547). 
Pres. Ruoppolo, Est. Taormina - F.R. (avv. Costa) c. Ministero Per i Beni e Le 
Attivita' Culturali (n.c.) - (Conferma TAR Lazio, Roma, n. 5480/2007). 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 27 aprile 2010, n. 2377
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Nulla osta paesaggistico - Verifica di 
correttezza del provvedimento regionale di conformità - Necessità di effettivo 
sopralluogo - Esclusione. In tema di rilascio di nullaosta paesaggistico, 
l'attività di verifica della correttezza del provvedimento regionale di 
conformità, di cui all'art. 7, l. 29 giugno 1939 n. 1497, effettuata sia dalla 
soprintendenza sia dall'autorità centrale - previa acquisizione di tutti gli 
atti necessari a consentire il pieno ed esaustivo apprezzamento dell'incidenza 
dell'intervento edilizio sull'assetto paesistico territoriale della zona e 
circostante - non implica, necessariamente, il compimento di effettivo 
sopralluogo ma può limitarsi alla valutazione documentale della condotta 
procedimentale tenuta dall'ente. (T.A.R. Calabria Catanzaro, 09 novembre 1999, 
n. 1335). Pres. Ruoppolo, Est. Taormina - F.R. (avv. Costa) c. Ministero Per i 
Beni e Le Attivita' Culturali (n.c.) - (Conferma TAR Lazio, Roma, n. 5480/2007). 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 27/04/2010, n. 2377
 
 
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
N. 02377/2010 REG.DEC.
N. 07371/2007 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 7371 del 2007, proposto da:
Fiorini Remo, rappresentato e difeso dall'avv. Cesare Costa, con domicilio 
eletto presso Enrico Brenciaglia in Roma, via Nizza 22;
contro
Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali;
nei confronti di
Comune di Viterbo;
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO – Sede di ROMA -Sezione II Quater n. 05480/2007, 
resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA IN SANATORIA - VINCOLO 
PAESAGGISTICO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2010 il Consigliere Fabio 
Taormina e udito per parte appellante l’ avvocato Lubrano per delega dell'Avv. 
Costa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la decisione in epigrafe appellata il Tar ha respinto il ricorso di primo 
grado con il quale era stato chiesto dall’ odierna parte appellante 
l'annullamento del decreto del Soprintendente per i Beni Architettonici e per il 
Paesaggio, per il Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico del 
Lazio del 22.9.2003, recante l’ annullamento del provvedimento del Comune di 
Viterbo n. 89 del 9.7.2003 con cui si era espresso parere favorevole ai sensi 
degli artt. 32 della legge 47/85 e 39 della legge 724/94 relativamente alla 
domanda di sanatoria di un “fabbricato ad uso abitazione ” abusivamente 
realizzato nello stesso Comune (ubicato in località Strada Orfana –Bagnaia-, km. 
6.700 in zona di rispetto stradale, distinto in catasto al foglio 148 particella 
372).
Nel mezzo introduttivo del giudizio di primo grado erano state sollevate le 
censure di eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità manifesta 
(il provvedimento impugnato aveva annullato il parere comunale in quanto 
immotivato, esperendo autonome indagini in violazione del principio di leale 
collaborazione, anziché limitarsi ad attendere la trasmissione delle 
integrazioni documentali eventualmente necessarie); quella relativa alla 
violazione dell’art. art. 82 comma 9 del D.P.R. 24 luglio 1977, di incompetenza, 
e di eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione lamentando che il 
Ministero, in violazione delle disposizioni predette, aveva effettuato una 
valutazione di merito in ordine alla compatibilità ambientale delle opere da 
sanare (neppure assistita da adeguata motivazione) sostituendosi a quella 
operata dal Comune.
Si lamentava inoltre il vizio di violazione e falsa applicazione della legge n. 
241/90 e di eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione:l’atto 
impugnato non era assistito da adeguata motivazione, in particolare con 
riferimento ai dati topografici ed agli strumenti di pianificazione urbanistica 
da cui si desume che l’area avrebbe dovuto rimanere inedificata, ed era stata 
omessa la comunicazione di avvio del procedimento prevista dall’art. 7 della 
legge n. 241/90.
Nel merito, si denunciava il vizio di eccesso di potere per illogicità 
manifesta, difetto di motivazione e di istruttoria, ed erroneità dei 
presupposti: non era condivisibile il giudizio di incompatibilità ambientale 
espresso dal Soprintendente, in quanto non considerava l’effettivo stato dei 
luoghi (ormai tutt’altro che integri, come rappresentato da relazione peritale 
di parte allegata al ricorso).
Con la sentenza in epigrafe il Tar ha partitamente preso in esame le censure 
dedotte ed ha ritenuto infondato il gravame.
Secondo i primi Giudici, la censura con la quale si lamentava che il 
Soprintendente aveva svolto diretti accertamenti al fine di stabilire la 
compatibilità del manufatto con il vincolo gravante sull’area (mentre, secondo 
la tesi dell’appellante avrebbe dovuto limitarsi a chiedere al Comune la sola 
integrazione dei documenti eventualmente mancanti) era infondata in quanto 
l’autorità tutoria nell’esercizio della attività di controllo ha il potere di 
ispezionare anche lo stato dei luoghi -ove necessario per verificare la 
legittimità del nulla-osta comunale - non sussistendo alcun limite 
normativamente imposto.
Neppure, secondo il Tar, era esatto affermare che era stato illegittimamente 
esercitato un potere di riesame del merito dell’atto sottoposto a controllo, 
(così violando il principio di leale collaborazione tra l’organo regionale o 
comunale sub-delegato gestore del vincolo e l’autorità tutoria statale) anziché 
limitarsi ad un mero scrutinio di legittimità dello stesso: ciò perché il 
decreto della Soprintendenza era motivato con riguardo a numerose emergenze 
fattuali.
Segnatamente, si era ivi evidenziato che l’area interessata dall’intervento 
edilizio era dichiarata di notevole interesse ex lege n. 1497/1939 ai 
sensi dell’art. 146 lett. c) del d.lvo n. 490/99, ed il Comune non aveva 
chiarito come e perché l’intervento sanato fosse stato giudicato compatibile con 
le esigenze di tutela ambientale; a seguito di verifica si era rilevato che le 
opere erano state realizzate nella fascia di rispetto di un corso d’acqua in 
zona vincolata che doveva esser mantenuta integra ed inedificata, ( il manufatto 
abusivo era stato realizzato nel 1993 in zona ancora abbastanza integra con 
conseguente incisione negativa della località protetta, alterando i tratti 
tipici dei terreni posti a rispetto dei corsi d’acqua); il parere favorevole del 
Comune si risolveva nell’apportare una modifica ai tratti caratteristici della 
località protetta ed apportava una modifica al vincolo paesaggistico.
Ne conseguiva che era inesatto affermare che la Soprintendenza aveva esercitato 
un controllo di merito in ordine alla compatibilità dell’intervento in questione 
con il vincolo paesistico ( essendosi limitata ad evidenziare il contrasto con 
le specifiche prescrizioni del PTP che sanciscono un vincolo di inedificabilità 
a tutela dei fossi e dei corsi d’acqua).
Secondo il Tar, poi, anche il terzo mezzo, (con cui si denunciava il difetto 
motivazionale dell’atto impugnato e l’omessa comunicazione di avvio del 
procedimento) doveva essere disatteso.
La determinazione comunale, non aveva tenuto conto dell’esistenza, nell’area 
interessata dalla costruzione, del vincolo assoluto di inedificabilità imposto 
delle norme tecniche di attuazione del vigente P.T.P; sotto altro profilo, 
risultando il provvedimento comunale adottato l’8.9.2003, successivamente 
all’entrata in vigore del D.M. 19.6.2002 n. 165 e non essendo stato detto 
decreto impugnato, non vi era alcun obbligo per la Soprintendenza di comunicare 
al ricorrente l’avvio del procedimento di secondo grado di cui al citato art. 
151, comma 4, del D.Lgs. n. 490/1999, volto alla verifica della legittimità 
dell’autorizzazione rilasciata dal Comune.
In ultimo, la denunciata parziale compromissione di un’area vincolata non 
giustificava il rilascio di provvedimenti atti a comportarne l’ulteriore 
degrado, ma doveva richiedere, semmai, una maggiore attenzione da parte 
dell’autorità preposta alla tutela del vincolo al fine di preservare gli spazi 
residui da un ulteriore “vulnus” ai valori ambientali tutelati: anche 
l’ultimo motivo di censura, pertanto, doveva essere disatteso.
L’odierna parte appellante ha censurato la predetta sentenza chiedendone 
l’annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima 
riproponendo i motivi di censura già contenuti nel ricorso di primo grado.
Il piccolo locale adibito a ricovero di attrezzi agricoli da questi realizzato 
era di modeste dimensioni; la Soprintendenza non avrebbe potuto ispezionare il 
sito, in presenza della completa e compiuta istruttoria svolta 
dall’amministrazione comunale;erano state illegittimamente introdotte nel 
procedimento, ad opera della Soprintendenza, non ammissibili valutazioni di 
merito: ciò in base ad un atto connotato da motivazione non solo insufficiente 
ma, addirittura, meramente apparente, anche tenuto conto della situazione 
(ampiamente compromessa, sotto il profilo urbanistico ed ambientale) dell’area.
Essa ha puntualizzato e ribadito dette doglianze mercè il deposito di una 
articolata memoria datata 1.3.2010.
Alla camera di consiglio del 9 ottobre 2007 fissata per l’esame dell’istanza 
cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione 
con l’ordinanza n. 5301/2007 ha parzialmente accolto l’appello cautelare, 
limitatamente alla riduzione in pristino del manufatto di cui trattasi 
conseguente all’esecuzione del decreto impugnato in primo grado.
DIRITTO
La sentenza deve essere confermata previa declaratoria di infondatezza 
dell’appello.
L’azione amministrativa appare immune dai vizi di legittimità lamentati 
dall’appellante ed esattamente il Tar ha dichiarato l’infondatezza del ricorso 
di primo grado.
Il punto dal quale è necessario muovere (così invertendo la l’ordine di 
trattazione delle censure contenute nel ricorso in appello) riposa nella 
condivisibile affermazione, che costituisce jus receptum, e che riguarda sia i 
singoli beni che le aree protette, secondo cui “la qualificazione di rilevanza 
paesaggistico-ambientale di un sito non è determinata dal suo grado 
d'inquinamento - ché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe 
preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di 
tutela - , l'imposizione del relativo vincolo servendo piuttosto a prevenire 
l'aggravamento della situazione e di perseguirne il possibile recupero. 
(Consiglio di Stato , sez. V, 27 marzo 2000, n. 1761: per l’analoga affermazione 
in materia di vincolo storico-artistico,secondo cui “lo stato di degrado ed 
abbandono in cui può versare un bene non preclude l'adozione della misura di 
vincolo ex art. 1 e 3 l. 1 giugno 1939 n. 1089, che è, anzi, indirizzata ad 
impedire ulteriore danno al bene di interesse storico ed ambientale ed a 
favorire, anche avvalendosi di finanziamento pubblico, eventuali interventi di 
recupero.”, si veda: Consiglio di Stato , sez. VI, 02 novembre 2007, n. 5662).
La censura fondata sulla pregressa compromissione ambientale e paesaggistica 
dell’area ove insiste il manufatto abusivamente edificato è pertanto infondata, 
collidendo con il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato reso sia 
in sede consultiva (“in tema di condono per un'opera realizzata in zona soggetta 
a vincolo paesaggistico, la situazione di compromissione della bellezza naturale 
ad opera di preesistenti realizzazioni anziché impedire, maggiormente richiede 
per la legittimità dell'azione amministrativa che nuove opere non deturpino 
ulteriormente l’ambito protetto.” Consiglio di Stato , sez. II, 13 dicembre 
2006, n. 10387) che giurisdizionale (“ogni eventuale situazione di 
compromissione dell'ambiente ad opera di preesistenti realizzazioni, non esime 
l'amministrazione dall'assumere provvedimenti sanzionatori nei riguardi delle 
nuove costruzioni eseguite in contrasto con il vincolo paesaggistico ed anzi 
maggiormente richiede, per la legittimità dell'azione amministrativa, che 
ulteriori interventi non deturpino ulteriormente l'ambiente protetto.”Consiglio 
di Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3547).
Tali condivisibili principi consentono, da un canto, di ritenere infondata 
l’ultima censura contenuta nel ricorso in appello e, al contempo, di valutare 
finalisticamente l’azione amministrativa intrapresa dalla Soprintendenza in 
quanto armonicamente coordinata con i principi generali in materia.
Posto poi che nel caso di specie la Soprintendenza ha verificato la non 
compatibilità dell’intervento in questione con il vincolo paesistico 
(evidenziando il contrasto con le specifiche prescrizioni del PTP che sanciscono 
un vincolo di inedificabilità a tutela dei fossi e dei corsi d’acqua) è evidente 
la infondatezza della doglianza mercè la quale si è lamentato l’indebito 
esercizio di un controllo di merito (si veda, di recente, la condivisibile 
ricostruzione contenuta nella decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 
febbraio 2009, n. 1050 in tema di ampiezza della valutazione esercitabile dalle 
Soprintendenze).
Quanto alla doglianza relativa alla asserita assenza in capo alla Soprintendenza 
del potere di svolgere attività istruttoria, essa è tanto suggestiva quanto 
infondata (oltre ad essere assolutamente generica, richiamandosi ad un asserito 
vulnus del principio di “leale collaborazione” non corroborato dal richiamo di 
alcun referente normativo).
Parte appellante sembra impropriamente richiamarsi ad un principio 
giurisprudenziale reso in materia di termini di esercizio del potere repressivo 
(“l'art. 6 comma 6 bis, d.m. 13 giugno 1994 n. 495 e l'art. 159 comma 2, d.lg. 
22 gennaio 2004 n. 42 possono ritenersi ricognitivi del principio della 
possibilità, da parte della Soprintendenza, di effettuare richieste istruttorie, 
idonee ad incidere sul termine perentorio di sessanta giorni: oltre all'ipotesi 
di documentazione non trasmessa ed utilizzata in sede di rilascio 
dell'autorizzazione paesaggistica, tali richieste possono riguardare anche 
accertamenti, chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio. I rischi di 
elusione del termine perentorio e di attribuzione alla Soprintendenza del potere 
di annullamento esercitabile senza termine certo, vengono evitati attraverso il 
contenimento temporale, risultante dalla lettura combinata delle due 
disposizioni. Ciò non significa che ogni richiesta istruttoria sia idonea ad 
interrompere il termine perentorio, in quanto resta anche ferma la possibilità 
di dedurre in giudizio l'insussistenza dei descritti presupposti, in base ai 
quali la richiesta può essere ritenuta legittima.”- Consiglio di Stato , sez. VI, 
26 novembre 2007, n. 6032 -)
Da tale principio (e dalla consolidata prassi secondo cui le Soprintendenze si 
rivolgono agli enti che rilasciarono il provvedimento autorizzatorio per 
ottenere gli eventuali chiarimenti reputati necessari) l’appellante fa 
sostanzialmente discendere un corollario, eccentrico rispetto al sistema, 
secondo il quale alla Soprintendenza sarebbe precluso di svolgere alcun 
accertamento istruttorio nell’ambito delle proprie competenze.
Il vero è semmai il contrario: il potere di svolgere in proprio attività 
istruttoria è connaturato ed endemico al potere di disporre.
Ad esso può semmai derogarsi, richiedendo chiarimenti istruttori all’autorità 
che ha emesso il provvedimento oggetto di vaglio.
Non a caso, la giurisprudenza di primo grado che ha avuto modo di pronunciarsi 
sulla questione ha semmai posto in risalto l’aspetto specularmente opposto a 
quello postulato da parte appellante precisando che “in tema di rilascio di 
nullaosta paesaggistico (nella specie per rilascio di concessione in sanatoria 
di abusi edilizi effettuati in zone sottoposte a vincolo), l'attività di 
verifica della correttezza del provvedimento regionale di conformità, di cui 
all'art. 7, l. 29 giugno 1939 n. 1497, effettuata sia dalla soprintendenza sia 
dall'autorità centrale - previa acquisizione di tutti gli atti necessari a 
consentire il pieno ed esaustivo apprezzamento dell'incidenza dell'intervento 
edilizio sull'assetto paesistico territoriale della zona e circostante - non 
implica, necessariamente, il compimento di effettivo sopralluogo ma può 
limitarsi alla valutazione documentale della condotta procedimentale tenuta 
dall'ente territoriale -nella specie, la verifica da parte dell'amministrazione 
centrale ha rilevato la carenza sul piano della motivazione circa la 
compromissione o meno del territorio-“.(T.A.R. Calabria Catanzaro, 09 novembre 
1999, n. 1335).
Quanto alla lamentata violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90, in 
quanto la Soprintendenza avrebbe omesso di comunicarle l'avvio del procedimento 
di riesame del nulla osta paesaggistico rilasciato dall'Autorità comunale, essa 
non sussiste.
La censura infatti si appalesa priva di pregio, poiché per effetto dell'art. 2 
del D.M. 19 giugno 2002, n. 165, che ha abrogato l'art. 4 del D.M. 13 giugno 
1994, n. 495, i procedimenti di riesame dei nulla osta paesaggistici ed 
ambientali non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio ai sensi 
dell'art. 7 della legge n. 241/90 (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, 
sez. VI, 3 marzo 2004, n. 1063).
E ciò anche a non volere considerare (tanto più alla luce della “novella” di cui 
alla legge n. 15/2005 che ha innovato la lex generalis in materia di 
procedimento amministrativo di n. 241/1990) il consolidato orientamento secondo 
cui “l'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento previsto 
dall'art. 7 l. n. 241 del 1990, non può essere applicato meccanicamente e 
formalisticamente, essendo volto non soltanto ad assolvere ad una funzione in 
favore del destinatario dell'atto conclusivo, ma anche a formare 
nell'amministrazione procedente una più completa e meditata volontà e dovendosi, 
comunque, ritenere che il vizio derivante dall'omissione di comunicazione non 
sussiste nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato 
comunque raggiunto o manchi. Dal che ne consegue che non può ritenersi 
sussistente la violazione di tale obbligo nel caso in cui il soggetto inciso 
sfavorevolmente da un provvedimento non dimostri che, ove sarebbe stato in grado 
di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo 
diverso le scelte dell'amministrazione procedente -nella specie trattasi di 
mancato avviso di avvio di procedimento di annullamento da parte della 
Soprintendenza ai beni ambientali ed architettonici del nulla osta comunale per 
la realizzazione di pontili mobili per approdi di imbarcazioni turistiche in 
località non individuata da variante a p.r.g. come "area portuale", e che 
pertanto si configurava come atto dovuto-.” (Consiglio di Stato , sez. VI, 06 
ottobre 2005, n. 5436).
Ciò ovviamente, tenendo in considerazione la circostanza che il diniego 
repressivo concerneva la sussistenza di una zona di rispetto, e che il privato 
interessato, odierno appellante, nessun utile contributo procedimentale avrebbe 
potuto apportare.
Tale corollario, discendente dalla incontestata sussistenza del vincolo di 
inedificabilità (del quale sarebbe spettato all’appellante dimostrare, in 
termini non meramente assertivi, l’inesistenza) consente in ultimo di dichiarare 
immeritevole di accoglimento la doglianza attinente all’asserita assenza di 
supporto motivazionale della delibera reiettiva.
La essenza della statuizione amministrativa censurata riposa nella 
interpretazione ed applicazione di norme di legge a contenuto precettivo 
immediatamente vincolante.
Parte appellante ha contestato la legittimità ed esattezza di tale 
interpretazione; ma ciò appunto, costituisce l’essenza, il “proprium” 
dell’accertamento giudiziale e non integra certo vizio motivazionale dell’atto.
Dal tenore del provvedimento impugnato l’appellante era perfettamente in grado 
di ricavare gli elementi essenziali del convincimento dell’amministrazione 
(circostanza, quest’ultima, effettivamente avvenuta): non ricorrono certamente, 
nel caso di specie, quei parametri (“il difetto di motivazione dell'atto 
amministrativo impedisce di comprendere in base a quali dati specifici sia stata 
operata la scelta della pubblica amministrazione, nonché di verificarne il 
percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali nel caso concreto, 
così contestando di fatto una determinazione assolutamente discrezionale e non 
controllabile e violando non solo l'obbligo di motivare i provvedimenti 
amministrativi, indicando, ai sensi dell'art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241, i 
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che li hanno determinati in 
relazione alle risultanze dell'istruttoria, ma anche i principi di imparzialità 
e buon andamento, di cui all'art. 97 cost. “-Consiglio di Stato , sez. IV, 04 
settembre 1996, n. 1009-) enucleati dalla giurisprudenza perché possa essere 
ritenuto sussistente sì grave vizio dell’azione amministrativa.
Il vero è che l’intera impostazione del ricorso in appello non tiene conto di 
due principi-cardine enucleati dalla giurisprudenza e che costituiscono jus 
receptum.
Il primo di essi, in tema di poteri e competenze dell’organo statale, è quello 
per cui “dall'art. 159 comma 1 d.lg. n. 42 del 2004, emerge chiaramente la 
scelta operata dal legislatore, nel senso di configurare il procedimento di 
conformità paesaggistica in sanatoria in termini "dualistici", distinguendo in 
esso un momento iniziale di ordine autorizzatorio, di competenza dell'ente 
territoriale delegato, ed un momento successivo di verifica dell'autorizzazione 
rilasciata, appartenente alla competenza dell'Autorità statale, con conseguente 
autonomia del procedimento innanzi quest'ultima e connesse prerogative di 
partecipazione, attribuite specificamente al soggetto interessato, e rinnovate, 
rispetto a quelle della precedente fase svoltasi a seguito della sua domanda di 
autorizzazione innanzi all'ente territoriale delegato.”(Consiglio di Stato , 
sez. VI, 02 novembre 2007, n. 5682).
Il secondo portato dell’esperienza giurisprudenziale, anch’esso di risalente 
ispirazione, in tema di ampiezza e portata del vincolo imposto sull’area, si è 
spinto ad affermare che è ininfluente l’epoca (antecedente o successiva alla 
commissione dell’abuso) in cui sorse il vincolo, purchè il medesimo risulti 
apposto alla data in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria (ex multis, 
Consiglio di Stato , sez. IV, 19 marzo 2009, n. 1646).
Né rileva la mancata conoscenza da parte dell’autore dell’abuso della 
sussistenza del vincolo pregresso all’epoca della commissione dell’illecito (in 
termini: Consiglio di Stato , sez. VI, 02 febbraio 2009, n. 537).
Sarebbe spettato all’amministrazione dell’ente locale fornire analitica 
dimostrazione, fornita di consistente supporto motivazionale, del perché, pur a 
fronte del vincolo in oggetto, l’immobile si potesse ritenere meritevole del 
provvedimento di sanatoria (e quale fosse l’interesse, prevalente sul vincolo 
apposto, da salvaguardare). Il provvedimento repressivo impugnato non indulge in 
valutazioni di merito ma, fa corretto uso dei superiori principi, con 
statuizione immune da vizi di straripamento.
In conclusione, il provvedimento impugnato si appalesa legittimamente adottato 
nell'esercizio del potere di annullamento conferito al Soprintendente ed 
adeguatamente motivato, essendo a tal fine sufficiente il riferimento al 
rilevato contrasto con le prescrizioni in materia di vincolo da zona di rispetto 
ed alla carenza di motivazione del nulla osta comunale. Quest'ultimo vizio, 
peraltro, è stato ritenuto dalla giurisprudenza, con riferimento ai 
provvedimenti in esame, come particolarmente grave e di per sé sufficiente a 
giustificare l'annullamento del nulla osta comunale. In considerazione della 
tendenziale irreversibiltà dell'alterazione dello stato dei luoghi, infatti, 
un'adeguata gestione dei vincoli paesistici impone che l'autorizzazione 
paesistica sia congruamente motivata, esponendo le ragioni di effettiva 
compatibilità degli abusi realizzati con gli specifici valori paesistici dei 
luoghi, con la conseguenza che il difetto di motivazione dell'autorizzazione 
giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo (Consiglio di 
Stato, Sez. V n. 4552/2005; Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sez. VI, 9 aprile 
1998, n. 460; Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460; 
Sez. VI, 20 giugno 1997, n. 952; Sez. VI, 30 dicembre 1995, n. 1415; Sez. VI, 12 
maggio 1994, n. 771).
In particolare, l’azione amministrativa appare essersi conformata ai principi 
autorevolmente affermati secondo i quali “con riferimento alle valutazioni che 
il Ministero per i beni e le attività culturali può formulare ex art. 82, comma 
9, d.lg. 24 luglio 1977 n. 616 (così come da ultimo trasfuso nell'art. 151, 
comma 4, secondo periodo, d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490) in sede di gestione dei 
valori paesistici e ambientali "ad estrema difesa del vincolo", va richiamata la 
incontestata giurisprudenza per la quale l'autorizzazione paesistica può essere 
annullata per qualsiasi vizio di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di 
potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, 
illogicità manifesta): in particolare, in considerazione della tendenziale 
irreversibilità dell'alterazione dello stato dei luoghi, l'atto che esamina la 
domanda di autorizzazione deve essere coerente col piano paesistico (ove 
emanato), si deve basare su una idonea istruttoria e su una adeguata motivazione 
(da cui devono risultare le ragioni poste a base della affermata prevalenza di 
un interesse diverso da quello tutelato in via primaria) e deve tenere conto del 
principio di leale cooperazione che in materia domina i rapporti tra il 
Ministero e le regioni. “.(Consiglio di Stato Adunanza Plenaria, 14 dicembre 
2001, n. 9).
La sentenza impugnata, conclusivamente, resiste alle censure di cui all’appello 
che deve essere, pertanto, respinto.
Nessuna statuizione è dovuta sulle spese di giudizio, stante la mancata 
costituzione in giudizio delle appellate amministrazioni.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione sesta, definitivamente 
pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo respinge e per l’effetto 
conferma l’appellata sentenza.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2010 con 
l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE                                          
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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