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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 
VI - 22 aprile 2010, n. 2278
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Interesse storico-artistico - Carattere intrinseco 
della res
- Vicende relative al regime giuridico del bene - Sdemanializzazione - Influenza 
sulla qualificazione del bene - Esclusione. L’interesse storico artistico 
del bene rappresenta un carattere intrinseco della res in se intesa, 
tendenzialmente insuscettibile di risultare influenzata dalle vicende relative 
al regime giuridico del bene stesso e, segnatamente, dalle vicende relative 
all’instaurazione o alla cessazione del carattere di demanialità. Non è quindi 
il regime giuridico del bene (i.e.: la sua iscrizione al novero dei beni 
demaniali ovvero patrimoniali) ad influenzare la qualificazione del bene in 
relazione alla disciplina vincolistica di carattere storico-artistico; al 
contrario, sono le intrinseche qualità del bene ad imporre la sua sottoposizione 
al vincolo storico-artistico, il quale verrà - poi - differenziato nel suo 
concreto atteggiarsi a seconda che si tratti di vincolo su bene demaniale, 
ovvero di vincolo su bene patrimoniale di soggetti pubblici o privati. Pres. 
Varrone, Est. Contessa - F. s.p.a. (avv.ti Lemme e Luly) c. Ministero per i Beni 
e le Attivita' Culturali e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) - (Conferma TAR 
Toscana n. 4478/2004). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 22 aprile 2010, n. 2278
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Interesse storico artistico - Bene demaniale 
transitato nel patrimonio di soggetti privati - Conferma dell’interesse storico 
artistico - Necessità di atti novativi - Esclusione. Una volta confermato 
(secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale) che l’interesse 
storico-artistico di un immobile (olim) di proprietà dello Stato discende dalle 
intrinseche qualità e caratteristiche del bene (e non dagli atti dichiarativi di 
cui all’art. 4, l. 1089 del 1939 - in seguito: art. 5, d.lgs. 490 del 1999 -), 
ne consegue che una volta che quel medesimo bene transiti (all’esito delle 
procedure di legge) nel patrimonio di soggetti privati, esso conservi immutate 
le richiamate qualità e caratteristiche, senza che sia a tal fine necessaria 
l’adozione di atti lato sensu novativi. Pres. Varrone, Est. Contessa - F. 
s.p.a. (avv.ti Lemme e Luly) c. Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali e 
altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) - (Conferma TAR Toscana n. 4478/2004). 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 22 aprile 2010, n. 2278
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Sdemanializzazione di beni appartenuti al demanio 
culturale - Verifica ex art. 27 d.l. n. 269/2003 - Natura - Condicio 
juris risolutiva. La verifica prevista dall’art. 27 del d.l. 30 
settembre 2003, n. 269 (in tema di sdemanializzazione di beni già appartenuti al 
demanio culturale) non può essere intesa come una sorta di condicio juris 
sospensiva rispetto alla sottoposizione dei beni alle prescrizioni 
vincolistiche; quanto piuttosto come una sorta di condicio juris 
risolutiva la quale non condiziona in alcun modo (laddove non effettuata) la 
permanenza del vincolo, ma - al più - ne preclude la perdurante efficacia nel 
caso di rilevata insussistenza del richiamato interesse storico-artistico. Pres. 
Varrone, Est. Contessa - F. s.p.a. (avv.ti Lemme e Luly) c. Ministero per i Beni 
e Le Attivita' Culturali e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) - (Conferma TAR 
Toscana n. 4478/2004). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 22 aprile 2010, n. 2278
 
 
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
N.  02278/2010 REG.DEC.
N. 01054/2005 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 1054 del 2005, proposto:
dalla soc. Fintecna-Finanziaria per i Settori Industriale e Servizi S.p.A., in 
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli 
Avvocati Fabrizio Lemme e Fiammetta Luly, con domicilio eletto presso l’Avvocato 
Fabrizio Lemme in Roma, corso Francia, n. 197;
contro
Il Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali, in persona del Ministero, 
legale rappresentante pro tempore;
il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Agenzia del Demanio
entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, 
domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Soprintendenza per i BB.AA.PP.SS. di Firenze, Pistoia e Prato;
la Soprintendenza Regionale per la Toscana,
il Comune di Firenze;
per la riforma
della sentenza del TAR TOSCANA – FIRENZE, Sezione III, n. 4478/2004, resa tra le 
parti, concernente DICHIARAZIONE D'INTERESSE STORICO-ARTISTICA SU UN BENE 
DEMANIALE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le 
Attivita' Culturali e del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Agenzia del 
Demanio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2010 il Cons. Claudio 
Contessa e uditi per le parti l’Avvocato Anselmo per delega dell’Avvocato Lemme, 
e l’Avvocato dello Stato Basilica.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La soc. Fintecna S.p.A. (società finanziaria interamente partecipata dal 
Ministero dell’Economia e delle Finanze) riferisce che con atto in data 27 
dicembre 2002 ebbe ad acquistare in blocco dal Demanio dello Stato una serie di 
immobili (in precedenza attribuiti all’Ente Tabacchi Italiani e da questo 
dichiarati non strumentali al perseguimento delle proprie finalità 
istituzionali), fra cui l’edificio della ex manifattura dei tabacchi di Firenze.
Risulta agli atti che i beni in questione fossero stati individuati con decreto 
del Direttore dell’Agenzia delle Entrate in data 23 dicembre 2002 e riconosciuti 
di proprietà dello stato ai sensi del comma 2 dell’art. 1, d.l. 25 settembre 
2001, n. 351 (recante Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e 
valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi 
comuni di investimento mobiliare), in tal modo producendo gli effetti di cui 
all’art. 2644 cod. civ., nonché gli effetti sostitutivi dell’iscrizione dei beni 
medesimi in catasto.
In particolare, la vendita del bene immobile in questione era avvenuta ai sensi 
dell’art. 7 del d.l. 24 dicembre 2002, n. 282 (recante Disposizioni urgenti in 
materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di 
contabilità), ossia della disposizione secondo cui “nell'ambito delle azioni di 
perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso la dismissione di 
beni immobili dello Stato, l'alienazione di tali immobili è considerata urgente 
con prioritario riferimento a quelli il cui prezzo di vendita sia fissato 
secondo criteri e valori di mercato. L'Agenzia del demanio è autorizzata a 
vendere a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili appartenenti al 
patrimonio dello Stato di cui agli allegati A e B al presente decreto. La 
vendita fa venire meno l'uso governativo, le concessioni in essere e l'eventuale 
diritto di prelazione spettante a terzi anche in caso di rivendita (…)”.
Ebbene, risulta agli atti che, successivamente all’atto di acquisto 
dell’immobile in parola, la soc. Fintecna ricevette dalla Soprintendenza per i 
BB.CC.AA. di Firenze una nota con cui si comunicava l’esistenza (e la perdurante 
operatività) di un provvedimento di tutela adottato ai sensi dell’art. 822 cod. 
civ. e della l. 1089 del 1939 dall’Ufficio Centrale per i BB.AA.SS. del 
Ministero per i Beni Culturali e Ambientali in data 31 ottobre 1997.
Nell’occasione, il Soprintendente rappresentava che il provvedimento in 
questione non fosse stato trascritto nei pubblici registri “in quanto il regime 
proprio del Demanio Pubblico non lo prevedeva”.
Dal provvedimento impositivo del vincolo (in atti) emerge che esso fosse 
adottato per la ritenuta sussistenza di un interesse particolarmente importante 
ai sensi della l. 1089, cit., conformemente alle risultanze della relazione 
storico-artistica fornita in allegato.
Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. della Toscana e recante il n. 372/04, la 
soc. Fintecna chiedeva l’annullamento:
- del decreto in data 31 ottobre 1997, con cui era stato dichiarato l’interesse 
particolarmente importante dell’immobile in parola (così come della relazione 
storico-artistica allo stesso prodromica);
- della nota della Soprintendenza in data 9 dicembre 2003, con cui era stata 
confermata la sussistenza del provvedimento di tutela in questione (pure 
all’indomani della sua sdemanializzazione e della vendita a soggetto privato), a 
nulla rilevando il dato della mancata trascrizione del vincolo nei pubblici 
registri.
Con la pronuncia oggetto del presente gravame, il Tribunale adito respingeva il 
ricorso, osservando (in via di estrema sintesi):
- che non fosse condivisibile l’argomento proposto dalla soc. Fintecna, secondo 
cui all’indomani della sdemanializzazione del bene e della sua vendita, la 
Soprintendenza non avrebbe potuto limitarsi a confermare sic et simpliciter la 
perdurante esistenza del vincolo imposto nella vigenza del regime demaniale sul 
bene, gravando piuttosto sull’Organo statale l’onere di avviare a tal fine (ed 
ex novo) un procedimento di notifica ai sensi dell’art. 6, d.lgs. 490 del 1999;
- che la normativa primaria applicabile alla vicenda di causa sanciva in modo 
espresso la perdurante efficacia dei vincoli gravanti sui beni trasferiti anche 
all’indomani della sdemanializzazione e della conseguente alienazione (nella 
tesi del T.A.R., depone in tal senso la previsione di cui all’art. 7 del d.l. 24 
dicembre 2002, n. 282, il quale opera un rinvio espresso alla previsione di cui 
al secondo periodo del comma 18 dell’art. 3, d.l. 25 settembre 2001, n. 351);
- che, in base al pertinente quadro normativo (artt. 1 e 3 del d.l. 410 del 
2001; art. 7 del d.l. 282 del 2002) i vincoli gravanti sul bene non vengono meno 
né per effetto del passaggio del bene al patrimonio disponibile, né per effetto 
della vendita del bene, atteso che l’interesse storico-artistico del bene deve 
ritenersi una caratteristica intrinseca del bene, indifferente rispetto alla 
cessazione del carattere di demanialità del bene;
- che il carattere di demanialità di un bene immobile dichiarato di interesse 
particolarmente importante ai sensi della l. 1089 del 1939 attiene ai profili 
dell’uso pubblico dello stesso e si riverbera sul relativo regime di 
circolazione e sulla sua idoneità a costituire oggetto di diritti da parte di 
terzi (con la conseguenza per cui, in caso di cessazione del carattere 
demaniale, muti l’idoneità in concreto del bene in relazione ai profili testé 
richiamati). Al contrario, l’interesse storico-artistico del bene, consistendo 
in una caratteristica intrinseca della cosa, permane anche a seguito della 
cessazione del regime di demanialità;
- che, in ultima analisi, la nozione di bene demaniale (la quale attiene al 
regime di appartenenza del bene e alla sua diretta destinazione all’uso 
pubblico) e quella di bene culturale (la quale attiene ad una qualità intrinseca 
del bene, la quale può venire meno solo all’esito di uno speciale procedimento 
amministrativo) si pongono su piani distinti, rispondendo a diversi interessi 
pubblici;
- che il pertinente quadro normativo afferma la perdurante efficacia del vincolo 
anche a seguito delle procedure di sdemanializzazione ed alienazione, con la 
conseguenza che non sussista alcun obbligo in capo alle Soprintendenze di 
procedere ad una nuova notifica dell’atto impositivo del vincolo nei confronti 
del nuovo proprietario;
- che non risultasse fondato il motivo di doglianza fondato sull’asserita 
carenza di motivazione che vizierebbe il decreto impositivo del vincolo (così 
come la relazione storico-artistica ad esso prodromica) per ciò che attiene la 
sussistenza di un interesse particolarmente importante, atteso che dagli atti 
dell’istruttoria emerge che l’Amministrazione avesse dato plausibilmente ed 
esaurientemente conto delle valutazioni tecnico-discrezionali poste a fondamento 
dell’adozione dell’atto impositivo.
La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dalla soc. Fintecna, 
la quale ne lamentava l’erroneità e ne chiedeva l’integrale riforma, articolando 
tre motivi di doglianza:
1) Violazione dell’art. 7, l. 27/1993 e della l. 410/2001 in materia di 
dismissione degli immobili dello Stato, come confermate dagli artt. 27 e 42-bis, 
co. 6, l. 326/2003 – Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei 
presupposti di fatto e contraddittorietà;
2) Violazione degli artt. 6 e seg. Del d.lgs. 490/1999;
3) Obbligo di specificazione dell’interesse particolarmente importante – 
sufficiente motivazione.
Si costituiva in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato, la quale concludeva 
nel senso della reiezione del gravame.
All’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2010 i Procuratori delle Parti 
costituite rassegnavano le proprie conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in 
decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla soc. 
Fintecna avverso la sentenza del T.A.R. della Toscana con cui è stato respinto 
il ricorso avverso la nota del competente Soprintendente con cui è stata 
confermata la sussistenza della dichiarazione di notevole interesse storico 
della ex manifattura dei tabacchi di Firenze ai sensi della l. 1° giugno 1939, 
n. 1089, nonostante il bene immobile in parola fosse stato medio tempore 
sdemanializzato ad assoggettato alle procedure di vendita di cui al d.l. 24 
dicembre 2002, n. 282.
2. Con il primo motivo di appello, la soc. Fintecna lamenta la presunta 
erroneità della pronuncia in oggetto, per avere ritenuto che la previsione di 
cui al secondo periodo del comma 18 dell’art. 3, d.l. 351 del 2001 
(espressamente richiamato dall’art. 7 del d.l. 282 del 2002, secondo cui 
“restano salvi i vincoli gravanti sui beni trasferiti”) potrebbe trovare 
applicazione anche in relazione ai vincoli di carattere storico-artistico.
Al contrario, laddove avesse correttamente interpretato il combinato operare 
delle due richiamate disposizioni, il Tribunale adito avrebbe dovuto 
necessariamente concludere nel senso che i vincoli di cui tale disciplina 
prescrive la salvaguardia sarebbero soltanto quelli di natura urbanistica e/o 
fiscale, anche in considerazione dell’espressa previsione normativa (primo 
periodo del comma 18 dell’art. 3, d.l. 351, cit.) secondo cui “lo Stato e gli 
altri Enti pubblici sono esonerati dalla consegna dei documenti relativi alla 
proprietà dei beni e alla regolarità urbanistica-edilizia e fiscale”.
Ancora con il primo motivo di appello, la soc. Fintecna lamenta la presunta 
erroneità della pronuncia in epigrafe per la parte in cui ha affermato la piena 
diversità di piani fra il carattere di demanialità di un determinato bene (che 
può essere rimossa all’esito di determinate procedure) e la sua natura di bene 
culturale (la quale, attenendo ad un carattere intrinseco del bene, non verrebbe 
in alcun modo incisa dalle procedure di sdemanializzazione).
L’erroneità di tale opinamento consisterebbe in ciò, di aver ammesso che la 
sussistenza di un interesse culturale risulti ex se idonea a giustificare 
l’applicabilità del decreto di vincolo adottato ai sensi dell’art. 822 cod. civ. 
(in tema di beni appartenenti al demanio statale). In tal modo operando, il 
T.A.R. avrebbe concluso per accomunare profili e regimi giuridici distinti, 
applicando ad un bene culturale di carattere privato il regime proprio di un 
bene demaniale.
Ed ancora, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che la sdemanializzazione del 
bene (e la sua successiva alienazione) avrebbero determinato l’irreversibile 
perdita del suo carattere di demanialità (con particolare riguardo al necessario 
requisito della destinazione specifica al godimento pubblico).
Del resto, sarebbe inconcepibile far permanere in capo ad un bene olim 
appartenente al demanio culturale i vincoli a suo tempo imposti (pure 
all’indomani della cessione a privati del bene), in considerazione del fatto che 
il regime di tutela di cui alla l. 1039 del 1939 (in seguito: d.lgs. 490 del 
1999) relativo ai beni appartenenti allo Stato risulta ben più incisivo rispetto 
al regime di tutela gravante sui beni culturali di carattere privato (atteso 
che, in relazione a tale seconda tipologia di beni, il Legislatore si farebbe 
carico di coniugare l’interesse storico-artistico del bene con l’esigenza di non 
svuotare oltre il necessario il contenuto del diritto dominicale).
Ancora con il primo motivo di appello, la soc. Fintecna afferma che una conferma 
(sia pure, indiretta) alla fondatezza delle proprie tesi sarebbe fornita dalle 
previsioni di cui all’art. 27 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, 
con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), il quale avrebbe 
chiarito che la sdemanializzazione dei beni già appartenuti al demanio culturale 
(e necessaria ai fini della successiva alienazione) presupponesse in via 
necessaria l’esito negativo della verifica circa la persistenza dell’interesse 
culturale (verifica che, nel caso di specie, non risulta essere stata 
effettuata).
In definitiva, il d.l. 269, cit. avrebbe comportato che l’intervenuta 
sdemanializzazione dei beni sottoposti alle procedure di cui al d.l. 351 del 
2001 e di cui al d.l. 282 del 2002 presupponesse in via necessaria la previa 
verifica – in negativo – dell’interesse culturale dei beni in questione.
Con il secondo motivo di appello, poi, la soc. Fintecna lamenta che i primi 
Giudici avrebbero omesso di valutare in tutte le sue implicazioni la distinzione 
concettuale sussistente fra ‘bene culturale’ e ‘bene demaniale’ (i.e.: bene 
appartenente al demanio culturale statale)
Laddove avessero apprezzato in tutta la sua ampiezza tale differenza, i primi 
Giudici avrebbero necessariamente dovuto concludere nel senso che 
l’Amministrazione, una volta riconosciuto un interesse culturale qualificato in 
capo al bene privato, avrebbe avuto l’obbligo di avviare il procedimento di 
dichiarazione e notifica di cui agli artt. 6 e segg., d.lgs. 490 del 1999.
Ed infatti, solo una siffatta notifica (e la conseguente trascrizione nei 
pubblici registri immobiliari) sarebbe idonea ad assicurare l’idoneità della 
dichiarazione di interesse particolarmente importante a sortire i propri effetti 
anche nei confronti dei successivi acquirenti del bene, in tal modo sortendo 
un’evidente funzione di garanzia delle rispettive posizioni giuridiche.
2.1. I due motivi di doglianza dinanzi sinteticamente richiamati, che possono 
essere esaminati in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.
2.1.1. In primo luogo il Collegio osserva che non sia fondato l’argomento 
secondo cui la previsione di cui al secondo periodo del comma 18 dell’art. 3, 
d.l. 351 del 2001 (espressamente richiamato dall’art. 7 del d.l. 282 del 2002, 
secondo cui “restano salvi i vincoli gravanti sui beni trasferiti”) sarebbe da 
riferire in via esclusiva ai vincoli di natura urbanistica e/o fiscale, non 
potendo trovare applicazione con riguardo ai vincoli di carattere 
storico-artistico.
Sotto il profilo squisitamente testuale, si osserva che l’argomento in questione 
non possa essere condiviso, atteso che alcun elemento espresso depone nel senso 
di una siffatta limitazione oggettuale dei vincoli di cui la disposizione in 
parola sancisce la salvaguardia.
Né può deporre in tal senso la mera sequenza logica fra la previsione di cui al 
primo periodo del comma 18 dell’art. 3, d.l. 351, cit. (a tenore del quale “lo 
Stato e gli altri enti pubblici sono esonerati dalla consegna dei documenti 
relativi alla proprietà dei beni e alla regolarità urbanistica-edilizia e 
fiscale”) ed il successivo secondo periodo (a tenore del quale “restano fermi i 
vincoli gravanti sui beni trasferiti”), nell’assenza di una qualunque formula 
testuale la quale limiti – attraverso opportuni richiami – il novero dei vincoli 
in questione ai soli ambiti individuati al precedente periodo.
Sotto il profilo sistematico, poi, si osserva che (pur dovendosi dare atto del 
carattere non adamantino della richiamata previsione normativa), la corretta 
interpretazione delle relative prescrizioni non possa che prendere le mosse 
dall’evidente ratio di assicurare la più ampia tutela del valore (anche) 
storico-artistico degli immobili oggetto di dismissione, dovendosi pertanto 
intendere come previsioni di jus singulare (e, come tali, limitate ad 
ipotesi tassative e di stretta interpretazione) le disposizioni derogatorie 
rispetto alla disciplina generale in tema di tutela del patrimonio 
storico-artistico (un esempio in tal senso è rappresentato dal secondo periodo 
del comma 17 dell’art. 3, d.l. 351, cit., a tenore del quale i trasferimenti in 
parola “non sono soggetti alle autorizzazioni previsti dal testo unico di cui al 
decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (…)”).
2.1.2. Ancora, non risulta fondato il complesso motivo di appello con cui si 
lamenta l’erroneità della pronuncia in epigrafe per la parte in cui essa ha 
affermato la piena diversità di piani fra il carattere di demanialità di un 
determinato bene (che può essere rimossa all’esito di determinate procedure) e 
la sua natura di bene culturale (la quale, afferendo ad un carattere intrinseco 
del bene, non potrebbe essere in alcun modo incisa dalle procedure di 
sdemanializzazione).
Ed ancora, non risulta fondato l’argomento di doglianza basato sulla circostanza 
per cui il T.A.R. avrebbe erroneamente accomunato profili e regimi giuridici 
distinti, applicando ad un bene culturale di carattere privato il regime proprio 
di un bene demaniale.
Si osserva in contrario che la pronuncia oggetto di gravame appaia meritevole di 
conferma laddove ha affermato che né la riconosciuta non strumentalità degli 
immobili oggetto di dismissione (art. 1, co. 2, d.l. 351, cit.), né il mutamento 
del relativo regime giuridico (con passaggio dal novero dei beni demaniali a 
quelli del patrimonio disponibile), né – ancora – la loro sottrazione alla 
fruizione pubblica e all’uso governativo (art. 7, d.l. 282, cit.) risultino in 
alcun modo idonei a determinare il venir meno dell’interesse storico-artistico 
del bene (dichiarata nelle forme di legge), la quale rappresenta un carattere 
intrinseco del bene, tendenzialmente insuscettibile di risultare influenzata 
dalle diverse vicende relative al regime giuridico del bene stesso.
Ed ancora, la pronuncia in questione risulta condivisibile laddove ha osservato 
che l’interesse particolarmente importante del bene (artt. 2 e 3, l. 1089 del 
1939; in seguito: art. 2, d.lgs. 490 del 1999) rappresenti una qualità della res 
in se intesa, in relazione alla quale non rilevano le vicende relative 
all’instaurazione o alla cessazione del carattere di demanialità.
In definitiva, non è il regime giuridico del bene (i.e.: la sua iscrizione al 
novero dei beni demaniali ovvero patrimoniali) ad influenzare la qualificazione 
del bene in relazione alla disciplina vincolistica di carattere 
storico-artistico; al contrario, sono le intrinseche qualità del bene ad imporre 
la sua sottoposizione al vincolo storico-artistico, il quale verrà – poi – 
differenziato nel suo concreto atteggiarsi a seconda che si tratti di vincolo su 
bene demaniale, ovvero di vincolo su bene patrimoniale di soggetti pubblici o 
privati.
Ora, una volta confermato (secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale) 
che l’interesse storico-artistico di un immobile (olim) di proprietà dello Stato 
discende dalle intrinseche qualità e caratteristiche del bene (e non dagli atti 
dichiarativi di cui all’art. 4, l. 1089 del 1939 – in seguito: art. 5, d.lgs. 
490 del 1999 -), ne consegue che una volta che quel medesimo bene transiti 
(all’esito delle procedure di legge) nel patrimonio di soggetti privati, esso 
conservi immutate le richiamate qualità e caratteristiche, senza che sia a tal 
fine necessaria l’adozione di atti lato sensu novativi.
Ne consegue, ancora, che la sottoposizione del bene (in capo al quale permanga 
un intrinseco carattere di interesse storico-culturale) alle disposizioni di 
tutela proprie dei beni privati riconosciuti come di interesse particolarmente 
importante (i.e.: alle disposizioni di tutela richiamate dall’art. 10, d.lgs. 
490 del 1999) discenda in via diretta dalle richiamate qualità e caratteristiche 
del bene e si traduca in una declinazione degli strumenti di tutela propria dei 
beni privati di interesse storico-culturale, mentre non può in alcun modo 
affermarsi che il complesso degli strumenti di tutela in tal modo determinati 
reintroduca in modo surrettizio un regime giuridico coincidente – o solo 
assimilabile – con quello proprio dei beni demaniali.
2.1.3. Per ragioni in parte analoghe a quelle sin qui esposte non può essere 
condiviso neppure l’argomento di doglianza secondo cui il T.A.R. avrebbe omesso 
di considerare che la sdemanializzazione del bene (e la sua successiva 
alienazione) avrebbero determinato l’irreversibile perdita del suo carattere di 
demanialità (con particolare riguardo al necessario requisito della destinazione 
specifica al godimento pubblico).
Come osservato in precedenza, l’appellante afferma al riguardo che sarebbe del 
tutto inconcepibile un sistema il quale ammettesse che i vincoli concernenti un 
bene già appartenuto al demanio storico-artistico possano perpetuarsi anche 
all’indomani del trasferimento del bene a soggetti privati, anche in 
considerazione del fatto che le tipologie di vincoli gravanti sui beni di 
interesse particolarmente importante di proprietà pubblica sarebbero ben più 
incisive di quelle relative ai beni appartenenti a soggetti privati.
Si ribadisce in primo luogo al riguardo che non è il regime giuridico del bene 
(i.e.: la sua ascrizione al novero dei beni demaniali, ovvero patrimoniali) ad 
influenzare il riconoscimento del relativo carattere di interesse 
storico-artistico; ma è vero il contrario: sono le caratteristiche intrinseche 
del bene (intese quale variabile indipendente della fattispecie vincolistica) a 
determinare, in relazione al concreto regime proprietario e agli altri elementi 
rilevanti ex lege, l’ascrizione o meno del bene nell’ambito del demanio statale, 
nonché la configurazione concreta della fattispecie.
Neppure può essere condiviso il secondo dei richiamati argomenti (ossia, quello 
relativo al carattere asseritamente più incisivo della tipologia di vincoli 
gravanti sui beni di interesse particolarmente importante di proprietà pubblica 
rispetto a quelli gravanti sugli analoghi beni appartenenti a soggetti privati).
Sotto tale aspetto basti richiamare la previsione di cui all’art. 10, d.lgs. 490 
del 1999 il quale assoggetta espressamente entrambe le categorie di beni alle 
disposizioni normative di cui al Titolo I del medesimo decreto, in tal modo 
assoggettandole ad un regime vincolistico sostanzialmente omogeneo.
2.1.4. Si osserva, inoltre, che non può essere condiviso l’argomento d’appello 
fondato sulla previsione di cui all’art. 27 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 
(convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) il quale 
avrebbe chiarito che la sdemanializzazione dei beni già appartenuti al demanio 
culturale (e necessaria ai fini della successiva alienazione) presupporrebbe in 
via necessaria l’esito negativo della verifica circa la persistenza 
dell’interesse culturale (verifica che, nel caso di specie, non risulta essere 
stata effettuata).
Al riguardo, si osserva che il disposto testuale di cui al richiamato art. 27 
deponga in senso affatto opposto rispetto a quanto affermato dall’appellante.
Sotto tale aspetto basterà richiamare la previsione di cui al comma 1 dell’art. 
27, cit., secondo cui “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle 
regioni, alle province, alle città metropolitane, ai comuni e ad ogni altro ente 
ed istituto pubblico, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 29 ottobre 
1999, n. 490, sono sottoposte alle disposizioni in materia di tutela del 
patrimonio culturale fino a quando non sia stata effettuata la verifica [circa 
l’insussistenza di un interesse storico-artistico in capo alla res]”.
Ne consegue, evidentemente, che la verifica in questione non possa essere intesa 
(come ritenuto dall’appellante) come una sorta di condicio juris sospensiva 
rispetto alla sottoposizione dei beni alle richiamate prescrizioni 
vincolistiche; quanto piuttosto come una sorta di condicio juris risolutiva la 
quale non condiziona in alcun modo (laddove non effettuata) la permanenza del 
vincolo, ma – al più – ne preclude la perdurante efficacia nel caso di rilevata 
insussistenza del richiamato interesse storico-artistico.
2.1.5. Si osserva, ancora, che la correttezza del quadro ricostruttivo sin qui 
delineato non possa essere revocata in dubbio neppure in relazione alla 
circostanza per cui detto quadro ricostruttivo comporterebbe l’opponibilità nei 
confronti dell’acquirente del bene di interesse storico-artistico di un vincolo 
non trascritto nei pubblici registri, in violazione di generali principi in tema 
di pubblicità delle vicende relative ai beni immobili.
Secondo un ormai tradizionale orientamento giurisprudenziale, infatti, nel 
sistema della l. 1089 del 1939 (applicabile in parte qua alla vicenda di causa), 
la previa notifica e trascrizione del vincolo non è necessaria ai fini dell’opponibilità 
a terzi delle previste prescrizioni limitative della disponibilità delle cose di 
interesse storico-artistico (con particolare riguardo alle ipotesi di cui 
all’art. 4 della l. 1089, cit. e agli elenchi descrittivi ivi richiamati). In 
tali ipotesi, infatti, il vincolo deriva direttamente dalla legge e discende in 
modo diretto dalle caratteristiche intrinseche del bene, in tal modo 
prescindendo da valutazioni effettivamente discrezionali da parte 
dell’Amministrazione e risultando – altresì – oggettivamente riconoscibile ed 
accertabile, in tal modo giustificando un particolare (e meno favorevole) regime 
di opponibilità (in tal senso: Cass. Civ., sent. 26 giugno 1990, n. 6496).
3. Con il terzo motivo di appello, la soc. Fintecna lamenta l’erroneità della 
pronuncia in epigrafe per la parte in cui non ha rilevato che il mutato regime 
giuridico del bene avrebbe imposto all’Amministrazione procedente di rivalutare, 
con adeguata motivazione, l’interesse culturale del bene nel suo complesso, 
facendo applicazione delle previsioni normative in tema di procedure di 
dichiarazione (art. 6 e segg., d.lgs. 490 del 1999).
Ed ancora, il T.A.R. avrebbe dovuto dare atto del carattere non più attuale di 
un decreto impositivo emesso sul presupposto (non più attuale) del regime 
pubblicistico sul bene.
Inoltre, il Tribunale avrebbe dovuto tenere in adeguata considerazione il fatto 
che la relazione storico-artistica sottesa al rilascio del provvedimento 
impositivo del vincolo del 1997 non specificasse in alcun modo se l’interesse 
rilevante ai sensi della l. 1089 del 1939 in concreto ravvisato fosse da 
ricondurre alla nozione di pregio architettonico, ovvero fosse da ricondurre al 
collegamento del bene con determinati fatti o vicende della storia o dell’arte.
Ed ancora, il T.A.R. avrebbe dovuto adeguatamente valutare il fatto che il 
provvedimento impositivo del vincolo non esplicasse in alcun modo le ragioni per 
cui un immobile espressione di un tipo seriale dell’architettura fascista (e in 
quanto tale privo in via di principio di un interesse particolarmente 
importante) fosse stato, invece, ricondotto al novero degli immobili di cui agli 
articoli 1 e 2 della l. 1089 del 1939 (in seguito: articolo 2 del d.lgs. 490 del 
1999).
3.1. Il motivo in questione non può trovare accoglimento.
Per quanto concerne l’argomento di doglianza relativo al presunto obbligo per 
l’Amministrazione di rivalutare ai sensi degli articoli 6 e segg., d.lgs. 490 
del 1999 la sussistenza di un interesse particolarmente importante in relazione 
all’immobile, ci si limiterà qui a rinviare a quanto più ampiamente esposto 
infra, sub 2.1.3. e 2.1.4.
Sotto tale aspetto, ci si limita a ribadire che il complessivo sistema normativo 
in tema di sdemanializzazione ed alienazione di beni di proprietà pubblica 
delineato dai decreti numm. 351 del 2001 e 282 del 2002 non ammette 
(contrariamente a quanto affermato dall’Appellante) che un bene caratterizzato 
da un intrinseco interesse storico-culturale, laddove fatto oggetto delle 
procedure di dismissione, resti in concreto scevro da vincoli in attesa di una 
nuova verifica di interesse.
Al contrario, il richiamato sistema normativo postula che si riconosca rilievo 
preminente all’intrinseco valore del bene, con la conseguenza che il relativo 
regime giuridico transiti (senza soluzione alcuna di continuità) dalle tipologie 
di vincoli proprie dei beni soggettivamente pubblici alle tipologie proprie dei 
beni soggettivamente privati.
Ne consegue che l’alienazione a privati del bene di cui sia accertato 
l’interesse storico-artistico incida soltanto sul relativo regime proprietario, 
ma non anche sulle intrinseche caratteristiche valoriali del bene, con la 
conseguenza di rendere non necessaria una nuova verifica in ordine al dato 
(invero immutato) della sua valenza storico-artistica.
Per quanto concerne, poi, il motivo di doglianza relativo alla circostanza per 
cui il Ministero non abbia indicato, in sede di imposizione del vincolo, se 
l’immobile in questione rientrasse nell’ambito della categoria di beni di cui 
all’art. 1 della l. 1089 (in quanto immobile che presenta interesse artistico, 
storico, archeologico o etnografico), ovvero nell’ambito della categoria di cui 
al successivo art. 2 (beni immobili che presentano un riferimento con la storia 
politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere), si 
osserva quanto segue.
In via di principio, la lamentata discrasia (quand’anche ritenuta sussistente in 
concreto) non potrebbe rappresentare un vizio di legittimità del provvedimento 
impositivo, in quanto entrambe le categorie di beni restano assoggettate ad un 
regime vincolistico sostanzialmente assimilabile (una conferma di ciò è 
rappresentata dall’art. 6 del d.lgs. 490 del 1999, il quale assoggetta in modo 
espresso entrambe le categorie di beni alla medesima disciplina di tutela – art. 
10, d.lgs. cit.-). Conseguentemente, un vizio dell’atto impositivo potrebbe 
dirsi in concreto sussistente solo laddove si dimostrasse la non ascrivibilità 
del bene ad alcuna delle richiamate categorie (ma una siffatta dimostrazione, 
nel caso che ne occupa, non è stata neppure allegata).
Ai limitati fini che qui rilevano, si osserva – tuttavia – che il complessivo 
tenore della relazione storico-artistica prodromica al provvedimento impositivo 
del vincolo sembri piuttosto deporre nel senso dell’ascrizione dell’immobile in 
questione al novero degli immobili che presentano un riferimento con la storia 
politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere e non 
a quello degli immobili direttamente ed immediatamente caratterizzati da un 
interesse storico-artistico.
Depone in tal senso - oltre al tenore complessivo della richiamata relazione - 
la parte conclusiva della stessa, laddove si afferma che “il complesso, nel suo 
insieme, è rappresentativo dei canoni propri dell’edilizia funzionale degli anni 
trenta, improntati ad una sobrietà monumentale di stampo classicista.
Le strutture che lo compongono, pur appartenendo a classi tipologiche note, sono 
impostate, in base all’assetto funzionale degli edifici, secondo un criterio di 
notevole organicità”.
In base a quanto appena esposto, risulta infondato anche il motivo di doglianza 
relativo all’inidoneità della richiamata relazione storico-artistica ad esporre 
le ragioni per le quali l’immobile in parola veniva dichiarato come ‘di 
interesse particolarmente importante’ ai sensi della l. 1089 del 1939.
Ed infatti, per un verso la relazione in questione dà compiutamente atto delle 
ragioni per cui si è ritenuto che l’immobile in questione rappresenti una 
testimonianza particolarmente significativa della cultura e dell’architettura 
del periodo storico in cui fu concepita e – per altro verso – dà conto delle 
peculiarità stilistiche e compositive proprie dell’immobile in questione, le 
quali valgono a differenziarlo dalla generalità delle opere coeve, consentendo a 
buon diritto di attribuire all’immobile in questione il carattere 
dell’‘interesse particolarmente importante’.
4. In base a quanto sopra, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che sussistano nella specie giusti motivi onde disporre 
l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente 
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2010 con 
l'intervento dei Signori:
Claudio Varrone, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE                                 
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/04/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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