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CORTE COSTITUZIONALE - 22 maggio 2009, n. 160
APPALTI - Tutela della concorrenza - Materia trasversale - Competenze statali 
e competenze regionali - Effetti proconcorrenziali. Nello specifico settore 
degli appalti la materia della tutela della concorrenza, nella parte in cui essa 
è volta ad assicurare procedure di garanzia, si connota per un particolare modo 
di operare della sua trasversalità: infatti, la interferenza con le competenze 
regionali si atteggia in modo peculiare non realizzandosi normalmente un 
intreccio in senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensì 
la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa. Ne 
consegue che la fase della procedura di evidenza pubblica, riconducibile alla 
tutela della concorrenza, potrà essere interamente disciplinata, nei limiti del 
rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, dal legislatore 
statale. In questa prospettiva, le singole Regioni sono legittimate a regolare, 
da un lato, quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria 
competenza; dall’altro, i singoli settori oggetto della predetta procedura e 
rientranti anch’essi in ambiti materiali di pertinenza regionale. Al fine 
peraltro di evitare che siano vanificate le competenze delle Regioni, è 
consentito che norme regionali riconducibili a tali competenze possano produrre 
“effetti proconcorrenziali”, purché tali effetti “siano indiretti e marginali e 
non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che 
tutelano e promuovono la concorrenza” (sentenza n. 431 del 2007; si veda anche 
sentenza n. 322 del 2008). Pres. Amirante, Est. Quaranta - Presidente del 
Consiglio dei Ministri c. Regione Campania -
CORTE COSTITUZIONALE - 22 maggio 2009, n. 160
 
APPALTI - Regione Campania - Art. 27, c. 1, lettera l), LR. n. 1/2008 - Avvalimento - Esclusione per gli appalti sotto-soglia - Illegittimità costituzionale - Contrasto con la disciplina statale di cui agli artt. 49 e 121 d.lgs. n. 163/2006. E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera l), della legge della Regione Campania n. 1 del 2008, il quale consente il ricorso all’istituto dell’avvalimento soltanto in relazione agli appalti di importo uguale o superiore alla soglia comunitaria. Ciò contrariamente a quanto previsto dagli art. 49 e 121 del d.lgs. n. 163 del 2006, i quali legittimano invece il ricorso a tale istituto anche in relazione ai contratti aventi per oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, con conseguente violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile. Pur in presenza di un appalto sotto-soglia, debbano infatti essere comunque rispettati i principi fondamentali del Trattato idonei a consentire l’esercizio di un potere conforme, tra l’altro, ai canoni della parità di trattamento, della trasparenza e della pubblicità, al fine di garantire un assetto concorrenziale del mercato. Ciò implica che la distinzione tra contratti sotto-soglia e sopra-soglia non può essere, di per sé, invocata quale utile criterio ai fini della individuazione dello stesso ambito materiale della tutela della concorrenza. La finalità perseguita dal legislatore statale con l’istituto dell’avvalimento, in linea con le prescrizioni comunitarie, è quella di consentire a soggetti, che non posseggono determinati requisiti di partecipazione, di concorrere egualmente mediante l’ausilio di un’altra impresa, che sia in possesso dei necessari requisiti, purché ricorrano le condizioni indicate dal citato art. 49. Si ottiene, pertanto, il risultato di ampliare potenzialmente la partecipazione delle imprese alle procedure concorsuali, assicurando così una maggiore tutela delle libertà comunitarie e degli stessi principî di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. L’analisi del dato finalistico consente, dunque, di fare rientrare la normativa in esame nell’ambito della tutela della concorrenza. Pres. Amirante, Est. Quaranta - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Campania - CORTE COSTITUZIONALE - 22 maggio 2009, n. 160
APPALTI - Regione Campania - Art. 27, c. 1, lettera p), LR. n. 1/2008 - Ripetizione di servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario - Procedura negoziata - Disciplina difforme rispetto a quella di cui al codice degli appalti - Illegittimità costituzionale. E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera p), della legge della Regione Campania n. 1 del 2008, che, nel modificare l’art. 38, comma 5, lettera b), della legge regionale n. 3 del 2007, ha previsto la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando nell’anno successivo alla stipulazione del contratto iniziale nel caso di nuovi servizi consistenti nella ripetizione dei servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario. La competenza statale in materia di tutela della concorrenza ricomprende anche la disciplina delle procedure negoziate. L’indicazione, infatti, dei rigorosi presupposti che autorizzano il ricorso a tali procedure si inserisce in un ambito di disciplina unitario finalizzato ad assicurare un sistema di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, che consenta la deroga ai normali metodi di gara soltanto in presenza delle condizioni puntualmente individuate dal legislatore statale. La norma in esame, intervenendo in un ambito di competenza esclusiva statale, ha un contenuto diverso rispetto a quanto stabilito a livello nazionale. Il Codice degli appalti autorizza, infatti, il ricorso al metodo di gara in esame nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale; il legislatore regionale, invece, consente l’applicazione di tale metodo “solo nell’anno successivo alla stipulazione del contratto iniziale così da permettere alla stazione appaltante di verificare il servizio reso e riavviare la procedura di gara”. Ne consegue che la norma impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Pres. Amirante, Est. Quaranta - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Campania - CORTE COSTITUZIONALE - 22 maggio 2009, n. 160
APPALTI - Regione Campania - Art. 27, c. 1, lettera t), LR. n. 1/2008 - Esclusione automatica delle offerte anomale -Illegittimità costituzionale - Procedure di verifica in contraddittorio - Tutela della concorrenza - Competenza statale - Art. 117, c. 2, lett. e), Cost. E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera t), punto 1, della legge della Regione Campania n. 1 del 2008, che ha stabilito che le stazioni appaltanti, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, “prevedono nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia”. Nel procedimento di verifica in contraddittorio delle offerte anomale “assume preminenza la finalità di informare il procedimento stesso alle regole della concorrenza nella fase di scelta del contraente”, con conseguente competenza legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.. Deve pertanto ritenersi che siffatta competenza sussista anche in relazione alla disciplina della procedura di verifica delle offerte anomale nell’ambito degli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, al fine di assicurare, tra l’altro, il rispetto dei principi generali di matrice comunitaria stabiliti nel Trattato e, in particolare, il principio di non discriminazione (in questo senso, da ultimo, nella materia in esame, Corte di giustizia 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06). Il legislatore regionale ha dettato una disciplina diversa da quella statale (cfr. art. 122, c. 9 d.lgs. n. 163/2006, nonché l’art. 1, comma 1, lettera bb), n. 2, del decreto legislativo 11 settembre 2008 n. 152), prevedendo che la stazione appaltante è obbligata a procedere sempre ed in ogni caso all’esclusione automatica delle offerte anomale in presenza di un contratto di appalto di rilevanza non comunitaria. Tale previsione, eliminando radicalmente qualunque potere di valutazione tecnica in capo all’amministrazione mediante l’attivazione di procedure di verifica in contraddittorio, viola i principi della concorrenza. La previsione, infatti, di un potere vincolato di esclusione automatica restringe aprioristicamente la possibilità di partecipazione di un numero più elevato di operatori economici, ledendo le regole concorrenziali sancite a livello comunitario e nazionale. La norma impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Pres. Amirante, Est. Quaranta - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Campania - CORTE COSTITUZIONALE - 22 maggio 2009, n. 160
APPALTI - Regione Campania - Art. 27, c. 1, lettera t), punto 5, LR. n. 1/2008 - Illegittimità costituzionale - Requisiti di qualificazione delle imprese partecipanti alle procedure di gara - Competenza legislativa esclusiva statale. E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera t), punto 5, della legge della Regione Campania n. 1 del 2008. Detta disposizione regionale riprende, nella prima parte, il contenuto del comma 4-bis dell’art. 87 del d.lgs. n. 163 del 2006, introdotto dall’art. 1, comma 909, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). Rispetto alla norma statale viene aggiunto, da un lato, il riferimento alle informazioni “fornite dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza se sono stati istituti”; dall’altro, l’affermazione dell’applicazione della norma “in corso d’opera”. Il sistema di qualificazione delle imprese partecipanti alle procedure di gara rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza (sentenza n. 401 del 2007). Spetta, dunque, esclusivamente allo Stato, sempre nei limiti del rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, individuare i “requisiti per la qualificazione” rilevanti nell’ambito della procedura di valutazione tecnica dell’anomalia delle offerte, al fine di garantire una disciplina unitaria a livello nazionale e di assicurare, tra l’altro, parità di trattamento agli operatori economici del settore. Pres. Amirante, Est. Quaranta - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Campania - CORTE COSTITUZIONALE - 22 maggio 2009, n. 160
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SENTENZA N. 160
ANNO 2009
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
nel giudizio di legittimità 
costituzionale dell'art. 27, comma 1, lettere l), p), e t), punti 1 e 5, della 
legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la 
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - legge 
finanziaria 2008) e degli articoli 6; 7, comma 3; 14, commi 2, 3 e 4; 18; 20, 
comma 2; 33; 36, commi 7 e 8; 53, comma 2; 58, comma 4; 59, comma 5; 60, comma 
4, della legge della Regione Campania 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei 
lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania), promosso dal 
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3 aprile 2008, 
depositato in cancelleria il 10 aprile 2008 ed iscritto al n. 21 del registro 
ricorsi 2008.
Visto l'atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell'udienza pubblica del 31 marzo 2009 il Giudice relatore Alfonso 
Quaranta;
uditi l'avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio 
dei ministri e l'avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 3 aprile 2008 e depositato il successivo giorno 10 
il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 27, comma 1, 
lettere l), p), t), punti 1 e 5, della legge della Regione Campania 30 gennaio 
2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale 
della Regione Campania - legge finanziaria 2008), per violazione dell'art. 117, 
secondo comma, lettere e) ed l) della Costituzione. Il ricorrente ha dedotto, 
inoltre, la violazione del principio di leale collaborazione, «per omesso 
adeguamento» a quanto concordato con lo Stato, degli articoli 6, 7, comma 3, 14, 
commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 2, 33, 36, commi 7 e 8, 53, comma 2, 58, comma 4, 
59, comma 5, 60, comma 4, della legge della Regione Campania 27 febbraio 2007, 
n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in 
Campania).
1.1.— In particolare, con un primo gruppo di censure il ricorrente ha dedotto la 
illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni della legge regionale 
campana n. 1 del 2008.
A) Innanzitutto, viene denunciato l'art. 27, comma 1, lettera l), della predetta 
legge, che ha modificato l'art. 30, comma 5, della legge regionale n. 3 del 
2007. Quest'ultima norma, nella sua versione originaria, prevedeva che «se un 
concorrente intende avvalersi dei requisiti di altro soggetto, si applicano gli 
articoli 49 e 50 del Codice e successive modifiche». La norma impugnata ha 
aggiunto le seguenti parole: «in caso di appalti di lavori, servizi, forniture 
di importo uguale o superiore alle relative soglie comunitarie». Tali modifiche, 
consentendo il ricorso all'istituto dell'avvalimento soltanto in relazione agli 
appalti sopra la soglia comunitaria, si porrebbero in contrasto con l'art. 121, 
comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti 
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 
2004/17/CE e 2004/18/CE), secondo il quale devono essere applicate le norme 
contenute nel decreto stesso anche per i contratti di rilevanza non comunitaria, 
salvo che non sia diversamente disposto dalla stessa normativa statale. Si 
tratta, precisa il ricorrente, di un istituto inerente le procedure di 
aggiudicazione ed i criteri di qualificazione che l'art. 4, comma 3, del d.lgs. 
n. 163 del 2006 attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale, in 
quanto rientranti nella nozione di ordinamento civile, così come statuito dalla 
Corte costituzionale con la sentenza n. 401 del 2007.
B) In secondo luogo, si assume la illegittimità dell'art. 27, comma 1, lettera 
p), della legge regionale n. 1 del 2008, che, modificando l'art. 38, comma 5, 
lettera b), della precedente legge regionale n. 3 del 2007, prevede la 
possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del 
bando nell'anno successivo alla stipulazione del contratto iniziale nel caso di 
nuovi servizi consistenti nella ripetizione dei servizi analoghi, già affidati 
all'operatore economico aggiudicatario, a condizione, tra l'altro, che tale 
possibilità sia indicata nel bando originario. Tale disposizione regionale 
contrasterebbe con l'art. 57, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 163 del 2006, 
che stabilisce il più ampio termine di tre anni dalla stipulazione del contratto 
originario. Sul punto si rileva come l'individuazione della procedura di 
affidamento afferisca all'ambito materiale della tutela della concorrenza, che 
l'art. 4, comma 3, del Codice degli appalti assegna alla competenza esclusiva 
statale, così come stabilito dalla Corte costituzionale con la citata sentenza 
n. 401 del 2007.
C) Il ricorrente ritiene costituzionalmente illegittimo anche l'art. 27, comma 
1, lettera t), punto 1, della citata legge regionale n. 1 del 2008, che, 
apportando modifiche all'art. 46, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2007, 
sancisce l'obbligatorietà dell'esclusione automatica delle offerte anomale da 
parte delle stazioni appaltanti, nei contratti di importo inferiore alla soglia 
comunitaria, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso. 
Tale previsione contrasterebbe con quanto stabilito dall'art. 122, comma 9, del 
d.lgs. n. 163 del 2006, che prevede la facoltà e non l'obbligatorietà 
dell'esclusione e violerebbe, pertanto, la competenza esclusiva statale in 
materia di “qualificazione e selezione dei concorrenti” di cui all'art. 4, comma 
3, del suddetto decreto. Si tratterebbe, infatti, di ambiti rientranti nella 
nozione di tutela della concorrenza, così come definita da questa Corte con la 
richiamata sentenza n. 401 del 2007.
D) Si assume poi la illegittimità dell'art. 27, comma 1, lettera t), punto 5, 
della legge regionale n. 1 del 2008. Tale norma disciplinerebbe, secondo il 
ricorrente, la qualificazione dei concorrenti in maniera differente rispetto a 
quanto disposto dall'art. 40 del Codice degli appalti. Si tratta di una materia, 
quella della qualificazione, di competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 
4, comma 3, del Codice degli appalti, con conseguente invasione dell'ambito 
materiale rappresentato dalla tutela della concorrenza, di pertinenza dello 
Stato.
1.2.— Esposto ciò, il ricorrente rileva come, in riferimento alla legge 
regionale n. 3 del 2007, si fosse tenuta, «in applicazione del principio di 
leale collaborazione», una riunione tecnica in data 14 maggio 2007, in cui «la 
Regione si era impegnata a modificare alcune disposizioni di tale provvedimento 
in modo da superare i profili di illegittimità costituzionale già rilevati dal 
Dipartimento affari regionali, nonché dal Ministero delle infrastrutture e 
dall'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e 
forniture». In base a tale impegno, sottolinea l'Avvocatura generale dello 
Stato, la Regione avrebbe dovuto, in ossequio al principio di leale 
collaborazione, modificare le seguenti disposizioni:
- art. 6, che disciplina il responsabile unico del procedimento in maniera 
difforme dal Codice, in contrasto con quanto disposto dall'art. 10 dello stesso 
Codice;
- art. 7, comma 3, concernente la programmazione, perché in contrasto con l'art. 
128, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006;
- l'art. 14, commi 2, 3, 4, che attribuisce alla Giunta regionale il compito di 
stabilire le modalità e le forme di verifica e validazione dei progetti, laddove 
l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede la competenza legislativa 
dello Stato nella disciplina delle attività di progettazione;
- l'art. 18, in materia di interventi di urgenza e somma urgenza, che, incidendo 
sulle procedure di aggiudicazione con previsioni restrittive della concorrenza 
che consentono anche il ricorso ad affidamenti diretti, contrasterebbe con 
l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006;
- l'art. 20, comma 2, concernente la qualificazione degli operatori economici, 
che, escludendo la possibilità del ricorso all'istituto dell'avvalimento per i 
contratti sotto-soglia, contrasterebbe con l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 
del 2006 «oltre che con le direttive comunitarie di riferimento per limitazione 
della concorrenza»;
- l'art. 33, che, demandando, senza alcuna riserva, al legislatore regionale le 
modalità relative alle proposte da presentare all'amministrazione aggiudicatrice, 
«presenta profili di illegittimità costituzionale» in quanto la disciplina delle 
procedure di aggiudicazione sarebbe di competenza dello Stato;
- l'art. 36, commi 7 e 8, che, rinviando al regolamento regionale per i «criteri 
organizzativi concernenti l'uso della procedura ristretta semplificata per i 
lavori non superiori a 750.000 euro», violerebbe la competenza esclusiva statale 
in materia di procedure di affidamento;
- l'art. 53, comma 2, che, demandando alla Giunta regionale la predisposizione 
di schemi di piani di sicurezza e coordinamento, nonché la modulistica, sarebbe 
costituzionalmente illegittimo perché la materia “piani di sicurezza” sarebbe di 
pertinenza statale alla luce di quanto prescritto dall'art. 4, comma 3, del 
Codice (si richiama la sentenza n. 401 del 2007 della Corte);
- l'art. 58, comma 4, che vietando di affidare i collaudi a magistrati ordinari, 
amministrativi e contabili, violerebbe la competenza esclusiva statale prevista 
dagli artt. 4, comma 3, e 141, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006;
- l'art. 59, comma 5, che, nella parte in cui stabilisce che l'incarico debba 
essere affidato nei modi previsti dalla legge regionale, «eccede dalla 
competenza regionale in quanto l'affidamento dell'incarico dovrebbe avvenire nel 
rispetto delle disposizioni del Codice»;
- l'art. 60, comma 4, che, «laddove prevede un obbligo di motivazione per i 
soggetti non iscritti all'albo, presenta profili di incompatibilità con il 
diritto comunitario con la conseguente limitazione della concorrenza».
Il ricorrente ha concluso sottolineando che «si ritiene opportuno sollecitare la 
Corte costituzionale affinché valuti la possibilità di pronunciarsi in via 
autonoma anche sulla legittimità costituzionale di tali disposizioni della legge 
regionale n. 3 del 2007 non modificate dall'art. 27 della legge regionale n. 1 
del 2008, che risultano inscindibilmente connesse alle norme sopra censurate, ai 
sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, in considerazione della 
violazione del parametro costituzionale del principio di leale collaborazione, 
oltre che del mancato rispetto del disposto dell'art. 117, comma 2, lettere e ) 
ed l)».
2.— Si è costituita la Regione Campania deducendo quanto segue.
In relazione all'impugnazione dell'art. 27, comma 1, lettera l), della legge 
regionale n. 1 del 2008, si eccepisce, innanzitutto, la inammissibilità del 
relativo motivo di ricorso, atteso che l'Avvocatura generale dello Stato ritiene 
che la suddetta disposizione incida nella materia di competenza esclusiva 
statale dell'ordinamento civile, mentre «ci si trova di fronte ad una ipotesi di 
qualificazione dei concorrenti».
Nel merito si rileva come l'intervento regionale sia finalizzato ad attuare una 
semplificazione delle procedure e non una limitazione dell'istituto. Infatti, il 
legislatore regionale ha inteso puntualizzare che nell'ipotesi di appalti 
sopra-soglia, si dovrà applicare il rigoroso procedimento previsto dalla legge 
statale. Nell'ipotesi, invece, di appalti sotto-soglia, caratterizzati da una 
maggiore flessibilità, rientrerebbe «nella discrezionalità dell'amministrazione 
committente individuare gli adempimenti necessari per avvalersi dei requisiti di 
un altro concorrente». Inoltre, nella specie, si assume che la difesa dello 
Stato erroneamente evochi l'applicazione dell'art. 121, del d.lgs. n. 163 del 
2006, atteso che «l'applicazione delle regole sull'avvalimento non discendono 
dall'art. 121, bensì dai principi comunitari». Sul punto, viene richiamata anche 
la sentenza n. 435 del 14 febbraio 2005 del Consiglio di Stato in cui si è 
affermato che il sistema dell'avvalimento come ricostruito dalla giurisprudenza 
comunitaria: «a) ripudia automatismi ostativi all'ammissibilità del ricorso a 
soggetti terzi; b) di conseguenza non impone l'uso di mezzi tipici di prova 
della effettiva disponibilità di risorse aziendali altrui; c) tiene ferma 
l'esigenza di un rigoroso riscontro della effettiva disponibilità della capacità 
tecnico economica mutuata da imprese o complessi aziendali diversi». Tali 
principi sarebbero stati poi recepiti dall'art. 48 della direttiva 2004/18/CE 
«che si caratterizza per una struttura dispositiva ampia e tale da lasciare 
margini notevoli quanto alle forme utilizzabili per dimostrare i requisiti». In 
relazione a questo profilo, si sottolinea come l'art. 49 del Codice degli 
appalti irrigidisca lo schema con conseguente dubbio in ordine alla «coerenza di 
una tale norma con l'obiettivo perseguito in sede comunitaria»; mentre la legge 
regionale si sarebbe limitata a riconoscere in presenza di appalti sottosoglia 
«proprio quella elasticità che i principi comunitari impongono, rinviando, per 
il resto, alla disciplina statale». La difesa regionale ha concluso, pertanto, 
assumendo che «la legge regionale non potrebbe mai far venire meno un istituto 
governato e derivante da principi comunitari», con conseguente inammissibilità 
della censura.
Con riferimento all'impugnazione dell'art. 27, comma 1, lettera p), si deduce 
che la limitazione ad un anno del periodo entro il quale si può ricorrere alla 
procedura negoziata senza bando ha «reso più rigoroso il ricorso a un tipo di 
selezione che fornisce minori garanzie sul piano della trasparenza e della 
concorrenza». Il legislatore, pertanto, rispettando lo standard minimo posto 
dalla legge statale, ha approvato una disciplina più restrittiva «in ossequio 
all'obiettivo volto alla più ampia apertura del mercato». Del resto, si 
aggiunge, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 401 del 2007, non ha 
escluso qualsiasi intervento regionale, considerato la sussistenza di «limiti 
interni» alla competenza statale in materia di tutela della concorrenza, da 
verificare in relazione «all'obiettivo prefissato, costituto, nella specie, 
dalla più ampia apertura del mercato degli appalti alla concorrenza».
Con riguardo alla censura relativa all'art. 27, comma 1, lettera t), punto 1, si 
osserva come con tale norma sia stato modificato il comma 2 dell'art. 46 della 
legge regionale n. 3 del 2007, che prevedeva, per i contratti sotto-soglia, 
l'obbligo di provvedere «all'esclusione automatica delle offerte anomale». A 
seguito della modifica apportata dalla norma impugnata si è, pertanto, inteso 
affidare all'amministrazione il compito di inserire nel bando, ai fini di 
trasparenza, la clausola di esclusione automatica dalla gara. Trattandosi di 
appalti non di rilevanza comunitaria, varrebbero le considerazioni già svolte in 
tema di semplificazione delle procedure «pur nel rispetto dei principi di par 
condicio, imparzialità e trasparenza, a cui l'intervento regionale si è 
conformato». Si deduce, inoltre, come il legislatore regionale si sarebbe 
comunque uniformato a quanto previsto dall'art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 
del 2006, che prevede che «quando il criterio di aggiudicazione è quello del 
prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando l'esclusione 
automatica (…)». Si tratterebbe, dunque, «di una disposizione regionale, in 
qualche modo, ricognitiva di quanto già previsto dalla legge statale che, 
comunque, laddove affida alla p.a. la discrezionalità della scelta sulla 
esclusione automatica, conferma che non ci si trova di fronte ad un principio 
inderogabile che impedisce una disciplina in tale direzione».
In relazione all'impugnazione dell'art. 27, comma 1, lettera t), punto 5, si 
sottolinea come la disposizione impugnata si sia limitata ad aggiungere un 
ulteriore strumento di conoscenza nel rispetto degli obblighi che la normativa 
statale stessa pone già come condizione di partecipazione agli appalti pubblici. 
Sul punto, la legge statale vieta la stipulazione di contratti pubblici con 
soggetti «che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme 
in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, 
risultati dai dati in possesso dell'osservatorio» (art. 38, comma 1, lettera e, 
del d.lgs. n. 163 del 2006). Ne consegue che il legislatore regionale si sarebbe 
limitato ad «integrare, sul piano meramente amministrativo-procedimentale, le 
informazioni che devono essere fornite alla stazione appaltante su un punto 
particolarmente sensibile».
In relazione, infine, al motivo con cui si lamenta il mancato rispetto 
dell'impegno assunto dalla Regione nella «riunione tecnica», si deduce la 
inammissibilità del motivo stesso, innanzitutto, perché mancherebbe la domanda: 
non sarebbe, infatti, chiaro «quale sia l'oggetto della impugnativa e se vi sia 
una richiesta di dichiarare la illegittimità delle norme indicate». Se così 
fosse «le norme di cui si denuncia la incostituzionalità sarebbero quelle di cui 
alla legge n. 3 del 2007, rispetto alla quale i termini di impugnativa sono (…) 
abbondantemente scaduti». Né, si aggiunge, «sarebbe ammissibile l'impugnativa di 
una omissione che non trova spazio nel presente giudizio in via principale, per 
di più tenendo conto della genericità ed ampiezza dell'intervento ipotizzato». 
Si sarebbe dunque in presenza, si conclude, di un tentativo di aggiramento dei 
termini di decadenza per l'impugnazione di leggi regionali ritenute 
costituzionalmente illegittime.
3.— Con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica la Regione 
Campania ha ribadito le argomentazioni difensive già contenute nell'atto di 
costituzione. Con particolare riferimento al censurato art. 27, comma 1, lettera 
l), della legge regionale n. 1 del 2008, si è ribadito come l'intento sia stato 
soltanto quello di introdurre una normativa più elastica per il ricorso all'avvalimento 
in caso di appalti di rilevanza non comunitaria.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli articoli 27, comma 
1, lettere l), p), t), punti 1 e 5, della legge della Regione Campania 30 
gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e 
pluriennale della Regione Campania - legge finanziaria 2008), prospettando la 
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere e) ed l); nonché gli articoli 
6, 7, comma 3, 14, commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 2, 33, 36, commi 7 e 8, 53, 
comma 2, 58, comma 4, 59, comma 5, 60, comma 4, della legge della Regione 
Campania 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e 
delle forniture in Campania), adducendo la violazione del principio di leale 
collaborazione.
2.— In via preliminare, devono essere esaminate le censure formulate nei 
confronti delle disposizioni, da ultimo indicate, contenute nella citata legge 
regionale n. 3 del 2007.
Nella prospettiva del ricorrente, tali norme sarebbero costituzionalmente 
illegittime, in quanto la Regione avrebbe violato il principio di leale 
collaborazione che deve caratterizzare i rapporti tra i diversi livelli di 
governo. In particolare, si assume che in data 14 maggio 2007 si era tenuta una 
«riunione tecnica» in cui «la Regione si era impegnata a modificare alcune 
disposizioni» della legge in questione «in modo da superare i profili di 
illegittimità costituzionale già rilevati dal Dipartimento affari regionali, 
nonché dal Ministero delle infrastrutture e dall'Autorità di vigilanza dei 
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture».
Orbene, sul punto deve rilevarsi come, in mancanza di disposizioni che 
consentano di attribuire rilevanza sul piano costituzionale ad eventuali 
“accordi normativi” diretti a determinare il contenuto di testi legislativi (cfr., 
ex multis, sentenze nn. 371 e 222 del 2008; n. 401 del 2007), non può trovare 
ingresso nel giudizio di costituzionalità la censura che si fonda sulla 
violazione del principio di leale collaborazione.
Del pari, non può ritenersi ammissibile l'impugnazione diretta delle 
disposizioni della legge regionale n. 3 del 2007, con deduzione di vizi di 
costituzionalità che le inficerebbero, essendo ormai da tempo scaduto il termine 
perentorio per l'impugnazione diretta di tale legge ad opera del Governo.
Le censure rivolte nei confronti delle citate norme della legge regionale n. 3 
del 2007 devono, pertanto, essere dichiarate inammissibili.
3.— Prima di esaminare i motivi di ricorso formulati con riferimento alla legge 
regionale n. 1 del 2008, è opportuno richiamare gli orientamenti della 
giurisprudenza costituzionale relativi al riparto di competenze legislative 
statali e regionali in materia di contratti pubblici di appalto.
In particolare, la Corte, - pronunciandosi con la sentenza n. 401 del 2007 su 
alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in 
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) - ha chiarito che l'attività 
contrattuale della pubblica amministrazione «non può identificarsi in una 
materia a sé, ma rappresenta, appunto, un'attività che inerisce alle singole 
materie sulle quali essa si esplica».
Sulla base di tale premessa si è proceduto ad individuare gli ambiti materiali 
di competenza statale e regionale in relazione sia alla fase procedimentale che 
precede la stipulazione del contratto di appalto sia alla fase successiva 
inerente all'attuazione del rapporto contrattuale.
Con riferimento alla procedura di evidenza pubblica, la Corte, con la citata 
sentenza, ha affermato che, in relazione a tale momento procedimentale, il 
titolo di legittimazione prevalente che viene in rilievo è costituito dalla 
tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale ex art. 
117, secondo comma, lettera e), Cost.
Più precisamente, in tale ambito si possono ricomprendere: a) «le misure 
legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i 
comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto 
concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, 
eventualmente anche di sanzione» (sentenza n. 430 del 2007): si tratta, in 
sintesi, di misure antitrust; b) le disposizioni legislative «di promozione, che 
mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere 
all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità 
imprenditoriale e della competizione tra imprese» (citata sentenza n. 430 del 
2007): si tratta, in sintesi, di misure volte ad assicurare la concorrenza “nel 
mercato”; c) le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare 
procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure 
in modo da garantire «la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori 
economici» (sentenza n. 401 del 2007): si tratta, in sintesi, di interventi 
mirati ad assicurare la concorrenza “per il mercato”.
Nello specifico settore degli appalti possono certamente venire in rilievo 
disposizioni che perseguono fini riconducibili all'esigenza sia di evitare 
comportamenti delle imprese idonei ad alterare le regole concorrenziali, sia di 
garantire la progressiva liberalizzazione dei mercati in cui sono ancora 
presenti barriere all'entrata o altri impedimenti all'ingresso di nuovi 
operatori economici.
In questa sede assumono, però, rilevanza, in particolare, le norme che, 
disciplinando la fase procedimentale prodromica alla stipulazione del contratto, 
si qualificano per la finalità perseguita di assicurare la concorrenza “per il 
mercato”. Si tratta di disposizioni che, sul piano comunitario, tendono a 
tutelare essenzialmente i principi della libera circolazione delle merci, della 
libertà di stabilimento e della libera prestazioni di servizi; sul piano 
interno, le norme in esame sono funzionali, tra l'altro, a garantire il rispetto 
dei principi di buona amministrazione, di imparzialità, nonché il perseguimento 
dell'interesse pubblico sotteso alle specifiche procedure di gara (citata 
sentenza n. 401 del 2007).
Inoltre, con riferimento alla fase negoziale, che ha inizio con la stipulazione 
del contratto, questa Corte ha avuto modo di rilevare come l'amministrazione si 
ponga in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisca non 
nell'esercizio di poteri amministrativi, bensì nell'esercizio della propria 
autonomia negoziale. Ne consegue che la disciplina della predetta fase deve 
essere ascritta prevalentemente all'ambito materiale dell'ordinamento civile. 
Sussiste, infatti, l'esigenza, sottesa al principio costituzionale di 
eguaglianza, di garantire l'uniformità di trattamento, nell'intero territorio 
nazionale, della disciplina dei momenti di conclusione ed esecuzione dei 
contratti di appalto. Ciò non significa, però, si è puntualizzato con la 
sentenza richiamata, che, in relazione a peculiari esigenze di interesse 
pubblico, non possano residuare in capo alla autorità procedente poteri pubblici 
riferibili, tra l'altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa 
fase esecutiva.
Individuati gli ambiti di materie in cui, in prevalenza, si colloca la 
disciplina dell'attività contrattuale della amministrazione nel settore dei 
pubblici appalti, è necessario verificare, ai fini della risoluzione delle 
questioni poste all'esame della Corte, quali siano gli spazi riconosciuti alla 
competenza regionale, in particolare, in relazione alla disciplina della 
procedura di evidenza pubblica che di volta in volta viene in rilievo.
Sul punto, la Corte, con la citata sentenza n. 401 del 2007, ha posto in 
evidenza come nello specifico settore degli appalti la materia della tutela 
della concorrenza, nella parte in cui essa è volta ad assicurare procedure di 
garanzia, si connota per un particolare modo di operare della sua trasversalità: 
infatti, la interferenza con le competenze regionali «si atteggia in modo 
peculiare non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto con ambiti 
materiali di pertinenza regionale, bensì la prevalenza della disciplina statale 
su ogni altra fonte normativa». Ne consegue che «la fase della procedura di 
evidenza pubblica, riconducibile alla tutela della concorrenza, potrà essere 
interamente disciplinata», nei limiti del rispetto dei principi di 
proporzionalità ed adeguatezza, dal legislatore statale.
In questa prospettiva, le singole Regioni sono legittimate a regolare, da un 
lato, quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria 
competenza; dall'altro, i singoli settori oggetto della predetta procedura e 
rientranti anch'essi in ambiti materiali di pertinenza regionale.
Questa Corte ha poi affermato che, «al fine di evitare che siano vanificate le 
competenze delle Regioni», è consentito che norme regionali riconducibili a tali 
competenze possano produrre «effetti proconcorrenziali», purché tali effetti 
«siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi 
posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza» (sentenza n. 
431 del 2007; si veda anche sentenza n. 322 del 2008).
4.— Alla luce di quanto sopra, va osservato che lo Stato, con il ricorso in 
esame, ha, innanzitutto, impugnato l'art. 27, comma 1, lettera l), della legge 
della Regione Campania n. 1 del 2008, il quale, nel modificare l'art. 30, comma 
5, della precedente legge n. 3 del 2007, consente il ricorso all'istituto dell'avvalimento 
soltanto in relazione agli appalti di importo uguale o superiore alla soglia 
comunitaria. Ciò contrariamente a quanto previsto dagli art. 49 e 121 del d.lgs. 
n. 163 del 2006, i quali legittimano invece il ricorso a tale istituto anche in 
relazione ai contratti aventi per oggetto lavori, servizi e forniture di importo 
inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, con conseguente violazione della 
competenza statale in materia di ordinamento civile.
La censura è fondata.
Innanzitutto, deve rilevarsi come questa Corte, con la sentenza n. 401 del 2007, 
abbia già avuto modo di affermare come, «pur in presenza di un appalto 
sotto-soglia, debbano essere comunque rispettati i principi fondamentali del 
Trattato idonei a consentire l'esercizio di un potere conforme, tra l'altro, ai 
canoni della parità di trattamento, della trasparenza e della pubblicità, al 
fine di garantire un assetto concorrenziale del mercato». Si è, inoltre, posto 
in evidenza che «la stessa direttiva comunitaria 2004/18, al considerando numero 
2, ha previsto, in generale per tutti gli appalti, che l'aggiudicazione negli 
Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri 
organismi di diritto pubblico è subordinata al rispetto dei principi del 
Trattato ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, 
della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché ai 
principi che ne derivano, quali i principi di parità di trattamento, di non 
discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di 
trasparenza». Ciò implica, si è puntualizzato con la medesima sentenza, «che la 
distinzione tra contratti sotto-soglia e sopra-soglia non può essere, di per sé, 
invocata quale utile criterio ai fini della individuazione dello stesso ambito 
materiale della tutela della concorrenza. Tale ambito ha, infatti, una portata 
che trascende ogni rigida e aprioristica applicazione di regole predeterminate 
dal solo riferimento, come nella specie, al valore economico dell'appalto. Anche 
un appalto che si pone al di sotto della rilevanza comunitaria può giustificare 
un intervento unitario da parte del legislatore statale». E se si riconosce, 
nello specifico, la sussistenza di tale esigenza, in relazione ovviamente a 
finalità di tutela della concorrenza, deve conseguentemente ammettersi la 
legittimazione statale a disciplinare l'istituto secondo le modalità proprie 
degli appalti di rilevanza comunitaria.
Chiarito, dunque, che la distinzione tra contratti sopra e sotto-soglia non può 
costituire, nei limiti anzidetti, un netto elemento di differenziazione ai fini 
della individuazione del livello di competenza statale o regionale, occorre 
stabilire in quale ambito materiale debba essere collocato l'istituto dell'avvalimento.
A tale proposito, il primo comma dell'art 49 del Codice degli appalti stabilisce 
che il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato, in relazione ad una 
specifica gara per l'affidamento di lavori, servizi, forniture, «può soddisfare 
la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, 
finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione 
SOA, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell'attestazione SOA di 
altro soggetto», in presenza delle condizioni puntualmente indicate nel secondo 
comma del medesimo articolo 49.
Dalla indicazione delle caratteristiche dell'istituto emerge come la finalità 
perseguita dal legislatore statale, in linea con le prescrizioni comunitarie, 
sia quella di consentire a soggetti, che non posseggono determinati requisiti di 
partecipazione, di concorrere egualmente mediante l'ausilio di un'altra impresa, 
che sia in possesso dei necessari requisiti, purché ricorrano le condizioni 
indicate dal citato art. 49. Si ottiene, pertanto, il risultato di ampliare 
potenzialmente la partecipazione delle imprese alle procedure concorsuali, 
assicurando così una maggiore tutela delle libertà comunitarie e degli stessi 
principî di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. L'analisi 
del dato finalistico consente, dunque, di fare rientrare la normativa in esame 
nell'ambito della tutela della concorrenza.
Deve, però, precisarsi che alcuni aspetti della disciplina dell'avvalimento - 
relativi, in particolare, da un lato, agli obblighi assunti dall'impresa 
ausiliaria «verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a 
disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui è 
carente il concorrente» (art. 49, comma 2, lettera d); dall'altro, al «contratto 
in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente 
a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta 
la durata dell'appalto» (art. 49, comma 2, lettera f) - sono riconducibili alla 
materia dell'ordinamento civile, anch'essa di competenza esclusiva dello Stato 
ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Si tratta, infatti, di profili di 
disciplina che afferiscono, a prescindere dalla loro esatta qualificazione 
giuridica, a vicende comunque di natura essenzialmente privatistica.
L'individuazione dei predetti titoli di legittimazione statali - che rilevano, 
per le considerazioni già esposte, anche in presenza di un appalto di rilevanza 
non comunitaria e che consentono di ritenere non fondata l'eccezione di 
inammissibilità proposta dalla difesa regionale sulla base della circostanza che 
lo Stato avrebbe evocato soltanto la materia dell'ordinamento civile - esclude 
che la Regione possa adottare una disciplina diversa da quella prevista a 
livello nazionale.
Deve, pertanto, dichiararsi la illegittimità costituzionale dell'art. 27, comma 
1, lettera l), della legge regionale n. 1 del 2008 per violazione dell'art. 117, 
secondo comma, lettere e) ed l) Cost.
Tale declaratoria deve essere estesa, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 
27 della legge n. 87 del 1953, all'art. 20, comma 2, della legge regionale n. 3 
del 2007, il quale, con norma inscindibilmente connessa a quella dichiarata 
costituzionalmente illegittima, stabilisce che «le stazioni appaltanti, nella 
predisposizione degli atti di gara relativi a contratti di importo inferiore 
alla soglia comunitaria, escludono la possibilità di ricorso all'istituto dell'avvalimento 
di cui agli artt. 49 e 50 del Codice e successive modificazioni».
5.— Lo Stato ha, inoltre, censurato l'art. 27, comma 1, lettera p), della legge 
regionale n. 1 del 2008, che, nel modificare l'art. 38, comma 5, lettera b), 
della legge regionale n. 3 del 2007, ha previsto la possibilità di ricorrere 
alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando nell'anno 
successivo alla stipulazione del contratto iniziale nel caso di nuovi servizi 
consistenti nella ripetizione dei servizi analoghi già affidati all'operatore 
economico aggiudicatario.
Nella prospettiva del ricorrente tale norma sarebbe illegittima perché in 
contrasto, da un lato, con quanto stabilito dall'art. 57, comma 5, lettera b), 
del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede il più ampio termine di tre anni 
dalla stipulazione del contratto originario per potere ricorrere a tale metodo 
di affidamento dei lavori, e, dall'altro, con l'art. 4, comma 3, dello stesso 
decreto, che attribuisce allo Stato il compito di individuare le procedure di 
affidamento. Da qui la violazione della competenza legislativa esclusiva statale 
in materia di tutela della concorrenza.
La censura è fondata.
La competenza statale in materia di tutela della concorrenza ricomprende anche 
la disciplina delle procedure negoziate. La indicazione, infatti, dei rigorosi 
presupposti che autorizzano il ricorso a tali procedure si inserisce in un 
ambito di disciplina unitario finalizzato ad assicurare un sistema di tutela 
uniforme sull'intero territorio nazionale, che consenta la deroga ai normali 
metodi di gara soltanto in presenza delle condizioni puntualmente individuate 
dal legislatore statale.
La norma in esame, intervenendo in un ambito di competenza esclusiva statale, ha 
un contenuto diverso rispetto a quanto stabilito a livello nazionale. Il Codice 
degli appalti autorizza, infatti, il ricorso al metodo di gara in esame nei tre 
anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale; il legislatore 
regionale, invece, consente l'applicazione di tale metodo «solo nell'anno 
successivo alla stipulazione del contratto iniziale così da permettere alla 
stazione appaltante di verificare il servizio reso e riavviare la procedura di 
gara».
Ne consegue che la norma impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente 
illegittima per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., 
senza che possa assumere rilievo, in mancanza di un autonomo titolo di 
legittimazione regionale, la circostanza, addotta dalla parte resistente, 
secondo cui tale norma sarebbe legittima in ragione della sua idoneità a 
produrre effetti proconcorrenziali.
6.— Lo Stato ha, inoltre, censurato l'art. 27, comma 1, lettera t), punto 1, 
della legge regionale n. 1 del 2008, che ha stabilito che le stazioni 
appaltanti, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, 
«prevedono nel bando l'esclusione automatica dalla gara delle offerte che 
presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia».
Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, tale disposizione violerebbe la 
competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, 
tenuto conto che l'art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce, 
ricorrendo le condizioni sopra indicate, che la stazione appaltante ha la 
facoltà e non l'obbligo di procedere all'esclusione automatica.
Anche tale censura è fondata.
Sul punto, questa Corte - in relazione al procedimento di verifica e di 
esclusione delle offerte «anormalmente basse» fondato, nel settore degli appalti 
di rilevanza comunitaria di cui agli articoli 86 e ss. del d.lgs. n. 163 del 
2006, sul rispetto del principio del contraddittorio - ha già avuto modo di 
rilevare che tale principio «imposto dal diritto comunitario, è finalizzato, da 
un lato, a verificare se, in ipotesi, l'impresa non si trovi nelle condizioni di 
garantire in maniera efficace il risultato perseguito dall'amministrazione ad un 
prezzo più basso rispetto a quello che sono in grado di offrire le altre 
imprese; dall'altro, non consentendo provvedimenti di esclusione automatica (…), 
a perseguire l'obiettivo della più ampia partecipazione degli operatori 
economici alle procedure di gara» (sentenza n. 401 del 2007).
Si è, pertanto, concluso che nel predetto procedimento di verifica in 
contraddittorio delle offerte anomale «assume preminenza la finalità di 
informare il procedimento stesso alle regole della concorrenza nella fase di 
scelta del contraente», con conseguente competenza legislativa esclusiva statale 
ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Sulla base di tale premessa, deve ritenersi che siffatta competenza sussista 
anche in relazione alla disciplina della procedura di verifica delle offerte 
anomale nell'ambito degli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, al 
fine di assicurare, tra l'altro, il rispetto dei principi generali di matrice 
comunitaria stabiliti nel Trattato e, in particolare, il principio di non 
discriminazione (in questo senso, da ultimo, nella materia in esame, Corte di 
giustizia 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06).
Il legislatore statale, sul punto, ha previsto, all'art. 122, comma 9, del 
d.lgs. n. 163 del 2006, in capo alla stazione appaltante, il potere 
discrezionale di valutare l'opportunità di procedere all'esclusione automatica 
ovvero verificare in contraddittorio l'anomalia dell'offerta. A ciò va aggiunto 
che l'art. 1, comma 1, lettera bb), n. 2, del decreto legislativo 11 settembre 
2008 n. 152 (Ulteriori disposizioni correttive e integrative del decreto 
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici 
relativi a lavori, servizi e forniture, a norma dell'articolo 25, comma 3, della 
legge 18 aprile 2005, n. 62) ha modificato - proprio al fine di aumentare l'area 
di concorrenzialità - la norma statale, la quale ora prevede che la facoltà di 
esclusione automatica «non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse 
è inferiore a dieci».
Il legislatore regionale ha dettato una disciplina diversa da quella statale, 
prevedendo che la stazione appaltante è obbligata a procedere sempre ed in ogni 
caso all'esclusione automatica delle offerte anomale in presenza di un contratto 
di appalto di rilevanza non comunitaria. Tale previsione, eliminando 
radicalmente qualunque potere di valutazione tecnica in capo all'amministrazione 
mediante l'attivazione di procedure di verifica in contraddittorio, viola i 
principi della concorrenza. La previsione, infatti, di un potere vincolato di 
esclusione automatica restringe aprioristicamente la possibilità di 
partecipazione di un numero più elevato di operatori economici, ledendo le 
regole concorrenziali sancite a livello comunitario e nazionale.
La norma impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente 
illegittima per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
7.— Infine, lo Stato ha impugnato l'art. 27, comma 1, lettera t), punto 5, della 
legge regionale n. 1 del 2008, in quanto tale norma, disciplinando la 
qualificazione dei concorrenti, violerebbe la potestà normativa esclusiva 
statale in materia di tutela della concorrenza, tenuto conto che l'art. 40 del 
d.lgs. n. 163 del 2006 detta una regolamentazione diversa e che l'art. 4, comma 
3, del medesimo decreto attribuisce allo Stato il compito di disciplinare la 
“qualificazione” dei concorrenti.
Anche tale censura è fondata.
La norma impugnata - inserita nel testo di una disposizione relativa ai «criteri 
di individuazione e di verifica delle offerte anormalmente basse» (art. 46 della 
legge regionale n. 3 del 2007) - prevede che, nell'ambito dei «requisiti per la 
qualificazione» degli esecutori, a qualsiasi titolo, di lavori pubblici di cui 
all'art. 22, comma 2, della medesima legge regionale, «devono essere considerate 
anche le informazioni fornite dallo stesso soggetto interessato relativamente 
all'avvenuto adempimento, all'interno della propria azienda, degli obblighi di 
sicurezza previsti dalla vigente normativa e quelle fornite dai rappresentanti 
dei lavoratori per la sicurezza se sono stati istituiti. Tale norma ha valore 
anche in corso d'opera».
Detta disposizione regionale riprende, nella prima parte, il contenuto del comma 
4-bis dell'art. 87 del d.lgs. n. 163 del 2006, introdotto dall'art. 1, comma 
909, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del 
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). Rispetto 
alla norma statale viene aggiunto, da un lato, il riferimento alle informazioni 
«fornite dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza se sono stati 
istituti»; dall'altro, l'affermazione dell'applicazione della norma «in corso 
d'opera».
Chiarito ciò, deve rilevarsi come sia la disciplina del procedimento di verifica 
delle offerte anomale, sia il sistema di qualificazione delle imprese 
partecipanti alle procedure di gara rientrino nella competenza legislativa 
esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza (sentenza n. 401 del 
2007). Spetta, dunque, esclusivamente allo Stato, sempre nei limiti del rispetto 
dei principi di adeguatezza e proporzionalità, individuare i “requisiti per la 
qualificazione” rilevanti nell'ambito della procedura di valutazione tecnica 
dell'anomalia delle offerte, al fine di garantire una disciplina unitaria a 
livello nazionale e di assicurare, tra l'altro, parità di trattamento agli 
operatori economici del settore.
8.— Infine, deve rilevarsi come la dichiarazione di illegittimità costituzionale 
delle riportate norme contenute nella legge della Regione Campania n. 1 del 2008 
non possa comportare - ad eccezione di quanto già affermato (punto 4) in 
relazione all'art. 20, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2007 - la 
declaratoria di illegittimità consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 
n. 87 del 1953, degli articoli 6, 7, comma 3, 14, commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 
2, 33, 36, commi 7 e 8, 53, comma 2, 58, comma 4, 59, comma 5, 60, comma 4, 
della citata legge regionale n. 3 del 2007, richiesta dalla difesa dello Stato.
Tale pronuncia è possibile unicamente nel caso in cui sussista tra le norme 
dichiarate illegittime e le altre non impugnate un rapporto di inscindibile 
connessione. Nel caso in esame detto rapporto non sussiste. Le disposizioni 
oggetto della legge n. 3 del 2007, sopra richiamate, presentano un contenuto che 
non si pone in stretta connessione con le norme ora dichiarate 
costituzionalmente illegittime; con la conseguenza che, come si è innanzi 
precistato, esse avrebbero dovuto formare oggetto di rituale impugnazione nel 
rispetto dei termini perentori prescritti dall'art. 31 della legge n. 87 del 
1953.
per questi motivi
 
LA CORTE COSTITUZIONALE
 
a) dichiara l'illegittimità 
costituzionale degli articoli 27, comma 1, lettere l), p), t), punti 1 e 5, 
della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la 
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - legge 
finanziaria 2008);
b) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 
l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell'art. 20, comma 2, 
della legge della Regione Campania 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori 
pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania);
c) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli 
articoli 6, 7, comma 3, 14, commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 2, 33, 36, commi 7 e 
8, 53, comma 2, 58, comma 4, 59, comma 5, 60, comma 4, della legge regionale n. 
3 del 2007, promosse, in riferimento al principio di leale collaborazione, con 
il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della 
Consulta, il 18 maggio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
		
		
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