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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
  
	
	CORTE DI 
	GIUSTIZIA CE, Sez. II, 11/06/2009, Sentenza C-561/07
  
	
	DIRITTO DEL LAVORO - Trasferimento d’impresa - Mantenimento dei diritti dei 
	lavoratori - Legislazione nazionale che prevede la disapplicazione ai 
	trasferimenti d’imprese in “stato di crisi” - Inadempimento di uno Stato 
	(Italia) - Art. 4, Dir. 2001/23/CE - Art. 47, c. 5 e 6, L. n. 428/1990 - 
	Art. 2, 5° c., lett. c), L. n. 675/1977. Mantenendo in vigore le 
	disposizioni di cui all’art. 47, commi 5 e 6, della legge 29 dicembre 1990, 
	n. 428, in caso di «crisi aziendale» a norma dell’art. 2, quinto comma, 
	lett. c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, in modo tale che i diritti 
	riconosciuti ai lavoratori dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4, nonché dall’art. 4 
	della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il 
	ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al 
	mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, 
	di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, non sono garantiti 
	nel caso di trasferimento di un’azienda il cui stato di crisi sia stato 
	accertato, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa 
	incombenti in forza di tale direttiva. Commissione delle Comunità europee 
	contro Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 11/06/2009, 
	Sentenza C-561/07
	
	DIRITTO DEL LAVORO - Trasferimento d’impresa - Mantenimento delle 
	condizioni di lavoro - Durata minimo 1 anno - Contratto collettivo - 
	Modifica autorizzata delle condizioni di lavoro - Controllo giudiziario 
	della procedura - Art. 5 n. 3 e art. 3, n. 3, Direttiva 2001/23. La 
	modifica delle condizioni di lavoro ai sensi dell’art. 5, n. 3, della 
	direttiva 2001/23 non può rappresentare una deroga specifica alla garanzia 
	prevista dall’art. 3, n. 3, della direttiva stessa, che garantisce il 
	mantenimento delle condizioni di lavoro convenute mediante contratto 
	collettivo per un periodo non inferiore ad un anno dopo il trasferimento. 
	Infatti, poiché le norme della direttiva 2001/23 vanno ritenute imperative 
	nel senso che non è consentito derogarvi in senso sfavorevole ai lavoratori, 
	i diritti e gli obblighi in capo al cedente risultanti da un contratto 
	collettivo in essere alla data del trasferimento si trasmettono ipso iure al 
	cessionario per il solo fatto del trasferimento (v. sentenza 9/03/2006, 
	causa C-499/04, Werhof). Ne discende che la modifica delle condizioni di 
	lavoro autorizzata dall’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23 presuppone che 
	il trasferimento al cessionario dei diritti dei lavoratori abbia già avuto 
	luogo. Inoltre, l’applicazione dell’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23 è 
	subordinata alla possibilità del controllo giudiziario della procedura in 
	questione. Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. 
	CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 11/06/2009, Sentenza C-561/07
  
      
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
		
		SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
		
		11 giugno 2009 (*)
		
		«Inadempimento di uno Stato - Direttiva 2001/23/CE - Trasferimento 
		d’impresa - Mantenimento dei diritti dei lavoratori - Legislazione 
		nazionale che prevede la disapplicazione ai trasferimenti d’imprese in 
		“stato di crisi”»
		
		
		Nella causa C-561/07,
		
		avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 
		CE, proposto il 18 dicembre 2007,
		
		Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J. Enegren e 
		dalla sig.ra L. Pignataro, in qualità di agenti, con domicilio eletto in 
		Lussemburgo,
		
		ricorrente,
		
		contro
		
		Repubblica italiana, rappresentata dal sig. R. Adam, in qualità di 
		agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato, con 
		domicilio eletto in Lussemburgo,
		
		convenuta,
		
		
		LA CORTE (Seconda Sezione),
		
		composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. 
		J.-C. Bonichot, J. Makarczyk, L. Bay Larsen (relatore) e dalla sig.ra C. 
		Toader, giudici,
		
		avvocato generale: sig. J. Mazák
		
		cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
		
		vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 
		gennaio 2009,
		
		vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di 
		giudicare la causa senza conclusioni,
		
		ha pronunciato la seguente
		
		Sentenza
		
		
		1 Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla 
		Corte di dichiarare che, mantenendo in vigore le disposizioni dell’art. 
		47, commi 5 e 6, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (Supplemento 
		ordinario alla GURI n. 10 del 12 gennaio 1991; in prosieguo: la «legge 
		n. 428/1990») in caso di «crisi aziendale» ai sensi dell’art. 2, quinto 
		comma, lett. c), della legge 12 agosto 1977, n. 675 (GURI n. 243 del 7 
		settembre 1977; in prosieguo: la «legge n. 675/1977»), in modo tale che 
		i diritti riconosciuti ai lavoratori dagli artt. 3 e 4 della direttiva 
		del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento 
		delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei 
		diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di 
		stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16), 
		non sono garantiti nel caso di trasferimento di un’azienda il cui stato 
		di crisi sia stato accertato, la Repubblica italiana è venuta meno agli 
		obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva.
		
		Contesto normativo
		
		Il diritto comunitario
		
		2 L’art. 3 della direttiva 2001/23 dispone quanto segue:
		
		«1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un 
		contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del 
		trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al 
		cessionario.
		
		Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data 
		del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli 
		obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto 
		di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del 
		trasferimento.
		
		2. Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per 
		garantire che il cedente notifichi al cessionario tutti i diritti e gli 
		obblighi che saranno trasferiti al cessionario a norma del presente 
		articolo, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano o avessero 
		dovuto essere noti al cedente al momento del trasferimento. (…)
		
		3. Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di 
		lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da 
		quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della 
		scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o 
		dell’applicazione di un altro contratto collettivo.
		
		Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle 
		condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.
		
		4. a) A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, i paragrafi 1 
		e 3 non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di 
		vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di 
		previdenza professionali o interprofessionali, esistenti al di fuori dei 
		regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri.
		
		b) Anche quando essi non prevedono, a norma della lettera a), che i 
		paragrafi 1 e 3 si applichino a tali diritti, gli Stati membri adottano 
		i provvedimenti necessari per tutelare gli interessi dei lavoratori e di 
		coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al momento del 
		trasferimento per quanto riguarda i diritti da essi maturati o in corso 
		di maturazione, a prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i 
		superstiti, dei regimi complementari di cui alla lettera a) del presente 
		paragrafo».
		
		3 Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2001/23:
		
		«1. Il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte 
		di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da 
		parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i 
		licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o 
		d’organizzazione che comportano variazioni sul piano dell’occupazione.
		
		(…)».
		
		4 In conformità all’art. 5 della direttiva 2001/23:
		
		«1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 3 
		e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o 
		parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia 
		oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza 
		analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e 
		che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente 
		(che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un’autorità 
		pubblica competente).
		
		2. Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso 
		di una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente 
		(indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista 
		della liquidazione dei beni del cedente stesso) e a condizione che tali 
		procedure siano sotto il controllo di un’autorità pubblica competente 
		(che può essere un curatore fallimentare determinato dal diritto 
		nazionale), uno Stato membro può disporre che:
		
		a) nonostante l’articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente 
		risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e 
		pagabili prima del trasferimento o prima dell’apertura della procedura 
		di insolvenza non siano trasferiti al cessionario, a condizione che tali 
		procedure diano adito, in virtù della legislazione dello Stato membro, 
		ad una protezione almeno equivalente a quella prevista nelle situazioni 
		contemplate dalla direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 
		1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati 
		membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di 
		insolvenza del datore di lavoro [(GU L 283, pag. 23), come modificata 
		dall’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica 
		d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli 
		adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 1994, C 
		241, pag. 21, e GU 1995, L 1, pag. 1)]; e/o
		
		b) il cessionario, il cedente o la persona o le persone che esercitano 
		le funzioni del cedente, da un lato, e i rappresentanti dei lavoratori, 
		dall’altro, possano convenire, nella misura in cui la legislazione o le 
		prassi in vigore lo consentano, modifiche delle condizioni di lavoro dei 
		lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali 
		garantendo la sopravvivenza dell’impresa, dello stabilimento o di parti 
		di imprese o di stabilimenti.
		
		3. Uno Stato membro ha facoltà di applicare il paragrafo 2, lettera b), 
		a trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi 
		economica quale definita dal diritto nazionale, purché tale situazione 
		sia dichiarata da un’autorità pubblica competente e sia aperta al 
		controllo giudiziario, a condizione che tali disposizioni fossero già 
		vigenti nel diritto nazionale il 17 luglio 1998.
		
		(…)».
		
		La legislazione nazionale
		
		5 L’art. 47 della legge n. 428/1990 stabilisce, ai commi 5 e 6, quanto 
		segue:
		
		«5. Qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive delle 
		quali il CIPI [comitato interministeriale per il coordinamento della 
		politica industriale] abbia accertato lo stato di crisi aziendale a 
		norma dell’art. 2, quinto comma, lett. c), della legge 12 agosto 1977, 
		n. 675 (…) ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con 
		l’acquirente non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile, 
		salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Il 
		predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi 
		il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in 
		tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante.
		
		6. I lavoratori che non passano alle dipendenze dell’acquirente, 
		dell’affittuario o del subentrante hanno diritto di precedenza nelle 
		assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del 
		trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi 
		collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti 
		dall’acquirente, dall’affittuario o dal subentrante in un momento 
		successivo al trasferimento d’azienda, non trova applicazione l’articolo 
		2112 del codice civile».
		
		6 In conformità alla legge n. 675/1977, l’accertamento dello stato di 
		crisi aziendale ai sensi dell’art. 2, quinto comma, lett. c), di tale 
		legge consente all’impresa di beneficiare temporaneamente della presa a 
		carico, ad opera della Cassa integrazione guadagni straordinaria (in 
		prosieguo: la «CIGS»), della retribuzione di tutti o di parte dei suoi 
		dipendenti.
		
		7 L’art. 2112 del codice civile, come modificato dal decreto legislativo 
		2 febbraio 2001, n. 18 (GURI n. 43 del 21 febbraio 2001; in prosieguo: 
		il «codice civile»), prevede quanto segue:
		
		«1. In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua 
		con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne 
		derivano.
		
		2. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i 
		crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. (…)
		
		3. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e 
		normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed 
		aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, 
		salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili 
		all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce 
		esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
		
		4. Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della 
		normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non 
		costituisce di per sé motivo di licenziamento. (…)
		
		(…)».
		
		Fase precontenziosa del procedimento
		
		8 Con lettera di diffida del 10 aprile 2006 la Commissione richiamava 
		l’attenzione delle autorità italiane sul fatto che l’art. 47, commi 5 e 
		6, della legge n. 428/1990 può costituire una violazione della direttiva 
		2001/23 in quanto i lavoratori dell’impresa ammessi al regime della CIGS 
		trasferiti all’acquirente non beneficiano dei diritti tutelati dall’art. 
		2112 del codice civile, fatte salve le eventuali garanzie previste da un 
		accordo sindacale.
		
		9 Con lettera dell’8 agosto 2006 la Repubblica italiana contestava di 
		essere stata inadempiente ai propri obblighi sostenendo la conformità 
		dell’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428/1990 alla direttiva 
		2001/23.
		
		10 La Commissione, con lettera del 23 marzo 2007, inviava alla 
		Repubblica italiana un parere motivato ove concludeva che tale Stato 
		membro non aveva ottemperato agli obblighi derivanti dalla direttiva 
		2001/23 e lo invitava ad assumere i provvedimenti necessari per 
		conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a partire dal 
		ricevimento dello stesso. La Repubblica italiana rispondeva a tale 
		parere con lettera del 29 maggio 2007 ribadendo, in sostanza, i propri 
		precedenti argomenti.
		
		11 Ciò premesso, la Commissione decideva di proporre il ricorso in 
		esame.
		
		Sul ricorso
		
		12 Si deve preliminarmente rilevare che, nel suo ricorso, la Commissione 
		sostiene che l’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428/1990 non è 
		conforme alla direttiva 2001/23, laddove non garantisce ai lavoratori 
		l’applicazione dell’art. 2112 del codice civile, il quale traspone le 
		garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23 in caso di 
		trasferimento di un’impresa di cui sia stato accertato lo stato di 
		crisi.
		
		13 A seguito di talune precisazioni fornite dalla Repubblica italiana e 
		di un quesito posto dalla Corte, la Commissione ha rinunciato, nella sua 
		replica e all’udienza, alla censura basata sulla difformità del citato 
		art. 47, commi 5 e 6, rispetto all’art. 3, nn. 1, secondo comma, e 2, 
		della direttiva 2001/23.
		
		Argomenti delle parti
		
		14 La Commissione afferma che, escludendo l’applicazione dell’art. 2112 
		del codice civile al trasferimento di un’impresa di cui sia stato 
		accertato lo stato di crisi, i lavoratori la cui impresa è oggetto di un 
		trasferimento perdono il diritto al riconoscimento della loro anzianità, 
		del loro trattamento economico e delle loro qualifiche professionali, 
		nonché il diritto a prestazioni di vecchiaia derivanti dal regime di 
		sicurezza sociale legale di cui all’art. 3, n. 1, prima frase, della 
		direttiva 2001/23. Essi perderebbero altresì il beneficio del 
		mantenimento, per un periodo minimo di un anno, delle condizioni di 
		lavoro convenute mediante contratto collettivo, come previsto dall’art. 
		3, n. 3, di tale direttiva.
		
		15 La Commissione rileva che l’art. 3, n. 4, della direttiva 2001/23 
		consente di non applicare i nn. 1 e 3 di tale articolo alle prestazioni 
		di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti concesse al di fuori dei 
		regimi legali di sicurezza sociale, ma che, in tal caso, gli Stati 
		membri devono adottare i provvedimenti necessari per tutelare gli 
		interessi dei lavoratori. Orbene, ciò non avverrebbe nel caso della 
		legislazione italiana in questione.
		
		16 L’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428/1990 non sarebbe neppure 
		conforme all’art. 4 della direttiva 2001/23, dal momento che tale 
		disposizione, pur vietando il licenziamento giustificato dal solo motivo 
		del trasferimento, non pregiudica i licenziamenti giustificati da motivi 
		economici, tecnici o d’organizzazione che comportano variazioni sul 
		piano dell’occupazione. Così, la Commissione rileva che il fatto che 
		un’impresa sia dichiarata in stato di crisi non implicherebbe 
		automaticamente e sistematicamente variazioni sul piano dell’occupazione 
		ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2001/23. Inoltre, la dichiarazione 
		di crisi aziendale coinvolgerebbe unicamente il cedente, mentre gli 
		obblighi che discendono dall’art. 4 della direttiva 2001/23 si 
		applicherebbero anche al cessionario.
		
		17 Secondo la Commissione, il trasferimento di un’impresa di cui sia 
		stato accertato lo stato di crisi non rappresenta un trasferimento 
		d’impresa che è oggetto di una procedura aperta in vista della 
		liquidazione dei beni del cedente e che si trova sotto il controllo di 
		un’autorità pubblica competente. Orbene, quest’ultima ipotesi sarebbe 
		l’unica prevista dalla direttiva 200l/23 al suo art. 5, n. l, il quale 
		consente di non applicare gli artt. 3 e 4 di quest’ultima.
		
		18 Neppure l’art. 5, n. 2, della direttiva 2001/23 sarebbe applicabile 
		alla procedura volta a constatare lo stato di crisi in quanto, per un 
		verso, il presupposto da cui muove tale disposizione sarebbe 
		l’applicazione degli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23 e in quanto, 
		per altro verso, il citato art. 5, n. 2, sarebbe applicabile solamente 
		nell’ipotesi di un trasferimento d’impresa realizzato nel corso di una 
		procedura di insolvenza, procedura a cui non potrebbe assimilarsi quella 
		in esame, tenuto conto di quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza 7 
		dicembre 1995, causa C-472/93, Spano e a. (Racc. pag. I-4321).
		
		19 Del pari, non potrebbe neppure applicarsi l’art. 5, n. 3, della 
		direttiva 2001/23, che consente l’applicazione del n. 2, lett. b), dello 
		stesso art. 5 in caso di trasferimento in una situazione di grave crisi 
		economica, dal momento che l’art. 5, n. 2, lett. b), della direttiva 
		2001/23 abilita gli Stati membri unicamente a consentire all’alienante e 
		ai rappresentanti dei lavoratori di modificare di comune accordo le 
		condizioni di lavoro in talune circostanze e non consentirebbe loro 
		quindi di escludere, come previsto dall’art. 47, commi 5 e 6, della 
		legge n. 428/90, l’applicazione degli artt. 3 e 4 della direttiva 
		2001/23.
		
		20 La Repubblica italiana nega l’inadempimento contestatole sostenendo, 
		in primo luogo, che, laddove la direttiva 2001/23 prevede una garanzia 
		facoltativa, non le si può addebitare di non applicare l’art. 2112 del 
		codice civile. Ciò si verificherebbe, ad esempio, per quanto riguarda le 
		prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti concesse in 
		base ai regimi complementari di previdenza professionali o 
		interprofessionali il cui trasferimento è escluso dall’art. 3, n. 4, 
		lett. a), della direttiva 2001/23, e ciò salvo che gli Stati membri non 
		dispongano diversamente.
		
		21 In secondo luogo, tale Stato membro sostiene che, laddove la 
		direttiva 2001/23 prevede garanzie obbligatorie, vale a dire quelle di 
		cui al suo art. 3, nn. 1, primo comma, e 3, nonché al suo art. 4, essa 
		prevede altresì espressamente la possibilità di derogarvi in ragione di 
		circostanze specifiche.
		
		22 Per quanto concerne la garanzia prevista all’art. 4 della direttiva 
		2001/23, la Repubblica italiana rileva che la procedura volta 
		all’accertamento dello stato di crisi riguarda sempre specifici casi di 
		crisi aziendale che presentino particolare rilevanza sociale, in 
		relazione alla situazione occupazionale locale e alla situazione 
		produttiva nel settore economico di riferimento, casi che 
		costituirebbero circostanze giustificative del licenziamento.
		
		23 L’art. 5, nn. 2 e 3, della direttiva 2001/23 rappresenterebbe una 
		deroga alle garanzie previste dall’art. 3, nn. 1 e 3, di tale direttiva, 
		applicabile in una situazione di crisi aziendale quale quella prevista 
		dalla legge n. 675/77, dal momento che l’accertamento della crisi 
		aziendale ai sensi di tale legge presuppone lo stato d’insolvenza 
		dell’impresa.
		
		24 Infatti, l’art. 5, n. 2, lett. a), della direttiva 2001/23, che ha ad 
		oggetto una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente, 
		«indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista 
		della liquidazione dei beni del cedente stesso», si applicherebbe alla 
		procedura di accertamento dello stato di crisi. In un’ipotesi siffatta, 
		ancorché trovino applicazione gli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23, 
		la suddetta disposizione prevedrebbe una sostanziale deroga consentendo, 
		nonostante le disposizioni dell’art. 3, n. 1, della direttiva 2001/23, 
		di non trasferire al cessionario gli obblighi del cedente nei confronti 
		dei lavoratori, a condizione che tale procedura dia adito ad una 
		protezione almeno equivalente a quella prevista per le situazioni 
		contemplate nella direttiva 80/987, come modificata dall’atto relativo 
		alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica 
		di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei trattati sui 
		quali si fonda l’Unione europea. Il meccanismo della CIGS avrebbe una 
		durata più estesa e, in conformità all’art. 47, sesto comma, della legge 
		n. 428/1990, sarebbe finalizzato all’assunzione del personale in esubero 
		da parte del cessionario con priorità rispetto alle eventuali altre 
		assunzioni che quest’ultimo intendesse effettuare entro un anno dal 
		trasferimento d’azienda.
		
		25 Del pari, l’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23, che, mediante un 
		rinvio al n. 2, lett. b) del citato art. 5, consentirebbe di apportare 
		modifiche alle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a 
		salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza 
		dell’impresa in caso di grave crisi economica, rappresenterebbe una 
		specifica deroga alla garanzia di cui all’art. 3, n. 3, della direttiva 
		2001/23, che prevede il mantenimento, almeno per un anno, delle 
		condizioni di lavoro. L’art. 47, quinto comma, della legge n. 428/90 
		contemplerebbe una procedura compatibile, sotto tutti i punti di vista, 
		con quella richiesta per l’applicazione della deroga di cui all’art. 5, 
		n. 3, della direttiva 2001/23. La situazione di grave crisi economica, 
		infatti, sarebbe dichiarata da un’autorità pubblica, sarebbe prevista 
		l’esigenza di salvaguardia delle opportunità occupazionali, sarebbe 
		necessario un accordo tra cessionario, cedente e rappresentanti dei 
		lavoratori e sussisterebbe l’apertura al controllo giudiziario in 
		quanto, nell’ipotesi di mancato rispetto della procedura prevista per 
		quanto concerne in particolare la conclusione dell’accordo, le parti 
		sono legittimate a ricorrere all’autorità giudiziaria competente.
		
		26 La Repubblica italiana sostiene, infine, che un’interpretazione della 
		direttiva 2001/23 che si risolva nell’impedire che i lavoratori in 
		soprannumero dell’impresa restino alle dipendenze del cedente potrebbe 
		risultare meno favorevole ai lavoratori medesimi, sia perché il 
		potenziale cessionario potrebbe essere dissuaso dall’acquistare 
		l’impresa dalla prospettiva di dover mantenere in servizio il personale 
		eccedente dell’impresa trasferita, sia perché il personale verrebbe 
		licenziato e perderebbe quindi i vantaggi che avrebbe eventualmente 
		potuto trarre dalla continuazione del rapporto di lavoro con il cedente.
		
		Giudizio della Corte
		
		27 Si deve anzitutto rilevare che la Repubblica italiana non contesta il 
		fatto che l’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428/1990, escludendo 
		l’applicazione dell’art. 2112 del codice civile, priva i lavoratori 
		trasferiti ammessi al regime della CIGS, in caso di accertamento dello 
		stato di crisi dell’impresa, delle garanzie su cui verte il presente 
		ricorso. Tale Stato membro sostiene tuttavia che tale esclusione è 
		conforme alla direttiva 2001/23 in quanto, in primo luogo, tale 
		direttiva prevedrebbe, al suo art. 3, n. 4, una garanzia facoltativa e 
		in quanto, in secondo luogo, essa consentirebbe espressamente di 
		derogare alle garanzie obbligatorie di cui al suo art. 3, nn. 1, primo 
		comma, e 3, nonché al suo art. 4.
		
		28 Occorre di conseguenza verificare, in primo luogo, se l’art. 3, n. 4, 
		della direttiva 2001/23 introduca una garanzia facoltativa, la cui 
		esclusione sia giustificata dall’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 
		428/1990.
		
		29 A tal proposito, si deve rilevare che l’art. 3, n. 4, della direttiva 
		2001/23 prevede un’eccezione all’applicazione dei nn. 1 e 3 del medesimo 
		art. 3, che impongono al cessionario di mantenere i diritti e gli 
		obblighi che risultano per il cedente dal contratto di lavoro o dal 
		rapporto di lavoro, nonché le condizioni di lavoro convenute mediante 
		contratto collettivo, fino alla data della risoluzione o della scadenza 
		del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di 
		un altro contratto collettivo, per un periodo minimo di un anno.
		
		30 Tale eccezione riguarda i diritti dei lavoratori a prestazioni di 
		vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di 
		previdenza professionali o interprofessionali, esistenti al di fuori dei 
		regimi legali di sicurezza sociale. Inoltre, in considerazione 
		dell’obiettivo generale di tutela dei diritti dei lavoratori in caso di 
		trasferimento di imprese perseguito dalla citata direttiva, tale 
		eccezione deve essere interpretata restrittivamente (v., per analogia, 
		sentenza 4 giugno 2002, causa C-164/00, Beckmann, Racc. pag. I-4893, 
		punto 29).
		
		31 Si deve inoltre rilevare che, ai sensi dell’art. 3, n. 4, lett. b), 
		della direttiva 2001/23, gli Stati membri, anche qualora applichino tale 
		eccezione, sono tenuti ad adottare i provvedimenti necessari per 
		tutelare gli interessi dei lavoratori per quanto riguarda i diritti da 
		essi maturati o in corso di maturazione a prestazioni di vecchiaia, 
		comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari di cui alla 
		lett. a) della medesima disposizione.
		
		32 Ne discende che, anche ammesso che l’obbligo di trasferimento delle 
		prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi 
		complementari risultante dall’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 
		428/1990 sia conforme all’art. 3, n. 4, lett. a), della direttiva 
		2001/23, si deve tuttavia rilevare che l’argomento della Repubblica 
		italiana, inteso a sostenere che l’esclusione, in caso di crisi 
		dell’impresa, dell’applicazione ai lavoratori trasferiti dell’art. 2112 
		del codice civile sarebbe conforme all’art. 3, n. 4, della direttiva 
		2001/23, si fonda su una lettura erronea ed incompleta di detto art. 3, 
		n. 4. Infatti, per un verso, solo le prestazioni concesse al di fuori 
		dei regimi legali di sicurezza sociale tassativamente elencate dall’art. 
		3, n. 4, lett. a), della direttiva 2001/23 possono essere sottratte 
		all’obbligo di trasferimento dei diritti dei lavoratori. Per altro 
		verso, tale esclusione di un obbligo di trasferimento deve essere 
		accompagnata dall’adozione, da parte dello Stato membro, dei 
		provvedimenti necessari per tutelare gli interessi dei lavoratori in 
		conformità all’art. 3, n. 4, lett. b), della citata direttiva con 
		riferimento ai loro diritti a prestazioni di vecchiaia dei regimi 
		complementari di cui alla lett. a) del citato art. 3, n. 4, ciò che la 
		Repubblica italiana non dimostra in alcun modo.
		
		33 Di conseguenza, non possono essere accolti gli argomenti della 
		Repubblica italiana intesi a sostenere che l’art. 47, commi 5 e 6, della 
		legge n. 428/1990 è conforme all’art. 3, n. 4, della direttiva 2001/23.
		
		34 In secondo luogo, si deve verificare se la mancata applicazione, ad 
		opera dell’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428/1990, dell’art. 3, 
		nn. 1 e 3, nonché dell’art. 4 della direttiva 2001/23 sia conforme alle 
		disposizioni della direttiva stessa, in quanto quest’ultima prevedrebbe 
		espressamente deroghe alle garanzie obbligatorie ivi previste.
		
		35 Per quanto concerne, anzitutto, l’argomento della Repubblica italiana 
		secondo cui le ragioni che giustificano il licenziamento in caso di 
		trasferimento indicate dall’art. 4, n. 1, della direttiva 2001/23 
		risultano soddisfatte in casi specifici di crisi aziendale ai sensi 
		dell’art. 2, quinto comma, lett. c), della legge n. 675/1977, si deve 
		rammentare che l’art. 4, n. 1, della direttiva 2001/23 garantisce la 
		tutela dei diritti dei lavoratori contro un licenziamento giustificato 
		esclusivamente dal trasferimento, sia nei confronti del cedente sia nei 
		confronti del cessionario, pur non pregiudicando i licenziamenti che 
		possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che 
		comportino variazioni sul piano dell’occupazione.
		
		36 Orbene, si deve necessariamente rilevare che il fatto che un’impresa 
		sia dichiarata in situazione di crisi ai sensi della legge n. 675/1977 
		non può implicare necessariamente e sistematicamente variazioni sul 
		piano dell’occupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 
		2001/23. Inoltre, deve rilevarsi che le ragioni giustificative del 
		licenziamento possono trovare applicazione, conformemente alle 
		disposizioni italiane di cui trattasi, solamente in casi specifici di 
		crisi aziendale, come ammesso dalla stessa Repubblica italiana. 
		Pertanto, la procedura di accertamento dello stato di crisi aziendale 
		non può necessariamente e sistematicamente rappresentare un motivo 
		economico, tecnico o d’organizzazione che comporti variazioni sul piano 
		dell’occupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 2001/23.
		
		37 Per quanto riguarda, inoltre, l’argomento della Repubblica italiana 
		in merito alla pretesa applicabilità della deroga prevista dall’art. 5, 
		n. 2, lett. a), della direttiva 2001/23 alla procedura di accertamento 
		dello stato di crisi, come prevista dall’art. 47, sesto comma, della 
		legge n. 428/1990, emerge dal tenore letterale di tale prima 
		disposizione che gli Stati membri, quando gli artt. 3 e 4 della 
		direttiva 2001/23 si applicano ad un trasferimento nel corso di una 
		procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente e a condizione 
		che tale procedura sia sotto il controllo di un’autorità pubblica 
		competente, possono disporre che, nonostante l’art. 3, n. 1, di tale 
		direttiva, taluni obblighi del cedente non siano trasferiti alle 
		condizioni stabilite alla lett. a) del medesimo art. 5, n. 2.
		
		38 L’art. 5, n. 2, lett. a), della direttiva 2001/23 consente quindi 
		agli Stati membri, a determinate condizioni, di non applicare talune 
		garanzie di cui agli artt. 3 e 4 della direttiva stessa a un 
		trasferimento di impresa laddove sia aperta una procedura di insolvenza 
		e laddove questa si trovi sotto il controllo di un’autorità pubblica 
		competente. Orbene, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale 
		vertente sulla questione se la direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 
		77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati 
		membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di 
		trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU 
		L 61, pag. 26), che precedeva la direttiva 2001/23, fosse applicabile al 
		trasferimento di un’impresa oggetto della procedura di accertamento 
		dello stato di crisi, la Corte ha stabilito che tale procedura mira a 
		favorire la prosecuzione dell’attività dell’impresa nella prospettiva di 
		una futura ripresa, non implica alcun controllo giudiziario o 
		provvedimento di amministrazione del patrimonio dell’impresa e non 
		prevede nessuna sospensione dei pagamenti (sentenza Spano e a., cit., 
		punti 28 e 29). Si deve inoltre rilevare che il CIPI si limita a 
		dichiarare lo stato di crisi di un’impresa e che tale dichiarazione 
		consente all’impresa di cui trattasi di beneficiare temporaneamente del 
		fatto che la CIGS si faccia carico della retribuzione di tutti o di 
		parte dei suoi dipendenti.
		
		39 Ne discende che, alla luce di tali elementi, non può ritenersi che la 
		procedura di accertamento dello stato di crisi aziendale sia tesa ad un 
		fine analogo a quello perseguito nell’ambito di una procedura di 
		insolvenza quale quella di cui all’art. 5, n. 2, lett. a), della 
		direttiva 2001/23, né che essa si trovi sotto il controllo di 
		un’autorità pubblica competente, come previsto dal medesimo articolo.
		
		40 Di conseguenza, i presupposti d’applicazione dell’art. 5, n. 2, lett. 
		a), della direttiva 2001/23 non ricorrono nella procedura su cui verte 
		l’inadempimento in esame e gli argomenti formulati in tal senso dalla 
		Repubblica italiana non possono, pertanto, essere accolti.
		
		41 Oltretutto, anche ammesso che l’art. 5, n. 2, lett. a), della 
		direttiva 2001/23 sia applicabile alla procedura di accertamento dello 
		stato di crisi, come sostenuto dalla Repubblica italiana, è pur vero che 
		il presupposto fondamentale di tale disposizione è l’applicazione degli 
		artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23. Orbene, l’art. 47, sesto comma, 
		della legge n. 428/1990 prevede, al contrario, la loro esclusione.
		
		42 Tale interpretazione è peraltro avvalorata da una lettura sistematica 
		del citato art. 5 della direttiva 2001/23. Infatti, quando il 
		legislatore comunitario ha voluto escludere l’applicazione degli artt. 3 
		e 4 della direttiva 2001/23, lo ha espressamente previsto, come emerge 
		dalla lettera stessa dell’art. 5, n. 1, della direttiva citata, secondo 
		cui tali artt. 3 e 4 non si applicano al trasferimento di un’impresa che 
		sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di 
		insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni, a meno 
		che gli Stati membri dispongano diversamente.
		
		43 Per quanto concerne, infine, l’argomento della Repubblica italiana 
		basato sull’asserita conformità dell’art. 47, quinto comma, della legge 
		n. 428/1990 con l’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23, si deve 
		rilevare che tale disposizione consente agli Stati membri di prevedere 
		che le condizioni di lavoro possano essere modificate, in conformità al 
		n. 2, lett. b), di questa stessa disposizione, in caso di trasferimento 
		di impresa qualora il cedente sia in una situazione di grave crisi 
		economica, purché tale situazione sia dichiarata da un’autorità pubblica 
		competente e sia aperta al controllo giudiziario.
		
		44 Ne consegue che, ammesso che la situazione dell’impresa di cui sia 
		stato accertato lo stato di crisi possa essere considerata come 
		costituente una situazione di grave crisi economica, l’art. 5, n. 3, 
		della direttiva 2001/23 autorizza gli Stati membri a prevedere che le 
		condizioni di lavoro possano essere modificate per salvaguardare le 
		opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa, 
		senza tuttavia privare i lavoratori dei diritti loro garantiti dagli 
		artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23.
		
		45 Orbene, è pacifico che l’art. 47, quinto comma, della legge n. 
		428/1990 priva puramente e semplicemente i lavoratori, in caso di 
		trasferimento di un’impresa di cui sia stato accertato lo stato di 
		crisi, delle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23 
		e non si limita, di conseguenza, ad una modifica delle condizioni di 
		lavoro quale è autorizzata dall’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23.
		
		46 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, la 
		modifica delle condizioni di lavoro ai sensi dell’art. 5, n. 3, della 
		direttiva 2001/23 non può rappresentare una deroga specifica alla 
		garanzia prevista dall’art. 3, n. 3, della direttiva stessa, che 
		garantisce il mantenimento delle condizioni di lavoro convenute mediante 
		contratto collettivo per un periodo non inferiore ad un anno dopo il 
		trasferimento. Infatti, poiché le norme della direttiva 2001/23 vanno 
		ritenute imperative nel senso che non è consentito derogarvi in senso 
		sfavorevole ai lavoratori, i diritti e gli obblighi in capo al cedente 
		risultanti da un contratto collettivo in essere alla data del 
		trasferimento si trasmettono ipso iure al cessionario per il solo fatto 
		del trasferimento (v. sentenza 9 marzo 2006, causa C-499/04, Werhof, 
		Racc. pag. I-2397, punti 26 e 27). Ne discende che la modifica delle 
		condizioni di lavoro autorizzata dall’art. 5, n. 3, della direttiva 
		2001/23 presuppone che il trasferimento al cessionario dei diritti dei 
		lavoratori abbia già avuto luogo.
		
		47 Inoltre, l’applicazione dell’art. 5, n. 3, della direttiva 2001/23 è 
		subordinata alla possibilità del controllo giudiziario della procedura 
		in questione. La Repubblica italiana ha precisato in proposito che le 
		parti hanno il diritto di adire l’autorità giudiziaria competente 
		nell’ipotesi di mancato rispetto della procedura prevista. Tale diritto 
		non può essere considerato come costitutivo del controllo giudiziario 
		previsto dall’articolo citato, dal momento che quest’ultimo presuppone 
		un controllo costante dell’impresa dichiarata in situazione di grave 
		crisi economica da parte del giudice competente.
		
		48 Peraltro, con riferimento all’argomento della Repubblica italiana 
		secondo cui l’interpretazione della direttiva 2001/23 nel senso di 
		impedire ai lavoratori in soprannumero dell’impresa di restare alle 
		dipendenze del cedente potrebbe risultare meno favorevole ai lavoratori 
		medesimi, si deve necessariamente rammentare che la Corte ha dichiarato, 
		a tal proposito, che non si può ritenere che una disposizione quale 
		l’art. 47, quinto comma, della legge n. 428/1990, che ha l’effetto di 
		privare i lavoratori di un’impresa delle garanzie loro offerte dalla 
		direttiva 2001/23, costituisca una disposizione più favorevole per i 
		lavoratori ai sensi dell’art. 8 della direttiva stessa (sentenza Spano e 
		a., cit., punto 33).
		
		49 Ne discende che non può essere accolto l’argomento della Repubblica 
		italiana secondo cui l’esclusione, ad opera dell’art. 47, commi 5 e 6, 
		della legge n. 428/1990, delle garanzie previste dall’art. 3, nn. 1 e 3, 
		nonché dall’art. 4 della direttiva 2001/23 sarebbe conforme a 
		quest’ultima.
		
		50 Alla luce delle precedenti considerazioni, il ricorso della 
		Commissione deve essere considerato fondato.
		
		51 Si deve di conseguenza rilevare che, mantenendo in vigore le 
		disposizioni di cui all’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428/1990, 
		in caso di «crisi aziendale» a norma dell’art. 2, quinto comma, lett. 
		c), della legge n. 675/1977, in modo tale che i diritti riconosciuti ai 
		lavoratori dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4, nonché dall’art. 4 della direttiva 
		2001/23 non sono garantiti nel caso di trasferimento di un’azienda il 
		cui stato di crisi sia stato accertato, la Repubblica italiana è venuta 
		meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva.
		
		Sulle spese
		
		52 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte 
		soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché 
		la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta 
		soccombente, dev’essere condannata alle spese.
		
		Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:
		
		1) Mantenendo in vigore le disposizioni di cui all’art. 47, commi 5 e 6, 
		della legge 29 dicembre 1990, n. 428, in caso di «crisi aziendale» a 
		norma dell’art. 2, quinto comma, lett. c), della legge 12 agosto 1977, 
		n. 675, in modo tale che i diritti riconosciuti ai lavoratori dall’art. 
		3, nn. 1, 3 e 4, nonché dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 12 
		marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni 
		degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori 
		in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di 
		imprese o di stabilimenti, non sono garantiti nel caso di trasferimento 
		di un’azienda il cui stato di crisi sia stato accertato, la Repubblica 
		italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale 
		direttiva.
		
		2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
		
		Firme
		
		
 
		
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