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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE 
DI CASSAZIONE Sez. I Civile, 18/02/2008, Sentenza n. 3932
APPALTO PUBBLICO E PRIVATO - Progetto fornito dal committente - Indagine sul 
suolo - Onere dell'appaltatore - Obbligo di diligenza - Necessità di una 
specifica pattuizione - Esclusione. In tema di appalto sia pubblico che 
privato, rientra tra gli obblighi di diligenza dell’appaltatore, senza necessità 
di una specifica pattuizione, esercitare il controllo della validità tecnica del 
progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del 
suolo su cui l'opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre 
che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato promesso. Presidente G. 
Losavio, Relatore S. Del Core. CORTE DI CASSAZIONE Sez. I Civile, 18/02/2008, 
Sentenza n. 3932
www.AmbienteDiritto.it
UDIENZA DEL  
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. I Civile
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
Svolgimento del processo
A seguito di licitazione privata, il comune di Fano, con contratto di appalto 
del 26 ottobre 1987, affidò alla Impresa Edile F.lli Mongaretto s.n.c. di 
Mongaretto Ing. Elio e Mongaretto Geom. Alberto i lavori di costruzione della 
tribuna della pista di atletica leggera sita nella zona sportiva "trave". 
L'impresa aggiudicataria curò di eseguire, con un tecnico di propria fiducia, 
una perizia geologica dalla quale emerse una portanza del terreno minore 
rispetto a quella prevista, con conseguente rilevante aumento delle strutture di 
fondazione e dei relativi costi. La richiesta della impresa di una perizia di 
variante che tenesse conto di tali rilievi fu respinta dalla direzione dei 
lavori che, nel frattempo, vennero sospesi. Dopo aver ingiunto invano la ripresa 
dei lavori, l'ente appaltante procedette all'annullamento d'ufficio del 
contratto di appalto, provvedendo a incamerare la cauzione prestata e ad 
azionare la fideiussione bancaria. Svolte tali premesse, nell'ottobre 1989 la 
Impresa Edile F.lli Mongaretto s.n.c. di Mongaretto Ing. Elio e Mongaretto Geom. 
Alberto convenne in giudizio davanti al tribunale di Pesaro il comune di Fano, 
chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per colpa dell'ente, con 
condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni patiti.
Il Comune chiese il rigetto della domanda, eccependo che, alla stregua delle 
clausole del capitolato speciale, con l'accettazione della convenzione era 
implicita la conoscenza, da parte dell'appaltatore, dello stato dei luoghi e 
della natura del terreno. Domandò in linea riconvenzionale il risarcimento dei 
danni subiti a causa dell'inadempimento dell'attrice.
Disposta ed espletata consulenza tecnica, il tribunale, con sentenza parziale 
del 31 luglio 1998, dichiarò risolto il contratto per colpa del comune di Fano e 
ne respinse la riconvenzionale; con sentenza definitiva del 9 aprile 2001, 
condannò l'ente territoriale al pagamento in favore della società attrice della 
somma di lire 186.883.181, a titolo di danni.
Avverso entrambe le sentenze proposero appello il comune di Fano e, in via 
incidentale, la s.r.1. Impresa Edile F.11i Mongaretto in cui si era trasformata 
l'omonima società in nome collettivo. La Corte d'appello di Ancona, in parziale 
accoglimento del gravame principale, rigettò la domanda attorea e respinse la 
domanda riconvenzionale, dichiarando assorbito l'appello incidentale. Sui temi 
ancora controversi, osservò che nel contratto di appalto l'appaltatore assume il 
rischio organizzativo ed economico dell'opera - e quindi anche degli eventi atti 
ad alterare il valore economico delle rispettive prestazioni - entro i limiti 
dell'alea normale del negozio, nell'ambito della quale rientrano le difficoltà 
di natura geologica non aventi il carattere dell'imprevedibilità, da valutarsi 
sulla base della diligenza richiesta dall'attività esercitata. Detto principio 
trovava riscontro nelle previsioni del capitolato speciale di appalto, 
costituente parte integrante del relativo contratto, ove veniva espressamente 
precisato "che nell'accettazione dell'appalto da parte dell'appaltatore è 
implicita la dichiarazione da parte dell'appaltatore stesso di aver preso 
conoscenza del terreno dove verranno eseguiti i lavori, della sua natura agli 
effetti del tipo di fondazioni ..."; simile dichiarazione, per l'ampiezza delle 
espressioni adoperate e gli specifici riferimenti al problema della natura e 
della portanza dei terreni proprio in rapporto al tipo di fondazioni, dimostrava 
che l'appaltatore era tenuto contrattualmente ad avere piena cognizione di tutte 
le condizioni e circostanze influenti su andamento e onerosità della esecuzione 
delle opere; fra dette condizioni non poteva non rientrare la portanza dei 
terreni e la conseguente necessità di adottare le opportune fondazioni, sicché 
era da escludere una qualsivoglia responsabilità del committente per difetto di 
informazione sullo stato geologico dei luoghi.
Preso atto che non esisteva alcuna relazione geologica, l'impresa aggiudicataria 
doveva far eseguire a propria cura e spese la relazione geotecnica sulle 
strutture di fondazione (come, d'altronde, previsto nel medesimo capitolato 
all'articolo 6 lettera B). D'altra parte, lo scenario geologico della zona non 
presentava particolarità e qualunque operatore dotato di normale competenza 
sarebbe stato in grado di percepire agevolmente le consequenze dell'esecuzione 
di opere edilizie di quella portata. La dichiarazione dei partecipanti alla gara 
di appalto di aver esaminato la situazione dei luoghi e i suoi riflessi 
sull'esecuzione dell'opera (articolo 1 del d.p.r. n. 1063/1962) costituiva un 
attestato di presa conoscenza (tra l'altro) delle condizioni locali e di tutte 
le circostanze che potevano influire sui lavori e comportava un preciso dovere 
cognitivo a carico dell'impresa aggiudicataria, cui era correlata un'altrettanto 
precisa responsabilità. D'altronde, la previsione di un corrispettivo a corpo 
per le fondazioni (rilevabile dall'articolo 3 del capitolato speciale di 
appalto) comportava che per queste opere il prezzo convenuto era fisso e 
invariabile, non ricorrendo nella fattispecie alcuna delle due distinte ipotesi 
di eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell'articolo 1664 c.c., tali da 
incidere sul sinallagma contrattuale, alterandolo oltre i limiti connaturali 
all'alea normale; non si era, infatti, in presenza di difficoltà di esecuzione 
da considerare imprevedibili sulla base della diligenza media richiesta 
dall'attività esercitata. Non poteva, infine, ravvisarsi alcuna violazione dei 
principi di lealtà precontrattuale nel comportamento del Comune di Fano che, con 
una specifica clausola del capitolato, aveva richiamato l'attenzione 
dell'appaltatore sulle condizioni geologiche dei luoghi; in ogni caso, la 
clausola in questione ben poteva valere come esclusione consensuale di 
responsabilità.
La cassazione di tale sentenza è stata chiesta dalla s.r.l. Impresa F.lli 
Mangaretto con ricorso affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Fano. 
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione 
dell'art.5 r.d. 25 maggio 1895 n.350 e dei principi in materia di opere 
pubbliche, nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia. Il 
giudice di merito ha ignorato la dedotta e accertata (in primo grado) 
ineseguibilità del progetto esecutivo, attribuendo rilevanza dirimente alla 
pretesa assunzione da parte dell'appaltatore di ogni rischio inerente la 
realizzazione delle opere appaltate. Accedendo alla tesi della Corte d'appello, 
verrebbe irreparabilmente e illegittimamente pregiudicato l'interesse pubblico 
alla realizzazione dell'opera di cui è portatore l'ente territoriale. All'epoca 
dell'appalto in questione, era legislativamente tipizzato (art.5 r.d. 25 maggio 
1895 n.350) il principio generale della indefettibilità e completezza del 
progetto esecutivo delle opere pubbliche, la cui rispondenza all'effettiva 
situazione dei luoghi doveva essere verificata prima dell'apertura del 
procedimento concorsuale di scelta del contraente, perseguendo la duplice 
finalità di controllo della regolarità del progetto e di saldatura delle 
intervenute operazioni di progettazione con quelle di esecuzione dell'opera. Il 
comune di Fano ha violato gli obblighi di cui al citato art.5, rendendosi in tal 
guisa gravemente inadempiente, in quanto, come accertato dalla c.t.u. disposta 
in primo grado, ha fornito un semplice progetto architettonico privo dei 
contenuti conoscitivi richiesti dalla legge, non preceduto da una valutazione di 
carattere geognostico del terreno sul quale avrebbero dovuto effettuarsi le 
opere e, in concreto, non eseguibile. Affermando che la zona non presentava 
difficoltà di natura geologica particolari e imprevedibili, la corte 
territoriale, oltre a porsi in contrasto con il sistema dei lavori pubblici, ha 
omesso di considerare che il progetto non era concretamente realizzabile e 
l'impresa non vi poteva introdurre alcuna variante senza essere preventivamente 
autorizzata dalla stazione appaltante.
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia violazione a falsa applicazione 
degli artt.1337 e 1375 c.c., oltre a insufficiente motivazione circa un punto 
fondamentale della controversia. Il comune di Fano non ha consentito di 
eseguire, pur con le dovute modifiche, le opere appaltate così impedendo alla 
impresa, cui era inibito introdurre varianti al progetto approvato, di rendere 
la sua prestazione contrattuale; inoltre, ha violato il precetto che impone alle 
parti di comportarsi secondo buona fede, non avendo informato l'appaltatore 
della situazione che rendeva inattuabile il progetto.
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e la falsa 
applicazione dell'art. 1 d.p.r. n_1063/1962. Diversamente da quanto opinato 
dalla corte territoriale, la dichiarazione di conoscenza dei luoghi, contenuta 
nel capitolato speciale e mutuata dall'art.1 del capitolato generale oo.pp. 
n.1063/1962, ha un valore relativo e limitato allo stato apparente dei luoghi e 
non si estende a coprire elementi ignoti alla stazione appaltante al momento 
della redazione del progetto. Da siffatta dichiarazione non conseguiva, quindi, 
un obbligo contrattuale per l'appaltatrice di procurarsi una piena e assoluta 
conoscenza dei luoghi anche attraverso strumenti tecnici di indagine, che 
incombono per legge sulla committenza e non sono delegabili - e tanto meno di 
assumersi tutti i rischi inerenti la (in)eseguibilità dell'opera, sì da arrivare 
a una clausola di esclusione consensuale di responsabilità della pubblica 
amministrazione. Secondo la contestata tesi della corte d'appello, il capitolato 
speciale avrebbe illogicamente preteso dall'appaltatrice una conoscenza dei 
luoghi superiore a quella dell'amministrazione. Anche la consulenza disposta in 
prime cure aveva interpretato in senso opposto l'espressione contenuta nel 
capitolato speciale, escludendo che i partecipanti alla gara avessero l'onere di 
conoscere preventivamente la natura del terreno, poiché ciò ne implicava uno 
studio approfondito e dispendioso, sicuramente inconcepibile prima 
dell'aggiudicazione. La stessa consulenza aveva ritenuto che il progetto 
esecutivo redatto dall'impresa mostrava eccedenze tali da superare il quinto 
d'obbligo dell'ammontare dell'intero appalto, sicché andava redatta una perizia 
di variante, determinando i nuovi prezzi delle fondazioni, rivelatesi assai più 
onerose rispetto alle previsioni.
Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione 
degli artt. 1655 ss. c.c. e insufficiente motivazione circa un punto decisivo 
della controversia. Del tutto irrilevante era la circostanza valorizzata dalla 
corte del merito, secondo cui nella parte relativa alle fondazioni l'appalto era 
a corpo e non a misura. Anche il contratto compensato a corpo non può mai essere 
aleatorio, benché comporti l'assunzione in capo all'appaltatore di un rischio 
più ampio rispetto a quello a misura e, in regime anteriore alla legge Merloni, 
consentiva pur sempre la corresponsione di somme aggiuntive a titolo di 
revisione prezzi e di eventuali varianti in corso d'opera. La pattuizione di un 
corrispettivo a corpo non fa venir meno, dunque, il diritto dell'appaltatore a 
compensi per i maggiori oneri sostenuti in dipendenza di circostanze a lui non 
imputabili poiché, in caso contrario, l'imprenditore si troverebbe in balia 
della stazione appaltante con illegittima alterazione dei presupposti della 
contrattazione.
I primi tre motivi esigono trattazione unitaria per la complementarietà delle 
relative censure, che si appalesano prive di giuridico fondamento, quando non 
inammissibili.
Costituendo dato pacifico il presupposto di fatto della pretesa attorea di un 
rilevante scostamento tra le previsioni del progetto redatto dalla stazione 
appaltante e lo stato dei luoghi effettivamente riscontrato, la questione 
dibattuta in giudizio ha riguardato la individuazione della parte 
contrattualmente obbligatasi o tenuta per legge a saggiare preventivamente la 
capacità massima di carico - ovvero ad effettuare la valutazione di carattere 
geognostico - del terreno su cui si sarebbe dovuta eseguire l'opera appaltata.
Individuando detta parte nella impresa appaltatrice, la sentenza di appello - 
che è, peraltro, una sorta di summa di principi qua e là affermati in materia da 
questa Corte - non è incorsa in alcuno dei vizi denunziati.
Ed invero, in generale, secondo le norme dettate per l'appalto privato (artt. 
1667, 1668, 1669 c.c.) - applicabili anche in caso di appalto di opere pubbliche 
- va detto che, ai fini della costruzione di opere edilizie, il controllo sulla 
natura e consistenza del suolo edificatorio rientra, in mancanza di diversa 
previsione contrattuale, tra i compiti dell'appaltatore in quanto: 
a) si tratta di indagine implicante attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di particolari mezzi tecnici, come tale consona all'appaltatore, quale soggetto obbligato, mettendo a disposizione la propria organizzazione, a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell'opera commessagli, con conseguente obbligo di adottare tutte le misure e le cautele necessarie e adeguate per l'esecuzione della prestazione secondo il modello di precisione e di abilità tecnica idoneo in concreto a soddisfare l'interesse del committente;
b) il secondo comma dell'art. 1664 c.c. deve essere interpretato in conformità con il principio generale - espressamente enunciato sia nell'art. 1467, camma 2, sia nello stesso art. 1664, canna 1, c.c. - secondo il quale le parti, nei contratti a prestazioni corrispettive, ancorché continuate o differite, assumono il rischio di eventuali alterazioni del valore economico delle rispettive prestazioni entro limiti rientranti nella normale alea negoziale, che ciascun contraente deve conoscere al momento della stipula;
c) nell'ambito di detta alea rientrano - nel contratto di appalto, in cui l'appaltatore si obbliga al compimento dell'opera con gestione a proprio rischio - le difficoltà di natura geologica non aventi il carattere di imprevedibilità, da valutarsi sulla base della diligenza richiesta dall'attività esercitata, delle quali deve, quindi, ritenersi si sia tenuto conto nella formazione del sinallagma;
d) l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione dipende dall'adeguatezza del progetto rispetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono porsi le fondazioni, sicché la relativa indagine, nell'ipotesi in cui non presenti particolari difficoltà, superiori alle conoscenze che devono essere assicurate dall'organizzazione necessaria allo svolgimento dell'attività edilizia, fa carico all'appaltatore;
e) ciò anche quando la inidoneità del suolo non sia stata evidenziata dalla progettazione fornita dal committente, potendo l'appaltatore andare esente da responsabilità solamente laddove, nel caso concreto, le condizioni geologiche non risultino accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure "normali", avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata.
In diversi termini, l'appaltatore, assumendo un'obbligazione che ha per oggetto 
il risultato della sua attività, è tenuto ad assicurare al committente l'opera o 
il servizio promessi, dovendo a ciò provvedere con organizzazione adeguata da un 
punto di vista sia economico che tecnico. Pertanto, dalla natura del contratto 
discende che rientra tra gli obblighi di diligenza dell'appaltatore esercitare 
il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche 
in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l'opera deve sorgere, posto 
che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende 
il risultato promesso. Tale responsabilità non può quindi venire meno solo per 
il fatto che un controllo del genere richiederebbe cognizioni particolari, 
esigibili da persona particolarmente qualificata e quindi, nella specie, da un 
ingegnere o da un geologo. L'infondatezza di una tale tesi appare evidente sol 
che si rifletta sul fatto che l'imprenditore-costruttore opera in un settore di 
attività che di per sé richiede quella specifica competenza, tanto che la 
progettazione e la direzione dei lavori delle costruzioni in cemento armato di 
norma è riservata per legge agli ingegneri e agli architetti (r.d. 23 ottobre 
1925 n. 2537). Rientra, cioè, nell'alea normale del contratto di appalto 
assicurare il risultato pur ove questo richieda cognizioni tecniche tipiche 
dell'attività necessaria per la realizzazione dell'opus, onde si configura come 
onere dell'appaltatore predisporre un'organizzazione della sua impresa che 
assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l'obbligazione, 
assunta con il committente, di eseguire l'opera immune da vizi e difformità.
Orbene, alla stregua di tali principi, si deve necessariamente concludere che 
anche in caso di appalto pubblico, poiché la validità di un progetto di una 
costruzione edilizia è condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche 
geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo dell'appaltatore 
deve essere esteso a tale aspetto del progetto, ove questo gli fosse stato 
fornito dal committente, dovendo egli rispondere dei vizi e delle deficienze 
dell'opera, pur se ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione. I 
limiti a tale responsabilità sono quelli generali in tema di responsabilità 
contrattuale, presupponendo questa l'esistenza della culpa levis del 
debitore, e cioè il difetto dell'ordinaria diligenza, onde solo se le condizioni 
geologiche non fossero state accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze 
e procedure, per così dire, normali, l'appaltatore potrebbe andare esente da 
responsabilità per vizi e difformità della costruzione che dipendessero dalla 
mancata o insufficiente considerazione di quelle condizioni.
Pertanto, si deve affermare che l'indagine sulla natura e consistenza del suolo 
edificatorio rientra tra gli obblighi (anche) dell'appaltatore di opera 
pubblica, dipendendo l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione 
dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui 
devono essere poste le fondazioni. Ne segue che la cosiddetta sorpresa 
geologica, quale sarebbe stata, secondo la ricorrente, la scoperta in corso 
d'opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l'esecuzione dei 
lavori, non può essere invocata dall'appaltatore per esimersi dall'obbligo, che 
gli è proprio, di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno sul 
quale l'opera deve essere realizzata.
Ma, muovendo correttamente da tali premesse generali, la corte territoriale è 
passata ad esaminare l'atteggiarsi del rapporto in concreto intercorso tra ente 
committente e impresa aggiudicataria. Ne ha enucleato specifiche clausole con le 
quali l'impresa appaltatrice si era assunta precise responsabilità e 
obbligazioni proprio riguardo all'effettiva situazione dei luoghi e al terreno 
su cui dovevano cadere i lavori. Ha sottolineato, al riguardo, come nel 
capitolato speciale di appalto, costituente parte integrante del relativo 
contratto, fosse statuito che "nell'accettazione dell'appalto da parte 
dell'appaltatore è implicita la dichiarazione da parte dell'appaltatore stesso 
di aver preso conoscenza del terreno dove verranno eseguiti i lavori, della sua 
natura agli effetti del tipo di fondazioni.
Detta clausola, ad avviso della corte marchigiana, per l'ampiezza delle espressioni adoperate e gli specifici riferimenti al problema della natura e della portanza dei terreni (proprio in rapporto al tipo di fondazioni) e alla connessa esigenza delle imprescindibili fondazioni, mostra all'evidenza come l'appaltatore aveva - ovvero era tenuto contrattualmente ad avere - piena cognizione e valutazione di tutte le condizioni locali e delle circostanze generali e particolari influenti sull'andamento e l'onerosità delle quali opere da eseguire; fra tali condizioni e circostanze non poteva sfuggire la portanza dei terreni, con la conseguente necessaria adozione delle opportune fondazioni, escludendo nella specie la imprevedibilità delle difficoltà derivanti da cause geologiche in quanto la zona non presentava particolarità da questo punto di vista, di modo che qualunque operatore dotato di normale competenza sarebbe stato in grado di percepire agevolmente i rischi connessi con l'esecuzione di opere edilizie di tale portata.
In secondo luogo, pur escludendo la configurabilità nella specie della c.d. 
sorpresa geologica, la corte ha osservato che nel medesimo capitolato, 
all'articolo 6, lettera 8, si faceva espressamente carico all'impresa 
aggiudicataria di far eseguire a propria cura e spese la relazione geotecnica 
sulle strutture di fondazione (onere che, comunque, per le ragioni in precedenza 
esposte, avrebbe comunque avuto, a prescindere da una espressa previsione in tal 
senso). In proposito, a confutazione di quanto dedotto dalla ricorrente (essere 
simile previsione contraria ontologicamente a legge), va rilevato che non è 
vietato alla pubblica amministrazione prescrivere, come generalmente avviene, 
indagini geognostiche e geologiche a carico dell'impresa aggiudicataria; e nel 
contratto di appalto de quo si rinviene proprio la previsione di un 
siffatto obbligo relativamente alla verifica di tali fondamentali elementi, 
sicché toccava inequivocabilmente all'appaltatore, in assenza di una adeguata 
indagine sulla natura e consistenza del terreno, acquisire precisi dati 
geofisici e scegliere fondazioni idonee alla particolare situazione geologica 
del terreno che doveva ospitare l'opera.
Simmetricamente, la corte anconetana - richiamando, questa volta espressamente, 
precedenti di questa Corte (sent. n.7862/1996, ma vedi più estesamente Cass. 
11469/1996, della cui motivazione si è ampiamente avvalsa la sentenza, nonché 
Cass. n. 13734/2003) - ha osservato come la dichiarazione (implicita) 
dell'impresa di aver esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i 
riflessi sull'esecuzione dell'opera, si inserisce nell'ambito delle disposizioni 
introdotte dall'art. 1 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, del quale ha 
riprodotto sostanzialmente il contenuto mediante una specifica clausola 
contrattuale; tale dichiarazione, lungi dal costituire una clausola di stile o 
dall'avere la sola funzione di far riconoscere rimunerativi i prezzi 
dell'appalto, si traduceva in un attestato di presa conoscenza (tra l'altro) 
delle condizioni locali e di tutte le circostanze che avrebbero potuto influire 
sull'esecuzione dell'opera; essa, quindi, comportava un preciso dovere cognitivo 
a carico dei partecipanti alle gare per gli appalti, dovere cui era correlata 
un'altrettanto precisa responsabilità. Del resto, la clausola di assunzione, da 
parte dell'appaltatore, del rischio geologico, non comporta alterazione della 
struttura e della funzione dell'appalto, nel senso di renderlo un contratto 
aleatorio, ma solo un allargamento del rischio, senza però che questo, pur così 
ingrandito, esorbiti dalla normale alea di tale tipo contrattuale (cfr. Cass. 
n.1364/1979). L'assunto è, come detto, in linea con la giurisprudenza di questa 
Corte, secondo cui il citato art. 1 - a tenore del quale "per essere ammessi a 
partecipare alla gara, gli imprenditori devono presentare una dichiarazione con 
la quale essi attestino di essersi recati sul luogo di aver preso conoscenza 
delle condizioni locali, ed eventualmente delle cave e dei campioni, nonché di 
tutte le circostanze generali e particolari che possano aver influito sulla 
determinazione dei prezzi e delle condizioni contrattuali e che possano influire 
sull'esecuzione dell'opera..." - è inteso ad evitare contrasti su situazioni, 
incidenti sull'esecuzione dell'opera, delle quali l'appaltatore potesse rendersi 
conto in base alla mera ispezione dei luoghi. Anche le condizioni inserite negli 
appalti conferiti con licitazione privata impongono all'appaltatore, quale 
condizione di ammissione alla gara, di dichiarare di aver preso conoscenza delle 
condizioni locali. Ora se è ben vero che la norma si riferisce alla situazione 
apparente e non anche a quella occulta, deve ritenersi che anche quest'ultima 
costituisca oggetto di conoscenza allorché la sua individualità emerga da detta 
ispezione. Peraltro, nella specie neppure la ricorrente deduce che la presenza 
di difficoltà geologiche fosse assolutamente imprevedibile, mettendo in rilievo 
preminentemente la individuazione del contraente su cui incombeva l'obbligo di 
rilevarle. A questa stregua deve quanto meno presumersi che l'appaltatore, in 
base all'obbligo di cui sopra, si sia reso conto della peculiare natura del 
terreno e, conseguentemente, partecipando alla gara, abbia accettato il rischio 
della loro incidenza sulla esecuzione dell'opera (vedi Cass. n.5820/1996).
Né, ancora, vale opporre che, in base al sistema positivo, i contratti di 
appalto pubblico sono assoggettati al principio generale per cui i rischi della 
esecuzione dell'opera non previsti in progetto sono scaricati 
sull'amministrazione committente, di modo che si determina un regime 
diametralmente opposto a quello degli appalti di diritto privato: mentre in 
questi le sopravvenienze sono a carico dell'appaltatore, salve le limitazioni 
espressamente previste, negli appalti d'opere pubbliche sono a carico del 
committente, salvo le espresse deroghe. Come è opinione comune, anche gli 
appalti di opere pubbliche sono assoggettati alla regola generale che il rischio 
della difficoltà dell'opera deve essere sopportato dall'appaltatore, salve le 
limitazioni espressamente previste o pattuite, e negli stretti limiti della 
deroga (cfr. Cass. n. 4959/1993).
Dalla regolamentazione concreta del rapporto tra le parti, la corte ha quindi 
concluso che si doveva escludere qualsivoglia responsabilità del committente per 
difetto di informazione sullo stato geologico dei luoghi o per avere compilato 
un progetto difettoso e incompleto; analogamente, non era configurabile alcuna 
violazione dei principi di lealtà precontrattuale nel comportamento del comune 
di Fano che, con una specifica clausola del capitolato, aveva richiamato 
l'attenzione dell'appaltatore sulle condizioni geologiche dei luoghi; clausola 
che, come correttamente osservato dal giudice a quo, ben può valere come 
esclusione consensuale di responsabilità; conseguenza speculare è che, comunque 
si esamini la questione, la carenza progettuale è da addebitarsi esclusivamente 
all'appaltatore.
Esclusa ogni possibilità di ravvisare le condizioni per la risoluzione del 
contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, va ricordato che né 
l'appaltatore, né l'amministrazione possono disporre la sospensione dei lavori 
se non in presenza di cause determinate. In particolare, qualora si verifichino 
cause tecniche impreviste o imprevedibili, ovvero cause di forza maggiore o 
impedimenti obbiettivi non imputabili a nessuna delle parti, l'appaltatore ha 
diritto (solo) a un termine suppletivo, mentre in presenza di cause tecniche 
previste o prevedibili l'appaltatore non può pretendere alcuna dilazione o 
indennizzo e resta tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla 
ulteriore durata dei lavori.
E quanto alla affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale non si era in 
presenza di circostanze o di difficoltà di esecuzione da considerare 
imprevedibili sulla base della diligenza media richiesta dall'attività 
esercitata, non può non rilevarsi che trattasi di accertamento di fatto 
incensurabile in questa sede.
Il quarto motivo contiene censure intrinsecamente inammissibili per difetto di 
causalità dei pretesi errori denunciati.
Va rilevato che le censure in discorso investono una argomentazione che la corte 
territoriale ha addotto ad abundantiam, siccome reso palese dall'incipit
dell'argomentazione medesima (°D'altronde ..."), basandosi la statuizione di 
rigetto dell'appello sul rilievo in precedenza operato, e non infirmato dalla 
proposta impugnazione, dell'obbligo incombente sull'appaltatore di eseguire le 
dovute indagini geognostiche. Reggendosi il dispositivo su tale corretta 
argomentazione avente carattere principale ed assorbente, l'ultroneo riferimento 
fatto in sentenza alla forma di corrispettivo prevista nel contratto in 
discussione costituisce, all'evidenza, affermazione ad abundantiam, 
improduttiva di effetti giuridici e, come tale, insuscettibile di gravame, n6 di 
censura in sede di legittimità (cfr. Cass. nn. 11160/2004, 3002/2004, 9963/2002, 
2087/2002, 317/2002, 10241/2000, 301/1996, 5778/1988).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della sua proponente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di 
cassazione, liquidate in E 4.100,00, di cui € 4. 000,00 per onorari d'avvocato, 
oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2008
Depositato in Cancelleria 18/02/2008
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