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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE 
DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 26/06/2008 (Ud. 13/05/2008) , Sentenza n. 17496
APPALTI - Obbligazioni - Crediti da corrispettivo di appalto vantati nei 
confronti degli enti locali - Cessione - Forma - Art. 115, D.P.R. n. 554/1999 - 
Art. 69, c. 3°, r.d. n. 2440/1923. Alla cessione dei crediti da 
corrispettivo di appalto vantati nei confronti degli enti locali, effettuata 
prima dell’entrata in vigore del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 - che all’art. 
115 prevede espressamente la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata 
autenticata e la notifica alle Amministrazioni pubbliche debitrici ai fini 
dell’efficacia ed opponibilità alle stesse - non si applica l'art. 69, terzo 
comma, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, che pure richiede la forma dell’atto 
pubblico o della scrittura privata autenticata, ma riguarda la sola 
Amministrazione statale, stante il mancato esplicito richiamo nell’ordinamento 
degli enti locali, ed essendone, inoltre, preclusa l’applicazione analogica, in 
ragione del carattere eccezionale rispetto al regime generale della cessione dei 
crediti (artt. 1260 e segg. cod. civ.). Presidente C. Carnevale, Relatore F. 
Felicetti. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 26/06/2008 (Ud. 13/05/2008) , 
Sentenza n. 17496
      
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UDIENZA 
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. I Civile
composta dagli ill.mi Signori:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Omissis 
Svolgimento del processo
1 La Cassa Rurale ed Artigiana di Binasco chiese ed ottenne decreto ingiuntivo 
nei confronti del Comune di Abbiategrasso per lire 90.404.824, oltre accessori, 
dichiarandosi cessionaria, con accettazione del Comune di Abbiategrasso, di 
crediti di tale importo della s.n.c. Edilverde, di Arduino Belloni e C. Il 
Comune ingiunto propose opposizione, deducendo che la cessione dei crediti non 
gli era opponibile in quanto priva dei requisiti di validità ed efficacia 
richiesti dall'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, essendo state le cessioni 
credito notificate (il 2 dicembre 1997 ed il 5 dicembre 1997) dopo l'emissione 
degli ordini di pagamento, avvenute il 28 novembre 1997 ed il 4 dicembre 1997. 
La Cassa rurale si costituì contestando la fondatezza dell'opposizione, avendo 
il Comune esplicitamente accettato, senza sollevare alcuna contestazione, le 
cessioni dei crediti ed avendo successivamente dichiarato che i crediti erano 
stati pagati alla Edilverde per un disguido. Dedusse che e l'art. 69 su detto 
non era applicabile ai Comuni e, comunque, che nel caso di specie, avendo il 
Comune determinato l'affidamento della Cassa rurale, doveva rispondere per i 
danni che questa aveva subito. Inoltre, dalla documentazione in atti, 
l'emissione degli ordini di pagamento risultava avvenuta in data 2 dicembre 1997 
e 10 dicembre 1997, dopo le notifiche delle cessione e la loro accettazione da 
parte del Comune. La Cassa chiese quindi il rigetto dell'opposizione e, in via 
riconvenzionale subordinata, la condanna del Comune al risarcimento dei danni. 
Il tribunale di Milano rigetta l'opposizione. Proposto appello, la Corte di 
appello di Milano, con sentenza depositata il 18 luglio 2003, notificata il 4 
marzo 2004, revocò il decreto ingiuntivo e rigettò la domanda di risarcimento 
danni. Avverso la sentenza la Cassa Rurale ed Artigiana di Binasco ha proposto 
ricorso a questa Corte con atto notificato al Comune di Abbiategrasso il 30 
aprile 2004, formulando tre motivi. Il Comune resiste con controricorso 
notificato il 9 giugno 2004. La ricorrente ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
1 Con il primo motivo si denunciano la violazione degli artt. 69-70 del r.d. n. 
2440 del 1923, in relazione all'art. 41 Cost., nonché vizi motivazionali. Si 
deduce al riguardo che la sentenza della Corte di appello ha erroneamente 
affermato l'applicabilità ai Comuni del r.d. n. 2440 del 1923, citando in 
proposito le sentenze nn. 13075 del 2000 e 844 del 2002, che non avrebbero 
affatto esaminato tale problematica. Viceversa in senso contrario si sarebbero 
pronunciate le sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 15382 del 2002. I 
Comuni, infatti, sono sottoposti alla discipli-na della legge comunale e 
provinciale (nel caso di specie, ratione temporis, la legge n. 142 del 
1990) e, in materia di contabilità e finanza, alla disciplina dettata dal d. lgs. 
n. 77 del 1995, cosicché, in assenza di un esplicito richiamo, le norme sulla 
contabilità dello Stato non sono applicabili ai Comuni. Si censura, inoltre, 
l'assenza di motivazione della decisione in ordine all'applicabilità del r.d. 
del 1923 alla fattispecie, applicato dalla sentenza impugnata sulla base del 
rilievo che esso era richiamato dall'art. 12 del Regolamento per la disciplina 
dei contratti del Comune di Abbiategrasso, ignorandosi le argomentazioni in 
contrario, svolte dall'odierna ricorrente sui limiti di tale richiamo, 
riguardando l'art. 12 di detto regolamento unicamente i limiti di forma per i 
contratti stipulati dal Comune a trattativa privata o per procedura negoziata e 
non i contratti stipulati dal Comune in generale e le cessioni di credito 
nascenti da tali con-tratti. Con il motivo si lamenta, ancora: che il 
regolamento prodotto non era applicabile, a causa delle cancellature che ne 
rendevano dubbia l'autenticità e perché non ancora entrato in vigore al momento 
dei fatti di causa; che esso non disciplina i contratti di cessione di credito 
del Comune, non richiamati nelle esemplificazioni di cui all'art. 1 e, comunque, 
nel caso di specie non trattavasi di un contratto di cessione di credito del 
Comune, non essendo esso parte del contratto, non essendo il Comune né cedente 
né cessionario del credito. Secondo la ricorrente, pertanto, la Corte di appello 
sarebbe incorsa in una violazione di legge, avendo applicato alla fattispecie la 
norma speciale di cui all'art. 69 del r.d. n. 2240 del 1923, invece che la 
normativa generale di cui all'art. 1260 cod. civ., ignorando il principio di 
diritto secondo il quale l'art. 69 su detto, alla luce dei principio 
costituzionale di tutela dell' autonomia privata stabilito dall'art. 41 Cost., 
va letto in maniera restrittiva, escludendone l'applicabilità ad enti diversi 
dallo Stato (Cass. Sez.un. nn. 15382 del 2002 e 7414 del 1998).
Con il secondo motivo si denunciano la violazione degli artt. 69 e 70 del r.d. 
n. 2440 del 1923, dell'art. 1350 cod. civ., nonché vizi motivazionali, sotto il 
profilo che erroneamente la Corte d' appello avrebbe ritenuto che, in 
conseguenza dell'applicabilità anche agli enti locali dell'art. 69 del r.d. n. 
2240 del 1923, la forma ivi prevista per la validità della cessione dei crediti 
sarebbe richiesta ad substantiam. Tale affermazione sarebbe 
immotivata e fondata sulla citazione di una sentenza di questa Corte (n. 15448 
del 2001) non pertinente alla fattispecie, erroneamente facendosi discendere 
dalla mancanza della forma prescritta dall'art. 69 su detto la nullità della 
cessione, considerandosi detta forma richiesta ad substantiam, mentre lo 
é solo ad probationem, tanto è vero che la cessione viene considerata 
valida fra le parti, ma solo inefficace verso il cessionario, non richiedendo 
l'art. 69 detta forma a pena di nullità ma prevedendo esso che la cessione di 
crediti verso la pubblica amministrazione "deve risultare da atto pubblico o da 
scrittura privata autenticata da notaio". Secondo la ricorrente la mancanza 
della forma prescritta non impedirebbe la sua efficacia nei confronti 
dell'amministrazione tutte le volte in cui la prova della veridicità della 
cessione risulti aliunde e, comunque, ove la cessione, come nel caso di 
specie, sia stata accettata dall'amministrazione, che si é impegnata al 
pagamento nei confronti della cessionaria.
Con il terzo motivo si denunciano la violazione degli artt. 1175, 1375, 1337, 
1338, 2043 cod. civ., 5 cod. pen., nonché vizi motivazionali, per avere la Corte 
di appello rigettato la domanda di risarcimento dei danni, in quanto la 
cessionaria non poteva ignorare le formalità prescritti dalla legge per la 
cessione dei crediti nei confronti degli enti pubblici ed avrebbe dovuto quindi 
osservarle. Secondo la ricorrente trattavasi di normativa speciale e di dubbia 
interpretazione, la cui ignoranza doveva ritenersi scusabile alla stregua della 
sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, cosicché la Corte di 
appello avrebbe erroneamente omesso di considerare tale profilo, nonché 
l'affidamento generato dal comportamento del Comune che aveva accettato la 
cessione del credito. Ne risulterebbe la violazione dell'art. 1337 cod. civ., 
non avendo ottemperato il Comune al suo obbligo di buona fede nelle trattative; 
dell'art. 1338, per non avere il Comune portato a conoscenza della controparte 
una causa di nullità del contratto; degli artt. 1175 e 1375 in relazione alla 
mancata esecuzione del contratto secondo buona fede, con il conseguente obbligo 
di risarcimento.
2.1. Il primo motivo é fondato.
L'art. 339 delle legge n. 2448 del 1865, all. F (legge sui lavori pubblici) 
statuì, in relazione ai contratti per lavori pubblici, che "a vietata qualunque 
cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano riconosciute", 
correlandosi con il precedente disposto dell'art. 9 della stessa legge, all. E a 
norma del quale: "sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto 
alcun sequestro, né convenirsi cessione, se non vi aderisca l'amministrazione 
interessata".
In tal modo il legislatore, al fine di garantire, nell'interesse pubblico, la 
regolarità e tempestività dell'esecuzione dell'opera, mirava a conservare i 
crediti derivanti dai contratti relativi all'esecuzione delle opere pubbliche 
nel patrimonio dell'appaltatore, rendendo inopponibili all'amministrazione gli 
atti di disposizione che essa non compiuti senza la sua adesione, a meno 
aderisse alla cessione, valutando la sua compatibilità con il perseguimento del 
su detto pubblico interesse.
Tali norme, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, derogavano il 
principio civilistico della cedibilità dei crediti anche in assenza del consenso 
del debitore ceduto (art. 1260 cod. civ.) sia per i crediti verso lo Stato, sia 
per i crediti nei confronti degli enti pubblici statali o territoriali, tenuto 
conto della collocazione delle norme sopra menzionate in complessi normativi 
diretti a dettare, rispet-tivamente, la disciplina generale dei lavori pubblici 
e la delimitazione dei confini fra poteri pubblici e privati (da ultimo Cass. 21 
settembre 2005, n. 18610).
Il r. d. n. 2440 del 1923 (recante disposizioni sul patrimonio e sulla 
contabilità generale dello Stato), regolando al capo quarto le "spese dello 
Stato", all'art. 69 statuì al terzo comma che "le cessioni, le delegazioni, le 
costituzioni di pegno e gli atti di re-voca, rinuncia o modificazione di vincoli 
devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio". 
I1 successivo art. 70 statuì al primo comma che "gli atti considerati dal 
precedente art. 69 debbono indicare il titolo e l'oggetto del credito verso lo 
Stato che s'intende colpire, cedere o delegare" e che "con un solo atto non si 
possono colpire, cedere o delegare crediti verso amministrazioni diverse", 
statuendo poi al secondo comma che "per le somme dovute dallo Stato per 
somministrazioni, forniture ed appalti debbono essere osservate le disposizioni 
dell'art. 9, all. E, della legge n. 2248 del 1865 e degli artt. 351 e 355, all. 
F, della legge medesima".
La regola posta dai sopra menzionati articoli della legge n. 2248 del 1865, 
sulla necessità dell'adesione alla cessione da parte della pubblica 
amministrazione per la sua opponibilità ad essa, à venuta meno, in relazione 
alle cessioni previste dalla legge 21 febbraio 1991, n. 52 (sulla "disciplina 
della cessione dei cre-diti d'impresa"), e dall'art. 26, comma 5, della legge 11 
febbraio 1994, n. 109 (legge quadro in materia di lavori pubblici), a norma del 
quale "le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52 sono estese ai 
crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di 
lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di 
progettazione nell'ambito della realizzazione di lavori pubblici".
La sentenza impugnata ha ritenuto applicabile alla fattispecie, avente ad 
oggetto un credito verso il Comune di Abbiategrasso nascente da un contratto di 
appalto, ceduto dall'impresa appaltatrice all'odierna ricorrente Cassa rurale e 
artigiana di Binasco, l'art. 69 del r.d. n. 2240 del 1923 in quanto: a) "la 
giurisprudenza più recente in tema di cessione di crediti della pubblica 
amministrazione ha riconosciuto l'applicabilità anche agli enti territoriali 
della normativa generale sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità 
generale dello Stato di 1923", citando al riguardo le 2000 e 844 del 2002 di 
questa cui al r. d. 2240 del sentenze nn. 13075 del Corte; b) l'art. 12 del 
regolamento per la disciplina dei contratti comunali adottato dal Comune di 
Abbiategrasso ai sensi dell'art. 59 della legge n. 142 del 1990, richiama la 
normativa del r.d. n. 2240 del 1923.
Da tale applicabilità ha tratto la conseguenza che, essendo mancata nel caso di 
specie la forma richiesta da detto art. 69, la cessione del credito era nulla, 
essendo tale forma richiesta ad substantiam, con la conseguenza che la 
sua accettazione da parte del Comune era improduttiva di effetti e non poteva in 
alcun modo sanate tale vizio di forma.
Secondo la Corte di appello nel caso di specie sarebbe applicabile la legge n. 
109 del 1994, ma essa non deroga ai principi su detti in quanto essa si limita a 
rinviare, con l'art. 26, alla legge n. 52 del 1991 in materia di factoring, che 
nulla dispone in ordine alla forma degli atti di cessione dei crediti.
2.2. Come esattamente si deduce con il primo motivo del ricorso, l'applicabilità 
alla fattispecie, avente ad oggetto la cessione di un credito derivante da un 
contratto di appalto stipulato dal Comune di Abbiate-grasso, dell'art. 69 del r. 
d. n. 2240 del 1923 non può derivare dal disposto dell'art. 12 del regolamento 
sulla disciplina dei contratti (prodotto in causa), approvato da tale Comune ai 
sensi dell'art. 59 della legge comunale e provinciale del 1990, la quale ha 
riservato alla potestà regolamentare dei Comuni la disciplina della contabilità 
e dei contratti di detti enti, nell'ambito dei principi generali fissati dalla 
legislazione statale. Tale articolo, infatti, riguarda unicamente i contratti 
dei quali sia parte il Comune, per i quali è prevista, di regola, la forma 
pubblica amministrativa, ovvero l'atto notarile. Esso, all'ultimo somma, 
richiama il r.d. n. 2440 del 1923, ma unicamente per statuire che per detti 
contratti "la forma della scrittura privata 4 ammessa nei limiti previsti dalla 
legge di contabilità dello Stato, approvata con r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, 
solo per i contratti per trattativa privata o per procedura negoziata". Ne 
deriva che l'articolo non riguarda affatto le sessioni dei crediti del Comune, 
essendo la cessione del credito un contratto fra cedente e cessionario, non un 
contratto del quale il Comune é parte e riguardando il richiamo al r. d. n. 2440 
solo i contratti del Comune e, per di più, statuendosi con tale richiamo una 
deroga proprio alla necessità dell'atto pubblico.
Ove si tenga presente che l'art. 69, comma 3, applicato alla fattispecie dalla 
Corte di appello à inserito nel r.d. n. 2240 del 1923 - il quale detta la 
disciplina del patrimonio e della contabilità generale dello Stato - nel capo 
riguardante le •spese dello Stato", priva di fondamento si appalesa anche la sua 
diretta applicabilità alle cessioni dei crediti derivanti da contratti 
intercorsi con i Comuni, affermata dalla sentenza impugnata a prescindere dal 
richiamo nel regolamento comunale.
La sentenza fonda l'applicabilità dell'art. 69, comma 3, su detto agli enti 
pubblici diversi dallo Stato su un richiamo per relationem alle sentenze 
nn. 13075 e 844 del 2002 di questa Corte che l'avrebbero affermata. Ma in 
effetti la prima di tali sentenze non si occupa affatto della forma dell'atto di 
cessione del credito e dell'applicabilità ai Comuni della norma dettata 
dall'art. 69 su detto, bensì unicamente dell'applicabilità a tali enti degli 
artt. 9 e 339 della legge n. 2248 del 1865 all.ti E ed F, i quali - secondo un 
principio interpretativo consolidato, recepito dalla sentenza - hanno efficacia 
generale. La seconda sentenza, a sua volta, ha affermato detta applicabilità del 
tutto apoditticamente, rilevando d'ufficio e senza alcuna specifica motivazione 
sul punto, l'inammissibilità del ricorso proposto dal cessionario di un credito 
in contestazione con un Comune, per mancanza nell'atto di cessione della forma 
richiesta dall'art. 69 su detto. Estranea a tale tema é la sentenza n. 15488 del 
2001, anch'essa citata dalla Corte di appello, la quale si occupa della 
necessità della forma scritta per un contratto stipulato da un Comune e delle 
conseguenze giuridiche della mancanza di tale forma.
In effetti, esaminando la giurisprudenza di questa Corte, si rileva che da essa 
non i dato di evincere una motivata affermazione che la disciplina della 
cessione dei crediti verso lo Stato dettata dall'art. 69, comma 3, del r.d. n. 
2240 del 1923 sia riferibile alla P.A. nel suo complesso (enti pubblici 
territoriali compresi). In concreto una simile affermazione si ritrova 
genericamente enunciata in alcune decisioni, o in mancanza di contestazioni al 
riguardo e senza alcuna specifica motivazione (Cass. 23 novembre 2000, n. 
15153), ovvero come obiter dictum (Cass. 28 gennaio 2002, n. 981), con 
una generalizzazione del principio di applicabilità dell'art. 69 alle 
amministrazioni dell'apparato statale in origine affermato (Cass. 20 novembre 
1975, n. 3887; 23 febbraio 1984, n. 1286; 3 aprile 1992, n. 4105; 11 dicembre 
1996, n. 11041). In proposito va sottolineato che Cass. 16 settembre 2002, n. 
13481, dinanzi a specifiche contestazioni al riguardo, ha applicato 1'art. 69, 
comma 3, in questione all'Ente sviluppo agricolo in Sicilia, sulla base di una 
specifica motivazione, secondo la quale tale applicabilità derivava da una norma 
della legislazione regionale siciliana (art. 21 legge reg. n. 47 del 1977) così 
come in precedenza aveva fatto Cass. 22 luglio 1997, n. 7020, che per 
l'applicabilità dell'articolo ad una USL aveva fatto un sia pur generico 
riferimento alla ricezione di esso da parte della legislazione regionale. Né 
argomenti decisivi al riguardo sembrano a questo collegio potersi trarre dalla 
recente sentenza 24 settembre 2007, n. 1957.
Va osservato che le cessioni del credito oggetto del presente giudizio risalgono 
al 1997, quando era entrato in vigore l'ordinamento finanziario e contabile 
degli enti locali di cui al d. lgslv. 25 febbraio 1995, n. 77, che non contiene 
né un richiamo all'art. 69 del r. d. n. 2240 del 1923, né alcuna norma a questa 
analoga, così come non li conteneva la legge 8 giugno 1990, n. 142, recante 
l'ordinamento delle autonomie locali.
Mentre all'epoca non era ancora in vigore il d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 
(recante il regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori 
pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 applicabile, a norma del suo art. 2, tra 
l'altro, oltre che alle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, 
"agli enti pubblici, compresi quelli economici, agli enti ed alle 
am-ministrazioni locali, alle loro associazioni e consorzi"), che all'art. 115 
ha previsto che: "Ai sensi dell'art. 26, comma 5, della legge quadro, le 
cessioni di crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche a 
titolo di corrispettivo di appalto possono essere effettuate dagli imprenditori 
a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria 
e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l'esercizio dell'attività di 
acquisto di crediti d'impresa. La cessione deve essere stipulata mediante atto 
pubblico o scrittura privata autenticata e deve essere notificata 
all'amministrazione debitrice. La cessione del credito da corrispettivo di 
appalto é efficace e opponibile alla p.a. Qualora questa non la rifiuti con 
comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni 
dalla notifica".
Ne deriva che, nell'ambito del contesto normativo applicabile alla fattispecie
ratione temporis, il disposto dell'art. 69, comma 3, del r. d. n. 2440 
del 1923, specificamente riguardante l'amministrazione statale, non era 
direttamente applicabile al caso di specie, in mancanza di un esplicito richiamo 
della norma ivi contenuta nell'ordinamento degli enti locali. Né detta norma 
poteva essere applicata per analogia - stante il suo carattere eccezionale - 
alle cessioni di crediti verso gli enti locali, nascenti da attività svolte con 
mezzi privatistici, derogando il disposto dell'art. 69, comma 3, alla normativa 
generale privati etica in materia di cessione di crediti (artt. 1260 e segg. 
cod. civ.).
Conforta tale interpretazione anche l'"orientamento espresso da questa Corte, a 
sezioni unite (Cass. SS.UU. 4 novembre 2002, n. 15382), a proposito di altro 
comma dello stesso art. 69 (il sesto, che prevede il c.d. "fermo 
amministrativo"), ai sensi del quale un'amministrazione dello Stato che abbia a 
qualsiasi titolo ragioni di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre 
amministrazioni, può richiedere la sospensione dei pagamento di dette somme. In 
tale occasione le sezioni unite hanno statuito che la norma configura "uno 
strumento cautelare provvisorio diretto a legittimare la sospensione temporanea 
del pagamento di debiti liquidi ed esigibili da parte dello Stato a salvaguardia 
dell'eventuale compensazione con crediti, anche non attualmente liquidi e 
esigibili, che la stessa o altre branche dell'amministrazione statale, 
considerate come organi di una stessa persona giuridica, vantino nei confronti 
del medesimo soggetto", sottolineando che la disposizione, facendo esclusivo 
riferimento ad "un'amministrazione dello Stato" quale soggetto titolare dei 
potere eccezionale in discorso, in mancanza di una normazione espressa, non può 
considerarsi applicabile ad amministrazioni diverse.
Ne deriva che il primo motivo del ricorso deve essere accolto, con assorbimento 
dei successivi/e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla 
Corte di appello di Milano in diversa composizione, che deciderà anche sulle 
spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte di cassazione
Accoglie il primo motivo del ricorso. Dichiara assorbiti i successivi. Cassa la 
sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di ... alla Corte di 
appello di Milano in diversa composizione.
Cosi deciso in Roma il 13 maggio 2008, nella camera di consiglio della prima 
sezione civile.
Deposito in Cancelleria 26/06/2008
		
 
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