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CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, 04/07/2007, Sentenza 
n. 15047
LAVORO - Infortuni sul lavoro - 
Incidente verificatosi per mera curiosità - C.d. rischio elettivo - 
Indennizzabilità - Esclusione - Fattispecie. In materia di assicurazione 
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro costituisce rischio elettivo la 
deviazione, puramente arbitraria ed animata da mere finalità personali, dalle 
normali modalità lavorative, comportante rischi diversi da quelli inerenti le 
usuali modalità di esecuzione della prestazione. Nella specie, la S.C., 
ribadendo il consolidato orientamento, ha confermato la decisione della corte 
territoriale che aveva negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso al 
lavoratore, partecipante ad un corso di perfezionamento antincendio, il quale, 
durante la pausa-caffè, per osservare da vicino il vano del discensore dei 
vigili del fuoco, si era avvicinato tanto da perdere l'equilibrio e precipitarvi 
dentro. Presidente S. Ciciretti, Relatore A. De Matteis, Ric. Perini. CORTE 
DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, 04/07/2007, Sentenza n. 15047
LAVORO - Nozione di rischio elettivo - Individuazione - Criteri - Distinzione 
del rischio elettivo dall'atto lavorativo compiuto con colpa. E’ qualificato 
come “rischio elettivo” una deviazione puramente arbitraria dalle normali 
modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da 
quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione (Cass. 18 
agosto 1977 n. 3789; Cass. 24 luglio 1991 n. 8292; Cass. 17 novembre 1993 n. 
11351; Cass. 3 febbraio 1995 n. 1269; Cass. 3 maggio 1995 n. 6088; Cass. 1 
settembre 1997 n. 8269; Cass. 4 dicembre 2001 n. 15312). Esso viene configurato 
come l'unico limite che incide sulla occasione di lavoro, escludendola (Cass. 19 
aprile 1999 n. 3885; Cass. 2 giugno 1999 n. 5419; Cass. 9 ottobre 2000 n. 13447; 
Cass. 8 marzo 2001 n. 3363). Sicché, il rischio elettivo può essere individuato 
attraverso il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti: a) vi 
deve essere non solo un atto volontario (in contrapposizione agli atti 
automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni), ma altresì arbitrario, nel 
senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) diretto a soddisfare 
impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, ed 
anche contrarie alle direttive datoriali, ma motivate da finalità produttive, 
come nella fattispecie esaminata da Cass. 25 novembre 1975 n. 3950, la quale ha 
ritenuto non costituire rischio elettivo, ma infortunio sul lavoro connotato 
eventualmente da colpa del lavoratore, quello di un fattorino che, 
contrariamente alle direttive aziendali, si attrezzi con un proprio ciclomotore 
per provvedere ad una più rapida consegna dei plichi della quale è incaricato); 
c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicché 
l'evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività 
lavorativa. Questi elementi concorrono a distinguere il rischio elettivo 
dall'atto lavorativo compiuto con colpa, costituita da imprudenza, negligenza, 
imperizia, nel quale permane la copertura infortunistica. Presidente S. 
Ciciretti, Relatore A. De Matteis, Ric. Perini. CORTE DI CASSAZIONE Sezione 
Lavoro, 04/07/2007, Sentenza n. 15047
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UDIENZA del 
SENTENZA N.
REG. GENERALE N. 26639/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
Omissis
ha pronunciato la seguente: 
sentenza  
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. Perini Marco, mandato dal proprio datore di lavoro a frequentare un 
corso di perfezionamento antincendio presso la sede del Corpo Permanente dei 
VV.FF. di Trento, è caduto, il 9 aprile 2002, nel vano per il discensore dei 
vigili del fuoco, cui si era avvicinato per curiosità, riportando lesioni.
La sua domanda di condanna dell'Inail alle prestazioni infortunistiche, proposta 
con ricorso depositato in data 5 maggio 2003, accolta dal Tribunale di Rovereto, 
con sentenza del 25 marzo 2004, è stata respinta dalla Corte d'Appello di Trento 
con sentenza 15/20 luglio 2004 n. 53.
Il giudice di appello ha riconosciuto che l'incidente è avvenuto in ambiente di 
lavoro e durante lo stesso, perché nel periodo lavorativo va ricompressa anche 
la necessaria pausa del caffè, accordata dal docente in funzione anche delle 
eventuali esigenze fisiche dei partecipanti al corso, durante la quale è 
avvenuto l'incidente; ma ha ritenuto che la caduta del Perini è stata la 
conseguenza di un rischio elettivo, costituito dalla sua incauta curiosità di 
voler osservare da vicino il vano nel quale era allocato il discensore per i 
vigili, avvicinandosi tanto da perdere l'equilibrio e così cadere nello stesso.
Ha disatteso la valutazione del primo giudice, il quale aveva escluso che il 
comportamento del Perini nell'avvicinarsi al vano del "discensore" fosse 
arbitrario, perché era "ragionevolmente emerso in fase istruttoria che le 
segnalazioni di pericolo in allora presenti in loco non erano così chiare come 
quelle riportate nelle fotografie prodotte da parte convenuta".
Ha rilevato in contrario che le due testimoni Poli hanno riferito della 
presenza, comunque avvertita nonostante la scarsa illuminazione, di una barra 
più piccola e non colorata come quella apparente nelle foto prodotte dall'INAIL; 
e che il Perini, nell'occasione (pur rendendosi conto dell'esistenza del vano), 
vinto dalla curiosità di andare a vedere cosa vi fosse in quel posto, si 
avvicinò pericolosamente alla botola con il "discensore", tanto da precipitarvi.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Perini, con due 
motivi.
L'Istituto intimato si è costituito con controricorso, resistendo, illustrato da 
memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli 
artt. 2 e 66 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; 2087 cod.civ.; omessa, 
insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia 
(art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.).
Prende le mosse dalla valutazione della sentenza impugnata, di fatto e di 
diritto, che l' infortunio è avvenuto in ambiente di lavoro e durante lo stesso. 
Ricorda la giurisprudenza di legittimità in tema di occasione di lavoro, di 
colpa cosciente, e di rischio elettivo. Rileva che i partecipanti al corso non 
erano stati avvisati della pericolosità del luogo, sicché il Perini non 
disponeva degli elementi di conoscenza necessari per valutare il rischio; 
afferma che il rischio concretizzatosi con l'infortunio non è altro che il 
rischio proprio dell'ambiente lavorativo nel quale egli era collocato in quel 
momento; sostiene che il suo comportamento può essere considerato imprudente, ma 
non abnorme, sì da configurare il rischio elettivo che esclude la 
indennizzabilità dell'evento.
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 
115 c.p.c., in relazione agli articoli 2 e 66 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; 
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della 
controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), rileva che trattandosi di incidente 
avvenuto in ambiente di lavoro, la sentenza impugnata avrebbe dovuto valutare 
con particolare rigore l'interruzione del nesso causale tra l'attività 
lavorativa e l'infortunio, rispetto alle ipotesi di infortunio occorso al di 
fuori dell'orario e dell'ambiente di lavoro come per esempio negli infortuni 
in itinere.
L'Istituto convenuto, ritualmente costituito, sostiene in contrario che il caso 
non va trattato sul piano dell'elemento soggettivo del Perini, nel senso di 
ricercare il dolo eventuale o la colpa cosciente, bensì sul piano oggettivo 
dell'assenza del presupposto dell'occasione di lavoro, perché il Perini ha 
determinato, con la propria scelta, una situazione diversa da quella inerente 
all'attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni 
nesso tra lavoro, rischio ed evento.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono 
fondati.
La presente causa concerne il problema delle cautele specifiche dovute per 
coloro che per ragioni di lavoro frequentano ambienti lavorativi diversi da 
quelli propri, nei quali sussistono rischi specifici per i lavoratori ivi 
addetti. Non c'è dubbio che vi è un obbligo a carico del proprio datore di 
lavoro di informazione e di prevenzione particolare per questi lavoratori 
inviati in ambienti di lavoro diversi da quello abituale (argomento ex art. 5 
d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547 sull'obbligo di informazione dei lavoratori 
autonomi dei rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro in cui siano 
chiamati a prestare la loro opera; art. 21 d.lgs. 19 settembre 1994, n 626).
Nel caso di specie il vano discensore (quel vano con pertica centrale attraverso 
il quale i vigili si calano con maggiore celerità al piano sottostante, in caso 
di urgenza) costituisce una esigenza operativa per la caserma dei vigili del 
fuoco (ed in causa non si discute minimamente che esso fosse conforme a legge), 
ed un rischio specifico del quale i frequentatori del corso dovevano essere 
avvertiti.
Costituisce valutazione di fatto, adeguatamente motivata con le risultanze 
testimoniali, che la presenza di questo rischio specifico era avvertita dai 
frequentatori del corso, i quali, come risulta dalla deposizione del Cainelli 
riportata dallo stesso ricorrente, erano attratti in buon numero dall'apertura 
esistente, chiaramente visibile, ed interessati a valutare la profondità del 
vano del discensore. Lo stesso Perini, come risulta dalle deposizioni delle due 
testi Poli, riportate dalla sentenza impugnata, si era reso conto della 
esistenza del vano, ed aveva invitato le testi ad avvicinarsi per valutarne la 
profondità.
Lo scopo dell'obbligo di informazione era quindi raggiunto con tale 
consapevolezza della presenza del vano discensore, la cui pericolosità si 
identifica con la sua esistenza statica.
Ciò posto, occorre valutare se sia corretto in diritto la statuizione della 
sentenza impugnata secondo cui siffatto comportamento costituisce rischio 
elettivo, che esclude la copertura infortunistica.
Le premesse dommatiche della sentenza impugnata, secondo cui l'incidente avvenne 
in ambiente di lavoro e durante lo stesso, non valendo la pausa caffè ad 
interrompere il nesso causale con il lavoro, sono conformi alla giurisprudenza 
di questa Corte (Cass. 3 giugno 1985, n. 3296; Cass. 19 novembre 1983, n. 6904; 
Cass. 21 febbraio 1987, n. 1883; Cass. 15 gennaio 1990, n. 131; Cass. 15 
febbraio 1986 n. 9W1 925; Cass. 11 maggio 1999 n. 4676) e non sono contestate 
dall'Inail.
Quanto alla nozione di rischio elettivo, esso è qualificato dalla dottrina e 
dalla giurisprudenza come una deviazione puramente arbitraria dalle normali 
modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da 
quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione (Cass. 18 
agosto 1977 n. 3789; Cass. 24 luglio 1991 n. 8292; Cass. 17 novembre 1993 n. 
11351; Cass. 3 febbraio 1995 n. 1269; Cass. 3 maggio 1995 n. 6088; Cass. 1 
settembre 1997 n. 8269; Cass. 4 dicembre 2001 n. 15312).
Nella giurisprudenza di legittimità più recente, esso viene configurato come 
l'unico limite che incide sulla occasione di lavoro, escludendola (Cass. 19 
aprile 1999 n. 3885; Cass. 2 giugno 1999 n. 5419; Cass. 9 ottobre 2000 n. 13447; 
Cass. 8 marzo 2001 n. 3363).
Con formula ormai consolidata e tralaticia, il rischio elettivo può essere 
individuato attraverso il concorso simultaneo dei seguenti elementi 
caratterizzanti: a) vi deve essere non solo un atto volontario (in 
contrapposizione agli atti automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni), ma 
altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive; 
b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le 
iniziative, pur incongrue, ed anche contrarie alle direttive datoriali, ma 
motivate da finalità produttive, come nella fattispecie esaminata da Cass. 25 
novembre 1975 n. 3950, la quale ha ritenuto non costituire rischio elettivo, ma 
infortunio sul lavoro connotato eventualmente da colpa del lavoratore, quello di 
un fattorino che, contrariamente alle direttive aziendali, si attrezzi con un 
proprio ciclomotore per provvedere ad una più rapida consegna dei plichi della 
quale è incaricato); c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe 
assoggettato, sicché l'evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo 
svolgimento dell'attività lavorativa.
Questi elementi concorrono a distinguere il rischio elettivo dall'atto 
lavorativo compiuto con colpa, costituita da imprudenza, negligenza, imperizia, 
nel quale permane la copertura infortunistica.
Innumerevoli sono gli esempi, passati al vaglio della giurisprudenza, e riferiti 
dalla dottrina: assimilabile al caso presente è quello del lavoratore che, per 
mera curiosità, penetri in una cabina elettrica nella quale non aveva ragioni 
lavorative per entrarvi, ed ivi subisca un incidente.
Nel caso presente sussistono tutti gli elementi individuati dalla giurisprudenza 
di legittimità citata: la arbitrarietà, nella quale va inclusa anche la mera 
curiosità, come nell'esempio citato; la estraneità alle finalità lavorative; la 
creazione di un rischio ulteriore rispetto a dette finalità (nella specie la 
frequenza del corso).
Né il caso può essere ricondotto al rischio ambientale, che comprende qualsiasi 
fattore di rischio esistente nell'ambiente di lavoro (Cass. Sez. un. 14 aprile 
1994 n. 3476) sotto due profili: a) perché in fattispecie come la presente, il 
rischio ambientale va circoscritto agli ambienti strettamente funzionali alla 
frequenza del corso (argomento di per sé non sufficiente, in quanto il 
discensore era lungo un corridoio per il quale frequentatori del corso potevano 
passare); b) perché la copertura del rischio ambientale non esclude che il 
lavoratore possa creare al suo interno un rischio elettivo (si pensi al caso del 
lavoratore che usi le attrezzature aziendali per produrre un oggetto per uso 
personale, oppure di quello che si introduca per motivi non lavorativi in un 
luogo di maggior rischio interdetto alla generalità dei lavoratori, come nel 
caso citato supra della cabina elettrica).
Il ricorso va pertanto respinto.
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 
d.a.c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42, comma 11, del d.I 
n. 269 del 30 settembre 2003, convertito in Legge 24 novembre 2003, n. 326, 
nella specie inapplicabile "ratione temporis"; infatti le limitazioni di 
reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono 
applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato 
depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (data di entrata 
in vigore del predetto decreto legge) (Cass. l marzo 2004 n. 4165; Cass. 8 marzo 
2004 n. 4657; Cass. 1° giugno 2005 n. 11687; nello stesso senso, in motivazione, 
S.U. 24 febbraio 2005 n. 3814), mentre il ricorso introduttivo del presente 
giudizio è del 9 aprile 2003.
p.q.m.
rigetta il ricorso. Nulla per le spese processuali del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, l'8 maggio 
2007.
Depositato in Cancelleria il 4/7/2007
 
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