Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. I ter – 21 gennaio 2005, n. 500
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
PER IL LAZIO - ROMA 
SEZIONE PRIMA TER
N. Reg. Sent.
N. Reg. Gen.
Il Tribunale Amministrativo 
Regionale per il Lazio, sezione Prima ter, composto dai Signori Magistrati:
Luigi Tosti Presidente 
Franco De Bernardi Consigliere 
Giampiero Lo Presti Consigliere est 
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso n. 13881/98 R.G. proposto da Ente Produttori Selvaggina 
E.P.S., sezione regionale del Lazio, in persona del Presidente e legale 
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Adriano Giuffrè, 
presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Collina 36,
CONTRO
Regione Lazio, in persona del 
Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Bottino, 
presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Vasanello 20
E
Provincia di Roma, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e 
difeso dall’avv. Massimiliano Sieni, con domicilio eletto presso l’Avvocatura 
della Provincia, in Roma, via IV Novembre 119/A
E
Provincia di Viterbo, Provincia di Frosinone, Provincia di Rieti, non 
costituite in giudizio
PER L'ANNULLAMENTO
Della deliberazione del Consiglio Regionale del Lazio del 29 luglio 1998 n. 450 avente ad oggetto l’approvazione del piano faunistico venatorio regionale.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione Provinciale di 
Roma;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza del giorno 28 ottobre 2004 , il magistrato relatore, 
Cons. Avv. Giampiero Lo Presti;
Uditi altresì gli avvocati delle parti costituite come indicati nel verbale di 
udienza ; 
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La sezione regionale del Lazio dell’Ente Nazionale Produttori Selvaggina, 
associazione venatoria riconosciuta, con ricorso notificato in data 14 ottobre 
1998 alla Regione Lazio e alla Provincia di Viterbo e, successivamente, anche 
alle altre Province della Regione, ha impugnato la delibera consiliare in 
epigrafe di approvazione del piano regionale faunistico venatorio, assumendone 
l’illegittimità in relazione ai seguenti motivi di censura:
-) violazione dell’art. 17, comma 32, della legge n. 127/1997, non essendo stata 
sottoposta la delibera impugnata al controllo di legittimità;
-) violazione dell’art. 25, comma 4, della legge regionale n. 17/95 e dell’art. 
8 della medesima legge. Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e per 
travisamento dei fatti, considerato che il parere del Comitato Tecnico 
Faunistico Venatorio Regionale, pure richiamato nella delibera impugnata, non si 
sarebbe validamente formato con espressione della volontà della maggioranza dei 
componenti;
-) violazione del principio di legalità, degli artt. 10 e ss. Della legge 
regionale n. 17/95 e 10 della legge n. 157/92. eccesso di potere per manifesta 
ingiustizia, illogicità e disparità di trattamento, per avere la delibera 
regionale recato modifiche ai piani provinciali al di fuori della regola del 
partecipativa del giusto procedimento.
Con ulteriori motivi di gravame, poi, il ricorrente lamenta che il piano 
regionale sarebbe stato adottato in assenza di adeguata istruttoria sulle 
effettive risorse territoriali ambientali e faunistiche ed illegittimamente 
avrebbe escluso, dalla percentuale complessiva delle aree a tutela, la 
considerazione delle c.d pertinenze alle vie di comunicazione da sottoporre 
comunque alla tutela faunistica e venatoria. Inoltre sarebbe stata operata una 
regolamentazione delle Aziende faunistiche e venatorie non rispondente alle 
finalità di tutela complessiva del territorio, con violazione delle norme di cui 
alla legge regionale 17/95 e dell’art. 5 della legge regionale 26/97. 
Si sono costituite in giudizio la Regione Lazio e l’Amministrazione della 
Provincia di Roma ed hanno dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza del 
gravame.
Le altre Province della Regione, benché ritualmente intimate, non si sono 
costituite in giudizio.
Alla pubblica udienza del giorno 28 ottobre 2004 la causa è stata trattenuta per 
la decisione.
DIRITTO
I primi tre motivi di gravame, con i quali si lamenta sotto diversi profili 
l’irregolarità del procedimento di formazione della delibera di approvazione del 
piano regionale faunistico venatorio e se ne denuncia pertanto l’illegittimità, 
sono inammissibili per difetto di legittimazione o di interesse ad impugnare in 
capo all’Ente ricorrente.
Osserva infatti il Collegio che non può ritenersi sussistente una legittimazione 
generale delle associazioni faunistiche o venatorie ad impugnare o a resistere 
nei giudizi avverso il piano faunistico venatorio per fare valere vizi del 
procedimento.
Non si ravvisano infatti, nel testo della legge quadro sulla caccia, quegli 
indici sufficienti per riconoscere alle associazioni venatorie il riconoscimento 
normativo della loro situazione soggettiva in connessione alle attività 
amministrative delle Regioni e degli enti locali in materia di caccia: non vi è 
il conferimento di ruoli specifici, quali ad esempio interventi procedimentali, 
in base ai quali ritenere sussistente una legittimazione delle associazioni 
venatorie a sindacare la legittimità del procedimento adottato dalla regione per 
l’approvazione del piano faunistico venatorio (cfr. in senso conforme Tar 
Liguria II, 22.11.2002 n. 1124).
Considerato però che l’approvazione di un piano faunistico venatorio costituisce 
presupposto indefettibile per l’esercizio della caccia (art. 10 della legge 
157/92) , sussiste un chiaro interesse anche delle associazioni 
faunistico-venatorie ad una corretta determinazione delle modalità, anche 
quantitative, degli aspetti territoriali delle attività venatorie.
Ne consegue che dette associazioni, sebbene non legittimate a far valere motivi 
di censura che riguardino il procedimento di formazione del piano o della sua 
approvazione, possono far valere eventuali illegittimità di aspetti 
contenutistici del piano che incidano direttamente sull’attività faunistica o 
venatoria e che, quindi, richiamino direttamente, l’interesse diffuso di cui i 
predetti enti siano soggetti esponenziali.
Così nel caso di specie l’Ente ricorrente non è legittimato a far valere 
eventuali illegittimità procedimentali connesse alla mancata sottoposizione del 
piano al controllo di legittimità ovvero alla irregolare formazione ed 
assunzione del parere del Comitato tecnico faunistico e venatorio regionale; non 
ha poi interesse a far valere la mancata partecipazione delle Province al 
procedimento, per avere il piano regionale recato modifiche ai piani 
provinciali, essendo l’interesse de quo riferibile soltanto alle Province i cui 
piani abbiano subito modifiche in occasione dell’approvazione del piano 
regionale.
Sono invece ammissibili, sotto il profilo della legittimazione e dell’interesse 
all’impugnazione, gli ultimi motivi di ricorso perché afferenti direttamente ad 
aspetti contenutistici del piano potenzialmente incidenti sugli interessi di cui 
l’ente ricorrente è soggetto esponenziale.
Detti motivi sono però infondati e vanno rigettati.
L’Ente ricorrente lamenta in primo luogo che la Regione abbia omesso di 
riconoscere in alcuni piani provinciali le adiacenze stradali come zone da 
includere nella percentuale del territorio da destinare a protezione della fauna 
selvatica..
Osserva in proposito il Collegio che la valutazione amministrativa, per la quale 
è stato escluso che nelle aree adiacenti alle vie di comunicazione sussistano 
rilevanti esigenze di tutela faunistica, costituisce giudizio tecnico 
discrezionale immune da vizi di manifesta illogicità o irrazionalità, in quanto 
evidentemente fondato sull’assunto per cui difficilmente in dette zone la fauna 
possa trovare le condizioni ambientali idonee per la sosta e la riproduzione. 
L'art.10 della L. 157/92 prevede che con lo strumento dei piani faunistico 
venatori l'intero territorio agro - silvo - pastorale sia soggetto a 
pianificazione finalizzata al conseguimento della densità ottimale e dalla sua 
conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la 
regolamentazione del rilievo venatorio.
Tutto ciò sta a significare con evidente chiarezza che lo strumento del piano 
faunistico venatorio non può riguardare tutto il territorio amministrato 
dall'ente chiamato a formare il piano: a prescindere dalla dizione normativa 
"l'intero territorio agro - silvo - pastorale" già di per sé sufficiente per 
comprendere l'intenzione del legislatore, non si capisce per quale ragione il 
piano debba governare anche altre zone, come ad esempio i centri urbani o le 
aree industriali.
Perciò la corretta interpretazione del co.3 dell'art.10 L. 157/92 è quella per 
cui nelle percentuali di territorio da destinare a protezione della fauna 
selvatica vanno computate quelle aree in cui la caccia è vietata per ragioni 
prettamente ambientali e non perché meramente inidonee, come appunto le fasce di 
rispetto stradali o ferroviarie. 
Peraltro non corrisponde al vero che il piano abbia del tutto escluso le aree in 
questione dalle zone protette.
Al contrario esso espressamente prevede (pag. 84) che possono concorrere alla 
quota di territorio agro-silvo-pastorale destinato alla protezione faunistica le 
fasce laterali alle vie di comunicazione ferroviaria ed alle strade 
carrozzabili, escluse le strade poderali ed interpoderali, ove ricorrano le 
condizioni puntualmente stabilite dal piano stesso.
Ne consegue che, coerentemente a quanto dallo stesso ricorrente sostenuto, il 
piano impugnato non ha escluso del tutto la tutelabilità di dette aree ma ha 
piuttosto stabilito le condizioni particolari, di peculiare rilevanza ambientale 
e faunistica, in presenza delle quali esse possano essere incluse nelle zone 
protette, alla stregua di un giudizio tecnico discrezionale non censurabile in 
termini di manifesta illogicità o irragionevolezza. 
Il ricorrente censura poi il fatto che il piano si limiti ad elencare le specie 
cacciabili che le aziende faunistico venatorie, in relazione alla loro 
classificazione, dovrebbero produrre, senza alcun riferimento a quelle non 
cacciabili, in contraddizione con le finalità proprie delle aziende di 
salvaguardia del patrimonio faunistico a prescindere dal fatto che si tratti di 
specie cacciabili o non cacciabili.
In realtà il piano valorizza espressamente la funzione delle aziende di 
conservazione ed incremento del patrimonio faunistico naturale indipendentemente 
dal riferimento a specie cacciabili o non cacciabili, riprendendo in proposito 
la stessa formulazione letterale dell’art. 32 della legge regionale n. 17/95. E’ 
ovvio però che è proprio con riferimento alle specie cacciabili che il ruolo 
delle aziende in parola trova precipuo rilievo, considerato che sopratutto in 
relazione a dette specie si evidenziano specifiche esigenze di conservazione ed 
incremento del patrimonio faunistico a fronte dell’incidenza negativa 
dell’attività venatoria.
Ulteriore punto del piano censurato dal ricorrente è quello in cui si stabilisce 
che il divieto dell’attività venatoria può essere richiesto per i fondi di 
ampiezza non inferiore a cento ettari che presentino determinate caratteristiche 
ambientali.
Sostiene l’ente ricorrente che detta disposizione sarebbe in contrasto con 
quanto previsto dalla legge 157/92 e dalla legge regionale 17/95, le quali non 
stabiliscono un limite minimo di ampiezza dei fondi tutelabili.
La censura non convince. Appartiene infatti al potere di valutazione tecnico 
discrezionale dell’Amministrazione che predispone il piano territoriale 
stabilire la tutelabilità soltanto di aree che, anche in considerazione delle 
dimensioni, risultino tali da evidenziare una valenza precipua sul piano della 
salvaguardia ambientale e faunistica, con conseguente esclusione delle aree 
troppo ridotte sul piano dimensionale dalla percentuale complessiva di quelle 
assoggettabili alla disciplina vincolistica. 
Infondata è poi la censura con la quale si lamenta che la previsione per cui la 
perimetrazione degli A.T.C. è assoggettata a revisione quinquennale impedirebbe, 
di fatto, prima della scadenza del quinquennio, la possibilità di modifica di 
detti perimetri in occasione dell’istituzione di nuove aziende 
faunistico-venatorie.
In verità il piano (pag. 93 co.4) prevede espressamente la possibilità che, 
all’atto dell’istituzione delle aziende, e della loro localizzazione, i terreni 
prima inclusi nei perimetri degli A.T.C. passino a costituire territorio di 
spettanza delle nuove aziende; previsione questa che opera, per l’ipotesi 
peculiare di istituzione delle aziende, in maniera autonoma rispetto alla 
possibilità generale di revisione quinquennale dei perimetri degli A.T.C., 
cosicché il rischio paventato dal ricorrente che l’istituzione delle aziende 
rimanga di fatto paralizzata per un quinquennio è del tutto infondata.
Con ulteriore motivo di gravame l’Ente ricorrente censura la previsione di piano 
per la quale le aziende faunistico venatorie le quali, per effetto di disdette 
di assenso presentate entro il 31 dicembre 1997 dai proprietari o possessori dei 
terreni inclusi nelle aziende stesse, non dispongono più di una base 
territoriale di almeno 400 Ha, sono cessate dalla proroga prevista dal comma 1 
dell’art. 5 della legge regionale n. 26/97.
Assume il ricorrente che con tale disposizione si finirebbe con l’estendere in 
maniera retroattiva, alle aziende preesistenti all’entrata in vigore della legge 
regionale 26/97, la previsione in essa contenuta per cui le aziende di nuova 
istituzione debbono avere dimensioni non inferiori a 400 ettari ; né potrebbe 
legittimamente essere riconosciuto, per un periodo precedente all’entrata in 
vigore della legge n. 26 del 1997, il potere di disdetta dei proprietari in 
quanto non previsto dalla legislazione allora vigente.
Invero la norma, con scelta di politica legislativa non censurata in termini di 
illegittimità costituzionale, ha inteso restituire rilievo al consenso dei 
proprietari e/o possessori dei terreni già inclusi o da includere nei 
comprensori delle aziende faunistico-venatorie, consentendo a questi anche di 
revocare il consenso già prestato in una prospettiva evidente di salvaguardia 
delle esigenze di tutela della proprietà privata e delle libertà individuali.
E’ ovvio poi che, allorquando per effetto delle revoche di consenso, i terreni a 
disposizione delle aziende risultino complessivamente sottodimensionati rispetto 
alla misura minima ritenuta necessaria ai fini dell’adeguato perseguimento delle 
finalità, di conservazione ed incremento del patrimonio faunistico, proprie 
delle citate aziende, vengano meno gli effetti delle concessioni in atto, anche 
in virtù di proroga legislativa, secondo una previsione normativa che appare 
coerente col disegno generale delle caratteristiche strutturali e funzionali 
voluto dal legislatore con riguardo alle aziende faunistico-venatorie.
Peraltro, l’esigenza che il territorio delle aziende avesse un dimensionamento 
minimo, per ragioni di effettività della funzione perseguita, non è 
salvaguardata per la prima volta dalla legge regionale n. 26/97, essendo 
presente analoga previsione nell’art. 1 della legge regionale n. 40/82, con 
conseguente insussistenza della paventata violazione del principio di 
irretroattività. 
Quanto infine alla lamentata mancata introduzione di analoga previsione in seno 
al piano anche con riferimento agli A.T.C., basta rilevare che per essi troverà 
comunque applicazione la normativa d cui agli artt. 27 comma 1 lett. c) e 28 
della legge regionale n. 17/95 e 5 comma 1 della legge regionale 26/97.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile con riferimento ai primi 
tre motivi di gravame; va, per il resto, rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di 
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione interna prima ter, in 
parte dichiara inammissibili, in parte respinge il ricorso in epigrafe secondo 
quanto indicato in parte motiva.
Compensa spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2004.
Luigi Tosti Presidente
Giampiero Lo Presti Giudice est.
 
 
1) Caccia e 
pesca – Caccia – Piano faunistico venatorio – Associazioni faunistiche – Ricorso 
giurisdizionale - Legittimazione attiva – Limiti. Le associazioni venatorie 
non sono legittimate a far valere in giudizio motivi di censura che riguardino 
il procedimento di formazione del piano faunistico venatorio, in quanto la L. 
157/92 non riconosce loro alcun ruolo specifico nella fase procedimentale di 
approvazione del piano; possono invece far valere eventuali illegittimità di 
aspetti contenutistici del piano che incidano direttamente sull’attività 
faunistica o venatoria e che, quindi, richiamino direttamente l’interesse 
diffuso di cui i predetti enti siano soggetti esponenziali. Pres. Tosti, Est. Lo 
Presti – E.P.S. (Avv. Giuffrè) c. Regione Lazio (Avv. Bottino) - T.A.R. LAZIO, 
Sez. I ter – 21 gennaio 2005, n. 500
2) Caccia e pesca – Caccia – Art. 10, c. 3 L. 157/92 – Percentuali di 
territorio da destinare a protezione della fauna – Aree meramente inidonee alla 
caccia per ragioni diverse da quelle ambientali – Non vanno computate. Ai 
sensi dell’art. 10, c. 3 della L. 157/92, nelle percentuali di territorio da 
destinare a protezione della fauna selvatica vanno computate quelle aree in cui 
la caccia è vietata per ragioni prettamente ambientali e non quelle aree 
meramente inidonee, come ad esempio le fasce di rispetto stradali o ferroviarie. 
Pres. Tosti, Est. Lo Presti – E.P.S. (Avv. Giuffrè) c. Regione Lazio (Avv. 
Bottino) - T.A.R. LAZIO, Sez. I ter – 21 gennaio 2005, n. 500
3) Caccia e pesca – Caccia – Piano faunistico venatorio – Aree da 
tutelare – Individuazione di caratteristiche dimensionali minime al fine 
dell’assoggettamento alla disciplina vincolistica – Legittimità – Potere di 
valutazione tecnico discrezionale dell’amministrazione. Appartiene al potere 
di valutazione tecnico discrezionale dell’Amministrazione che predispone il 
piano faunistico venatorio stabilire la tutelabilità soltanto di aree che, anche 
in considerazione delle dimensioni, risultino tali da evidenziare una valenza 
precipua sul piano della salvaguardia ambientale e faunistica, con conseguente 
esclusione delle aree troppo ridotte sul piano dimensionale dalla percentuale 
complessiva di quelle assoggettabili alla disciplina vincolistica. Pres. Tosti, 
Est. Lo Presti – E.P.S. (Avv. Giuffrè) c. Regione Lazio (Avv. Bottino) - 
T.A.R. LAZIO, Sez. I ter – 21 gennaio 2005, n. 500
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