Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, con l’intervento dei signori:
Luigi Trivellato Presidente
Elvio Antonelli Consigliere
Fulvio Rocco Consigliere, Estensore
ha pronunciato la seguente 
SENTENZA
sul ricorso R.G. 529/2003, proposto dalla L.A.C. - Lega per l’abolizione 
della caccia – O.N.L.U.S. e dalla L.I.P.U. – Lega Italiana per la protezione 
uccelli, in persona dei loro legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e 
difesi dall’Avv. Maria Caburazzi, con domicilio presso il suo studio in 
Venezia-Mestre, Via Palazzo n. 27,
contro
la Provincia di Treviso, in persona del suo Presidente pro tempore, costituitosi 
in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Botteon, dall’Avv. Antonio 
Sartori e dall’Avv. Sebastiano Tonon, con elezione di domicilio presso lo studio 
di quest’ultimo in Venezia, Calle degli Avvocati, San Marco n. 3901,
per l’annullamento
della deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00080 dd. 11 
dicembre 2002, recante l’approvazione del “Regolamento di servizio delle guardie 
giurate volontarie faunistico-venatorie della provincia di Treviso”
Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 18 febbraio 2003 e 
depositato il 13 marzo 2003;
visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Treviso;
visti i motivi aggiunti di ricorso proposti dalle medesime Lega per l’abolizione 
della caccia – O.N.L.U.S. e L.I.P.U. – Lega Italiana per la protezione uccelli 
avverso la deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00051 dd. 29 
settembre 2003, recante “Regolamento di servizio delle guardie giurate 
volontarie faunistico-venatorie della provincia di Treviso. Modifica”
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 18 marzo 2004, (relatore il consigliere Fulvio 
Rocco) l’Avv. Maria Caburazzi per le ricorrenti Associazioni e l’Avv. Sebastiano 
Tonon per la Provincia di Treviso;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1.1. Le ricorrenti associazioni, Lega per l’abolizione della caccia – O.N.L.U.S. 
e L.I.P.U. – Lega Italiana Protezione Uccelli, premettono che per effetto 
dell’art. 163, comma 3, lettere a) e b), del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 112, sono 
state segnatamente trasferiti alle Province le funzioni e i compiti aventi per 
oggetto il riconoscimento della nomina a guardia giurata degli agenti venatori 
dipendenti dagli enti delegati dalle regioni e delle guardie volontarie delle 
associazioni venatorie e protezionistiche nazionali riconosciute, di cui 
all'art. 27 della L. 11 febbraio 1992, n. 157, nonché il riconoscimento della 
nomina di agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla pesca nelle acque 
interne e marittime, di cui all'art. 31 del R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604 e 
all'art. 22 della L. 14 luglio 1965 n. 963.
E’ opportuno premettere che il predetto art. 27 della L. 157 del 1992 dispone, 
per quanto qui segnatamente interessa, che la vigilanza sull’applicazione della 
legge-quadro sulla caccia e delle conseguenti leggi regionali, oltrechè essere 
affidata agli ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale dello 
Stato, alle guardie addette a parchi nazionali e regionali, agli ufficiali ed 
agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali, forestali e 
campestri, alle guardie private riconosciute ai sensi del testo unico delle 
leggi di pubblica sicurezza e alle guardie ecologiche e zoofile riconosciute da 
leggi regionali, è pure devoluta: 
a) “agli agenti dipendenti degli Enti locali delegati dalle Regioni”, ai quali 
“è riconosciuta, ai sensi della legislazione vigente, la qualifica di agenti di 
polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. Detti agenti possono portare 
durante il servizio e per i compiti di istituto le armi da caccia di cui 
all'articolo 13” della medesima L. 157 del 1992 (fucile con canna ad anima 
liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore 
contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12; fucile con 
canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione 
semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di 
altezza non inferiore a millimetri 40; fucile a due o tre canne combinato, di 
cui due canne ad anima liscia di calibro non superiore al 12 ed una o due ad 
anima rigata di calibro non inferiore a millimetri 5,6), nonché armi con 
proiettili a narcotico. Le armi di cui sopra sono portate e detenute in 
conformità al regolamento di cui all'articolo 5, comma 5, della L. 7 marzo 1986, 
n. 65”;
b) “alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di 
protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico 
faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione 
ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta 
la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica 
sicurezza, approvato con R.D 18 giugno 1931, n. 773”.
Il medesimo art. 27 della L. 157 del 1992 dispone, inoltre, al comma 3 e ss., 
che gli anzidetti “agenti svolgono le proprie funzioni, di norma, nell'ambito 
della circoscrizione territoriale di competenza. La qualifica di guardia 
volontaria può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica 
sicurezza, a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle 
regioni previo superamento di apposito esame. Le Regioni disciplinano la 
composizione delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la 
presenza tra loro paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie, 
agricole ed ambientaliste. Agli agenti di cui ai commi 1 e 2 (ossia, anche alle 
predette “guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di 
protezione ambientale nazionali”) con compiti di vigilanza è vietato l'esercizio 
venatorio nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni. Alle guardie 
venatorie volontarie è vietato l'esercizio venatorio durante l'esercizio delle 
loro funzioni. I corsi di preparazione e di aggiornamento delle guardie per lo 
svolgimento delle funzioni di vigilanza sull'esercizio venatorio, sulla tutela 
dell'ambiente e della fauna e sulla salvaguardia delle produzioni agricole, 
possono essere organizzati anche dalle associazioni di cui al comma 1, lettera 
b) (ossia, sempre “le associazioni venatorie, agricole e di protezione 
ambientale nazionali”) , sotto il controllo della Regione. Le Province 
coordinano l'attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, 
venatorie ed ambientaliste. Il Ministro dell'agricoltura e delle foreste (ora 
Ministro o delle politiche agricole e forestali, a’ sensi dell’art. 1, n. 8 
D.L.vo 30 luglio 1999 n. 300 e succ. modd. e intt.), d'intesa con il Ministro 
dell'ambiente (ora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, a’ 
sensi dell’art. 1, n. 9, del D.L.vo 300 del 1999 e succ. modd. e intt.), 
garantisce il coordinamento in ordine alle attività delle associazioni” 
anzidette, “rivolte alla preparazione, aggiornamento ed utilizzazione delle 
guardie volontarie”.
Con deliberazione n. 00080 dell’11 dicembre 2002, il Consiglio Provinciale di 
Treviso ha conseguentemente adottato un Regolamento di servizio delle Guardie 
giurate volontarie faunistico venatorie della provincia di Treviso, segnatamente 
relativo alle anzidette guardie venatorie volontarie delle associazioni 
agricole, venatorie ed ambientaliste.
Le ricorrenti Associazioni precisano che “da molti anni ormai hanno promosso e 
coordinato su tutto il territorio nazionale, provincia di Treviso compresa, un 
servizio di guardie particolari venatorie volontarie ai sensi dell’art. 133 e 
ss. del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931 
n. 773”, dotandosi pure “di proprie regole organizzative interne, le quali 
esprimono le direttive in ossequio alle quali le guardie venatorie volontarie 
debbono agire” e indicando, quindi, “con regolamenti nazionali del 30 giugno 
1996 e succ. modifiche (23 febbraio 1997 e 6 ottobre 2002) per la L.A.C. e del 
10 gennaio 1998 per la L.I.P.U. approvati dagli organi direttivi delle medesime 
Associazioni, in coerenza con la L. 157 del 1992 … e con il T.U. delle leggi di 
pubblica sicurezza … quali soggetti possano chiedere la nomina a guardia giurata 
di L.A.C. e L.I.P.U., a strutturare l’organizzazione del servizio sotto il 
profilo funzionale, a disciplinare le modalità delle prestazioni delle proprie 
guardie giurate, nonché a stabilire le modalità per il costante aggiornamento 
legislativo e professionale delle guardie venatorie” (cfr. pag. 3 e ss. 
dell’atto introduttivo del presente giudizio).
Le ricorrenti Associazioni reputano - in via generale - che il Regolamento 
anzidetto fuoriesca dal contesto delle competenze che l’anzidetto art. 27, comma 
8, della L. 157 del 1992 segnatamente attribuisce alla Province in materia di 
“ccordinamento” dell' “attività delle guardie volontarie delle associazioni 
agricole, venatorie ed ambientaliste”, interferendo – per contro – con 
l’autonomia delle associazioni medesime, ed evidenziano che il Regolamento 
medesimo non contempla alcun riconoscimento economico a favore delle 
associazioni anzidette, ma solo onerosi servizi e strutture con spese a carico; 
né verrebbero contemplati servizi utili o, comunque, indispensabili come 
asseritamente prefigurati dall’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992, come – 
ad esempio – l’istituzione di un numero verde di reperibilità degli agenti, il 
servizio di ricerca dei numeri di targa degli autoveicoli a mezzo di Internet e 
la tempestiva trasmissione alle associazioni di appartenenza delle Guardie 
volontarie di ogni determinazione relativa al calendario venatorio, alle 
autorizzazioni all’allevamento di fauna selvatica protetta, all’istituzione o 
alla revoca di aziende venatorie private, ai censimenti della fauna selvatica, 
agli interventi di controllo della fauna, alla cattura delle lepri nelle zone di 
ripopolamento e cattura, nonché alla cattura di richiami vivi nei roccoli e 
nelle prodine. 
1.2. Ciò posto, con il ricorso in epigrafe la L.A.C. e la L.I.P.U. chiedono 
l’annullamento del Regolamento predetto, deducendo, sotto più profili, la 
violazione dell’art. 14, commi 9, 11 e 14, dell’art. 27, commi 7 e 9, nonché 
dell’art. 28 della L. 157 del 1992, nonché la violazione dell’art. 3 della L. 7 
agosto 1990 n. 241, dell’art. 2 del R.D.L. 26 settembre 1935 n. 1952 convertito 
in L. 19 marzo 1936 n. 508, dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998, 
degli artt. 13, 230 e 254 del R.D. 6 maggio 1940 n. 635, degli artt. 13, 17, 138 
comma 1, nn. 1 e 4, 138 nel suo intero testo e 140 del T.U. approvato con R.D. 
18 giugno 1931 n. 773, degli artt. 21, comma 8, 24, comma 2 e 34, comma 2, della 
L.R. 9 dicembre 1993 n. 50, del R.D. 22 novembre 1929 n. 1486, del R.D. 29 
ottobre 1922 n. 1647, del R.D. 8 ottobre 1931 n. 1604, della L.R. 28 aprile 1998 
n. 19, del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, della 
L.R. 21 gennaio 2000 n. 3, del D.L.vo 11 maggio 1999 n. 152, del D.L.vo 18 
agosto 2000 n. 258, del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, della L.R. 19 agosto 2996 
n. 23 e della L.R. 21 marzo 1992 n. 14: il tutto, segnatamente riferito agli 
artt. 2, comma 2, 3, commi 2, 3, 5, 6, e 8, 4, 13 e 14, 4, commi 2, 3 e 4, 5, 
commi 2 e 6, 6, commi 4, 8, 9, 11 e 14, nonchè 7 del Regolamento adottato dal 
Consiglio Provinciale.
2. Si è costituita in giudizio la Provincia di Treviso, eccependo in via 
preliminare, e sotto più profili, l’inammissibilità del ricorso e concludendo, 
comunque, per la reiezione nel merito del medesimo.
3. Con ordinanza n. 529 dd. 2 aprile 2003 la Sezione ha ritenuto insussistenti i 
presupposti richiesti dall’art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come 
modificato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205 agli effetti della 
sospensione del provvedimento impugnato, posto che “il danno, alla stato non 
presenta(va) i prescritti caratteri di gravità e irreparabilità, anche in 
considerazione della circostanza che l’udienza per la trattazione del merito 
della causa” era stato contestualmente fissato per il 23 ottobre 2003, ma ha 
comunque considerato, in quella sede di sommaria delibazione della fattispecie, 
che il ricorso appariva “sorretto da apprezzabili elementi di fumus, in specie 
per quanto riguarda i motivi sub 4 e 8”, segnatamente riferiti agli artt. 3, 
comma 5, e 4, commi 2, 3 e 4 del Regolamento, ossia all’abilitazione, 
all’aggiornamento e alle attribuzioni delle guardie giurate.
4. Con deliberazione n. 00051 dd. 29 settembre 2003 il Consiglio Provinciale di 
Treviso ha ritenuto “di dover adeguare” il Regolamento già approvato con la 
precedente deliberazione n. 00080 dd. 11 dicembre 2002 “alle indicazioni e alle 
esigenze di modifica evidenziate negli ultimi mesi” e ha fatto seguire a tale 
enunciazione dapprima la ricognizione del testo degli artt. 1, 2, 3, 4, 7 e 8 
del Regolamento - segnatamente interessati dalle modifiche - così come vigente a 
quel momento e con l’evidenziazione in carattere neretto delle parti per le 
quali si proponevano gli emendamenti, quindi l’enunciazione degli emendamenti 
stessi e, da ultimo, la riscrittura del nuovo testo coordinato dei predetti 
articoli con le modifiche, a loro volta riportate in neretto rispetto al 
restante testo.
Tale riscrittura è preceduta dalla seguente frase: “il Consiglio …con n. 28 voti 
favorevoli unanimi resi in forma palese con sistema elettronico ed accertati con 
l’assistenza degli scrutatori presenti, delibera di approvare, per i motivi 
esposti in premessa, le modificazioni al Regolamento di servizio delle guardie 
giurate volontarie faunistico-venatorie della Provincia di Treviso così come 
esposto in narrativa, e che si riportano in seguito: …”.
5. In relazione a tale ulteriore provvedimento dell’Amministrazione Provinciale, 
le ricorrenti Associazioni hanno - pertanto - proposto motivi aggiunti, con 
conseguente rinvio della trattazione della causa ad altra pubblica udienza.
Al riguardo, le parti ricorrenti hanno dedotto sotto più profili, la violazione 
dell’art. 14, commi 9, 11 e 14, dell’art. 27, commi 7 e 9, nonché dell’art. 28, 
comma 5 e dell’art. 28, intero testo, della L. 157 del 1992, nonché la 
violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990, dell’art. 2 del R.D.L.1952 del 
1935 convertito in L. 508 del 1936, dell’art. 13 della L. 24 novembre 1981 n. 
689, dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998, degli artt. 13, 230 e 254 
del R.D. 635 del 1940, degli artt. 13, 17, 138 comma 1, nn. 1 e 4, 138 nel suo 
intero testo e 140 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931, dell’art. 34, comma 
2, della L.R. 50 del 1993, il tutto, segnatamente riferito agli artt. 2, comma 
2, 3, commi 2, 3, 6 e 13, 4, comma 2 intero testo e lettera b), 5, comma 2, 6, 
comma 11, 7, comma 2 e intero testo, nonché 8, comma 1,del nuovo testo adottato 
dal Consiglio Provinciale.
6. Con ulteriore memoria la Provincia di Treviso ha evidenziato che, mediante 
l’anzidetta deliberazione consiliare n. 00051 dd. 29 settembre 2003, 
l’Amministrazione Provinciale avrebbe inteso conformarsi al contenuto della 
surriportata statuizione cautelare adottata dalla Sezione, introducendo nel 
precedente articolato la soppressione dell’effetto automatico negativo della 
pendenza di procedimenti penali, l’innovazione costituita dalla previsione di 
una mera facoltà di sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in 
caso di procedimento penale pendente, nonché la riduzione delle materie di 
competenza delle guardie.
La medesima difesa della Provincia ha, comunque, proposto eccezioni di 
inammissibilità anche nei confronti dei motivi aggiunti e ha concluso, in 
subordine, per la reiezione degli stessi.
7. Alla pubblica udienza del 18 marzo 2004 la causa è stata trattenuta per la 
decisione.
8.1. Il Collegio rileva, in primo luogo, la necessità di verificare il rapporto 
che sussiste tra i le due deliberazioni consiliari rese oggetto di impugnazione: 
e ciò anche al fine della disamina delle eccezioni preliminari di 
inammissibilità complessivamente sollevate dalla difesa dell’Amministrazione 
Provinciale.
8.2 La difesa della Provincia, infatti, rileva che la deliberazione consiliare 
n. 00051 del 29 settembre 2003 non sostanzia un’integrale riapprovazione del 
testo normativo già adottato per effetto della precedente deliberazione 
consiliare n. 00080 dell’11 dicembre 2002, costituendo – semmai – essa un 
provvedimento recante mere modificazioni al regolamento già vigente: il che, 
dunque, precluderebbe alle ricorrenti Associazioni la possibilità – mediante 
motivi aggiunti - di proporre avverso l’articolato annesso alla medesima 
deliberazione 00051 del 2003 anche nuove censure riferite a parti del testo 
stesso in vigore sin dal momento dell’adozione della deliberazione n. 00080 del 
2002 e a quel tempo non dedotte.
Il Collegio - per parte propria - rileva che le modifiche introdotte nel 
Regolamento per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 non 
sono marginali, posto che sostituiscono per una considerevole parte gli artt. 3, 
4, 7 e 8 nella loro precedente formulazione, nonché – in forma più contenuta – 
l’art. 1, riguardante la composizione del Comitato per il Coordinamento 
Provinciale delle Guardie Volontarie, e l’art. 2 nella parte che concerne il 
procedimento di nomina del Responsabile Provinciale del Coordinamento della 
Vigilanza Volontaria.
Se ne deduce, quindi, che - a differenza di quanto qui sostiene la difesa della 
Provincia - le innovazioni apportate alla precedente disciplina non hanno 
riguardato soltanto la soppressione dell’effetto automatico negativo della 
pendenza di procedimenti penali correlata all’introduzione di una mera facoltà 
di sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in caso di 
procedimento penale pendente, nonché la riduzione delle materie di competenza 
delle guardie, ma hanno coinvolto la maggior parte degli istituti contemplati 
dal precedente articolato, ivi compresa la disciplina transitoria contenuta nel 
suo art.8.
8.3. La sopradescritta eccezione di inammissibilità di quei motivi aggiunti che 
le ricorrenti Associazioni hanno riferito anche a parti del testo normativo non 
modificati per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 non 
assume, peraltro, alcun concreto rilievo nell’economia di causa, in quanto 
l’oggetto delle relative censure risulta del tutto identico ai motivi già 
formulati nell’atto introduttivo del presente giudizio e segnatamente proposti 
avverso le medesime disposizioni.
Pertanto, le censure che saranno qui appresso esaminate riguardano, nell’ordine, 
tutti gli articoli del Regolamento nel testo complessivamente oggi vigente e che 
le ricorrenti Associazioni hanno inteso contestare, a seconda che gli articoli 
medesimi siano stati modificati o meno per effetto della deliberazione 
consiliare n. 00051 del 2003, mediante i motivi aggiunti o mediante il ricorso 
originariamente proposto.
8.4. Il Collegio, altresì, respinge l’ulteriore eccezione di inammissibilità 
sollevata dalla difesa della Provincia laddove afferma - con riferimento 
all’orientamento giurisprudenziale espresso anche, ad es. , da Cons. Stato, Sez. 
V, 10 gennaio 2003 n. 35 - che le ricorrenti Associazioni non potrebbero 
chiedere, nella presente sede di giudizio, l’annullamento del Regolamento 
impugnato, ma soltanto la sua disapplicazione ove se ne ravvisasse la difformità 
rispetto alla sovrastante disciplina legislativa statale o regionale. 
Tale assunto è privo di fondamento, in quanto la stessa decisione n. 35 del 
2003, resa dalla Sezione V del Consiglio di Stato e citata dalla difesa della 
Provincia, afferma che “il giudice amministrativo può disapplicare atti non 
ritualmente impugnati nelle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva, 
relativamente alle controversie relative ai diritti soggettivi, nonché nei 
riguardi di regolamenti illegittimi, quando il provvedimento impugnato sia 
contrastante col regolamento, ovvero sia conforme al presupposto normativo, e, 
in ogni caso, anche quando si verte in materia di interessi legittimi; pertanto, 
al di fuori di tali ipotesi, va esclusa la disapplicazione di atti non 
impugnati, e in particolare di quelli che, ancorché connotati da una valenza 
generale, risultano privi di natura normativa” (cfr., nello stesso senso, pure 
Cons. Stato, Sez. V, 26 febbraio 1992 n. 154, 24 luglio 1993 n. 799 e 19 
settembre 1995 n. 1).
Da ciò, dunque, agevolmente si deduce che la disapplicazione della fonte 
regolamentare può avvenire nelle sole ipotesi in cui la fonte stessa non sia 
stata impugnata in via principale.
Nel caso di specie, poiché le ricorrenti Associazioni hanno impugnato entro i 
termini decadenziali di cui all’art 1 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, così 
come modificato dall’art. 1 della L. 21 luglio 2000 n. 205, le due deliberazioni 
consiliari che hanno rispettivamente approvato e modificato il Regolamento, la 
questione della disapplicazione del Regolamento medesimo risulta inconferente 
nell’economia di causa.
8.5. Va, viceversa, accolta l’eccezione preliminare della difesa della Provincia 
che afferma l’inammissibilità della domanda delle ricorrenti Associazioni 
diretta ad ottenere l’annullamento dell’intero articolato che compone il 
Regolamento, e ciò anche se risultano segnatamente censurate singole 
disposizioni dello stesso.
Tale assunto dell’Amministrazione Provinciale va condiviso, in quanto del tutto 
coerente con il principio della domanda (cfr. art. 112 cod. proc. civ.) che 
disciplina anche il presente processo.
9.1 Ciò posto, con la prima censura contenuta nell’atto introduttivo del 
presente giudizio e riproposta anche quale prima censura dei motivi aggiunti, si 
chiede l’annullamento dell’art. 2, comma 2, del Regolamento, laddove dispone che 
“il Responsabile del Coordinamento attua le disposizioni del Dirigente e, 
tramite le associazioni di appartenenza, organizza e coordina l’attività delle 
guardie volontarie, predispone i programmi periodici e territoriali, forma 
pattuglie, riceve ed approva gli ordini di servizio inviati dalle Associazioni 
…”.
Le ricorrenti reputano che la surriportata disciplina sia difforme sia dall’art. 
27, comma 7, della L. 157 del 1992, in forza del quale “le Province coordinano 
l’attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed 
ambientaliste”, sia dall’art. 2 del R.D.L. 1952 del 1935 convertito in L. 508 
del 1936, laddove obbliga il soggetto che impiega le guardie venatorie 
volontarie a sottoporre all’approvazione del Questore le modalità di svolgimento 
del servizio.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che le attività di predisposizione dei 
programmi periodici e territoriali, di formazione delle pattuglie, di ricezione 
e di approvazione degli ordini di servizio inviati dalle Associazioni 
costituiscono naturali estrinsecazioni delle potestà di coordinamento devolute 
alle Amministrazioni Provinciali a’ sensi del testè citato art. 27, comma 7, 
della L. 157 del 1992: potestà alle quali anche le guardie giurate delle 
Associazioni qui ricorrenti devono, pertanto, sottostare senza che ciò 
costituisca interferenza con l’autonomia delle Associazioni stesse.
Né può prospettarsi, dopo l’entrata in vigore dell’art. 163, comma 3, lettere a) 
e b), del D.L.vo 112 del 1998 una permanenza, per quanto segnatamente attiene 
alle guardie giurate delle Associazioni medesime, dei poteri questorili di cui 
all’art. 2 del R.D.L. 1952 del 1935 convertito in L. 508 del 1936.
9.2. Con la seconda censura contenuta nell’atto introduttivo del presente 
giudizio e riproposta anche quale seconda censura dei motivi aggiunti, si chiede 
l’annullamento dell’art. 3, comma 2, del Regolamento, laddove si dispone che 
“Entro le date stabilite annualmente dall’Amministrazione Provinciale, le 
Associazioni dovranno trasmettere le richieste di rinnovo del decreto delle 
proprie guardie e/o le nuove domande”.
Secondo le ricorrenti, posto che la validità dei decreti abilitanti le guardie è 
di un anno, e che ai sensi dell’art. 13 del R.D. 773 del 1931 e dell’art. 13 del 
R.D. 635 del 1940 le domande non possono essere presentate prima della scadenza 
dei rinnovi, conseguirebbe da ciò un’evidente paralisi nella continuità del 
servizio svolto dalle guardie.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che il paventato timore della 
compromissione della continuità del servizio discende – semmai – proprio dalla 
disposizione, segnatamente contenuta nel testè citato art. 13 del R.D. 635 del 
1940 e non già nel Regolamento provinciale, secondo cui “la domanda di 
rinnovazione deve essere presentata prima della scadenza del provvedimento”.
Inoltre, la surriportata disciplina contenuta nel Regolamento, disponendo – si 
badi – senza alcuna diretta prefissione di termini temporali, che entro le date 
stabilite annualmente al riguardo dall’Amminstrazione Provinciale le 
Associazioni trasmetteranno all’Amministrazione medesima le richieste di rinnovo 
del decreto delle proprie guarie e le eventuali nuove domande, non può per certo 
sostanziare alcuna attuale lesione in capo alle ricorrenti.
9.3. Con il terzo motivo di ricorso, nonché terzo motivo aggiunto di ricorso, le 
ricorrenti chiedono l’annullamento dell’art. 3, comma 3, del Regolamento, 
laddove impone tra i requisiti per la concessione della qualifica di Guardia 
giurata volontaria venatoria, la residenza nella provincia di Treviso.
Secondo le ricorrenti, tale disposizione violerebbe i principi fondamentali 
dell’Unione Europea che vietano ogni discriminazione e limitazione di movimento 
e attività di ogni cittadino europeo all’interno dell’Unione medesima, e 
violerebbe pure l’art. 138, primo comma, n. 1) del T.U. approvato con R.D. 773 
del 1931 che, per la nomina a Guardia Giurata, chiede il possesso della 
cittadinanza italiana senza alcuna precisazione in ordine alla provincia di 
residenza.
Anche tali argomenti delle ricorrenti non risultano accoglibili.
Premesso che a’ sensi dell’art. 17 del Trattato istitutivo della Comunità 
economica europea – ora Unione Europea – risulta, nel testo conseguente 
dall’art. 2 del Trattato di Amsterdam, reso esecutivo nel nostro ordinamento con 
L. 16 giugno 1998 n. 109, che “la cittadinanza dell'Unione costituisce un 
complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima” e che 
“i cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti 
dal presente Trattato”, “il diritto” contestualmente riconosciuto ad ogni 
cittadino europeo “di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio 
degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal 
presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso” 
non risulta, all’evidenza, leso dalla circostanza che l’ordinamento interno di 
uno Stato contempli obblighi di residenza motivati dalla particolare rilevanza 
delle funzioni – in questo caso, evidentemente pubbliche – alle quali il 
cittadino stesso sia chiamato e che possono richiedere pure l’urgente 
reperibilità ai fini dello svolgimento delle funzioni medesime: reperibilità, a 
ben vedere, naturalmente insita anche nello stesso concetto di partecipazione al 
“coordinamento” di cui all’anzidetto art. 2 del Regolamento.
Né va sottaciuto che l’obbligo della residenza scaturisce, nel caso di specie, 
non da un obbligo derivante dallo svolgimento di un’attività lavorativa, ma 
dallo svolgimento di un servizio svolto volontariamente dall’interessato.
Inoltre, la stessa disposizione contenuta nell’art. 138, comma 1, n. 1 del T.U. 
approvato con R.D. 773 del 1931 e modificato dall’art. 33 della L. 1° marzo 2002 
n. 39, secondo la quale per svolgere le funzioni di guardia giurata risulterebbe 
sufficiente, per quanto qui segnatamente interessa, “essere cittadino italiano o 
di uno Stato membro dell'Unione europea”, non può esimere i soggetti che si 
avvalgono di tali guardie dal contemplare anche particolari obblighi di 
residenza – ferma restando la non discriminazione in ordine alla cittadinanza 
italiana o comunitaria comunque posseduta – in relazione alla comprovata 
particolarità delle mansioni da svolgere.
9.4. Il quarto motivo aggiunto di ricorso si sostituisce al quarto motivo di 
ricorso originariamente proposto, in quanto la precedente disciplina 
contemplante l’effetto automatico negativo della pendenza di procedimenti penali 
è stata soppressa e sostituita dall’introduzione di una mera facoltà di 
sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in caso di procedimento 
penale pendente.
In tal senso, infatti, l’art. 7, comma 2, del Regolamento ora dispone che “per 
motivi cautelari, il decreto può essere sospeso per tutto il tempo del giudizio 
in caso di procedimento penale pendente a carico della Guardia Volontaria”.
Inoltre, a’ sensi dell’art. 3, comma 13, del Regolamento “il decreto non è 
comunque rilasciato o rinnovato a coloro che hanno subito condanne penali 
diventate definitive nell’ultimo quinquennio”.
Secondo la tesi delle ricorrenti, il rinnovo e il rilascio del decreto di 
Guardia Giurata risulterebbe disciplinato in via esclusiva dal T.U. approvato 
con R.D. 773 del 1931 e dalla conseguente disciplina regolamentare approvata con 
R.D. 635 del 1940, con la conseguenza che la fonte regolamentare provinciale non 
potrebbe modificare o integrare sul punto le fonti normative statuali.
Le ricorrenti evidenziano, in proposito, che l’art. 138, comma 1, n. 4), del 
T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 reca, quale unica disposizione ostativa al 
rilascio del decreto, il “non avere riportato condanna per delitto”, e da ciò 
concludono nel senso che la semplice pendenza di un procedimento penale non 
potrebbe costituire, di per sé, presupposto per il diniego di rinnovo del 
decreto o sospensione di efficacia dello stesso, e che la condanna per un reato 
non riconducibile a delitto secondo quanto previsto dal Codice Penale parimenti 
non potrebbe essere ostativa per il rinnovo del decreto.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che a’ sensi dell’art. 10 del T.U. 
approvato con R.D. 773 del 1931 è pure possibile sospendere gli effetti delle 
autorizzazioni di polizia, ivi dunque comprese quelle riguardanti le guardie 
giurate.
La giurisprudenza, a sua volta, ha da tempo introdotto, in via pretoria e 
utilizzando l’invero scarno disposto dell’art. 10 testè citato, puntuali 
principi che disciplinano l’uso delle potestà cautelari di sospensione del 
servizio delle guardie giurate assoggettate a procedimento penale (cfr., ex 
multis, al riguardo T.A.R. Lombardia, Sez. I, 2 dicembre 1999 n. 1490, secondo 
il quale “nel caso in cui vi sia stata una denuncia penale e sia in corso un 
procedimento per l' accertamento di fatti astrattamente delittuosi, l' 
Amministrazione non può procedere all' immediata revoca della nomina a guardia, 
ma semmai alla sua sospensione in attesa della definizione del giudizio, che, se 
comporterà una condanna, darà luogo successivamente alla revoca ai sensi dell' 
art. 138 punto 4 T.U. 18 giugno 1931 n. 773”).
In tale contesto, quindi, risulta legittima la disposizione dell’art. 7, comma 
2, del Regolamento provinciale che prevede la sospensione del rilascio o del 
rinnovo del decreto di guardia giurata nelle ipotesi di procedimento penale 
pendente a carico dell’interessato.
Viceversa, contrasta per certo con l’art. 138, comma 1, n. 4 del T.U. approvato 
con R.D. 773 del 1931 - sostanziando, in tal senso, un’illegittima innovazione 
contra legem rispetto alla disciplina statale di principio - la disposizione di 
cui all’art. 3, comma 13, del Regolamento medesimo laddove non limita alle 
condanne per delitto la causa ostativa per il rilascio o il rinnovo del decreto.
9.5. Con la quinta censura dei motivi aggiunti, corrispondente nella sostanza al 
quinto motivo contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio, le 
ricorrenti Associazioni chiedono l’annullamento dell’art. 3, comma 6 (recte: 5), 
del Regolamento provinciale, laddove si dispone che “per il rinnovo della 
qualifica di Agente di Vigilanza Volontaria è necessario partecipare ad un 
apposito corso istituito dalla Provincia”, del susseguente comma 11 dello stesso 
articolo, laddove si dispone che “al termine delle prove” di esame “superate con 
esito positivo”, sarà rilasciato un certificato di abilitazione che permetterà, 
fermo restando i requisiti previsti dall’art. 138” del T.U. approvato con R.D. 
773 del 1931 “di ottenere il rinnovo della qualifica di Agente di Vigilanza 
Venatoria” e dell’art. 6, comma 14, del Regolamento medesimo, in forza del quale 
“le Guardie volontarie sono tenute a partecipare ai corsi ed alle riunioni di 
aggiornamento con frequenza obbligatoria predisposti dall’Ufficio di 
Coordinamento e concordati con le Associazioni”.
Secondo le ricorrenti, le surriportate disposizioni confliggerebbero con l’art. 
27, comma 8, della L. 157 del 1992, laddove testualmente esonera “i cittadini in 
possesso, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, della 
qualifica di guardia venatoria volontaria alla data di entrata in vigore della 
presente legge” dall’obbligo di conseguire l’attestato di idoneità “di cui al 
comma 4” dello stesso articolo (cfr. ivi: “La qualifica di guardia volontaria 
può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, 
a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle regioni 
previo superamento di apposito esame. Le Regioni disciplinano la composizione 
delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la presenza tra loro 
paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie, agricole ed 
ambientaliste”), nonché con il comma 6 del medesimo art. 27 e con l’art. 34, 
comma 2, della LR. 50 del 1993, che devolverebbero – sempre secondo la 
prospettazione delle ricorrenti il compito di effettuare i relativi corsi alle 
sole associazioni agricole, venatorie e di protezione ambientale, e non già alle 
Amministrazioni Provinciali.
Il Collegio, per parte propria, rileva – innanzitutto -la piena legittimità del 
surriportato art. 6, comma 14, del Regolamento, posto che rientra nelle 
intrinseche potestà del Coordinamento disporre riunioni e corsi di aggiornamento 
delle Guardie volontarie, soprattutto se – come espressamente afferma la 
disposizione in esame – tali iniziative sono “concordate” con le Associazioni, 
le quali – del resto – compete a’ sensi degli anzidetti art. 27, commi 6 e 9, 
della L. 157 del 1992 e art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993 possono 
procedere alla materiale organizzazione di tali iniziative di formazione degli 
operatori.
Ad una diversa conclusione si perviene, viceversa, per la disciplina contenuta 
nell’art. 3, comma 5 e comma 11, del Regolamento.
La difesa della Provincia si è, invero, sforzata di dimostrarne la funzione 
asseritamente integrativa rispetto alla disciplina contenuta nell’art. 27, commi 
6 e 8, della L. 157 del 1992 e nell’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, ma 
tale assunto risulta agevolmente smentito dalla stessa collocazione sistematica 
delle disposizioni qui impugnate. Ferma restando, infatti, l’esigenza 
dell’aggiornamento professionale per tutti gli interessati - peraltro, già 
adeguatamente normata dal predetto art. 6, comma 14, dello stesso Regolamento - 
esse, infatti, incidono sulla stessa permanenza dei requisiti per il rilascio 
del decreto di nomina o di rinnovo nella qualifica di Guardia Volontaria: e ciò, 
non solo con riguardo alla posizione giuridica “acquisita” di coloro che, a’ 
sensi dell’ anzidetto art. 27, comma 8, della L. 157 del 1992, erano già 
titolari, all’entrata in vigore di tale disciplina della qualifica di guardia 
venatoria volontaria, ma anche con riguardo alla posizione di coloro che, 
testualmente, ove non superino gli esami abbinati ai corsi organizzati 
dall’Amministrazione Provinciale, non possono ottenere il rilascio o il rinnovo 
del decreto.
Sotto questo profilo, pertanto, è indubitabile che le disposizioni contenute nei 
testè citati commi 5 e 11 dell’art. 3 del Regolamento confliggono con l’assetto 
complessivamente emergente dall’art. 27, commi 6 e 8, della L. 157 del 1992 e 
dal’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, nel quale – per contro – una 
competenza è devoluta al riguardo anche (ma non in via esclusiva) alle 
Associazioni anzidette; e risulta altrettanto assodato che con le disposizioni 
regolamentari testè enunciate l’Amministrazione Provinciale si propone 
l’illegittimo fine di svuotare di ogni specifico contenuto, anche - e 
soprattutto - in termini di riconoscimento della loro specifica valenza 
propedeutica all’abilitazione di cui all’art. 27, comma 4, della stessa L. 157 
del 1992, le iniziative formative previste dalla disciplina legislativa statale 
e regionale.
Pertanto, i commi 5 e 11 dell’art. 3 del Regolamento risultano illegittimi nella 
parte in cui non consentono anche alle associazioni di cui all’art. 27 commi 6 e 
8 della L. 157 del 1992 e all’art. 34 comma 2 della L.R. 50 del 1993 la 
possibilità di organizzare i corsi – assentiti dall’Amministrazione Regionale 
comprensivi di esami – per il rilascio del decreto di nomina o di rinnovo nella 
qualifica di Guardia volontaria.
9.6. Il sesto motivo aggiunto di ricorso, corrispondente per ampia parte al 
settimo motivo del ricorso originariamente proposto, ha per oggetto 
l’annullamento degli artt. 4, comma 2, 6, comma 11 e 5, comma 2, del 
Regolamento.
Nell’ordine, l’art. 4, comma 2, dispone che le Guardie Volontarie “possono 
operare esclusivamente nelle zone e nel periodo in cui sono di servizio …”; 
l’art. 6, comma 11, dispone che “le Guardie Volontarie prestano servizio 
esclusivamente nel territorio della Provincia di Treviso, all’interno della zona 
loro assegnata, secondo l’ordine predisposto dalle associazioni di appartenenza 
e depositato preventivamente in Provincia. Nessun servizio può essere svolto in 
autonomia. Nel caso di intervento urgente – che deve essere in ogni caso 
motivato – l’azione non prevista dall’ordine di servizio può essere svolta 
previo avvertimento – anche a mezzo segreteria telefonica – della Vigilanza 
Provinciale”; l’art. 5, comma 2, dispone invece che “Le Guardie Giurate 
Venatorie Volontarie, limitatamente alle loro zone di servizio e all’orario di 
prestazione dello stesso, rivestono la qualifica di pubblici ufficiali”.
Secondo le ricorrenti Associazioni, risulterebbero in tal modo violati l’art. 
27, comma 7, della L 157 del 1992, l’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998 
e l’art. 3 della L. 241 del 1990 e ricorrerebbe il vizio di eccesso di potere 
per difetto di motivazione e per sviamento, in quanto le surriportate 
limitazioni di zone di servizio e di orario impedirebbero una proficua 
utilizzazione del personale volontario, in ordine alla quale risulterebbe 
essenziale la flessibilità dell’impiego delle risorse umane disponibili, anche 
in considerazione della frequente esigenza di un pronto riscontro delle 
frequenti segnalazioni di violazioni della disciplina venatoria da parte dei 
cittadini.
Il Collegio, per parte propria, non reputa violata nella specie la disciplina 
legislativa testè enunciata, in quanto la funzione del coordinamento postula, 
all’evidenza, una pianificazione dell’intervento di vigilanza: pianificazione 
che, oltre a tutto, l’Amministrazione Provinciale – come emerge dallo stesso 
dato letterale delle disposizioni regolamentari in esame – non svolge in via 
apoditticamente autoritativa, ma secondo “l’ordine predisposto dalle 
associazioni di appartenenza e depositato preventivamente in Provincia”.
Rimane, inoltre, salvo l’intervento di urgenza e non previamente pianificato, 
essendo chiesta soltanto una puntuale motivazione dello stesso, ragionevolmente 
riconducibile anche alla segnalazione avuta da parte di terzi e alla conseguente 
esigenza di pronta repressione dell’illecito.
9.7 Ragioni di ordine sistematico consigliano, a questo punto, di esaminare il 
nono motivo del ricorso ab origine proposto avverso lo stesso art. 5, comma 2, 
nonché avverso il susseguente comma 7 del Regolamento, laddove non 
risulterebbero riconosciute alle Guardie Giurate Volontarie funzioni di polizia 
giudiziaria, stante il fatto che al comma 2 testè citato esse sono definite 
quali “pubblici ufficiali” e al comma 7 si impone loro di chiedere l’intervento 
di un Ufficiale di Polizia Giudiziaria allorquando ricorrano le fattispecie di 
cui all’art. 352 cod. proc. pen. e dell’art. 113 delle relative norme di 
attuazione (perquisizione), nonché in ogni altra evenenienza in cui sussista la 
competenza degli Ufficiali o Agenti di Polizia Giudiziaria.
Il Collegio non sottace che la questione circa la riconducibilità, o meno, delle 
Guardie Giurate Venatorie Volonatrie a soggetti investiti di funzioni di Polizia 
Giudiziaria risulta a tutt’oggi controversa.
A tale proposito la difesa delle ricorrenti ha allegato, a conforto della tesi 
che riconosce alle Guardie la qualifica anzidetta, due isolate sentenze della 
Corte di Cassazione, Sez. III, 1 aprile 1988 n. 1151 e 16 dicembre 1997 n. 4408 
(quest’ultima, riguardante la L.I.P.U. ma limitata ad un riconoscimento delle 
funzioni di Agente, e non già di Ufficiale di Polzia Giudiziaria), nonché 
numerosi pareri resi al riguardo da talune Procure della Repubblica.
Il Collegio, per parte propria, reputa – per contro – di aderire all’indirizzo 
ermeneutico più rigoroso formatosi sull’art. 27 della L. 157 del 1992, laddove 
il comma 1, lett. a) esplicitamente riconosce agli Agenti dipendenti degli Enti 
Locali delegati alle Regioni la qualifica di polizia giudiziaria, ed in evidente 
contrapposizione a ciò la lettera b) dello stesso comma non riconosce la 
qualifica medesima alle Guardie Giurate Volontarie, senza che possa 
ragionevolmente argomentarsi nulla in contrario – proprio in ragione della 
notoria delicatezza delle funzioni stesse, presupponenti una stabile inserzione 
del soggetto che le esercita nel contesto organizzatorio pubblico – in termini 
di interpretazione analogica o sistematica.
Tale indirizzo è condiviso anche da Cons. Stato, Sez. I, 29 agosto 1994 n. 
2296/94, nonché da Cass, Sez. V, 8 aprile 1997 n. 4898, Sez. III, 27 marzo 1996 
n. 1519, 3 maggio 1995 n. 1600, 27 febbraio 1995 n. 613.
Ne consegue, quindi, che le testè riferite disposizioni del Regolamento 
risultano immuni dai vizi dedotti dalle ricorrenti.
9.8 Con il settimo motivo aggiunto di ricorso, corrispondente al quattordicesimo 
motivo contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio, le ricorrenti 
contestano il fondamento delle potestà disciplinari contemplate dall’art. 7 del 
Regolamento ed esercitate dall’Amministrazione Provinciale nei confronti delle 
Guardie Volontarie “per le violazioni al presente regolamento o qualora 
l’attività prestata dalle singole Guardie contrasti, o comunque non sia 
uniforme, con le presenti norme o con le iniziative di coordinamento”: sanzioni 
che sono previste nella misura della sospensione dal servizio per un periodo da 
tre a sei mesi, nonché nella misura del rifiuto del rinnovo del decreto, ovvero 
nella revoca (rectius: sospensione) dello stesso, per un periodo minimo di un 
anno.
Le ricorrenti reputano che il sopradescritto regime sanzionatorio confligga con 
quello contemplato dagli artt. 17 e 140 del T.U. approvato con R.D. 773 del 
1931.
Peraltro, il richiamo a tali disposizioni del T.U.L.P.S. risulta inconferente, 
in quanto si tratta di sanzioni di tipo penale, mentre l’Amministrazione 
Provinciale a ragione ha ricavato, nel contesto concettuale proprio del 
“coordinamento”, anche misure sanzionatorie disciplinari al fine di poter 
rendere effettive le funzioni ad essa attribuite ex lege.
Ne deriva che la disposizione regolamentare in esame si sottrae alle censure 
proposte.
9.9 Le ricorrenti, mediante l’ottavo motivo aggiunto di ricorso – corrispondente 
al quindicesimo motivo di ricorso proposto ab origine – hanno pure chiesto 
l’annullamento dell’art. 8, comma 1, del Regolamento, laddove dispone che “i 
decreti che scadranno dopo l’entrata in vigore del presente Regolamento, saranno 
rinnovati solo dopo il superamento del primo corso di aggiornamento che sarà 
effettuato nei termini previsti dall’articolo 3”.
Tale domanda va accolta, in quanto tale disposizione risulta – all’evidenza – 
sistematicamente correlata con quelle già annullate in relazione a quanto 
evidenziato al § 9.5. della presente sentenza e presupponendo, quindi, l’unico 
corso di aggiornamento curato in via esclusivadalla stessa Amministrazione 
Provinciale.
9.10. Con il nono motivo aggiunto di ricorso le ricorrenti chiedono 
l’annullamento dell’art. 4, comma 2, lettera b), del Regolamento, laddove 
dispone – tra l’altro - che è compito delle Guardie “svolgere attività di 
prevenzione e di vigilanza venatoria, accertare le violazioni delle leggi e dei 
regolamenti in materia venatoria redigendo gli apposti verbali di riferimento”.
Le censure delle ricorrenti Associazioni si incentrano, a tale riguardo, sulla 
legittimità dell’inciso “redigendo gli appositi verbali di riferimento”, 
ritenuto difforme dall’art. 28, comma 5, della L. 157 del 1992 e dall’art. 13 
della L. 689 del 1981.
La difesa dell’Amministrazione Provinciale ha tentato di fondare la legittimità 
della disposizione mediante una sua lettura, alquanto improbabile, nel senso che 
i processi verbali di contestazione devono - scontatamente - riferirsi alle 
disposizioni di legge e regolamentari violate.
Il Collegio non aderisce a tale prospettazione e, conseguentemente, accoglie la 
censura proposta dalle ricorrenti stante il ben noto significato tecnico assunto 
dal termine di “verbale di riferimento” rispetto al processo verbale di vero e 
proprio accertamento dell’illecito: il primo, infatti – come è ben noto - non è 
contemplato dall’art. 13 della L. 689 del 1981 ed implica la formazione di una 
mera relazione su quanto accaduto da inoltrare ad un’Autorità gerarchicamente 
sovraordinata che formalizzerà poi l’accertamento.
Per contro – e come rettamente rilevato dalle ricorrenti – alle Guardie Giurate 
Volontarie è espressamente riconosciuta la competenza a formare processi verbali 
di diretto accertamento degli illeciti di loro competenza (cfr., ad es., ex 
multis, Cass. Sez. I, 28 maggio 1988 n. 3670, segnatamente riguardante il 
processo verbale redatto da una Guardia Giurata Venatoria Volontaria operante 
nella provincia di Treviso, nonché lo stesso parere di Cons. Stato, Sez. I, 29 
agosto 1994 n. 2296/94, dianzi citato): e da ciò, quindi, consegue 
l’accoglimento della censura formulata dalle ricorrenti.
9.11. Il sesto motivo di ricorso, con il quale è stato impugnato l’originario 
testo dell’art. 3, comma 8, del Regolamento risulta superato dalla circostanza 
che per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 tale 
disposizione è stata modificata.
Tale modifica non è stata, di per sé, impugnata in sede di motivi aggiunti e 
deve, dunque, reputarsi vigente, anche se la sua materiale applicazione risulta 
alquanto problematica, stante il suo collegamento con le disposizioni 
considerate al § 9.5 in tema di corsi di formazione organizzati 
dall’Amministrazione Provinciale e indefettibilmente legati al rilascio o al 
rinnovo del decreto di Guardia Giurata.
9.12. L’ottavo motivo di ricorso risulta parimenti improcedibile per 
sopravvenuta carenza di interesse, in quanto formulato nei confronti 
dell’originario testo dell’art. 4, commi 2, 3 e 4, poi innovato per effetto 
della susseguente deliberazione consiliare n. 00051 del 2003, non contestata sul 
punto dalle ricorrenti.
9.13. Con il decimo motivo di ricorso si chiede l’annullamento dell’art. 5, 
comma 6, del Regolamento laddove impone a carico delle Associazioni la stipula 
di una polizza assicurativa per gli infortuni a favore delle Guardie impegnate 
nei servizi di vigilanza per tutta la durata dei servizi stessi, nonché una 
polizza di responsabilità civile per i danni cagionati a terzi.
Le ricorrenti reputano violato, innanzitutto, l’art. 138 del T.U. approvato con 
R.D. 773 del 1931 in ordine ai requisiti che deve possedere la Guardia Giurata, 
e ritengono che gli anzidetti costi debbano essere coperti dalla stessa 
Amministrazione Provinciale, che si avvale delle Guardie per l’esercizio di 
proprie funzioni amministrative. Ritengono ancora prima che l’obbligo della 
polizza infortuni debba ritenersi insussistente, giusta la circolare del 
Ministero dell’Interno n. 539/C.20021.10089.D(21) dd. 3 ottobre 1998 che 
esclude, anche sulla base di alcune statuizioni giurisdizionali, l’obbligo di 
assicurare le Guardie Giurate Volontarie all’I.N.P.S. e all’I.N.A.I.L. 
Il Collegio non condivide le tesi delle ricorrenti, posto che la pur dedotta 
insussistenza di un obbligo assicurativo con l’I.N.P.S. o con l’I.N.A.I.L. per 
certo non elimina le responsabilità derivanti da infortuni, e che la 
responsabilità civile assunta nei confronti di terzi per effetto di atti 
illeciti coinvolge non soltanto la Provincia che coordina l’attività, ma anche – 
e soprattutto – l’Associazione dalla quale la Guardia dipende e che, non lo si 
dimentichi, agisce a’ sensi dell’art. 6, comma 11, del Regolamento “all’interno 
della zona” ad essa “assegnata, secondo l’ordine predisposto dalle associazioni 
di appartenenza e depositato preventivamente in Provincia”.
E’ evidente, pertanto, che i sopradescritti obblighi assicurativi sono 
commendevolmente finalizzati a realizzare uno standard di sicurezza personale 
che assiste, in via omogenea, l’operato di ciascuna Guardia; né può dirsi che i 
costi gravano, comunque, sulle sole Associazioni, posto che a’ sensi del 
susseguente comma 7 l’Amministrazione Provinciale ha facoltà di “riconoscere 
alle Associazioni e/o alle Guardie rimborsi spese e riconoscimenti economici … 
per l’attività prestata, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni”.
9.14. Con l’undicesimo motivo di ricorso le Associazioni chiedono l’annullamento 
dell’art. 6, comma 4, del Regolamento per asserita violazione degli artt. 230 e 
254 del R.D. 635 del 1940.
In buona sostanza, le ricorrenti contestano la competenza dell’Amministrazione 
Provinciale a predisporre, in sede di coordinamento, le divise, i simboli e i 
documenti di riconoscimento delle Guardie, sostenendo che tale funzione 
competerebbe a tutt’oggi al Prefetto.
Il Collegio dissente da tale interpretazione, posto che nel concetto di 
“coordinamento” rientra de plano anche un’auspicabile unificazione di divise, 
simbologie e documenti utilizzati dai vari operatori volontari, anche a tutela 
delle persone dedite alla caccia, e che a tale proposito risulta, pertanto, 
intuitivamente assorbita per effetto dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 
1998 – e, beninteso, e per quanto qui segnatamente interessa, limitatamente 
all’attività venatoria – la precedente competenza prefettizia già esercitata in 
tale particolare materia.
9.15. Le ricorrenti, con il dodicesimo motivo di impugnazione, chiedono 
l’annullamento dell’art. 6, comma 8, del Regolamento, laddove dispone che “le 
Guardie Venatorie Volontarie operano in conformità alle direttive emanate dal 
Coordinamento della Vigilanza Volontaria. Quando agiscono su richiesta diretta 
ed in collaborazione con gli Agenti della Vigilanza Provinciale, sono tenute ad 
uniformarsi alle disposizioni impartite da questi ultimi”.
Le ricorrenti ritengono che la disciplina testà riportata confligga con l’art. 
27, comma 7, della L. 157 del 1992, ed estendono tale contestazione anche nei 
confronti del comma 10 del medesimo art. 6, laddove si dispone che “le Guardie 
Venatorie Volontarie operano, di norma, in pattuglie di almeno due persone. 
Qualsiasi variazione deve essere preventivamente concordata e approvata dal 
Responsabile del Coordinamento”.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti, la concomitante circostanza per la 
quale, in forza di quanto disposto dall’art. 1 del Regolamento stesso, il 
Coordinamento risulterebbe formato in prevalenza da cacciatori – essendo pure il 
Comandante della Vigilanza Provinciale titolare di licenza di caccia – 
comporterebbe, nell’applicazione dei testè citati commi 8 e 10 dell’art. 6, la 
conseguenza di subordinare, nella sostanza, la volontà delle Guardie Volontarie 
a quella di coloro che comunque praticano l’attività venatoria, specie 
nell’ipotesi in cui un’Associazione disponga di una sola Guardia Volontaria, 
costretta – quindi, e sia pure “di norma” – a formare con altro operatore una 
pattuglia.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che a’ sensi dell’art. 1 del 
Regolamento la Presidenza del Coordinamento è assunta dall’Assessore Provinciale 
alla Caccia e Pesca, ovvero da un suo delegato: ossia da un soggetto che non è 
prequalificato come cacciatore, e che la vicepresidenza è assunta dal Dirigente 
Provinciale responsabile per le materie della caccia e della pesca, ossia – 
ancora una volta – da un soggetto non prequalificato come cacciatore.
Nella funzione di coordinamento risulta logicamente compresa anche una potestà 
di direttiva da parte del soggetto che lo esercita (si badi, coincidente con il 
Coordinamento stesso collegialmente inteso, e non già con un suo singolo membro, 
sia pure Presidente o Vicepresidente, o – ancora – Comandante della Vigilanza 
Provinciale).
Risulta altrettanto evidente la razionalità della disposizione che subordina 
l’operato delle Guardie Volontarie a quello degli Agenti della Vigilanza 
Provinciale nelle ipotesi di interventi effettuati “su richiesta diretta ed in 
collaborazione” con gli stessi: e ciò, se non altro, in considerazione della 
dianzi rilevata carenza della qualifica di Agente di Polizia Giudiziaria delle 
Guardie Volontarie (cfr. § 9.7 della presente sentenza).
Anche la disposizione che impone, “di norma”, la formazione di pattuglie di due 
operatori ai fini della vigilanza risponde, all’evidenza, ad esigenze di 
garantismo nei confronti dei possibili soggetti sanzionati non disgiunta – si 
badi – anche alle parimenti doverose esigenze di sicurezza personale e di 
certezza operativa dello stesso personale preposto alla vigilanza.
9.16. Le ricorrenti, da ultimo, con il tredicesimo motivo di ricorso hanno 
chiesto l’annullamento dell’art. 6, comma 9, del Regolamento, laddove impone 
alle Guardie Volontarie di “osservare strettamente il segreto d’ufficio e le 
norme di cui alla L. 31 dicembre 1996 n. 675” e di “mantenere un comportamento 
irreprensibile in pubblico, omettendo ogni discussione diretta o indiretta sul 
servizio con estranei allo stesso”.
Le ricorrenti, a tale proposito, deducono una generica violazione dell’art. 163, 
comma 3, del D.L.vo 112 del 1998 lamentando che tale disciplina vieterebbe alle 
Associazioni di diffondere comunicati stampa relativi ai controlli effettuati e 
ai verbali stilati, e impedirebbe la stessa raccolta dei dati a fini statistici.
Anche tale censura va respinta.
E’ evidente che ogni Guardia Giurata Volontaria deve assolvere alle proprie 
funzioni di vigilanza e di repessione degli illeciti non già nell’interesse 
dell’Associazione a cui è pur iscritta, ma nel superiore interesse della 
collettività e operando, quindi, nella costante applicazione di tutta la 
disciplina vigente in materia di accertamento degli illeciti, ivi naturalmente 
compresi il rispetto del segreto d’ufficio (art. 326 cod. pen.) e delle altre 
disposizioni a ciò pertinenti, quali la disciplina del trattamento dei dati 
personali, ora – tra l’altro – non più assoggettata alla L. 675 del 1996, ma al 
Codice appositamente approvato con D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196, il quale ultimo 
– tra l’altro – esplicitamente consente, sia pure a determinate condizioni, il 
trattamento dei dati personali – resi debitamente anonimi – a scopi statistici (cfr. 
artt. 16, 24 e 97 e ss. del D.L.vo 196 cit.).
10. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati 
tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, 
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e sui motivi aggiunti 
proposti in prosieguo di causa, li accoglie nei limiti di cui in motivazione e, 
per l’effetto, annulla l’art. 3, commi 5, 11 e 13, l’art. 4, comma 2, lett. b) 
limitatamente all’inciso “redigendo gli appositi verbali di riferimento” e 
l’art. 8, comma 1, del “Regolamento di servizio delle guardie giurate volontarie 
faunistico-venatorie della provincia di Treviso”, nel testo adottato per effetto 
della deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00080 dd. 11 
dicembre 2002 e modificato per effetto della deliberazione del Consiglio 
Provinciale di Treviso n. 00051 dd. 29 settembre 2003.
Compensa integralmente le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio del 18 marzo 2004.
 
1) Caccia e pesca - Guardie giurate delle Associazioni ambientaliste - Potestà di coordinamento dell’Amministrazione provinciale - Interferenza con l’autonomia delle associazioni - Non è ravvisabile. Le attività di predisposizione dei programmi periodici e territoriali, di formazione delle pattuglie, di ricezione e di approvazione degli ordini di servizio inviati dalle Associazioni costituiscono naturali estrinsecazioni delle potestà di coordinamento devolute alle Amministrazioni Provinciali ai sensi dell’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992: potestà alle quali anche le guardie giurate delle Associazioni ambientaliste devono sottostare senza che ciò costituisca interferenza con l’autonomia delle Associazioni stesse. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
2) Caccia e pesca - Guardia giurata - Obbligo di residenza - Non contrasta con il divieto di discriminazione in ordine alla cittadinanza italiana o di uno stato membro dell’Unione Europea. La disposizione contenuta nell’art. 138, comma 1, n. 1 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 e modificato dall’art. 33 della L. 1° marzo 2002 n. 39, secondo la quale per svolgere le funzioni di guardia giurata risulterebbe sufficiente “essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea”, non può esimere i soggetti che si avvalgono di tali guardie dal contemplare anche particolari obblighi di residenza – ferma restando la non discriminazione in ordine alla cittadinanza – in relazione alla comprovata particolarità delle mansioni da svolgere. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
3) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie faunistico-venatorie - Regolamento provinciale - Previsione di sospensione del rilascio del decreto di guardia giurata in caso di procedimento penale pendente - Legittimità - Mancata limitazione alle condanne per delitto quale causa ostativa al rilascio del decreto - Illegittimità. Risulta legittima la disposizione del Regolamento provinciale di servizio delle guardie giurate volontarie faunistico-venatorie che prevede la sospensione del rilascio o del rinnovo del decreto di guardia giurata nelle ipotesi di procedimento penale pendente a carico dell’interessato. Viceversa, contrasta con l’art. 138, comma 1, n. 4 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 - sostanziando, in tal senso, un’illegittima innovazione contra legem rispetto alla disciplina statale di principio - la disposizione del Regolamento medesimo laddove non limita alle condanne per delitto la causa ostativa per il rilascio o il rinnovo del decreto. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
4) Caccia e pesca - Guardie volontarie - Rinnovo della qualifica di agente di vigilanza volontaria - Corso istituito dalla Provincia - Necessaria partecipazione ai fini del rinnovo - Illegittimità - Nella parte in cui non è consentita alle associazioni la possibilità di organizzare detti corsi - Artt. 26 L. 157/92 e 34 L.R. 50/93. Rientra nelle intrinseche potestà del coordinamento provinciale disporre riunioni e corsi di aggiornamento delle Guardie volontarie, soprattutto se tali iniziative sono concordate con le associazioni; tuttavia confligge con l’assetto emergente dall’art. 27, commi 6 e 8, della L. 157 del 1992 e dall’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, la previsione nel Regolamento provinciale della necessaria partecipazione ad apposito corso istituito dalla Provincia al fine del rinnovo della qualifica di Agente di Vigilanza Volontaria. Infatti le iniziative formative previste dalla disciplina legislativa statale e regionale verrebbero in tal modo svuotate di ogni specifico contenuto in termini di riconoscimento della loro specifica valenza propedeutica all’abilitazione di cui all’art. 27, comma 4, L. 157/1992. Sono pertanto illegittimi gli articoli del regolamento nella parte in cui non consentono anche alle associazioni di cui all’art. 27 commi 6 e 8 della L. 157 del 1992 e all’art. 34 comma 2 della L.R. 50 del 1993 la possibilità di organizzare i corsi per il rilascio del decreto di nomina o di rinnovo nella qualifica di Guardia volontaria. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
5) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie - Art. 27, c. 1 L. 157/1992 - Qualifica di polizia giudiziaria - Riconoscimento - Esclusione. Il comma 1, lett. a) dell’art. 27, L. 157/1992 riconosce esplicitamente agli Agenti dipendenti degli Enti Locali delegati alle Regioni la qualifica di polizia giudiziaria, mentre, in evidente contrapposizione, la lettera b) dello stesso comma non riconosce la medesima qualifica alle Guardie Giurate Volontarie. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
6) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie - Accertamento delle violazioni - Competenza a formare processi verbali - Espresso riconoscimento - Regolamento provinciale - Limitazione al cd. “verbale di riferimento” - Illegittimità. Alle Guardie Giurate Volontarie è espressamente riconosciuta la competenza a formare processi verbali di diretto accertamento degli illeciti di loro competenza, sicchè è illegittima la norma del regolamento che individua tra i compiti delle Guardie quello di “accertare le violazioni delle leggi e dei regolamenti in materia venatoria redigendo gli apposti verbali di riferimento”, stante il significato tecnico assunto dal termine di “verbale di riferimento” rispetto al processo verbale di vero e proprio accertamento dell’illecito: il primo, infatti non è contemplato dall’art. 13 della L. 689 del 1981 ed implica la formazione di una mera relazione su quanto accaduto da inoltrare ad un’Autorità gerarchicamente sovraordinata che formalizzerà poi l’accertamento. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
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