Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
(segnalata dall’Avv. Maurizio Balletta)
T.A.R. CALABRIA - CATANZARO, Sez. I – 26 ottobre 2004, sentenza n. 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
PER LA CALABRIA
- CATANZARO PRIMA SEZIONE
composto dai Signori Magistrati:
Dott. Salvatore Mezzacapo Presidente
Dott. Nicola Durante Primo Ref.
Dott. Umberto Maiello Referendario Estensore
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
A) sul ricorso n. 1337/2003 proposto dalla Lega Italiana Protezione 
Uccelli ( L.I.P.U.) ONLUS e dall’Associazione Italiana per il World Wide Fund 
For Nature ( WWF Italia ) – ONLUS, in persona dei rispettivi legali 
rappresentanti pro – tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avv. Maurizio 
Balletta ed elettivamente domiciliati presso la Segreteria di questo Tribunale;
contro
la REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente pro – tempore, rappresentata e 
difesa dall’Avv. Benito Spanti ed elettivamente domiciliata in Catanzaro al 
viale De Filippis n°280 presso gli uffici dell’Avvocatura Regionale
e nei confronti
della PROVINCIA DI CATANZARO, in persona del Presidente pro – tempore, n.c.
per l'annullamento previa sospensiva
1. della deliberazione del Consiglio Regionale della Calabria n°222 del 
25.6.2003, avente ad oggetto “Piano Faunistico Venatorio Regionale” pubblicato 
nel BURC del 22.7.2003, ivi compresa la parte in cui disciplina l’attività 
venatoria in deroga e la ripartizione delle specie e delle quantità cacciabili;
2. della deliberazione della G.R. della Calabria n°665 del 26.8.2003, avente ad 
oggetto “integrazione delibera G.R. n°452 del 17.6.2003, relativa al calendario 
venatorio 2003/2004. Delibera Consiglio Regionale n°222 del 25.6.2003 relativa 
all’approvazione del Piano Faunistico Venatorio Regionale” 
B) sull’atto recante motivi aggiunti depositato il 3 marzo 2004 e 
proposto
per l’annullamento con sospensiva
della delibera di G.R. n°88 del 17.2.2004, avente ad oggetto “modifica 
calendario venatorio 2003/2004 – Piano Faunistico Venatorio Regionale – Delibera 
Consiglio Regionale n°222 del 25.6.2003”;
Visto il ricorso, l’atto con motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e le memorie prodotte dalla resistente 
Amministrazione Regionale;
Visti gli atti tutti di causa; Relatore alla pubblica udienza del 22 ottobre 
2004 il dott. Umberto Maiello; 
uditi, altresì, i difensori delle parti come da verbale.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Le ricorrenti, associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi e per 
gli effetti di cui all’art. 13 della legge 349/1986, con l’originario ricorso 
hanno impugnato la delibera consiliare ( n°222 del 25.6.2003) con cui la Regione 
Calabria ha disciplinato nel proprio territorio l’attività venatoria in deroga, 
nonché le conseguenti integrazioni al calendario venatorio regionale 2003/2004 
apportate con delibera giuntale n°665 del 26.8.2003.
Avverso i precitati atti, le ricorrenti hanno articolato le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge 157/1992. 
Incompetenza del Consiglio Regionale della Calabria – Eccesso di potere per 
sviamento, violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge 157/1992, 
violazione dell’art. 9 direttiva 409/79/CEE e dell’art. 19 bis della legge 
157/1992, illegittimità derivata della deliberazione della Giunta Regionale 
n°665 del 26.8.2003;
La Regione Calabria avrebbe disciplinato l’istituto della deroga come evenienza 
ordinaria e non come strumento eccezionale;
2) violazione dell’art. 19 bis comma 3 della legge 157/1992 per omessa 
acquisizione del preventivo parere obbligatorio dell’Istituto Nazionale Fauna 
Selvatica, eccesso di potere per carenza assoluta di istruttoria circa la 
consistenza della specie oggetto di caccia in deroga, violazione del principio 
comunitario di conservazione dell’avifauna selvatica ex direttiva 79/409/CEE, 
violazione del principio comunitario di precauzione ex art. 174 n°2 Trattato 
CEE. 
La Regione Calabria non avrebbe acquisito nel corso dell’istruttoria il 
prescritto parere dell’INFS.
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della direttiva 79/49/CEE, 
dell’art. 19 bis della legge 157/1992, eccesso di potere per difetto di 
istruttoria in relazione all’inesistenza di soluzioni alternative alla caccia in 
deroga, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990 per difetto assoluto di 
motivazione in relazione all’inesistenza di soluzioni alternative alla caccia in 
deroga, eccesso di potere per sviamento del potere tipico, violazione dell’art. 
18 della legge 157/1992.
La Regione Calabria avrebbe omesso, in violazione della normativa di settore, di 
verificare l’esistenza di soluzioni alternative a quella della caccia in deroga.
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della direttiva 79/49/CEE, 
dell’art. 19 bis della legge 157/1992, , eccesso di potere per difetto di 
istruttoria, per sviamento del potere tipico, violazione dell’art. 3 della legge 
241/1990, dell’art. 18 della legge 157/1992.
Le avversate determinazioni regionali sarebbero prive di accurati accertamenti 
preventivi sui presupposti di esperibilità della caccia in deroga.
Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, che ha concluso per il rigetto 
del ricorso siccome inammissibile ovvero infondato.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2004 il ricorso è stato trattenuto in 
decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
Vanno, anzitutto, disattese le eccezioni formulate, in rito, 
dall’Amministrazione resistente, secondo cui il gravame in epigrafe sarebbe 
inammissibile in quanto proposto avverso atti che hanno già esaurito i loro 
effetti. 
A tacer d’altro, vale di contro osservare che l’avversato piano faunistico 
regionale, lungi dal limitarsi ad una semplice anticipazione di pochi giorni 
della stagione della caccia per l’anno 2003/2004 ha, da un lato, consentito di 
estendere, ben oltre i termini indicati nella memoria difensiva della Regione, 
la caccia a specie ( storno, passero, fringuello) non contemplate 
dall’originario calendario venatorio e, dall’altro, ha legittimato deroghe che 
trascendono il singolo anno.
Appare, pertanto, di evidenza intuitiva l’enucleabilità a sostegno del proposto 
gravame di un interesse ad agire assistito dai predicati dell’attualità e della 
concretezza, che, peraltro, ben potrebbe avere natura morale ovvero radicarsi in 
relazione alla possibilità che all'annullamento della statuizione gravata faccia 
seguito l'esperimento dell'azione risarcitoria per i danni medio tempore 
prodotti ( CdS Sez. VI 24.3.2003 n°1493).
Del pari, priva di pregio appare l’ulteriore eccezione incentrata sulla pretesa 
necessità di vagliare le censure attoree contestualizzandola rispetto alle altre 
misure previste nel piano faunistico regionale.
L’estrema genericità dell’eccezione in argomento non consente di apprezzare le 
asserite preclusioni che discenderebbero dall’inserimento della disciplina della 
caccia in deroga nell’ambito del piano faunistico regionale, ben potendo il 
regime del predetto istituto essere oggetto di un’autonoma specifica 
delibazione.
Né appare fondata la dedotta necessità di anteporre alla decisione di merito sul 
ricorso in epigrafe la previa integrazione del contraddittorio mediante 
l’evocazione in giudizio dei soggetti coinvolti nell’elaborazione del piano 
faunistico venatorio regionale, atteso che la partecipazione, di natura 
meramente consultiva, delle Province e delle Associazioni venatorie all’atto di 
pianificazione non condiziona l’imputabilità sul piano soggettivo del suddetto 
atto, in via esclusiva, all’Ente Regione, cui resta riservata, dunque, la 
qualità di parte necessaria del giudizio.
Peraltro, ai soggetti suindicati non può nemmeno essere riconosciuta la dignità 
di parti controinteressate, atteso che non è possibile isolare in capo agli 
stessi, in ragione del contenuto precettivo dell’atto impugnato, utilità 
differenziate giuridicamente rilevanti e geneticamente collegate, in via 
diretta, all’atto impugnato che verrebbero sacrificate nell’ipotesi di 
annullamento, nelle parti contestate, del piano faunistico regionale.
Tanto premesso in rito, nel merito il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
Il quadro normativo che fa da sfondo al presente giudizio può essere così 
sintetizzato. 
La direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione di tutte le specie di 
uccelli viventi, al fine di assicurare la protezione, la gestione e la 
regolazione di tali specie e disciplinarne lo sfruttamento, detta negli artt. 5, 
6, 7 e 8 prescrizioni rigorose e puntuali in materia di prelievo venatorio. 
A tale rigoroso regime vincolistico, in base a quanto previsto nel successivo 
art. 9, gli Stati membri possono derogare per le seguenti ragioni: a) 
nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica, nell'interesse della 
sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, 
alla pesca e alle acque, per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini 
della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della riproduzione nonché 
per l'allevamento connesso a tali operazioni; c) per consentire in condizioni 
rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri 
impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.
Le suddette deroghe devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, 
gli impianti e i metodi di cattura o uccisione autorizzati, le condizioni di 
rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse devono essere fatte, 
l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e 
a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali 
limiti e da quali persone, nonché i controlli che saranno effettuati.
Il legislatore statale, proprio al fine di armonizzare la disciplina interna con 
l'art. 9 della direttiva 79/409/CEE", con l'art. 1 della legge 3 ottobre 2002, 
n. 221, ha introdotto l'art. 19-bis nella legge quadro n. 157 del 1992, il quale 
stabilisce, al primo comma, che le Regioni disciplinano l'esercizio delle 
deroghe di cui alla direttiva sopra menzionata, conformandosi alle prescrizioni 
e alle finalità previste in questa, nonché a quelle indicate di seguito nella 
medesima legge. 
I commi successivi ricalcano la disciplina comunitaria con alcune precisazioni, 
tra le quali, l’espressa previsione secondo cui le deroghe devono essere 
applicate sentito l'Istituto nazionale della fauna selvatica o altri istituti 
riconosciuti a livello regionale e non possono avere comunque ad oggetto specie 
la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione. 
Tanto premesso, all’esito di una piana lettura del piano faunistico regionale 
della Calabria, adottato con delibera consiliare n°222 del 25.6.2003, deve 
rilevarsi l’insanabile contrasto che segna la richiamata regolamentazione 
regionale rispetto alla vincolante disciplina di riferimento, compendiata nella 
direttiva comunitaria 79/409 e nella stessa legge quadro 157/1992.
Come efficacemente evidenziato dalle parti ricorrenti, il piano faunistico 
regionale appare, in parte qua, totalmente disancorato dagli obiettivi e dai 
criteri direttivi che ispirano la richiamata disciplina, tanto da porsi nella 
riduttiva ed illegittima prospettiva di un'eccezionale autorizzazione ( 
paradossalmente )permanente di attività venatorie, altrimenti vietate.
In tal senso depone, anzitutto, la concreta dimensione provvedimentale che la 
Regione ha inteso assegnare a tale atto, solo apparentemente volto a 
disciplinare in termini generali ed astratti con norme regolamentari l’attività 
venatoria in deroga.
Invero, il riferimento specifico a ben individuate specie di animali, oltre che 
alle condizioni temporali e di modo per l’esercizio del prelievo venatorio in 
deroga, riflette una già definita opzione circa il concreto assetto di interessi 
da privilegiare ai fini della predisposizione dei calendari venatori. 
Né vale a sminuire tale ricostruzione la circostanza che, sul piano operativo, 
l’autorizzazione in deroga resta condizionata sul piano effettuale dall’adozione 
dei suddetti calendari venatori.
Sul punto, appare innegabile l’idoneità del piano faunistico regionale a 
concretare una fattispecie provvedimentale compiuta, abilitata a giustificare, 
di per se stessa, variazioni al calendario venatorio, cui nella specie va 
riconosciuta la valenza di mero atto applicativo.
Del resto, coerente con tale ricostruzione appare la vicenda in esame, atteso 
che, all’adozione del piano faunistico regionale, hanno fatto seguito, in una 
logica di mera consequenzialità applicativa, le variazioni indotte dal suddetto 
atto regionale.
Tale impostazione, avuto riguardo alla durata pluriennale del piano faunistico 
regionale, mal si concilia, di per se stessa, con la richiamata normativa di 
settore che, vincolando le autorizzazioni in deroga a specifici e concreti 
presupposti, presuppone un’efficacia temporalmente circoscritta delle relative 
misure che vanno, di volta in volta, calibrate in relazione alle esigenze 
divisate da mirati accertamenti. 
In altri termini, la durata pluriennale delle concrete misure derogatorie 
consentite dal piano faunistico regionale altera l’ontologica connotazione 
dell’istituto come strumento eccezionale e temporaneo, assegnandogli 
un’impropria dimensione ordinaria.
Peraltro, in disparte quanto finora evidenziato, lo sviamento di potere che ha 
inficiato l’approccio ermeneutico della Regione Calabria è fatto palese anche 
dall’assenza nella disciplina all’uopo varata di una rigida funzionalizzazione 
delle programmate deroghe rispetto agli obiettivi di interesse generale 
tassativamente elencati dalla normativa di settore.
Invero, la Regione Calabria si limita a prevedere la possibilità di modificare, 
subordinatamente all’adozione di piani faunistici, i termini di inizio 
dell’attività venatoria per determinate specie ( colombaccio, quaglia, tortora, 
gazza, ghiandaia, cornacchia grigia e volpe), senza correlare ai presupposti di 
legge, oltre che alle suindicate specifiche esigenze, siffatto prelievo 
venatorio, che, pertanto, viene ad essere del tutto svincolato da quegli 
obiettivi di garanzia che, viceversa, ne costituiscono il fondamento 
giustificativo.
A tal riguardo, vale, infatti, ribadire che il “potere di deroga” è esercitabile 
in via eccezionale per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, più in 
generale, l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici in vista della tutela 
dei fini di interesse generale indicati dall'art. 9.1 della direttiva 79/409/CEE 
( cfr. Corte Cost. 14 maggio 1999 n. 168 ).
Senza contare che in vista della salvaguardia dei suddetti interessi generali i 
provvedimenti di deroga vanno preferibilmente soddisfatti attraverso misure 
diverse dall'eccezionale autorizzazione al prelievo venatorio di specie 
altrimenti protette.
Invero, sia la direttiva 79/409 che la legge quadro 157/1992 espressamente 
introducono, a tal riguardo, una clausola di riserva legata all’assenza “di 
altre soluzioni soddisfacenti”.
Anche sotto il profilo in esame, afferente alla graduazione delle soluzioni di 
metodo concretamente praticabili per conseguire gli obiettivi e le esigenze che 
giustificano il prelievo in deroga, alcuna plausibile motivazione viene offerta 
per giustificare la modifica dei termini di inizio dell’attività venatoria, che 
pur dovrebbe rappresentare –nella prospettiva del legislatore - l’extrema ratio. 
Né possono ritenersi appaganti le generiche indicazioni - esposte nel medesimo 
atto limitatamente alle specie passero, storno e fringuello - in ordine alle 
finalità di “ridurre i gravi danni causate alle colture agricole” ed all’assenza 
di “ altre soluzioni soddisfacenti”. 
La mancata allegazione di convincenti argomentazioni esplicative a supporto 
delle richiamate affermazioni rendono tautologica la motivazione addotta 
dall’Amministrazione resistente a giustificazione dell’introdotta deroga.
Nelle acquisizioni processuali non trovano, invero, riscontro i detti assunti, 
rimasti del tutto privi di concreti agganci ad istruttorie mirate 
all’accertamento di quelli che, nella stessa economia dell’atto gravato, si 
atteggiano a presupposti fondanti del deliberato regime derogatorio.
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va accolto con 
assorbimento degli ulteriori motivi di gravame e, per l’effetto, s’impone 
l’annullamento del piano faunistico regionale, nella parte recante la disciplina 
venatoria in deroga, nonché, per invalidità derivata, delle connesse 
integrazioni apportate al calendario venatorio regionale con delibere n°665 del 
26.8.2004 e n°88 del 17.2.2004. 
Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare le spese processuali.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria - Sezione Prima - 
definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, 
per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei limiti indicati in motivazione. 
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Spese compensate.
Così deciso in Catanzaro nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2004.
Depositata in Segreteria il 26 ottobre 2004
1) Caccia – Prelievo in deroga – Autorizzazione al prelievo venatorio – Misura eccezionale - Perseguimento degli interessi generali di cui all’art. 9.1 dir. 79/409/CE – Necessità - Piano faunistico venatorio – Esplicita motivazione in ordine all’assenza di misure alternative – Necessità. Il “potere di deroga” è esercitabile solo in via eccezionale per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici in vista della tutela dei fini di interesse generale indicati dall'art. 9.1 della direttiva 79/409/CEE (cfr. Corte Cost. 14 maggio 1999 n. 168). I provvedimenti di deroga vanno pertanto preferibilmente soddisfatti attraverso misure diverse dall’eccezionale autorizzazione al prelievo venatorio di specie altrimenti protette: invero, sia la direttiva 79/409 che la legge quadro 157/1992 introducono espressamente una clausola di riserva legata all’assenza di altre soluzioni soddisfacenti. Ne consegue l’illegittimità del piano faunistico venatorio nella parte recante la disciplina venatoria in deroga, in mancanza di specifica motivazione in ordine agli obiettivi di interesse generale a giustificazione dell’introdotta deroga e alla mancanza di misure alternative. Pres. Mezzacapo, Est. Maiello – L.I.P.U. Onlus (Avv. Balletta) c. Regione Calabria (Avv. Spanti) - T.A.R. CALABRIA, Sez. I – 26 ottobre 2004, sentenza n. 1995
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza