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Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede 
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 3952/1997, proposto dal Consiglio regionale 
della federazione italiana della caccia quale organo gestore delle riserva di 
caccia di diritto nella Regione Friuli Venezia Giulia, e dalla Riserva di caccia 
di diritto di Sauris, in persona dei rispettivi rappresentanti in carica, 
rappresentati e difesi dagli avvocati Romeo Bianchin e Orlando Sivieri, ed 
elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ ultimo, in Roma, piazza 
della Libertà, n. 13;
contro
Comune di Sauris, in persona del Sindaco in carica,, rappresentato e difeso 
dall’avv. Silvio Beorchia, ed elettivamente domiciliato presso lo studio 
dell’avv. Vincenzo Colacino, in Roma, via N. Ricciotti, n. 9;
e nei confronti di
Federazione italiana della caccia- sezione di Udine, in persona del legale 
rappresentante in carica, non costituita in appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del Friuli Venezia Giulia, 23 aprile 1996, n. 375, 
resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune appellato;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 4 febbraio 2003 il consigliere Rosanna De 
Nictolis e udito l'avvocato Colacino per il Comune appellato;
ritenuto e considerato quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Il Sindaco del Comune di Sauris, nell’asserito esercizio del potere di 
ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, 
n. 142, adottava il provvedimento 4 agosto 1995, prot. 3959, con cui, a tutela 
dell’incolumità pubblica, vietava l’esercizio della caccia al capriolo nella 
riserva di caccia di diritto di Sauris, per il periodo dal 4 agosto al 15 
settembre 1995.
Avverso tale provvedimento insorgevano gli odierni appellanti, deducendo 
l’incompetenza del Comune ad adottare provvedimenti in materia di caccia e 
l’insussistenza, in concreto, di una situazione contingibile e urgente che 
giustificasse il divieto di caccia.
2. Il T.A.R. adito, con la sentenza in epigrafe, dichiarava il ricorso 
inammissibile in base al duplice rilievo che:
le riserve di caccia di diritto nella Regione Friuli Venezia Giulia sarebbero 
<<organi regionali>>, che possono agire in giudizio solo a mezzo del Presidente 
della Giunta regionale;
difetterebbe l’interesse al ricorso in quanto il provvedimento inibitorio della 
caccia esauriva i suoi effetti il 15 settembre 1995.
3. Hanno interposto appello gli originari ricorrenti osservando che:
sussiste la legittimazione ad agire in giudizio, in quanto in base alla L.R. 
F.V.G. 11 luglio 1969, n. 13, l’organo regionale della Federazione italiana 
della caccia è il soggetto gestore delle riserve di caccia di diritto;
sussiste l’interesse al ricorso, anche quando il provvedimento ha esaurito i 
suoi effetti, sia per le conseguenze risarcitorie, sia per ottenere 
un’affermazione di principio dell’illegittimità dell’operato 
dell’amministrazione, al fine di impedire la reiterazione di provvedimenti 
futuri di identico contenuto;
nel merito, vengono riproposte le censure di cui al ricorso di primo grado.
4. Ritiene il Collegio che vadano riconosciuti sia la legittimazione che 
l’interesse al ricorso degli appellanti, e che tuttavia il ricorso di primo 
grado sia infondato nel merito.
4.1. Quanto alla legittimazione al ricorso, il Collegio non condivide la 
ricostruzione operata dal giudice di prime cure, secondo cui le riserve di 
caccia di diritto sarebbero organi regionali.
Invero, la L.R. F.V.G. 11 luglio 1969, n. 13, costituisce taluni territori 
regionali in riserve di caccia di diritto, e ne affida la gestione agli organi 
regionali della Federazione italiana della caccia (art. 3). Viene prevista 
l’emanazione di un regolamento di esecuzione, che dovrà determinare <<le 
modalità per la assegnazione del numero massimo di soci in ogni riserva di 
diritto in rapporto alla superficie cacciabile ed alla situazione faunistica, 
nonché i criteri per la fissazione delle quote associative>> (art. 10).
E’ chiaro l’intento del legislatore regionale di configurare le riserve di 
caccia non come organi regionali, bensì come enti associativi tra i cacciatori, 
posto che:
in ogni riserva è previsto un numero massimo di soci;
gli stessi pagano quote associative;
la gestione delle riserve è affidata ad un organo di un soggetto privato, 
esponenziale dei cacciatori, vale a dire la Federazione italiana della caccia.
Solo per completezza il Collegio osserva che l’opzione per la natura associativa 
delle riserve di caccia, già desumibile, in via esegetica, dalla L. n. 13/1969, 
è esplicitata dalla successiva L.R.F.V.G. 31 dicembre 1999, n. 30, che qualifica 
le riserve di caccia come associazioni senza fini di lucro costituite da 
cacciatori.
Dalla natura giuridica associativa delle riserve di caccia, e dalla circostanza 
che la loro gestione fosse affidata, dalla L.R. n. 13/1969, alla Federazione 
italiana della caccia, ne discende la legittimazione di tale ente ad impugnare i 
provvedimenti che incidono sull’esercizio della caccia nel territorio delle 
riserve da essa gestite.
Non senza considerare un ulteriore profilo di legittimazione attiva della 
Federazione della caccia, quale ente esponenziale dei cacciatori, a dolersi dei 
provvedimenti, quale quello nella specie, limitativi dell’esercizio della caccia 
e dunque lesivi dell’interesse dei cacciatori (in tal senso v. C. Stato, sez. 
VI, 10 agosto 1999, n. 1022: <<La federazione italiana della caccia è 
legittimata a ricorrere contro i provvedimenti concernenti la cattura di animali 
vivi destinati all’utilizzazione quali animali da richiamo nell’esercizio della 
caccia da appostamento; la cattura di tali animali costituisce infatti attività 
finalizzata all’attività venatoria in senso stretto, strumentale all’interesse 
dei cacciatori di cui la federazione anzidetta è ente esponenziale>>).
4.2. Quanto all’interesse a ricorrere, e al suo permanere al momento della 
decisione, in caso di provvedimento temporaneo che ha nel frattempo esaurito i 
suoi effetti, osserva il Collegio che nel caso specifico il permanere 
dell’interesse non può essere negato in base al duplice rilievo che:
anche a fronte di provvedimenti temporanei che hanno nel frattempo esaurito i 
propri effetti permane l’interesse alla decisione del ricorso, in vista 
dell’eventuale tutela risarcitoria per equivalente;
a fronte di provvedimenti temporanei che hanno nel frattempo esaurito i propri 
effetti permane l’interesse alla decisione del ricorso ove si tratti di 
provvedimenti <<ripetibili>> che possono nuovamente essere adottati in futuro, 
sicché vi è l’interesse all’affermazione di principio dell’illegittimo agire 
dell’amministrazione, onde prevenire la futura adozione di provvedimenti di 
identico contenuto.
4.3. Passando all’esame del merito del ricorso di primo grado, lo stesso va 
ritenuto infondato.
A norma dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, n. 142, in vigore all’epoca dei 
fatti: <<2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e 
nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti 
contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale 
al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei 
cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove 
occorra, l'assistenza della forza pubblica>>.
Nel caso di specie, il provvedimento sindacale è motivato dall’esigenza di 
tutelare l’incolumità pubblica, durante il periodo estivo, in quanto dalle 
risultanze istruttorie emergeva che i turisti presenti nella zona venivano 
turbati e disturbati dall’esercizio della caccia al capriolo, che, 
contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, non avveniva solo nelle prime 
ore del mattino e nelle ore successive al crepuscolo, ma dalla prime ore 
dell’alba continuativamente fino a due ore dopo il tramonto, secondo quanto 
consentito dalla L.R. F.V.G. 15 giugno 1987, n. 14.
Né può condividersi l’assunto di parte appellante secondo cui tale potere non 
poteva essere esercitato perché già l’art. 6, ult. co. L.R. n. 14 del 1987 
prevede la competenza dei Presidenti delle amministrazioni provinciali, in caso 
di eccezionali e speciali circostanze, e a vietare la caccia selettiva per 
determinate specie.
Vero è che il potere sindacale di ordinanza contingibile e urgente è un potere 
extra ordinem esercitabile solo in difetto di altri specifici rimedi, tuttavia:
da un lato, il potere delle amministrazioni provinciali di cui all’art. 6, L.R. 
n. 14 del 1987, di vietare la caccia per determinate specie, è imposto a tutela 
degli interessi connessi con la caccia, e dunque non incide sui poteri sindacali 
a tutela dell’incolumità pubblica;
dall’altro lato, la residualità del potere sindacale va interpretata nel senso 
che il potere può essere esercitato anche quando, pur essendovi in astratto 
altri rimedi, l’urgenza è tale da non consentire di ricorrere agli stessi.
Neppure va condiviso l’assunto di parte appellante della insufficiente 
motivazione del provvedimento impugnato, per insussistenza, in concreto, di una 
situazione contingibile e urgente.
Il provvedimento è infatti motivato con riferimento alla circostanza che nel 
periodo estivo vi era nel Comune di Sauris una rilevante presenza di turisti, 
messi in pericolo dall’esercizio quotidiano della caccia. Tale esercizio era 
autorizzato durante l’intera giornata, e non solo all’alba e dopo il tramonto, 
come sostenuto da parte appellante.
Né è sufficiente ad escludere il pericolo la circostanza che la caccia al 
capriolo avviene senza cani, e solo da parte di tiratori specializzati, perché 
non sono solo i cani a creare pericolo per l’incolumità, né è sufficiente la 
particolare competenza dei cacciatori, ad impedire l’errore umano nell’uso delle 
armi, errore che può essere fatale in situazioni di particolare affollamento 
della zona a causa della presenza di turisti.
In conclusione, va riconosciuto il potere del Sindaco a vietare l’esercizio 
della caccia per un limitato periodo di tempo e in una zona circoscritta, con 
ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, 
n. 142, a tutela dell’incolumità pubblica (in termini, T.A.R. Lazio – Roma, sez. 
II, 18 settembre 1991, n. 1368), e, in particolare, della salute dei turisti 
della zona in un determinato periodo dell’anno, ove l’urgenza sia tale da non 
consentire il ricorso tempestivo ad altri rimedi.
5. Per quanto esposto, va respinto il ricorso di primo grado.
Le spese di entrambi i gradi di lite possono essere compensate in considerazione 
della novità delle questioni.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente 
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 febbraio 2003, con la 
partecipazione di:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere
Pietro FALCONE Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere Est.
 
1) Caccia - potere del Sindaco a vietare l’esercizio della caccia con ordinanza contingibile e urgente - legittimità - tutela dell’incolumità pubblica dei turisti di una zona in un determinato periodo dell’anno. Va riconosciuto il potere del Sindaco a vietare l’esercizio della caccia per un limitato periodo di tempo e in una zona circoscritta, con ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, n. 142, a tutela dell’incolumità pubblica (in termini, T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 18 settembre 1991, n. 1368), e, in particolare, della salute dei turisti della zona in un determinato periodo dell’anno, ove l’urgenza sia tale da non consentire il ricorso tempestivo ad altri rimedi. Consiglio di Stato, Sezione VI del 26/05/2003, Sentenza n. 2387
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