Politiche di sostenibilità energetica
MAURO ALBERTI*
1 Introduzione
Il lavoro intende fornire un contributo alle recenti ricerche sul tema della 
sostenibilità, indagando in particolare le esperienze ed i possibili futuri 
sviluppi nella definizione ed attuazione di politiche orientate ad uno sviluppo 
sostenibile in campo energetico.
In questa prospettiva vengono esaminate nel dettaglio le recenti iniziative 
relative allo sviluppo delle fonti rinnovabili nell’ambito dell’Unione Europea, 
azioni sostenute attraverso strumenti di politica energetico-ambientale che 
intendono favorire il superamento degli ostacoli (economici, tecnici e di altra 
natura) che si frappongono alla crescita di queste nuove tecnologie energetiche.
Lo sfruttamento delle energie rinnovabili, promosso in Europa fin dagli anni ’701, 
è stato, in questi ultimi anni, oggetto di una serie di rinnovate ed importanti 
iniziative politiche e legislative nell’Unione Europea e negli Stati Membri, in 
parte riconducibili anche alle politiche ambientali avviate nella prospettiva di 
favorire uno sviluppo maggiormente sostenibile.
Le fonti rinnovabili consentono, infatti, di ovviare a problemi di inquinamento 
su scala globale (emissioni gas serra) ed anche regionale-locale (piogge acide, 
inquinamento atmosferico), contribuiscono alla sicurezza e diversificazione 
degli approvvigionamenti, diminuendo la dipendenza energetica degli stati 
nazionali dall’estero2.
Il sostegno a tali fonti di energia, per essere efficace, deve però 
necessariamente tener conto degli ostacoli che si frappongono alla possibilità 
di sfruttare il potenziale tecnico disponibile3.
Innanzi tutto vi è la necessità di offrire un sostegno economico a tecnologie 
non ancora completamente mature e competitive rispetto a quelle tradizionali.
In secondo luogo si pone il problema dell’autorizzazione degli impianti. La 
collocazione delle centrali (ad esempio eoliche) è un processo complesso poiché 
implica l’inserimento di nuove infrastrutture nel territorio in modo diffuso e 
con una pluralità di possibili impatti. Questo processo richiede quindi un 
diverso approccio al consenso, per superare i conflitti che portano oggi 
all’impossibilità di collocare gli impianti, più o meno efficacemente promossi, 
all’interno degli ambiti territoriali individuati ed in tempi compatibili con il 
decorso tipico degli investimenti produttivi.
Nell’affrontare il problema risulta quindi opportuno, da un lato, cercare di 
potenziare e di far percepire nella maniera corretta i benefici derivanti dallo 
sfruttamento dell’energia eolica, e dall’altro accompagnare l’inserimento delle 
infrastrutture nel territorio con un insieme di soluzioni indirizzate ai diversi 
aspetti del problema (tecnico, culturale-sociale, economico-produttivo, 
istituzionale), che siano integrate e coordinate rispetto alla questione 
fondamentale, che è la compatibilità dell’infrastruttura con l’ambiente ed il 
territorio interessati.
In riguardo a tali esigenze sarebbe forse opportuna una politica italiana 
maggiormente dedicata per le fonti rinnovabili che permettesse il consolidamento 
di un quadro generale di indirizzo e sostegno a tali fonti, sia dal punto di 
vista economico che dal un punto di vista tecnico-regolamentare, in quanto, in 
assenza di un indirizzo specifico e distinto, non è facile per i promotori 
individuare e rapportarsi agli interlocutori adeguati (in parte diversi rispetto 
al caso delle energie tradizionali) in modo da far loro percepire in maniera 
corretta, convincendoli a valorizzarle, le caratteristiche che rendono le fonti 
rinnovabili vantaggiose in particolari contesti (possibilità di soddisfare 
domande locali contenute garantendo una maggior autonomia energetica4 
e un minor impatto ambientale, possibilità di sostenere l’occupazione locale).
Per quanto riguarda invece specificamente il prevedibile conflitto tra 
l’introduzione (od il potenziamento) delle infrastrutture e la tutela degli 
interessi coinvolti (esercitata dalle diverse istituzioni preposte), il lavoro 
intende dimostrare l’opportunità di promuovere alcuni interventi (nelle attività 
di programmazione dei progetti da parte dei promotori, pianificazione 
territoriale da parte delle istituzioni, concertazione e certificazione delle 
modalità e delle tecniche di valutazione e mitigazione degli effetti, 
strutturazione di tutte le informazioni necessarie al corretto svolgimento delle 
suddette attività) che possano contribuire a determinare un processo chiaro, 
certo, omogeneo ed aperto ai diversi soggetti, attraverso cui la compatibilità 
possa venire valutata ed una decisione conseguente sia presa nella sicurezza di 
aver considerato correttamente tutte le esigenze in gioco.
 
2 Sviluppo sostenibile ed Energia
2.1 Il concetto di sviluppo sostenibile
2.1.1 Contenuti del concetto di Sviluppo Sostenibile
Il concetto di “sostenibilità” assume nel corso degli ultimi venti anni una 
crescente importanza nel panorama internazionale, ispirando una pluralità di 
orientamenti politici all’interno dei diversi Paesi, a cui sottostanno concetti 
complessi e inconsueti quali quello di “equità inter-generazionale” o idee più 
semplici e consolidate di assistenza sociale e/o salvaguardia dell’ambiente. Il 
principio di sviluppo sostenibile, sorto negli anni ’505 in seguito 
alla crescente drammaticità dei problemi di deterioramento ambientale, si 
colloca oggi in un contesto che non è (più) prettamente ambientale, ma 
presuppone un quadro di riferimento più ampio ed organico6. In esso 
convergono linee evolutive di diversa natura – politica, istituzionale, 
culturale, scientifica – maturate in ambito internazionale e nei singoli paesi, 
all’interno delle istituzioni e nei movimenti di opinione, in un intreccio tra 
scala globale e scala locale che costituisce un elemento strutturale dei nuovi 
scenari e del nuovo approccio. L’idea di sviluppo sostenibile rappresenta 
pertanto una formula sintetica che può essere utilizzata in differenti contesti 
per esprimere diversi contenuti7, cui sottostanno diversi approcci, 
interpretazioni politiche e strumenti d’analisi.
La definizione più nota, e sulla quale esiste maggiore consenso, di sviluppo 
sostenibile è quella proposta dal Rapporto Brundtland nel 19878: "uno sviluppo 
che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle 
generazioni future di soddisfare i propri bisogni".
Molto più importante della definizione, comunque, e molto più complicata, è 
l’individuazione delle condizioni, dei parametri e dei vincoli che in concreto 
devono essere considerati nell’accertare la “sostenibilità” di un qualsivoglia 
sistema sottoposto ad analisi, così come piuttosto complessa, ma altrettanto 
rilevante risulta l’identificazione dei limiti del sistema stesso9.
Argomenti come “equità inter-generazionale o intra-generazionale” e 
“sostituibilità delle risorse”, che sono di fondamentale importanza nel quadro 
teorico dello sviluppo sostenibile, acquistano un significato diverso in 
relazione al contesto in cui sono adottati e devono poter trovare un’adeguata 
trasposizione nelle politiche concrete attraverso cui la sostenibilità è 
perseguita.
Non si vuole in questa sede arguire sui fondamenti teorici degli argomenti 
suddetti10, piuttosto ci si limita ad osservare come possa essere utile, per 
portare la discussione su di un piano concreto, riferirsi ad un modello di 
sviluppo sostenibile che rifletta le reali e complessive interdipendenze 
esistenti tra sistema economico e ambiente. In tal senso si introduce l’idea di 
“funzioni ambientali”11 (si veda Figura 1). 
Per verificare l’attuale capacità dell’ambiente naturale di supportare le 
attività umane (funzione “sorgente”) si possono analizzare alcuni dati sulla 
disponibilità e sui trend di consumo di alcune risorse basilari (es. energia) in 
diverse aree del pianeta.
 

Come si può evincere dai dati riportati in Tabella 1, la domanda primaria di energia è prevista in costante crescita nel prossimo ventennio, fino ad aumentare all’incirca del 50% entro il 2020 (rispetto ai valori del 2000). In tal senso non è possibile pensare di mantenere gli attuali livelli di consumo nel mondo occidentale (area OECD) nel tempo (equità intergenerazionale) e poterli soddisfare con le fonti (esauribili) attualmente utilizzate. Ancor meno si può pensare di rendere conseguibili per tutta la popolazione mondiale (equità intragenerazionale) i livelli di consumo della parte di mondo maggiormente sviluppata (come di evince dalla colonna che simula i consumi ipotizzando per tutte le aree un’intensità energetica sui livelli di quella OECD). Riguardo al secondo aspetto vi è poi da aggiungere che la contemporanea forte crescita della domanda pro-capite e/o della popolazione in alcune aree del mondo (OECD, Asia ed in particolare Cina) porterà ad una domanda difficilmente sostenibile nelle modalità attuali. Sia come domanda assoluta, in considerazione della crescente dipendenza energetica dalle fonti fossili (e dai paesi che ne dispongono) che sono esauribili ed hanno un forte impatto sull’ambiente naturale, sia come domanda relativamente al territorio disponibile, in considerazione della necessità di collocare e far funzionare in maniera sicura tutte le infrastrutture necessarie al consumo finale di energia (impianti, reti di trasporto, stoccaggio e distribuzione)12 in aree ad elevata densità di popolazione.
Tabella 1: Domanda attuale e futura di energia nel mondo13
| AREA ↓ | Popolazione (milioni) | Superficie (migliaia di Km2) | Densità (n° ab/Km2) | Domanda effettiva 2000 assoluta (Mtoe) e percentuale | Dom. da procapite 2000 (toe/ab.) | Dom.da simulata 200014 | Dom.da prevista 2020 (Mtoe) | 
| OECD | 1122 | 34728 | 32,3 | 5211 (52,3%) | 4,74 | 5211 | 5876 | 
| Asia | 1908 | 12161 | 156,9 | 1196 (12%) | 0,59 | 9044 | 2546 | 
| China | 1269 | 9571 | 132,6 | 1136 (11,4%) | 0,92 | 6015 | 2146 | 
| Medio Oriente | 165 | 5584 | 29,6 | 379 (3,8%) | 2,30 | 782 | 681 | 
| Ex URSS | 290 | 22950 | 12,6 | 897 (9%) | 3,18 | 1375 | 1465 | 
| Europa non OECD | 58 | 643 | 90,2 | 90 (0,9%) | 1,64 | 275 | |
| Africa | 795 | 30243 | 26,3 | 548 (5,5%) | 0,64 | 3768 | 799 | 
| America Latina | 416 | 17820 | 23,3 | 508 (5,1%) | 1,10 | 1972 | 1095 | 
| Totale | 6023 | 133700 | 45 | 9963 | 1,65 | 28442 | 14800 | 
Non è pertanto razionalmente 
propugnabile l’idea di poter mantenere uno sviluppo (inteso come crescita) nel 
tempo senza tener conto di quelli che sono i limiti del pianeta, sia come fonte 
di risorse in lento (forse) ma progressivo esaurimento sia come ricettore dei 
residui nocivi delle attività antropiche15.
Piuttosto, dal quadro di analisi così impostato, scaturisce la necessità, avendo 
appurato l’esistenza di effetti negativi delle diverse attività antropiche sulle 
“funzioni ambientali”, di adoperare vincoli e/o incentivi16 
all’utilizzo di determinate risorse e di incorporare tali vincoli in tutte le 
strutture sociali attraverso cui vengono condotte tali attività (governi, 
mercati, aziende, agenzie di regolazione, ecc.), al fine di correggere la 
distribuzione di rischi e costi sia a livello spaziale (entro la medesima 
generazione) che a livello temporale (tra generazioni successive).
Le conseguenti modalità attraverso cui operare al fine di mantenere intatte le 
capacità del pianeta di soddisfare i bisogni umani17 
possono quindi essere ricondotte essenzialmente a due18:
- una riduzione degli effetti nocivi delle attività umane, realizzata con 
strumenti di politica ambientale ed attraverso l’innovazione (sostituzione di 
risorse non rinnovabili con risorse rinnovabili, innovazione nell’uso delle 
tecnologie ed innovazione nell’utilizzo del territorio);
- una progressiva modifica della struttura del sistema economico, orientata alla 
dematerializzazione e all’espansione dei settori a basso consumo di risorse.
Lo sviluppo sostenibile come è inteso in questo elaborato si basa pertanto in 
maniera fondamentale sulle capacità delle diverse istituzioni di sviluppare 
strategie, innovazioni e servizi orientati a salvaguardare il capitale naturale 
e ad integrarlo con le altre forme di capitale (artificiale, umano, culturale, 
sociale) che entrano nel processo di sviluppo in modo che emergano le evidenti 
complementarietà e le interrelazioni esistenti tra tutti questi patrimoni 
disponibili19.
2.1.2 Politiche (e Istituzioni) per la Sostenibilità
Vari tentativi sono stati condotti nel decennio passato per incorporare il 
concetto di sostenibilità nell’impostazione e nella pianificazione politica, sia 
a livello internazionale che all’interno dei singoli Paesi. Gli sforzi compiuti, 
tuttavia, non hanno portato ai risultati sperati, forse anche perché sono stati 
spesso fondati su criteri d’azione piuttosto vaghi.
Il primo piano d’azione formale in tema di sviluppo sostenibile risale alla 
Conferenza di Rio, tenutasi nel Giugno 1992. La Dichiarazione di Rio 
approfondisce per la prima volta in un contesto istituzionale globale (Nazioni 
Unite) le problematiche concernenti lo sviluppo sostenibile20.
Successivamente si assiste, perlomeno all’interno delle due principali macro 
aree del mondo occidentale (Stati Uniti ed Unione Europea) ad una progressiva 
introduzione del concetto di sviluppo sostenibile tra i principi ispiratori 
degli indirizzi politici generali. Seppur con differenze non trascurabili 
nell’impostazione21, 
nel corso dell’ultimo decennio il principio di sviluppo sostenibile inizia 
inoltre, in queste due aree del mondo, a determinare piani ed azioni all’interno 
di quei settori che sono ritenuti più legati al tema della sostenibilità 
(energia, trasporti, agricoltura). Le politiche per lo sviluppo sostenibile 
conferiscono quindi inizialmente un nuovo assetto alle tradizionali politiche 
ambientali, coerente con la necessità di considerare le questioni prioritarie 
nel loro complesso22.
2.1.2.1 Politiche per lo sviluppo sostenibile nell’Unione Europea
Per quanto riguarda l’Unione Europea (per un approfondimento si veda 
Allegato B: Sviluppo Sostenibile nell’Unione Europea e negli Stati Membri) 
ciò che sembra emergere dal lavoro condotto finora a livello comunitario ed 
all’interno degli Stati Membri sono linee comuni sull’approccio da seguire per 
improntare una politica di lungo periodo sullo sviluppo sostenibile. Queste 
linee prevedono il coordinamento “orizzontale” tra diversi ministri per la 
concezione di un quadro d’azione integrato23, 
la definizione di orizzonti di riferimento stabili e di modalità di verifica 
chiare che costituiscano un fondamento per le decisioni da adottare negli anni a 
seguire, la partecipazione attiva (e non solo in consultazione) di tutte le 
parti in causa (che si può ottenere solo traducendo i piani generali in piani a 
livello locale).
Questi temi sono ripresi anche nel recente documento dell’Unione Europea in cui 
viene definita la strategia per lo sviluppo sostenibile24.
La sostenibilità, concettualmente definita ad un livello molto aggregato, 
tipicamente globale, viene sempre più declinata in modo da prendere in 
considerazione i diversi livelli politico/amministrativi (ed in particolare il 
livello locale25) 
al fine di adottare azioni efficaci che possano indirizzare concretamente le 
prassi operative (si vedano ad esempio le leggi sulla Valutazione d’Impatto 
Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica introdotte nell’Unione Europea).
2.1.2.2 Politiche per lo sviluppo sostenibile in Italia
In Italia, benché le politiche in materia ambientale siano state adottate con un 
certo ritardo rispetto ad altri Paesi Europei26, 
la risposta all’invito delle Nazioni Unite (UNCED) in tema di sviluppo 
sostenibile è piuttosto rapida e alla fine del 1993 viene predisposto il 
Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile in Attuazione dell’ Agenda 2127.
Tale piano si ispira alle linee guida dell’Unione Europea, che si trovano nel V 
Programma d’Azione Ambientale28.
In tale piano se da un alto non sono presenti né argomentazioni relative ai 
criteri ed alle condizioni per il raggiungimento della sostenibilità né una 
strategia in riferimento a obiettivi specifici di sostenibilità29, 
dall’altro comincia però ad essere enfatizzata la necessità di integrare le 
considerazioni di carattere ambientale nelle differenti politiche settoriali 
(industria, trasporti, energia, agricoltura, turismo) così come la necessità di 
includere nell’analisi politica i costi e benefici ambientali, sia a livello 
privato (produttori/consumatori) che a livello pubblico (contabilità nazionale).
Con provvedimento CIPE del 4 maggio 1994, è successivamente istituito un 
Comitato interministeriale per la sostenibilità composto di rappresentanti di 11 
ministeri, con funzioni di verifica e d’informazione sull’attuazione del Piano 
nazionale.
Un significativo passaggio in relazione a programmi e politiche ufficiali per lo 
sviluppo sostenibile e per l'Agenda 21 da parte del Ministero dell'Ambiente, 
sembra compiersi nel maggio del 1998 con l'approvazione del Nuovo Programma 
per la Protezione dell'Ambiente30 
che prevede, tra i vari settori d’intervento, uno riguardante gli strumenti per 
lo sviluppo sostenibile.
Il 5 agosto 199831, 
viene istituita nell’ambito dello stesso CIPE una nuova commissione per lo 
sviluppo sostenibile, incaricata del monitoraggio sull’attuazione delle misure 
politiche e della valutazione della coerenza dei programmi e degli investimenti 
con gli obiettivi prefissati.
Più di recente, in seguito alla sottoscrizione dell’accordo sul Protocollo di 
Kyoto32 
ed alla ratifica33 
dello stesso da parte del legislatore italiano, si assiste da un lato alla 
stesura di una “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in 
Italia”34 
e dall’altro alla predisposizione di nuove linee guida per le politiche di 
riduzione dell’effetto serra35.
In queste linee guida si assume che, fino al 2010, si registri una crescita 
media annua del PIL del 2%36. 
Ciò premesso, al fine di programmare la riduzione emissioni di gas ad effetto 
serra viene costruito uno scenario “tendenziale”, o a legislazione vigente, 
basato sugli effetti di misure già avviate o “decise”37, 
ed uno scenario “di riferimento”, che considera gli effetti aggiuntivi di altre 
misure38, 
già “individuate” anche a fini diversi da quelli di abbattimento delle 
emissioni.
Si assume infine che la situazione delle emissioni al 2008-2012 (e al 2005) sia 
quella derivante dagli effetti prodotti dalle misure dei due sopra citati 
scenari.
Tenuto conto che l’obiettivo al 2008-2012 è di avere emissioni pari a 487,1 MtCO2, 
si conclude che è necessario individuare politiche e misure per un’ulteriore 
riduzione di 41 MtCO2. La situazione attesa la 2008-2012 è 
sintetizzata in Tabella 2.
Tabella 2: Italia - Scenari di 
emissione di CO2 e obiettivo di riduzione al 2008-2012 (MtCO2)
 
| Emissioni con scenario a legislazione vigente | Emissioni con scenario di riferimento (*) | Obiettivo di emissioni | Ulteriore riduzione necessaria per il raggiungimento dell'obiettivo | 
| 579,8 | 528,2 | 487,1 | 41,1 | 
Per  l’ottenimento dell’ulteriore abbattimento di 41 MtCO2, la 
delibera individua una serie di opzioni aggiuntive (di cui gran parte 
riguardanti il settore energetico, ivi incluse le iniziative relative ai 
meccanismi flessibili39, 
ed altre peculiari riguardanti il settore agricolo e forestale ), indicando, per 
ciascun intervento, anche gli investimenti necessari per la realizzazione ed i 
relativi costi .
2.2 Problematiche generate dal settore energetico
Il settore energetico è senz’altro uno degli ambiti per i quali il concetto 
di sviluppo sostenibile acquista recentemente un significato particolarmente 
forte, alla luce delle crescenti preoccupazioni da un lato sull’impatto dei 
cicli energetici sull’uomo e sull’ambiente e dall’altro sull’affidabilità delle 
riserve complessive di fonti fossili (petrolio e gas naturale in particolare), a 
fronte della notevole rilevanza che queste detengono nei consumi energetici 
mondiali42, 
e sul peso che le infrastrutture del settore (impianti, reti) possono avere 
sulla gestione sostenibile del territorio.
Per quanto concerne il primo aspetto, nonostante il settore energetico incida in 
termini di impatto su tutti i comparti ambientali, le tematiche connesse alle 
emissioni in atmosfera costituiscono uno degli aspetti più critici. Al settore 
dell'energia, che rappresenta una delle maggiori sorgenti di emissioni di 
inquinanti atmosferici e di gas climalteranti43, 
vengono, infatti, ricondotte alcune fra le più preoccupanti problematiche che 
affliggono il pianeta al livello globale, regionale e locale: il cambiamento 
climatico, l'acidificazione e la qualità dell'aria44. 
Esse sono in varia misura connesse alle emissioni in atmosfera di composti quali 
anidride carbonica (CO2), monossido di carbonio (CO), ossidi di zolfo 
(SOx), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili 
diversi dal metano (COVNM), particelle sospese (PST), protossido d'azoto (N2O), 
metano (CH4). Queste emissioni, esclusa la parte derivante da 
fenomeni naturali, sono prevalentemente legate all'utilizzo di combustibili 
fossili quali fonti energetiche in diversi ambiti (trasporti, industria, 
energia, ecc.).
Per quanto riguarda il secondo aspetto occorre analizzare l’impatto del settore 
sulle risorse naturali in genere, ed in particolare sulle risorse che 
maggiormente possono essere soggette ad esaurimento. Occorre quindi considerare 
il consumo dei combustibili fossili, ma anche l’uso del territorio, che è una 
parte fondamentale del capitale complessivo investito nelle attività del 
comparto energetico. Sempre più, soprattutto in Paesi e Regioni caratterizzati 
da elevate densità abitative il territorio diviene bene prezioso oggetto di 
possibili usi concorrenti da parte dei cittadini. Le infrastrutture del settore 
energetico costituiscono uno di questi possibili utilizzi e perciò una giusta 
attenzione deve essere destinata alla valutazione degli impatti di tali 
infrastrutture sul sistema economico-ambientale nel suo complesso. 
2.2.1 Impatti dei cicli energetici sull’uomo e sull’ambiente
2.2.1.1 I cambiamenti climatici
La terza relazione del Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite sui 
Cambiamenti Climatici (IPCC, Intergovernamental Panel on Climate Change), 
pubblicata nel 200145, 
afferma che appare ormai evidente un’influenza non trascurabile delle attività 
umane sul clima complessivo.
I dati disponibili indicano, infatti, in modo univoco che le concentrazioni 
atmosferiche di gas climalteranti, responsabili del cosiddetto "effetto-serra", 
sono notevolmente aumentate rispetto all'epoca preindustriale e che la 
temperatura media globale dei bassi strati dell'atmosfera è aumentata, rispetto 
alla fine del XIX secolo, di un valore medio globale di 0.6 °C, e comunque 
compreso fra 0.4 e 0.8°C.
Queste tendenze, se confermate nei prossimi anni, lasciano spazio ad ipotesi di 
aumento del livello dei mari, di maggior frequenza di piene ed inondazioni, di 
impatti sulle colture agricole e sulla biodiversità. 
 

Figura 2: Andamento concentrazioni CO2 e temperatura
Fenomeni che sarebbero accompagnati 
da forti ripercussioni anche nel campo economico e sociale, a causa delle 
modifiche delle opportunità di sviluppo per i vari paesi del pianeta, 
soprattutto per quanto riguarda le iniziative economiche, l'occupazione e la 
distribuzione della ricchezza.
L'intensità di questi impatti presenta tuttora margini di incertezza. La 
comunità scientifica ha compiuto notevoli progressi nel chiarire i meccanismi 
che legano le emissioni di gas serra alle concentrazioni di queste sostanze in 
atmosfera. Non è stato però ancora provato in modo definitivo che l'incremento 
della temperatura osservato sia effetto dell'aumento delle concentrazioni di gas 
serra in atmosfera.
Esiste in ogni caso un generale consenso sulla necessità e l'urgenza di 
politiche di riduzione delle emissioni di gas serra: le previsioni di aumento 
della temperatura media al 2100 variano infatti da 2 a 3.5 °C.
2.2.1.2 L'acidificazione e la qualità dell'aria
Al settore energetico, ed in particolare all'utilizzo di combustibili fossili, è 
in larga misura attribuibile anche il fenomeno dell'acidificazione, causa di 
danni all'ecosistema forestale, ai laghi, alle acque sotterranee e di 
superficie, ai suoli, al patrimonio artistico e culturale ed ai materiali in 
genere.
I principali inquinanti responsabili di fenomeni di acidificazione sono 
l'ammoniaca (NH3), gli ossidi di zolfo (SOx) e gli ossidi 
di azoto (NOx).
Mentre l'ammoniaca si origina prevalentemente da pratiche di tipo agricolo, le 
altre due classi di composti sono invece strettamente legate all'utilizzo di 
combustibili fossili, dei quali rappresentano un residuo di combustione.
Tali composti, in seguito a reazioni chimiche in atmosfera, cadono al suolo 
sotto forma di deposizioni acide, secondo un fenomeno comunemente noto come 
"piogge acide". Il loro impatto dipende dal tipo di suolo e dalla sua 
sensibilità a tali deposizioni e si manifesta a livello regionale.
Oltre ad essere coinvolti in fenomeni di inquinamento su grande scala, gli SOx 
e gli NOx sono anche fra i principali responsabili del problema 
dell'inquinamento atmosferico nelle aree urbane. Ad esso contribuiscono, oltre a 
quelli già citati, diverse classi di composti, sia per se stessi sia come 
precursori di altri inquinanti, tutti correlati con il settore energetico. Tra 
questi il monossido di carbonio (CO), i composti organici volatili diversi dal 
metano (COVNM), il particolato totale sospeso (PTS) di cui il PM10 
rappresenta una frazione, l'ozono troposferico (O3).
2.2.2 Accessibilità delle risorse 
2.2.2.1 Risorse energetiche non rinnovabili 
Sebbene le risorse di petrolio e di gas naturale non sembrino porre serie 
limitazioni all’offerta di fonti fossili nei prossimi decenni, esiste tuttavia 
una questione di disponibilità effettiva di queste nei mercati d’utilizzo. Già 
in passato eventi traumatici - come le restrizioni d’offerta che si sono 
registrate in diverse occasioni - hanno infranto le condizioni di equilibrio e 
creato situazioni di tensione che hanno poi investito l’intero sistema economico 
. Alla luce di queste considerazioni è perciò quanto mai importante valutare in 
termini corretti costi e benefici delle diverse tipologie di fonti energetiche 
(convenzionali vs. rinnovabili)47.
 
2.2.2.2 Uso del territorio
Un altro elemento da considerare, nel valutare gli impatti del comparto 
dell’energia, è il “consumo” di territorio che la produzione, la distribuzione e 
l’utilizzo di energia comportano. Le infrastrutture utilizzate (impianti di 
produzione, reti di distribuzione e stoccaggio, apparecchiature di utilizzo) 
contribuiscono in misura variabile all’ingombro del suolo, che può avere una 
serie di destinazioni alternative ed agli annessi problemi di disturbo degli 
scenari paesaggistici (impatti visivi).
Anche in considerazione di questo aspetto è quindi opportuno analizzare i pro ed 
i contro dell’utilizzo delle fonti energetiche convenzionali rispetto alle fonti 
alternative48 
(rinnovabili).
Gli elementi da valutare in tal caso sono la superficie di territorio ingombrato 
in relazione all’energia prodotta (per gli impianti)49 
e/o all’energia distribuita/stoccata (per le reti di distribuzione o di 
stoccaggio) e la qualità e sensibilità dei paesaggi interessati da tali 
infrastrutture50. 
In tal senso è opportuno tener conto anche della (ir)reversibilità delle scelte 
relative alle tecnologie utilizzate ed alla collocazione delle infrastrutture 
nel territorio51.
3 Le politiche per la sostenibilità 
energetica
3.1 Sviluppo 
sostenibile e sostenibilità energetica
E' evidente, in considerazione di quanto appena esposto, che le politiche 
energetiche rappresentano un nodo fondamentale per il raggiungimento di quegli 
obiettivi di sostenibilità52 
che la comunità internazionale ed i diversi Paesi ritengono di dover perseguire 
nel prossimo futuro.
Riguardo all’uso delle risorse energetiche, le recenti politiche ambientali 
adottate in ambito Europeo si possono sostanzialmente ricondurre a due processi:
• Il primo riguarda il tentativo internazionale di giungere a comuni 
accordi per la riduzione, in tempi e quantità definite, delle emissioni in 
atmosfera derivate dalla combustione delle fonti energetiche53. 
A questo proposito, al centro del dibattito mondiale sono state le trattative 
per la ratifica del Protocollo di Kyoto sulla riduzione dei gas serra, 
trattative giunte infine ad un accordo raggiunto con la sottoscrizione nella 
conferenza di Marrakech (Novembre 2001). Di minore risonanza, ma non certo di 
importanza secondaria, sono i progressi degli accordi internazionali per la 
riduzione delle emissioni acide in atmosfera che hanno trovato un momento 
significativo con la stesura del Protocollo di Göteborg54.
• Il secondo processo, che scaturisce in parte come risposta al primo55, 
riguarda, all’interno del contesto Europeo, l’introduzione di un 
indirizzo comune per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la diffusione di 
pratiche di utilizzo razionale ed efficiente dell'energia, nonché l'incentivo 
verso un minor consumo di combustibili ad elevato impatto ambientale56.
3.2 Accordi internazionali
3.2.1 Il Protocollo di Kyoto
Il Protocollo di Kyoto, redatto ed approvato nel 1997, individua le prime misure 
per l'attuazione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti 
Climatici (UN-FCCC), ratificata dall'Italia nel 199457.
Esso stabilisce la riduzione di anidride carbonica (prodotta dall'impiego di 
combustibili fossili), del metano (derivante dalle discariche e dalla 
zootecnia), del protossido di azoto (derivante dalle attività agricole e dalle 
produzioni chimiche) e di tre composti fluorurati impiegati nell'industria ed 
impegna i paesi industrializzati a ridurre le proprie emissioni, entro il 2012, 
nella misura complessiva globale del 5.2% rispetto ai livelli del 199058. 
Dopo l'abbandono del protocollo da parte degli USA nel marzo 2001 ed in seguito 
alla posizione assunta da un gruppo di paesi, il cosiddetto "umbrella group"59, 
per evitare il fallimento completo delle trattative nella sezione negoziale di 
Bonn del luglio 2001, gli obiettivi iniziali sono stati modificati in maniera 
rilevante (si veda 
Allegato C: Obiettivi e metodologie di abbattimento delle emissioni – il 
Protocollo di Kyoto). Dopo intense trattative, l’accordo sul documento di 
attuazione è stato finalmente sottoscritto dai 167 Paesi presenti alla 
conferenza mondiale sul clima, tenutasi a Marrakech (Ottobre-Novembre 2001). In 
tale sede l’Unione europea ha accolto alcune delle richieste di Russia, 
Giappone, Australia e Canada e questi Paesi da parte loro hanno accettato il 
documento di compromesso presentato dalla presidenza marocchina della 
Conferenza, salvando così di fatto i precedenti quattro anni di trattative60.
 
3.3 Politiche nell’Unione Europea
Sebbene le istituzioni europee esercitino una grande influenza nel settore 
dell’energia, la politica energetica dell’Unione Europea non dispone di una base 
giuridica riconosciuta nei Trattati. Nondimeno gli obiettivi di politica 
energetica verso cui convergono le politiche comunitarie e nazionali sono state 
già da alcuni anni chiaramente identificate nel Libro Bianco “Una politica 
dell’energia dell’Unione Europea”61. 
Con tale documento, l’Unione Europea ha definito tre obiettivi prioritari per la 
propria politica energetica: 1. sicurezza / diversificazione negli 
approvvigionamenti; 2. competitività delle fonti; 3. tutela e rispetto 
dell’ambiente.
Da una parte, il dibattito intorno ai cambiamenti climatici ha rafforzato 
l’importanza della dimensione ambientale e dello sviluppo sostenibile nella 
politica energetica comunitaria. Dall’altra, la volatilità dei prezzi 
petroliferi osservati nell’ultimo decennio ha evidenziato i rischi per l’Unione 
Europea della sua dipendenza energetica da altri Paesi62.
Le strategie messe in opera a scala europea riguardano le seguenti tematiche:
- sicurezza dell’approvvigionamento e dipendenza energetica;
- apertura del mercato dell’energia63;
- miglioramento dell’efficienza energetica;
- sviluppo delle fonti rinnovabili;
- integrazione degli obiettivi di riduzione dei gas serra nella politica 
energetica.
Tra le ultime tre politiche citate, mentre le prime due sono state perseguite 
fin dagli anni 70’ in seguito alle necessità imposte dalla crisi energetica, la 
terza è senz’altro più recente; nondimeno il problema del cambiamento climatico 
ha contribuito a dare al risparmio (efficienza negli usi finali) energetico ed 
allo sviluppo delle fonti rinnovabili una nuova collocazione nel contesto delle 
politiche energetiche generali. Infatti alle ragioni della sicurezza 
dell’approvvigionamento e della (minor) dipendenza dall’estero si è aggiunta una 
forte motivazione di carattere ambientale che rende sempre più imprescindibili 
queste misure volte a ridurre i consumi e/o le emissioni, variando la natura 
delle tecnologie utilizzate64.
Prima di passare ad analizzare in dettaglio le tre suddette tematiche (partendo 
proprio dalle misure volte alla riduzione dei gas serra) è opportuno altresì 
ricordare che le politiche della Comunità Europea nel settore energetico a 
partire dagli anni novanta, spingono gli stati membri ad un decentramento delle 
responsabilità in materia energetico-ambientale65. 
La Comunità Europea sempre più intende coinvolgere, al di là di quelle che sono 
le volontà di decentramento all’interno dei singoli stati membri, le autorità 
regionali e locali nei processi di governo delle politiche energetiche a livello 
comunitario66, 
attraverso la creazione di reti di autorità locali che possano dialogare con le 
istituzioni europee. In tal senso numerosi sono stati e sono i programmi creati 
in ambito comunitario, mediante significativi contributi finanziari, per 
favorire una responsabilizzazione degli enti locali come attori delle politiche 
energetico-ambientali67. 
Le regioni e gli enti locali divengono pertanto attori istituzionali che sono 
chiamati a svolgere un ruolo essenziale in tutte le politiche energetiche di 
seguito introdotte.
3.3.1 L’integrazione degli obiettivi di riduzione dei gas serra nella 
politica energetica europea
Nel contesto del dibattito avviato dalle trattative per il Protocollo di 
Kyoto, la Commissione Europea ha adottato una serie di misure volte a ridurre le 
emissioni di gas ad effetto serra:
- Direttiva 99/296/CE, che modifica la Decisione 93/389/CE, che stabilisce un 
meccanismo di sorveglianza delle emissioni dei gas serra ;
- “Libro verde sullo scambio dei diritti di emissione di gas ad effetto serra 
all’interno dell’Unione Europea” (COM 2000 – 87) concernente uno dei meccanismi 
flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto69;
- Comunicazione al Consiglio ed al Parlamento Europeo: “Verso un programma 
europeo per il cambiamento climatico (ECCP)”, che descrive le politiche e le 
misure dell’Unione Europea per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra (COM 
2000 – 88);
- Misure fiscali destinate alla protezione dell’ambiente. La proposta di 
Carbon Tax (COM 92 – 226 e COM 95 – 172) ed i tentativi di armonizzazione 
delle accise sui prodotti energetici sono sfociati nella Direttiva 97/3070, 
che punta all’armonizzazione e all’avvicinamento delle accise sugli oli minerali71;
- Proposta di direttiva per lo scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto 
serra nella Comunità (al Consiglio ed al Parlamento Europeo il 29 ottobre 2001);
- Ratificato il Protocollo di Kyoto con decisione comunitaria n°6871 del 4 Marzo 
2002.
3.3.2 Efficienza energetica
Per quanto concerne l’efficienza energetica, l’Unione Europea ha avviato 
una serie di programmi (SAVE, SAVE II) e di proposte legislative (tra le quali 
le recenti proposte di direttive in materia di cogenerazione72 
e di efficienza energetica negli edifici73) 
volte a favorire le iniziative (ed a rimuovere gli ostacoli all’investimento) in 
questo campo74. 
Sono stati altresì individuate le azione prioritarie da portare a compimento75.
3.3.3 Sviluppo fonti di energia rinnovabili
A livello europeo, un nodo importante nella discussione sulle fonti 
energetiche alternative è rappresentato dal "Libro Bianco sulle energie 
rinnovabili"76, 
pubblicato dalla Commissione nel maggio 1998. Tale documento sottolinea 
l'importanza strategica per i paesi dell'Unione delle fonti energetiche 
rinnovabili. Esse, in quanto fonti interne, possono contribuire a ridurre la 
sempre crescente dipendenza dell'UE dalle importazioni e ad aumentare la 
sicurezza degli approvvigionamenti; inoltre, possono rappresentare nuovi sbocchi 
commerciali legati al fabbisogno energetico dei paesi emergenti. La Commissione 
ripropone l'obiettivo fissato dal precedente Libro Verde77: 
il raddoppio (dal 6 al 12%)78 
del contributo delle fonti rinnovabili al consumo interno lordo di energia entro 
il 2010.
Oltre ai documenti di politica energetica (Libro Bianco della Comunità Europea 
sulle fonti rinnovabili e Green Paper79 
sulla sicurezza dell’approvvigionamento) che indicano obiettivi di lungo periodo 
ed ai programmi pluriennali per promuovere le fonti energetiche nella comunità80, 
nel corso del 2001 nell’Unione Europea è stata introdotta una direttiva 
specifica che fissa obiettivi quantitativi di sviluppo per le fonti rinnovabili81.
In base ai contenuti nella Direttiva, i Paesi membri possono adottare meccanismi 
diversi a sostegno delle produzioni di energia dalle fonti rinnovabili, tra cui 
gli aiuti agli investimenti, esenzioni e riduzioni fiscali, restituzioni di 
imposta e compensazioni dirette, sul presupposto che il sostegno pubblico possa, 
nel lungo periodo, renderle competitive rispetto a quelle prodotte con fonti 
convenzionali.
La Direttiva non suggerisce l'adozione di particolari meccanismi di 
incentivazione dell'energia da fonti rinnovabili ma prende atto della necessità 
degli stessi e si pone, come fine ultimo, di monitorarne l'efficacia in modo da, 
in futuro, armonizzare il sostegno alle fonti rinnovabili in ambito comunitario. 
La Direttiva è tesa a realizzare nei Paesi membri un modello di accesso al 
mercato per le piccole e medie imprese e i produttori indipendenti di 
elettricità, affinché gli stessi possano svolgere un ruolo importante nella 
produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili, migliorando, 
peraltro, gli sbocchi occupazionali per le aziende del settore.
Tra le fonti rinnovabili non devono essere dimenticati i biocombustibili, in 
rapporto ai quali recentemente a livello comunitario sono scaturite due proposte82 
di direttive per la promozione dell’utilizzo nei trasporti83.
 
3.4 Politiche in Italia
Anche In Italia, nel corso dell’ultimo decennio, si assiste al sorgere di 
politiche e programmi orientati verso gli obiettivi di sostenibilità definiti a 
livello di Unione Europea.
Il Piano Energetico Nazionale (PEN, 1988) è il primo documento in cui si possono 
rinvenire gli obiettivi tuttora ritenuti prioritari in ambito energetico84:
- promozione dell’uso razionale dell’energia e del risparmio energetico;
- sviluppo progressivo di fonti di energia rinnovabile.
Il PEN fissa gli obiettivi di introduzione delle fonti rinnovabili, suggerendo 
l’adozione da parte di tutte le Regioni di Piani d’Azione per la promozione e 
l’utilizzo di tali fonti sul proprio territorio.
Successivamente la legge n°9/9185 
introduce un regime favorevole alla produzione dell’energia elettrica da fonti 
rinnovabili ed assimilate86.
Con il provvedimento n° 6/92, detto anche “CIP 6”, il Comitato Interministeriale 
Prezzi fissa il termine per la concessione degli incentivi in otto anni 
dall’entrata in funzione dell’impianto87,88.
La Legge n°10/9189 
prescrive l’emanazione di tutta una serie di norme (molte delle quali rimaste 
non applicate90) 
in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo 
delle fonti rinnovabili91.
Diretta continuazione delle agevolazioni contemplate nella Legge n°10/91 possono 
essere considerati i benefici fiscali previsti dalla Legge n° 449/97 (che 
contiene misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), prorogati o 
ampliati dalle successive leggi finanziarie (n° 448 del 23 Dicembre 1998, n° 488 
del 23 Dicembre 1999 e n° 388 del 23 Dicembre 2000)92.
Un’altra misura fiscale che il governo italiano decide di adottare, seguendo 
l’esempio dei Paesi Scandinavi e dell’Olanda, in collegato con la legge 
finanziaria n° 488 del 1999, è la Carbon Tax, un’imposta che grava sui 
combustibili fossili93. 
La tassazione sull'anidride carbonica viene introdotta al fine di ridurre le 
emissioni in linea con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto94.
In direzione di una maggiore efficienza del settore energetico nel suo complesso 
si muove il Decreto Legislativo n°79/9995, 
che pone le basi per l’effettiva liberalizzazione del mercato interno 
dell’energia elettrica96.
Con il decreto si intende promuovere anche un più ampio contributo delle fonti 
rinnovabili (già oggetto di altre iniziative in cui vengono gettate le basi per 
una più forte valorizzazione delle stesse all’interno del quadro energetico 
globale97) 
per il soddisfacimento del fabbisogno di elettricità, attraverso l’emanazione 
delle seguenti principali misure98:
• assicurare la precedenza nel dispacciamento all’elettricità prodotta da 
impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili;
• obbligare, a decorrere dal 2001, le imprese che producono o importano 
elettricità da fonti non rinnovabili a immettere in rete, nell’anno successivo, 
una quota prodotta da impianti nuovi o ripotenziati alimentati da fonti di 
energia rinnovabili ed entrati in esercizio dopo l’ 1 aprile 199999 
(si tratta del cosiddetto meccanismo dei Certificati Verdi100);
• dare la priorità all’uso delle fonti di energia rinnovabili nelle piccole reti 
isolate;
 
Tabella 3: produzione lorda di elettricità da rinnovabili (situazione e previsioni di sviluppo)101
| Situazione 1997 | Situazione 2000 | Prev. 2002 LB | Prev. 2010 LB | |||||
| Tecnologia | MWe | TWh | MWe | TWh | MWe | TWh | MWe | TWh | 
| Idro > 10 MW | 13.942 | 33,47 | 14.445 | 36,10 | 14.300 | 34,32 | 15.000 | 36,0 | 
| Idro < 10 MW | 2.187 | 8,12 | 2.200 | 8,10 | 2.400 | 8,88 | 3.000 | 11,1 | 
| Geotermia | 559 | 3,90 | 626 | 4,70 | 650 | 4,78 | 800 | 5,9 | 
| Eolico | 119 | 0,12 | 681 | 1,20 | 700 | 1,40 | 2.500 | 5,0 | 
| Solare | 16 | 0,01 | 16 | 0,01 | 25 | 0,03 | 300 | 0,3 | 
| Biomasse. biogas e rifiuti | 281 | 0,82 | 685 | 1,90 | 730 | 4,03 | 3.100 | 17,8 | 
| Totale | 17.104 | 46,44 | 18,653 | 52,01 | 18.805 | 53,44 | 24.700 | 76,1 | 
Recentemente, dopo la definizione di 
altre misure volte alla sostenibilità energetica (ed in particolare 
all’efficienza negli usi finali102), 
si assiste ad una forte accelerazione delle politiche in seguito alla ratifica 
del protocollo di Kyoto da parte del parlamento. La legge di ratifica (L. 
120/2002), insieme allo schema di delibera CIPE (Ottobre 2002, per la “Revisione 
delle linee guida politiche e delle misure nazionali di riduzione delle 
emissioni dei gas serra”) ed al disegno di legge per “la riforma ed il riordino 
del settore energetico103”) 
recentemente presentato al parlamento impostano il nuovo quadro delle politiche 
energetiche italiane.
In particolare, laddove lo schema di delibera stabilisce un obiettivo di livello 
massimo di emissioni (di CO2, per il periodo 2008-2012) per l’industria 
energetica104, 
il ddl impone (al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il 
Ministro delle attività produttive ed il Ministro dell'ambiente e della tutela 
del territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge) di 
provvedere ad individuare, per il periodo 2003-2010, soglie decrescenti nel 
tempo di emissione specifica di anidride carbonica, consentite ai soggetti 
produttori105. 
In tal modo si viene a determinare indirettamente dal lato dell’offerta una 
spinta ad aumentare il ricorso alle energie rinnovabili e ad impostare programmi 
per l’efficienza energetica (nella produzione). Questa spinta si aggiunge alla 
misura diretta (prevista dall’art. 22 del ddl) di incremento della quota 
obbligatoria di energia elettrica da fonti rinnovabili (aumento progressivo 
annuale del 0,35%)106.
È opportuno infine ricordare che anche in Italia si è assistito negli ultimi 
anni ad un processo di decentramento dell’autorità in materia energetica107. 
Il Decreto Legislativo 112/98 di attuazione della Legge 59/97 imprime una 
significativa modifica al modello ordinamentale complessivo delle competenze 
dello Stato italiano. Esso prevede la conservazione allo Stato delle funzioni di 
definizione degli obiettivi e delle linee di politica energetica nazionale e dei 
relativi atti di indirizzo e coordinamento per la programmazione108. 
Alle Regioni ed ai Comuni109 
sono delegate le funzioni amministrative in tema di energia, che non siano 
riservate specificatamente allo Stato110.
In seguito al decentramento di funzioni verso le autorità periferiche (in 
materia di energia, ambiente e supporto alle imprese), sono altresì individuate 
le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle 
Regioni e agli Enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti 
amministrativi111, 
spostamento inteso a garantire concretamente i mezzi necessari per attuare 
interventi nei settori di cui gli enti hanno acquisito nuova responsabilità 
politica. In seguito a questi trasferimenti, in questi ultimi anni si sta 
assistendo a numerose iniziative volte a promuovere programmi a livello 
regionale e locale (es. finanziamento ai programmi regionali sulla carbon tax, 
programmi per l’utilizzo di fonti rinnovabili, decreti per l’adozione di 
interventi per l’efficienza energetica).
In seguito la legge costituzionale n. 3/2001, recante modifiche al titolo V 
della parte II della costituzione, ha innovato l’assetto delle competenze tra 
centro e periferia, inserendo, tra le altre, anche “produzione, trasporto e 
distribuzione nazionale dell’energia” tra le materie a legislazione concorrente112 
(tra Stato e Regioni).
Più recentemente l’art. 6 del DDL Energia (per “la riforma ed il riordino del 
settore energetico”) si impegna a delimitare le funzioni amministrative statali113, 
generali e specifiche per i settori elettrico114 
e del gas.
3.5 Fonti rinnovabili e sviluppo sostenibile
Come si può evincere dall’analisi fin qui condotta sulle politiche volte 
alla sostenibilità energetica, le fonti rinnovabili occupano un ruolo 
fondamentale nel quadro delineato. Esse costituiscono uno strumento importante 
(unico sul lato dell’offerta di fonti endogene, secondo il Libro Verde UE115) 
per coniugare i diversi obiettivi oramai accettati e condivisi all’interno 
dell’Unione Europea e degli Stati Membri: aumento della sicurezza degli 
approvvigionamenti, diminuzione della dipendenza da paesi stranieri, protezione 
e salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali. Lo sviluppo delle fonti 
rinnovabili diviene pertanto fondamentale116 
nella ricerca di modelli di sviluppo energetico compatibili con i discorsi di 
sviluppo sostenibile. 
Conseguentemente devono essere pensate opportune misure per rimuovere gli 
ostacoli allo sviluppo di un nuovo settore, ostacoli che presentano risvolti non 
solo tecnologici, ma anche socio-economici ed ambientali. 
Le energie rinnovabili si fondano su impianti piccoli, diffusi e non riescono, 
quindi, in riferimento alle taglie unitarie tipiche di impianto, a generare le 
forti economie di scala che si ottengono mediante le tecnologie tradizionali117. 
Per questo motivo gli elevati investimenti in conto capitale esigono 
necessariamente la certezza di flussi in entrata stabili e più elevati, ovvero 
di durata maggiore, rispetto alle tecnologie convenzionali.
Alla luce di questa situazione di svantaggio è estremamente importante che le 
fonti rinnovabili possano godere di un quadro (economico) di supporto allo 
sviluppo che assicuri ad esse la possibilità di competere con le fonti 
tradizionali attraverso progetti attrattivi e finanziariamente praticabili. 
Inoltre, per le citate peculiarità in termini di tipologia e taglia di impianto, 
di condizioni di funzionamento e di diffusione sul territorio, esse abbisognano 
di particolare attenzione nell’ambito delle politiche di governo del mercato 
dell’energia, di accesso alle reti (e al servizio di dispacciamento118) 
e di meccanismi autorizzativi.
Ai vincoli considerati finora, che si ricollegano in parte anche alla 
complessità tipica dell’evoluzione di nuovi cicli tecnologici, se ne affiancano 
altri, di natura “socio-ambientale” connessi agli interessi che potrebbero 
essere coinvolti dai cambiamenti: gli interessi economici delle imprese attive 
nei settori delle energie convenzionali e degli addetti che lavorano in questi 
settori, gli interessi (economici e non119) 
di residenti e non residenti per le aree territoriali (e per le risorse 
ambientali in esse comprese) che potrebbero essere sede di futuri impianti a 
fonte rinnovabile.
In un quadro di questo tipo ci si trova quindi di fronte ad una situazione di 
competizione (ma anche cooperazione120) 
tra più attori (imprese, sistemi paese, entità territoriali) e su più fronti:
■ nella capacità di sfruttamento 
delle risorse (tecnologie di utilizzo delle fonti convenzionali e non 
convenzionali, risorse finanziarie);
■  nella capacità di utilizzo dell’ambiente e del territorio in tutte le 
sue funzioni (tecniche di pianificazione/zonizzazione, tecniche/criteri di 
valutazione delle alternative di utilizzo, tecnologie di “costruzione”);
■  nella capacità di uso efficiente delle risorse.
Il quadro è oltretutto reso ancor 
più complicato dalla presenza di elementi quali regimi di monopolio in taluni 
Paesi, sussidi ad energie mature ed altre barriere all’entrata121 
di nuove opzioni, diversa maturità dei cicli tecnologici delle varie fonti, 
esternalità, asimmetrie informative122.
Il quadro di supporto deve pertanto prendere in considerazione tutte le 
possibili barriere allo sviluppo delle fonti rinnovabili, ed impostare una 
politica unitaria e coordinata per attuare una serie di interventi riconducibili 
ad alcune categorie comuni:
- Politici: creazione e definizione delle motivazioni per il supporto alle 
iniziative necessarie allo sviluppo delle fonti rinnovabili;
- Tecnologici: impulso alle fasi di ricerca, sviluppo e dimostrazione della 
fattibilità;
- Legislativi: creazione di un quadro giuridico e di legislazioni appropriati, a 
livello Europeo e nazionale, che supportino lo sviluppo delle fonti rinnovabili;
- Finanziari e/o fiscali: definizione di schemi di finanziamento utili al 
conseguimento di benefici monetari a lungo termine, ovvero introduzione di 
correzioni al sistema fiscale per tenere conto delle diseconomie (esternalità 
ambientali) legate all’utilizzo delle fonti convenzionali;
- Regolamentari/Amministrativi: semplificazione dell’accesso dell’output 
(energia elettrica, calore) da fonti rinnovabili alle infrastrutture (reti) 
esistenti e all’utente finale; attuazione delle procedure a livello regionale e 
locale per il supporto operativo ai progetti inerenti le fonti rinnovabili (nel 
rispetto degli interessi locali legittimi);
- Informativi: creazione di consapevolezza della potenzialità delle fonti 
rinnovabili (ad esempio in termini di ricadute positive sull’occupazione).
Bibliografia
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Netherlands, 1998
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Legislazione italiana in materia di fonti rinnovabili:
- Legge 9/91.
- Legge 10/91.
- Decreto lgs 504/95.
- Provvedimento Cip 6/92.
- Decreti Minindustria 19 luglio 1996 e 24 febbraio 1997.
- Legge 448/98, art. 8, comma 10, lett.f.
- Delibera Cipe 19 novembre 1998.
- Delibera Cipe 6 agosto 1999.
- Decreto legislativo 79/99.
- Decreto MICA 11 novembre 1999.
- Legge 133/99, art. 10, comma 5.
- Legge 133/99, art. 10, comma 7.
- Delibera autorità 224/00.
- Decreto legislativo 164/00.
- Legge 342/00, art. 60, comma 1.
- Decreto MINAMB 20 luglio 2000.
- Programma comune polarizzato.
- Programmi MINAMB-Regione Lombardia.
- Programma MINAMB per grandi comuni.
- Programma MINAMB tetti fotovoltaici.
- Legge finanziaria 2001, art. 109.
- Legge finanziaria 2001, art. 110.
- Legge finanziaria 2001, art. 111.
- Legge finanziaria 2001, art. 21.
- Legge finanziaria 2001, art. 22.
- Legge finanziaria 2001, art. 27.
- Legge finanziaria 2001, art. 29.
- Decreti ministeriali 24 aprile 2001.
 
Siti Internet
→  http://www.un.org/esa/sustdev 
→  http://www.oecd.org/env/index.htm 
→  http://esl.jrc.it/envind/
→  http://europa.eu.int/comm/energy/ index_en.html 
→  http://europa.eu.int/comm/energy_transport/atlas/htmlu/windrtdf.html 
→  http://www.bmu.de/english/fset1024.php 
→  http://gp.fmg.uva.nl/ame/research/institutions/windpower.html 
4 ALLEGATI
4.1 Allegato A: Il vertice di Johannesburg 2002
Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo sostenibile tenutosi a Johannesburg ha 
visto l’approvazione di un piano di attuazione sullo sviluppo sostenibile, 
composto da 10 capitoli e da 148 paragrafi.
Di seguito sono indicati i principali contenuti del Piano.
PRINCIPI
• Conferma del principio 15 della Dichiarazione di Rio: Approccio 
precauzionale 
• Conferma del principio 7 della Dichiarazione di Rio: Responsabilità 
comuni ma differenziate tra Paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo
OBIETTIVI E SCADENZE
Diritti umani - Promozione e rispetto dei diritti umani 
e delle libertà fondamentali, che assumono il ruolo di criterio 
essenziale nelle strategie per la riduzione della povertà, la protezione della 
salute, la conservazione e gestione delle risorse naturali.
Promozione dell'accesso delle donne, sulla base di un principio di 
uguaglianza, a tutti i processi decisionali, ed eliminazione delle forme di 
discriminazione e violenza contro le donne. 
Impegno ad adottare misure immediate ed efficaci per eliminare lo 
sfruttamento del lavoro minorile, ed adottare strategie per l'eliminazione 
di tutte le forme di lavoro minorile contrarie agli standard internazionali. 
Riconoscimento degli standard e dei principi stabiliti dalla Organizzazione 
Internazionale del Lavoro (ILO) per la protezione dei diritti dei lavoratori.
Lotta alla povertà - Conferma dell'obiettivo della "Dichiarazione 
del Millennio" di dimezzare entro il 2015 il numero di persone con un reddito 
inferiore ad 1 US $. 
Protezione della salute - Promozione e rafforzamento dei programmi 
e delle misure per assicurare la diffusione e l'accesso ai servizi di 
assistenza sanitaria di base.
Riduzione di due terzi, entro il 2015 rispetto ai dati del 2000, la mortalità 
infantile al disotto di 5 anni. 
Ridurre di tre quarti, entro il 2015 rispetto ai dati del 2000, la mortalità da 
parto. Ridurre del 25% entro il 2005 nei paesi maggiormente colpiti ed entro il 
2010 globalmente, il numero dei malati di AIDS di età compresa tra i 15 e i 24 
anni. Eliminazione del piombo dalle benzine, dalle vernici e da tutte le 
possibili sorgenti di contaminazione, per prevenire le malattie connesse 
all'inquinamento da piombo. 
Acqua potabile - Dimezzare entro il 2015 il numero di persone che 
non hanno accesso all'acqua potabile e purificata. 
Adottare entro il 2005 i piani per la gestione integrata ed efficiente delle 
risorse idriche; 
Sostanze chimiche - Impegno per l'entrata in vigore, entro il 
2004, della Convenzione delle Nazioni Unite per l'eliminazione delle sostanze 
organiche persistenti (POPs) e in particolare per l'eliminazione dei pesticidi.
Perseguire l'obiettivo di eliminare le produzioni e gli usi delle altre 
sostanze chimiche pericolose per l'ambiente e per la salute entro il 2020 (minimizzare 
gli impatti). 
Biodiversità - riduzione significativa della perdita di 
biodiversità entro il 2010. 
Protezione degli oceani e pesca - Promozione della applicazione 
dell'"approccio ecosistemico" per la protezione della biodiversità marina. 
Adottare le strategie e le misure necessarie per la generalizzare le pratiche 
della pesca sostenibile entro il 2012. 
Avviare dal 2004 una regolare attività di monitoraggio e valutazione dello 
stato dell'ambiente marino. 
Energia - Aumento significativo della quota di produzione di 
energia elettrica da fonti rinnovabili e promozione delle tecnologie a 
basso impatto ambientale.
Progressiva eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili che hanno 
effetti negativi sull'ambiente.
Monitoraggio e coordinamento delle iniziative per la promozione delle 
fonti rinnovabili.
Impegno volontario dei paesi dell'Unione Europea, e di altri paesi, per 
aumentare la quota di energia rinnovabile nella produzione mondiale di energia.
Cambiamenti Climatici - Conferma degli obiettivi della Convenzione 
Quadro sui Cambiamenti Climatici, e in particolare della stabilizzazione, a 
livelli non pericolosi per l'equilibrio del clima, della concentrazione in 
atmosfera di anidride carbonica e degli altri gas-serra. 
Appello ai paesi che non hanno ancora ratificato il Protocollo di Kyoto, per la 
ratifica in tempi brevi. 
MODELLI SOSTENIBILI DI PRODUZIONE E CONSUMO
• Promuovere lo sviluppo di programmi quadro decennali per la 
realizzazione di iniziative finalizzate alla modificazione dei modelli di 
consumo e di produzione non sostenibili; 
• Individuare politiche, misure e meccanismi finanziari per sostenere i modelli 
di consumo e produzione sostenibili; 
• Promuovere e diffondere procedure di valutazione di impatto ambientale e di 
"ciclo di vita" dei prodotti, anche al fine di incentivare quelli più favorevoli 
per l'ambiente. 
FINANZIAMENTI
• Istituzione di un fondo mondiale per la solidarietà a carattere 
volontario. 
• Conferma degli obiettivi sull'Aiuto pubblico allo sviluppo (ODA) concordati a 
Monterrey. 
• Riduzione del debito dei paesi in via di sviluppo attraverso la cancellazione 
o alleggerimento (debt relief e debt cancellation) e rafforzamento 
dell'iniziativa a favore dei paesi poveri fortemente indebitati (heavily 
indebited poor countries - HIPC). 
• Utilizzo dei "debt swaps" per riconvertire il debito in attività a 
sostegno dello sviluppo sostenibile. 
• Conferma dell'impegno per il rifinanziamento della Global Environmental 
Facility, e impegno volontario integrativo dell'Unione Europea per un 
ulteriore finanziamento di 80 milioni di Euro. 
COMMERCIO
• Avvio della riforma del sistema dei sussidi al commercio 
internazionale, che hanno effetti negativi sull'ambiente, ovvero riduzione delle 
facilitazioni commerciali per i prodotti che non favoriscono lo sviluppo 
sostenibile. 
• Coordinamento tra Organizzazione Mondiale del Commercio e Accordi Ambientali 
Multilaterali per favorire la promozione nei mercati internazionali dei 
processi e dei prodotti "sostenibili". 
GOVERNANCE
• Assicurare la promozione della trasparenza e dell'efficienza 
delle forme di governo e della gestione delle risorse, anche attraverso la 
realizzazione di infrastrutture per l'accesso alla informazione (E-government)
• Adozione delle strategie nazionali per l'attuazione dell'Agenda 21, 
entro il 2005. 
PARTNERSHIPS (progetti in cooperazione tra paesi sviluppati e paesi in 
via di sviluppo, con la partecipazione di imprese private, istituti finanziari, 
associazioni non governative, agenzie delle Nazioni Unite)
• Avvio dei progetti inseriti nella lista accettata dalle Nazioni Unite, e 
monitoraggio sulla loro attuazione. 
• I 562 progetti ammessi fanno riferimento a 12 aree di intervento: 
o Riduzione della povertà; 
o Promozione di modelli sostenibili di produzione e consumo; 
o Conservazione e gestione delle risorse naturali e della biodiversità; 
o Promozione delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica; 
o Purificazione delle acque e gestione intergrata del ciclo idrico; 
o Protezione ed estensione delle foreste; 
o Governance in un sistema globalizzato; 
o Promozione della salute; 
o Sviluppo sostenibile nelle piccole isole; 
o Sviluppo sostenibile nell'Africa; 
o Trasferimento ai paesi in via di sviluppo di competenze e tecnologie 
innovative per consolidare le capacità di gestione e governo delle risorse; 
o Supporto alla realizzazione di modelli di commercio compatibili con le 
Convenzioni e i Protocolli internazionali. 
Le risorse finanziarie messe a disposizione per l'avvio dei progetti ammontano a 
circa 1500 milioni di Euro. I progetti sono predisposti in modo tale da 
rappresentare un volano per un "ciclo" di investimenti aggiuntivi.
4.2 Allegato B: Sviluppo Sostenibile nell’Unione 
Europea e negli Stati Membri
I. Evoluzione delle politiche di sviluppo sostenibile nell’Unione Europea 
Benché il concetto di sostenibilità venga citato anche nel Trattato di 
Maastricht (febbraio 1992: promuovere "una crescita sostenibile e rispettosa 
dell’ambiente") e nel Quinto Programma d’Azione Ambientale123, 
all’interno dell’Unione Europea si comincia a parlare più a fondo di sviluppo 
sostenibile nel corso delle negoziazioni che portano alla firma del Trattato di 
Amsterdam (1997)124, nel quale l’obiettivo dello sviluppo sostenibile 
viene a collocarsi tra le leggi fondamentali dell’Unione. Successivamente, in 
seguito ad un iniziativa svedese, nel corso di un summit in Lussemburgo (’97) i 
capi degli Stati Membri stabiliscono che la Commissione dovrà elaborare una 
strategia per attuare concretamente i propositi individuati in tema di sviluppo 
sostenibile. Le fondamenta della strategia vengono posate nel corso del summit 
dell’Unione Europea di Cardiff (’98), in cui è deciso che ogni Consiglio dei 
Ministri sarà responsabile per la transizione verso un modello di sviluppo 
sostenibile nel proprio campo d’azione125.
Una valutazione e revisione completa del lavoro effettuato nei diversi settori 
viene poi condotta durante il summit di Helsinki (’99), in cui i Consigli dei 
Ministri126 
presentano una prima relazione sugli obiettivi di carattere ambientale 
considerati prioritari nei rispettivi settori. Durante questo incontro viene 
inoltre sollecitata la stesura di una strategia dell’Unione sullo sviluppo 
sostenibile, che la Commissione prepara e presenta infine nel corso del 
Consiglio Europeo di Goteborg (Giugno 2001). La strategia, adottata nel corso 
del summit, oltre a proporre una serie di intenzioni e raccomandazioni, prevede 
obiettivi e linee d’azione in ambiti particolarmente significativi (cambiamento 
climatico, salute pubblica, risorse naturali, sistemi di trasporto e gestione 
del territorio) e introduce un processo di attuazione e contestuale revisione 
delle azioni. Questo processo127 
si fonda su una relazione annuale di sintesi (Synthesis Report) dei 
progressi compiuti, analizzati in base ad una serie di indicatori di performance 
individuati ed anche in relazione allo stato di integrazione128 
delle tematiche ambientali nei diversi settori d’azione che, da Cardiff in poi, 
procede in parallelo e a supporto delle politiche per lo sviluppo sostenibile.
Questo impianto strategico, ancora poco consolidato, e poco chiaro nei principi 
d’attuazione, nasce con l’obiettivo di contribuire a stimolare una serie di 
attività a livello operativo (programmi, direttive) e agevolare gli Stati Membri 
ad adottare a loro volta indirizzi chiari, realizzabili e verificabili in tema 
di sviluppo sostenibile.
II. Approccio dei diversi Stati Membri
La carenza di progressi concreti nelle sedi comunitarie ha aperto ampi spazi in 
Europa alle autonome iniziative degli Stati e dei movimenti di opinione. A 
partire dalla metà degli anni ’90, nella maggior parte degli Stati dell’Unione 
sono stati predisposti piani o avviate politiche di sviluppo sostenibile, con 
percorsi diversi ma anche con significative convergenze. Alcuni governi hanno 
adottato veri e propri piani; altri, pur in assenza di un documento formale, 
hanno avviato impegnativi percorsi istituzionali. In generale, qualunque sia la 
strada scelta, i paesi più attivi risultano quelli del Centro-Nord; più indietro 
i paesi mediterranei. 
Ad una valutazione di massima, le singole iniziative riflettono, oltre al 
diverso grado di adesione agli indirizzi di sviluppo sostenibile, le 
caratteristiche, i punti di forza e le carenze dei sistemi nazionali, più che 
gli orientamenti delle maggioranze parlamentari. Molto pragmatico l’approccio 
seguito dai paesi del Centro-Nord, con differenziazioni legate alle diverse 
culture politiche nazionali. Così, se in Gran Bretagna si privilegia 
l’esperimento di una "finanziaria verde" puntando soprattutto alla concretezza 
delle misure fiscali di tipo ecologico, in Olanda e nei paesi scandinavi si 
enfatizzano obiettivi ecologici di forte caratterizzazione etica, come lo 
"Spazio ambientale". In Germania ed Austria vengono prefigurati cambiamenti 
strutturali di lungo periodo, come l’obiettivo del Fattore 10 nel processo di 
dematerializzazione. La Germania in particolare è il paese in cui il dibattito 
appare più elevato e approfondito, con una notevole produzione di testi 
scientifici e divulgativi che rappresentano gran parte della bibliografia 
internazionale in materia. Da segnalare anche il diretto impegno del Parlamento 
federale nell’elaborazione degli indirizzi di sostenibilità, tradotti poi dal 
Governo in programmi operativi.
Grande interesse rivestono le questioni relative alla qualità dei processi 
istituzionali attivati e all’acquisizione del consenso. In molti casi sono state 
avviate azioni importanti di studio e confronto che hanno coinvolto le 
istituzioni, le organizzazioni scientifiche, i portatori d’interessi. In Olanda 
ci si è impegnati molto nel promuovere sinergie tra i diversi attori, dalle ONG 
che hanno avuto un ruolo di spinta, alle imprese, con le quali il governo ha 
definito più di cento accordi volontari; il metodo scelto è di fissare obiettivi 
a lunga scadenza, lasciando alle imprese la libertà di scegliere le strategie 
più opportune. Questi processi ampi di confronto e di costruzione del consenso 
presentano in genere una potenzialità positiva per le future realizzazioni, che 
deve essere però tradotta in pratica al di là degli specifici documenti di 
piano. 
Lo stesso vale per il rapporto tra tali documenti e la concreta attività di 
governo. In Gran Bretagna la formalizzazione del piano, molto recente (1999), è 
stata contestuale all’avvio di una riforma fiscale in senso ecologico. In 
Danimarca, Svezia e Finlandia i documenti di sviluppo sostenibile s’inseriscono 
in una tradizione consolidata di programmazione e costituiscono perciò di fatto, 
più che elementi di svolta e novità, un potenziamento e una migliore 
finalizzazione delle politiche e degli strumenti esistenti. In Belgio è stato 
adottato un piano formale, istituendo le strutture per la progettazione di esso 
e per la consultazione sistematica degli attori sociali; inoltre sono state 
avviate iniziative rilevanti di politica dei prodotti – con l’impegno 
prioritario dell’amministrazione pubblica -, di estensione della tassazione 
ambientale, di incentivi per la diffusione di tecnologie pulite. Per questi 
paesi, dunque, e in genere per tutti quelli del Centro-Nord, la consistenza e la 
durata nel tempo delle azioni intraprese contano più del testo formale del 
piano. Altra caratteristica da mettere in rilievo è il ruolo attivo esercitato 
dagli enti locali.
Per quanto riguarda il Centro-Sud, decisamente indietro la Grecia e il 
Portogallo (e in parte anche la Spagna). Questi ultimi paesi presentano peraltro 
qualche ritardo anche nel processo di istituzionalizzazione delle tradizionali 
politiche ambientali. La Francia ha predisposto un documento d’intenti di 
carattere molto generale. Per i paesi meno attrezzati pesano comunque, più che i 
ritardi, anche la debolezza dei contesti nazionali – istituzionali e sociali – 
rispetto ai cambiamenti richiesti dagli orientamenti di sviluppo sostenibile. 
Sicché, anche nei pochi casi di positiva iniziativa, si avvertono rischi di 
astrattezza o di forzature di tipo illuministico che ne compromettono 
l’efficacia. Il problema di definire procedure precise da applicare ai processi 
decisionali, per integrare nelle politiche di governo gli obiettivi di 
sostenibilità, si pone con particolare urgenza per questa fascia di paesi, di 
cui l’Italia fa oggettivamente parte. 
Tabella 4: Strategie di Sviluppo Sostenibile nei Paesi dell'Unione Europea
 
| Stato | Adozione piano strategico | Principali contenuti del Piano | Valutazione linee d'attuazione | 
| Austria | Piano sviluppato (2002) | 
 | 
 | 
| Belgio | Piano federale (per periodo 2000- 2004) adottato nel 200 | Tre dimensioni dello SS: economico, sociale, ambientale + sette temi tratti da Agenda 21 (di cui 6 a carattere ambientale) | Struttura d'attuazione debole; limitata integrazione delle tre dimensioni | 
| Danimarca | Strategia adottata (2001); piano in fase di revisione | Focus su: crescita economica e tutela dell'ambiente attraverso analisi costo-efficacia | Particolare attenzione i meccanismi di coordinamento delle politiche settoriali | 
| Finlandia | Programma sviluppato e adottato (1998). Valutazione dell'attuazione in corso | Obiettivi breve e lungo termine, linee guida per azioni in sei settori. Tre dimensioni valutate, enfasi soprattutto su aspetti ecologici | - | 
| Francia | Strategia nazionale definita (gennaio 2002) | Tre dimensioni dello SS: economico, sociale, ambientale | Assenza target specifici | 
| Germania | Strategia nazionale definita (aprile 2002; prima versione dicembre 2001) | I tre elementi dello SS sono integrati in quattro azioni chiave. Temi principali energia e cambiamento climatico, mobilità, agricoltura, cibo, protezione dei consumatori. | Approfondita analisi dello stato ambientale Mancanza di strumenti politici forti, della dimensione internazionale e della considerazione degli aspetti di efficienza | 
| Grecia | Piano non disponibile | - | - | 
| Italia | Strategia adottata (agosto 2002) | Programma ambientale in linea con il 6° Programma azione europeo. Dimensione ambientale da integrare nelle politiche economiche e finanziarie | Indicatori, obiettivi e scadenze. Possibile debolezza dell'impatto politico effettivo | 
| Irlanda | Strategia definita (1997) | Tre dimensioni valutate, enfasi soprattutto su aspetti ecologici | Approfondita analisi obiettivi Mancanza scadenze, impegni concreti e integrazione con altri documenti di politica | 
| Olanda | Strategia esplorativa definita (dicembre 2001), revisione in corso attraverso consultazione da parte del governo | Tre dimensioni valutate, numero ristretto di tematiche selezionate: biodiversità, clima (energia e mobilità), popolazione, gestione delle risorse idriche, economia della conoscenza | Approfondita analisi delle necessità di superare attuali modelli di sviluppo. Mancanza di concrete proposte di azione | 
| Portogallo | Piano non disponibila | - | - | 
| Spagna | Strategia definita (agosto 2002) | Dimensioni economiche e sociali incluse, ambientale no (nella bozza valutata) | - | 
| Svezia | Piano d'azione definito (1997), revisione per Johannesburg | Piano focalizzato su dimensione ambientale, revisione anche su dimensioni economica e sociale | - | 
| Regno Unito | Strategia definita (maggio 1999) | Piano focalizzato su dimensione ambientale, revisione in corso per comprendere dimensione economica e sociale | Sviluppo indicatori per misurazione progressi, integrazione SS in obiettivi settoriali Ricorso a strumenti esistenti, poche nuove azioni | 
4.3 Allegato C: Obiettivi e metodologie di abbattimento delle emissioni – il Protocollo di Kyoto
Tabella 5: Obiettivi del Protocollo di Kyoto per i diversi Stati – Emissioni di 
CO2
 
| Stati | Obiettivi129 (percentuale del periodo 2008-2012 rispetto al periodo base, anno 1990) | Stati | Obiettivi (percentuale del periodo 2008- 2012 rispetto al periodo base, anno 1990) | 
| AUSTRALIA | 108 | LUSSEMBURGO | 92 | 
| AUSTRIA | 92 | MONACO | 92 | 
| BELGIO | 92 | NORVEGIA | 101 | 
| BULGARIA* | 92 | NUOVA ZELANDA | 100 | 
| CANADA | 94 | PAESI BASSI | 92 | 
| CROAZIA* | 95 | POLONIA* | 94 | 
| DANIMARCA | 92 | PORTOGALLO | 92 | 
| ESTONIA* | 92 | REGNO UNITO130 | 92 | 
| FEDERAZIONE RUSSA* | 100 | REPUBBLICA CECA* | 92 | 
| FINLANDIA | 92 | ROMANIA | 92 | 
| FRANCIA | 92 | SLOVACCHIA | 92 | 
| GERMANIA | 92 | SLOVENIA | 92 | 
| GIAPPONE | 94 | SPAGNA | 92 | 
| GRECIA | 92 | SVEZIA | 92 | 
| IRLANDA | 92 | SVIZZERA | 92 | 
| ISLANDA | 110 | UCRAINA* | 100 | 
| ITALIA | 92 | UNGHERIA* | 94 | 
| LETTONIA* | 92 | UNIONE EUROPEA | 92 | 
| LIECHTENSTEIN | 92 | USA | 93 | 
| LITUANIA* | 92 | 
 | 
 | 
*Paesi in fase di transizione verso un economia di mercato.
Le revisioni dopo i vertici di Bonn e Marrakech
♦ SINK: i cosiddetti sink (assorbitori) di anidride carbonica sono 
previsti come mezzo o strumento possibile per l'attuazione degli impegni di 
riduzione delle "emissioni nette" di gas serra.
→ Prima di Bonn: l'UE intendeva introdurre l'uso dei sink solo per 
la parte riguardante la forestazione, riforestazione ed afforestazione 
(escludendo quindi l'uso del suolo ed i cambiamenti dell'uso del suolo) e 
limitatamente ad una quota delle azioni di riduzione delle emissioni nette 
condotte in ambito nazionale o al più in cooperazione tra paesi dell'Annesso 1 
(paesi industrializzati). Il ricorso ai sink doveva essere comunque escluso, per 
il primo periodo di attuazione del Protocollo, dal "meccanismo di sviluppo 
pulito" (cooperazione con i paesi in via di sviluppo) e doveva in ogni caso 
rispettare il principio di supplementarietà (almeno il 50% degli impegni 
dovevano essere attuati in ambito nazionale ed il resto in cooperazione 
internazionale).USA e paesi detti dell'"umbrella group" (Australia, 
Canada, Giappone e Nuova Zelanda) erano contrari a questi vincoli.
→ Dopo Bonn e Marrakech: non ci sono più vincoli di principio per un 
ampio utilizzo dei sink sia in ambito nazionale che internazionale, salvo il 
fatto che i crediti derivanti possono essere riconosciuti fino ad un certo 
limite per le attività di gestione forestale, ma senza alcun limite per la 
gestione del suolo.
A Marrakech (novembre 2001) una apposita decisione ha dato larghe concessioni 
alla Russia per l'uso dei sink. Inoltre, sono state definite regole su come si 
conteggiano emissioni ed assorbimenti.
♦ MECCANISMI FLESSIBILI: sono previsti alcuni meccanismi di cooperazione 
internazionale sia all'interno dei paesi dell'Annesso B (paesi 
industrializzati), sia tra paesi dell'Annesso B e paesi in esso non inclusi 
(paesi in via di sviluppo). I meccanismi sono di tre tipi:
Joint implementation: cooperazione all'interno di paesi sviluppati.
Emission trading: commercio delle emissioni tra paesi sviluppati.
Clean development mechanism: cooperazione tra paesi sviluppati e paesi in 
via di sviluppo.
→  Prima di Bonn: le regole e le procedure dei meccanismi flessibili 
sono state oggetto di diverse discussioni, ruotate attorno alla:
- "Supplementarietà", cioè quanti e quali impegni attuare in ambito nazionale e 
nell'ambito dei paesi dell'Annesso I e quanto e quali impegni attuare tra paesi 
dell'Annesso I e paesi dell'Annesso II: la UE aveva posta come vincolo il 50% in 
termini di azioni domestiche da attuare in ambito nazionale.
- Regolamentazione e definizione della tipologia di progetti da realizzare 
attraverso il clean development mechanism: l'UE chiedeva che fosse data 
priorità a progetti riguardanti le energie rinnovabili e l'uso efficiente 
dell'energia, mentre fossero esclusi progetti riguardanti il nucleare e 
l'idroelettrico, oltre naturalmente ad escludere progetti di riforestazione e di 
sink in genere.
- Regolamentazione della emission trading: l'UE chiedeva che venissero 
esclusi dal commercio delle emissioni le quote di hot air, cioè le quote di 
riduzione non riferibili ad azioni concrete di riduzione delle emissioni, ma 
determinate da altri fattori come la recessione economica.
Su questi punti i paesi dell'umbrella group chiedevano solo indicazioni 
generali e comunque regole semplici per non compromettere l'uso complessivo di 
questi meccanismi (senza vincoli di supplementarietà, di hot air, ed estesi in 
ogni caso anche al nucleare ed ai sink).
→  Dopo Bonn e Marrakech: cadono i vincoli precedenti richiesti 
dall'UE e vengono sostituiti da raccomandazioni o esortazioni, di cui le 
principali sono:
- I meccanismi flessibili devono essere supplementari alle azioni domestiche 
che, comunque, devono costituire un significativo contributo per ridurre le 
emissioni.
- L'energia nucleare viene esclusa come possibilità di generare crediti per la 
riduzione delle emissioni nell'attuazione dei meccanismi flessibili, ma può 
essere utilizzata come azione domestica.
- Il 2% dei crediti derivanti dai progetti attuati attraverso il clean 
development mechanism vengono destinati ad alimentare uno speciale fondo, il
Kyoto Adaptation Fund, per aiutare i paesi poveri più vulnerabili ai 
cambiamenti climatici.
♦ RISORSE FINANZIARIE: sull'argomento delle risorse finanziarie i paesi 
in via di sviluppo chiedevano:
Risorse finanziarie disponibili per coprire i danni e, comunque, le conseguenze 
ambientali e socioeconomiche negative derivanti da cambiamenti climatici (ed in 
particolare dall'acutizzarsi degli eventi estremi e dell'innalzamento del 
livello del mare) nei paesi in via di sviluppo e nei paesi delle piccole isole.
Finanziamenti dei trasferimento di tecnologie innovative ed ecocompatibili nei 
paesi in via di sviluppo, comprese le azioni di capacity building.
Il finanziamento di progetti ed interventi per l'adattamento ai cambiamenti 
climatici sia del territorio, che delle strutture socioeconomiche dei paesi in 
via di sviluppo.
A Marrakech sono state definite le regole per l'uso dei meccanismi flessibili ed 
è stato istituito un Executive Board per il Clean Development 
Mechanism con compiti di supervisione, gestione e controllo.
→  Prima di Bonn: l'argomento delle risorse finanziarie era stato 
più volte discusso ma non aveva trovato alcuna soluzione.
→ Dopo Bonn e Marrakech: sono stati istituiti tre fondi specifici:
- Un fondo denominato Climate Change Fund per promuovere l'adattamento 
soprattutto nel campo dell'energia, dei trasporti, dell'industria e 
dell'agricoltura, nel campo della gestione forestale e della gestione dei 
rifiuti. Sono previsti, tra l'altro, anche aiuti ai paesi in via di sviluppo la 
cui economia è basata sulla produzione di petrolio affinché diversifichino la 
loro economia.
- Un fondo denominato Least-developed Countries Fund per lo sviluppo 
sostenibile dei paesi poveri da essere gestito in ambito GEF della World Bank.
- Un fondo denominato Kyoto Adaptation Fund per finanziare specifici 
progetti o programmi di adattamento mirai, con riferimento particolare ai 
problemi di vulnerabilità ai cambiamenti climatici degli Stati delle piccole 
isole e dei paesi più poveri.
A parte questo ultimo fondo, sono state date solo indicazioni generali su come 
alimentare gli altri due fondi. Tuttavia, l'UE, il Canada, la Nuova Zelanda, la 
Svizzera, la Norvegia e l'Islanda hanno promesso un contributo di 410 milioni 
all'anno a partire dal 2005, con una revisione del finanziamento nel 2008. Non 
necessariamente tale contributo verrà versato sui fondi sopraddetti, ma 
potrebbero anche essere destinati tramite accordi bilaterali ai paesi che ne 
avranno bisogno e ne usufruiranno.
♦ COMPLIANCE: per compliance si intende tutto il sistema di 
verifiche e controlli della corretta attuazione degli impegni assunti, comprese 
le sanzioni per gli inadempienti. I principali problemi da risolvere erano:
Se e come deve essere fatto il differente sistema di controlli e sanzioni per i 
paesi dell'Annesso B del Protocollo ed i paesi del non-annesso B, dal momento 
che il Protocollo di Kyoto diventerà esecutivo per i soli paesi 
industrializzati, coinvolgendo solo indirettamente gli altri tramite il clean 
development mechanism.
Quali devono essere le conseguenze per gli inadempienti, cioè il tipo, la natura 
e la durata delle sanzioni, nonché l'uso dei fondi derivanti da sanzioni 
economiche.
Come rendere operativo tutto il sistema di compliance che, per essere 
veramente efficace, prefigurerebbe una Autorità internazionale e sovranazionale 
autorizzata a violare il principio di sovranità nazionale.
Come è composta questa Autorità sovranazionale per i controlli e le sanzioni e 
come si scelgono i membri candidati a farne parte.
→  Prima di Bonn: l'argomento era stato ampiamente dibattuto ed 
erano emerse posizioni molto divergenti fra UE e paesi dell'umbrella group. Non 
si era trovato alcun accordo.
→  Dopo Bonn e Marrakech: sono state risolte alcune questioni di 
base e molti argomenti sono stati approfonditi nella sessione di Marrakech. E' 
stato istituito uno speciale Compliance Committee, costituito da 20 
membri, con il compito di sorvegliare e controllare l'attuazione degli impegni e 
colpire gli inadempienti con opportune sanzioni.
A Marrakech è stato approvato anche il regolamento per le verifiche ed i 
controlli e si è convenuto, inoltre, che le penalità siano fondamentalmente le 
seguenti:
- Una penalizzazione per gli inadempienti sulle loro quote di emissioni: le 
emissioni in eccesso rispetto alla quota stabilita nel primo periodo di impegni 
(al 2012) saranno dedotte dai permessi o dai crediti di emissioni per il periodo 
successivo.
- Una penalizzazione aggiuntiva agli inadempienti in termini di una sanzione 
pari al 30% del valore delle emissioni in eccesso, sanzione da considerare come 
risarcimento dei danni causati all'ambiente.
Tali penalizzazioni non sono, per ora, "legalmente vincolanti", ma lo saranno 
dopo l'entrata in vigore del Protocollo.
__________________
* Ingegnere, diplomato MEMA prima edizione. Rif. maualberti@libero.it
1 In corrispondenza della crisi 
energetica.
2
Come abbiamo già rilevato, le strategie energetiche dell’Unione Europea 
considerano le energie rinnovabili come un percorso obbligato per motivi di 
maggior tutela dell’ambiente, maggior sicurezza e minor dipendenza energetica da 
paesi extra UE.
3
Come già ricordato in precedenza, innanzitutto, le energie rinnovabili 
presentano costi d’investimento unitari particolarmente elevati rispetto alle 
fonti tradizionali, costi che rappresentano oltretutto una parte determinante 
della spesa totale sostenuta dalle imprese, che non possono quindi praticare 
prezzi competitivi nei mercati in cui vendono l’energia.
In secondo luogo le energie rinnovabili si caratterizzano per la necessità di 
strutture piccole, diffuse ed ad impatto locale, richiedendo quindi un diverso 
approccio al consenso (più partecipato e condiviso) per consentire la 
collocazione degli impianti nel territorio in tempi compatibili con il decorso 
tipico degli investimenti produttivi.
Infine, alcune energie rinnovabili (solare, eolico, piccolo idroelettrico) non 
sono facilmente inseribili nel quadro strutturale (tecnologico ed organizzativo) 
di soddisfacimento della domanda, poiché non facilmente programmabili, per ovvi 
motivi legati alla variabilità meteorologica (ad esempio regime dei venti). Esse 
presentano un “debito di potenza”, in quanto devono essere “garantite” da 
impianti convenzionali che entrino in funzione quando diminuisce la produzione 
ottenibile da esse e devono essere agevolate nell’accesso alla rete ed al 
servizio di dispacciamento.
4
Inserendosi, ad esempio, nella rete di distribuzione senza transitare dalle reti 
di trasporto nazionale.
5
Si veda “Kapp K.W.: The Social Cost of Private Enterprise”, ripubblicato nel 
1971 (Schocken Paperback ed. New York). Il libro tratta gli argomenti 
dell’inquinamento atmosferico, dell’inquinamento delle acque, della perdita di 
biodiversità, dell’esaurimento delle fonti di energia e delle altre risorse 
non-rinnovabili, dell’erosione, della deforestazione e degli sviluppi sociali 
insostenibili come, ad esempio, le crescenti disparità di reddito.
6
Come testimoniano le quattro dimensioni attraverso cui esso è analizzato in 
Agenda 21: economica, sociale, ambientale ed istituzionale.
7
La definizione di sviluppo sostenibile che, presumibilmente, esplicita meglio 
tale coesistenza di aspetti, nonché i diversi contenuti, è quella data da Pearce, 
Barbier e Markandya (1990): “We take development to be a vector of desirable 
social objectives, and elements may include: increase in real income per capita; 
improvements in health and nutritional status; educational achievement; access 
to resources; a ‘fairer’ distribution of income; increases in basic freedoms. … 
sustainable development is then a situation in which the development vector 
increases monotonically over time”. Sui diversi aspetti per i quali può aver 
senso parlare di sostenibilità si vedano anche Wagle 1993, Peet 1992, Faucheux 
et al. 1998.
8
WCED 1987, Our common future, Oxford University Press, (“The Bruntland Report”).
9
Sistema aperto o chiuso, sistema nazionale o globale, stock di risorse od intero 
eco-sistema. I metodi di valutazione (e la scala temporale da prendere in 
considerazione) sono, infatti, strettamente dipendenti dall’ampiezza del sistema 
considerato.
10
Sul tema dell’equità inter-generazionale si vedano Beckerman (1994) e Dasgupta 
(1994).
11
Le funzioni che l’ambiente naturale esplica nel garantire lo svolgimento della 
vita umana: a) come fonte di risorse (rinnovabili e non); b) come substrato che 
assimila i prodotti di scarto (emissioni e rifiuti) derivanti dalle attività 
umane; c) come origine di altri intrinseci benefici per l’uomo (es.senso di 
appagamento estetico, spirituale, ecc.). Il concetto riassume in sé la nozione 
di deterioramento ambientale ed esternalità (tipica dell’Economia Ambientale) e 
quella di utilizzo e scarsità delle risorse (tipica dell’Economia delle Risorse 
Naturali).
12
I conflitti che si verificano in relazione all’apertura di nuovi impianti ed 
alla collocazione di nuove infrastrutture testimoniano il problema della 
“scarsità del territorio” in rapporto agli usi (materiali o meno) concorrenti 
che se ne possono fare.
13
Fonte “World Energy Outlook”, International Energy Agency, 2002.
14
Ipotizzando un’intensità uguale a quella dell’area OECD anche per tutte le altre 
aree del mondo.
15
La cosiddetta capacità di carico (carrying capacity) del pianeta.
16
Si sottolinea come le azioni intraprese allo scopo di porre rimedio ai costi 
esterni non implicano necessariamente il raggiungimento della sostenibilità. Lo 
sviluppo sostenibile non è di per sé coerente con un approccio convenzionale 
costi-benefici all’uso intertemporale delle risorse, dal momento che quest’ultimo 
nega ogni scelta in seguito alla quale i benefici netti positivi ottenuti nel 
periodo corrente possano essere “sacrificati” per ottenere benefici più elevati 
(e comparabili con quelli attuali) in futuro e viceversa. Mentre l’approccio 
neoclassico mantiene efficienza ed equità come idee separate, l’approccio allo 
sviluppo sostenibile cerca di integrarle in maniera gerarchica; in questi 
diversi principi risiede la differenza tra politiche ambientali classiche e 
politiche per la sostenibilità, anche se nella pratica è riscontrabile una certa 
convergenza dei due orientamenti (soprattutto nella direzione di una maggior 
efficienza).
17
Una posizione intermedia (non radicale, ma neanche eccessivamente conservativa) 
all’interno del dibattito sui diversi criteri di sostenibilità (sulle divergenze 
tra proponenti dello stato stazionario e proponenti di una crescita continua si 
veda Carley and Christie 1992, p. 42), ci sembra quella basata sul principio che 
può essere definito come stato economico sostenibile, ovvero una situazione in 
cui il reddito reale pro-capite aumenta (non diminuisce) nel tempo e tale 
livello non è minacciato dall'effetto di ritorno derivante dall'impatto 
biofisico (inquinamento, problemi d’esaurimento delle risorse) o dall'impatto 
sociale (disgregazione sociale, Costanza, 1990).
18
Una terza opzione, nei paesi in via di sviluppo, consiste nello spezzare il 
legame tra basso reddito pro-capite e alta popolazione (Costanza, 1990). 
Affinché ciò avvenga all’interno dell’attuale modello economico (modello del 
valore), occorre fare in modo che sempre più i termini di riferimento economici 
(prezzi) di ogni attività riflettano anche gli impatti che nel lungo periodo si 
possono generare sulle capacità ricettive (problema delle esternalità) e sulle 
capacità rigenerative (problema della scarsità delle risorse) dell’ambiente. 
Oggi questo accade raramente (Tietenberg, 2000).
19
Il concetto di sviluppo sostenibile qui riportato enfatizza la complementarietà 
sistemica esistente tra le diverse forme di capitale mentre la teoria economica 
(neo)classica si muove nella stessa direzione (ad esempio con la recente enfasi 
posta sui concetti di capitale intellettuale e sociale) tranne che per quanto 
riguarda il capitale naturale. In tal modo mentre quest’ultima sostiene un 
approccio di mercato, regolato, competitivo e basato sui diritti di proprietà, 
la scienza della sostenibilità guarda anche all’intervento pubblico (dall’alto, 
es. strumenti di controllo, tassazione ambientale e istruzione/formazione dei 
diversi attori) ed alle azioni che scaturiscono dalle diverse componenti sociali 
(dal basso, ad es. pratiche di approvvigionamento, concertazione, etichette 
ecologiche e certificazione ambientale). Ciò significa anche impostare o 
suggerire programmi di educazione e formazione ai diversi livelli (statale, 
locale) che permettano di gettare le basi per politiche integrate condivise da 
tutti gli attori ed a tutti i livelli.
20
Essa ha originato cinque documenti formali: cambiamenti climatici, biodiversità, 
foreste, “Rio Declaration on Environment and Development” e “Agenda 21”. Nella 
Dichiarazione, che consiste di un preambolo e di 27 principi, vengono date 
indicazioni volte a promuovere “un più sano ed efficiente rapporto tra uomo e 
ambiente”. 
In particolare, la Dichiarazione di Rio incorpora nei suoi principi, 
sinteticamente, l’intero spettro di approcci ed argomenti rilevanti in relazione 
all’ambiente e alla sostenibilità: l’equità intra-generazionale ed 
inter-generazionale; i bisogni del mondo povero; la revisione stili di vita e le 
politiche demografiche; la cooperazione tra stati; il principio precauzionale; 
la responsabilità civile e la compensazione dei danni ambientali; il principio 
“chi inquina paga”; l’uso della legislazione ambientale e degli standard; la 
valutazione d’impatto ambientale (United Nations, Rio Declaration on Environment 
and Development, 1992). Non sono però chiariti i criteri su cui costruire le 
politiche volte alla sostenibilità, piuttosto si imposta (o si cerca 
d’impostare) una serie di principi strumentali al raggiungimento di obiettivi 
ancora poco definiti. Alcuni di tali principi riguardano i seguenti aspetti: 
mitigazione degli inquinamenti, produzione normativa, istituzionalizzazione 
della questione ambientale, spesa pubblica per l’ambiente, sensibilità popolare 
per il tema. Ad ogni modo il documento principale che scaturisce dalla 
Conferenza di Rio (Agenda 21) non sorge con la pretesa di costituire un 
riferimento normativo, ma piuttosto una dichiarazione di intenti e di principi 
generali conformemente ai quali piani d’azione devono essere elaborati 
all’interno dei vari Paesi aderenti. 
Recentemente, con il vertice di Johannesburg, si è proceduto all’aggiornamento 
dell’agenda politica internazionale in tema di sviluppo sostenibile. Anche in 
quest’ultima occasione, però, stante la significativa varietà di punti di vista 
e situazioni rappresentate, non si è andati oltre la definizione di alcuni linee 
politiche e d’azione generali (si veda Allegato A: Il vertice di Johannesburg 
2002).
21
Si veda ad esempio il concetto di “No regret policy” (politica di non 
pentimento), che il governo degli Stati Uniti invoca per impedire che vengano 
bloccate attività per le quali non vi è certezza dell’eventuale danno che esse 
possono provocare (non ci si vuole pentire insomma di aver bloccato attività che 
si sono rivelate innocue), mentre in Europa viene invocato per impedire lo 
svolgimento di tali attività (non ci si vuol pentire di aver fatto qualcosa che 
si è poi rivelato dannoso).
22
Una spinta decisiva in questo senso è stato l’emergere del problema del 
cambiamento climatico (si veda paragrafo 2.2.1.1), che ha spinto verso analisi 
degli scenari e politiche trasversali ai diversi settori (energia, industria, 
trasporti, agricoltura) alla ricerca di una maggiore efficacia.
23
In molti casi ciò è stato ottenuto con la creazione di una apposita commissione 
governativa per lo sviluppo sostenibile (Gran Bretagna, Italia).
24
COM(2001)264 final (COMMUNICATION FROM THE COMMISSION), “A Sustainable Europe 
for a Better World: A European Union Strategy for Sustainable Development”:
- Obiettivi principali e misure specifiche: “…occorre un'azione coerente in 
molte politiche diverse… limitare il cambiamento climatico e potenziare l'uso 
dell'energia pulita… affrontare le minacce per la salute pubblica… gestire le 
risorse naturali in maniera più responsabile … migliorare il sistema dei 
trasporti e la gestione dell'uso del territorio”;
- Proposte e raccomandazioni intersettoriali: "… far sì che le varie politiche 
si rafforzino a vicenda e non vadano invece in direzioni opposte …";
- Misure per attuare la strategia e valutarne i progressi: "… Lo sviluppo 
sostenibile è, per sua natura, un obiettivo a lungo termine …dei riesami 
periodici intermedi consentiranno all'Unione di adeguare la strategia ai 
cambiamenti …"
25
Dalla ratifica della Carta di Aalborg (maggio 1994), in particolare, si assiste 
ad un crescente protagonismo della scala locale. L’attenzione è centrata sulle 
politiche locali e sul ruolo prioritario svolto dalle autorità di governo locale 
nella costruzione di una sensibilità “ecologica”, in grado di sostenere 
l’attuazione di pratiche e azioni di sostenibilità urbana. Anche nell’Unione 
Europea la tendenza è quella di spostare le decisioni ad un livello che sia il 
più vicino possibile ai soggetti interessati (sussidiarietà). Le autorità locali 
sono riconosciute come: le più vicine ai problemi; le più vicine alla 
popolazione; le più vicine alle possibili soluzioni.
26
L’istituzione di un ministero dedicato, a parte alcuni tentativi privi di 
seguito (nel 1973 viene nominato un ministro per l’ambiente senza portafoglio, 
le cui funzioni sono trasferite l’anno dopo al Ministero per i beni culturali; 
nel 1979 viene istituito un "Comitato interministeriale per la protezione 
dell’ambiente", con risultati insignificanti), si concretizza solo nel 1983 
quando viene nominato un Ministro per l’ecologia senza portafoglio e poi nel 
1986 quando è istituito il Ministero dell’ambiente. L’istituzione di un’agenzia 
tecnica per l’ambiente risale al 1994, a seguito di un’iniziativa referendaria e 
poi parlamentare.
27
Delib. CIPE, 28.12.1993, Approvazione del Piano nazionale per lo sviluppo 
sostenibile in attuazione dell'Agenda 21, Suppl. GU n. 47 del 26.02.1994.
28
Il V° Programma d'Azione Ambientale 1993-2000 "Verso uno Sviluppo Sostenibile" 
dell'Unione Europea, riconosce la necessità di sviluppare approcci "dal basso” 
che prevedano il coinvolgimento attivo del più ampio numero di attori 
istituzionali, sociali, economici e culturali nel perseguire uno sviluppo 
sostenibile.
29
Non sono inoltre definite le azioni necessarie al superamento delle carenze di 
tipo conoscitivo e metodologico, all’integrazione delle politiche, alla 
corresponsabilizzazione dei diversi attori.
30
D.M. 28.05.1998. D.M. GAB/DEC/780/98.
31
Delibera Cipe Agosto ’98.
32
Marrakech, Novembre 2001.
33
Legge n°120/2002. Nella legge è scritto (art. 2): “…In attesa e in preparazione 
delle decisioni e delle norme che saranno adottate dall’Unione europea in 
materia di politiche e misure comuni e coordinate di attuazione del Protocollo 
di Kyoto, al fine di individuare le politiche e le misure nazionali che 
consentano di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni con il 
minor costo, entro il 30 settembre 2002 il Ministro dell’ambiente e della tutela 
del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con 
gli altri Ministri interessati, presenta al Comitato interministeriale per la 
programmazione economica (CIPE) un piano di azione nazionale per la riduzione 
dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimento…”. La 
legge prevede, inoltre, che sia sottoposto al CIPE una relazione contenente 
anche lo stato di attuazione e la proposta di revisione della delibera CIPE 
137/1998, con l’individuazione delle politiche e delle misure finalizzate a: 
raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni 
mediante il miglioramento dell’efficienza energetica e un maggiore utilizzo 
delle fonti rinnovabili; aumento degli assorbimenti di CO2 conseguente ad 
attività di uso del suolo (sinks) e forestali, conformemente a quanto consentito 
dal protocollo di Kyoto; piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal 
protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri 
Paesi industrializzati (Joint Implementation, JI), e con quelli in via di 
sviluppo (Clean Development Mechanism, CDM); accelerazione delle iniziative di 
ricerca e sperimentazione per l’introduzione nel sistema energetico 
dell’idrogeno, di impianti eolici, fotovoltaici, a biomasse, a rifiuti solidi 
urbani e a biogas, nonché di impianti per l’utilizzazione del solare termico.
34
Delibera Cipe Agosto 2002 – Strategia nazionale di sviluppo sostenibile. Vengono 
individuati obiettivi in quattro aree prioritarie: clima, natura e biodiversità, 
qualità dell’ambiente e della vita negli ambienti urbani, uso sostenibile e 
gestione delle risorse naturali e dei rifiuti. Per ognuna delle quattro aree 
prioritarie vengono indicati obiettivi e azioni, derivanti dagli impegni 
internazionali che l'Italia ha sottoscritto e gli impegni nazionali che si è 
data, corredati da una serie di indicatori di sviluppo sostenibile in grado di 
misurarne il raggiungimento. Tra gli strumenti d'azione, la Strategia prevede 
l'integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche di settore, a 
partire dalla valutazione ambientale di piani e programmi; l'integrazione del 
fattore ambientale nei mercati, con la riforma fiscale ecologica nell'ambito 
della riforma fiscale generale, la considerazione delle estemalità ambientali e 
la revisione sistematica dei sussidi esistenti; il rafforzamento dei meccanismi 
di consapevolezza e partecipazione dei cittadini; lo sviluppo dei processi di 
Agenda 21 locale; l'integrazione dei meccanismi di contabilità ambientale nella 
contabilità nazionale. Il documento si conclude con la necessità di prevedere 
meccanismi di verifica del raggiungimento degli obiettivi. In linea con queste 
indicazioni, il CIPE ha deciso il rafforzamento della sua Commissione dedicata 
allo Sviluppo Sostenibile, e l'istituzione di un Forum per lo Sviluppo 
Sostenibile.
35
Schema di Delibera Cipe – Revisione delle linee guida per le politiche e misure 
nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra, Novembre 2002.
36
Con il fabbisogno energetico che sale da 185 Mtep a circa 200 Mtep e, in 
particolare, i consumi elettrici che passano da 298 TWh a 364 TWh.
37
Tra cui: completamento dei programmi attuativi del CIP 6/92; obbligo della quota 
minima di energia elettrica da nuovi impianti utilizzanti fonti rinnovabili come 
da articolo 11 del decreto legislativo 79/1999; DPCM 4 agosto 1999 che definisce 
le modalità di dismissione di circa 15 mila MW ENEL, con l’obbligo di 
conversione a ciclo combinato di impianti ad olio esistenti per circa 10 mila 
MW; riconversione a carbone della centrale ENEL di Torre Valdaliga Nord e a 
orimulsion della centrale ENEL di Porto Tolle; decreti del Ministero 
dell’Industria del 24 aprile 2001 sul risparmio energetico negli usi finali; 
attuazione della normativa ambientale del DPR 203/88 e delle collegate linee 
guida del ’90; attuazione della legge 449/97, riguardante la deducibilità del 
41% delle spese di ristrutturazione degli edifici, inclusi gli impianti basati 
sull’uso di energia rinnovabile; esenzione dell’accisa per 300.000 t/anno di 
biodiesel come da art. 21 legge 388/00.
38
Tra cui: realizzazione di nuovi impianti a ciclo combinato e di nuove linee di 
importazione dall’estero di gas ed elettricità; ulteriore crescita delle energie 
rinnovabili, sia attraverso la realizzazione e gestione efficiente di filiere 
industriali integrate a livello nazionale, sia attraverso l’acquisizione di 
“certificati verdi” e “crediti di carbonio” nei paesi terzi; attuazione della 
direttiva europea 2001/77/CE che individua un obiettivo di produzione nazionale 
di energia elettrica da fonti rinnovabili pari a 75 TWh entro il 2010; 
realizzazione di opere infrastrutturali, che hanno effetti sul trasferimento del 
trasporto delle persone e delle merci dalla gomma alla ferrovia e al cabotaggio; 
promozione della produzione e utilizzazione di veicoli e carburanti a minor 
emissioni; ottimizzazione dei sistemi di trasporto privato; riduzione dei 
consumi energetici negli usi civili e nel terziario; generazione di “crediti di 
carbonio” attraverso progetti nell’ambito dei meccanismi di JI e CDM (stimati 
pari a circa 12 MtCO2).
39
Al fine di assicurare la promozione ed il coordinamento dei progetti la delibera 
prevede anche l’istituzione presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del 
Territorio, con successiva norma di natura regolamentare, dello “sportello 
italiano per i meccanismi di JI e CDM” (si veda nonché di quello “per il mercato 
dei permessi e lo scambio delle quote di emissione” che serviranno a rendere 
operative le normative internazionali in tema di meccanismi flessibili
40
Nell’ambito della problematica dei sinks (bacini di assorbimento di carbonio) 
verranno realizzati anche l’Inventario Forestale Nazionale del Carbonio (al fine 
di avviare la procedura di revisione del limite all’utilizzo dei crediti 
derivanti dalla gestione forestale assegnato all’Italia) e il Registro Nazionale 
dei Serbatoi di carbonio agro-forestali (al fine di certificare i flussi di 
carbonio nel periodo 2008-2012 derivanti da attività di afforestazione, 
riforestazione, deforestazione, gestione forestale, gestione dei suoli agricoli 
e pascoli e rivegetazione).
41
Tra tali opzioni sarà successivamente effettuato una selezione, a cura del 
Comitato interministeriale istituito dalla delibera stessa, che sarà poi 
presentata al Ministro dell’ambiente e da questi, di concerto con i Ministri 
interessati, al CIPE. Il criterio prioritario di selezione è di raggiungere il 
migliore obiettivo con il minor costo, tenendo anche conto delle esperienze 
effettuate con i programmi pilota della legge120/02.
42
La centralità delle fonti fossili nei sistemi energetici nazionali stimola 
tentativi di accordi sopranazionali tesi a governare, in parte, l’evoluzione dei 
sistemi energetici, (Rapporto Energia e Ambiente ENEA, 2001)
43
All’uso complessivo di fonti energetiche (industrie energetiche, industria 
manifatturiera e costruzioni, trasporti, civile, agricoltura, altro) era dovuto 
l’ 82,7% (452, 3 Mt su un totale di 546,8 Mt) delle emissioni di CO2 in Italia 
nell’anno 2000.
44 In particolare le prime due problematiche presentano caratteristiche molto 
simili: sono fenomeni complessi e caratterizzati da elevata incertezza; sono 
duraturi; hanno natura globale (trans-frontaliera); sono fenomeni potenzialmente 
irreversibili; sono effetti non desiderati di attività economiche largamente 
diffuse; richiedono sostanziali investimenti di risorse nel presente per 
osteggiare l’eventualità di importanti cambiamenti ambientali in futuro.
45 Nella Sessione Plenaria d’approvazione definitiva del "Terzo Rapporto IPCC" (Wembley, 
23-29 settembre 2001), l'IPCC, ha posto l’accento, tra l'altro, sui seguenti 
aspetti: “Le emissioni globali di CO2 sono attualmente circa il doppio delle 
capacità naturali del pianeta di assorbirle e, pertanto, sarebbe necessaria già 
da subito una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di almeno il 50%; 
inoltre, se l'andamento futuro delle emissioni continuerà ad essere come quello 
attuale, le riduzioni richieste sarebbero circa il 60% al 2010 e di circa l'80% 
al 2030. Dopo la stabilizzazione in atmosfera delle concentrazioni di CO2 (molto 
ritardata rispetto alla stabilizzazione delle emissioni) e degli altri gas serra 
(raggiungibile nel giro di alcuni decenni dalla stabilizzazione delle 
emissioni), la temperatura continuerà a crescere ugualmente e si stabilizzerà 
con un ritardo valutato in 70 anni o poco più. E' necessario rallentare il più 
possibile i cambiamenti climatici (agire sulle cause) per avere tempo 
sufficiente all'adattamento (agire sugli effetti). Più efficace è l'azione sulle 
cause, più facile ed effettiva sarà l'azione sugli effetti”.
46 La tragedia dell’11 settembre 2001 ripropone i temi della sicurezza 
complessiva, inclusa quella energetica, anche se ne sposta il fuoco. Da un lato, 
infatti, l’attuale teatro di guerra limitrofo ad un’area (quella del Mar Caspio 
e delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale) estremamente rilevante per 
i giacimenti petrolio e di gas naturale, sede ottimale di oleodotti e gasdotti 
per l’avvio di queste risorse verso sbocchi accessibili al mercato mondiale. 
Dall’altro lato, gli attentati terroristici hanno riproposto il tema delle 
grandi infrastrutture energetiche, dalle raffinerie agli oleodotti e gasdotti, 
alle linee di trasmissione elettriche, alle installazioni di generazione 
convenzionali e, soprattutto, nucleari, vulnerabili ad attacchi con conseguenze 
che potrebbero essere catastrofiche. Il paradigma economico che ne ha regolato 
la taglia andrà allora incrociato con la necessità (e il costo) di garantirne 
anche la sicurezza. Si avvicina, forse, l’orizzonte temporale per la fattibilità 
dei sistemi di generazione distribuita, che richiedono infrastrutture di 
dimensione più ridotte ed aumentano, per questa via, il livello di sicurezza 
complessivo dei sistemi energetici.
47 Ad esempio correggendo il tasso di interesse adottato nella valutazione degli 
investimenti con la componente di rischio effettivo (volatilità del prezzo del 
petrolio).
48 Suolo ad uso agricolo, forestale, insediativo, industriale, ecc.
49 Ad esempio gli impianti eolici presentano tipicamente un basso consumo del 
suolo in rapporto all’energia prodotta.
50 Le centrali termoelettriche convenzionali possono generalmente essere 
posizionate in punti ottimali (non sensibili da un punto di vista paesaggistico-ambientale) anche lontani dal punto di prelievo del combustibile, 
mentre le centrali a fonte rinnovabile devono necessariamente essere collocate 
in corrispondenza della fonte stessa (siti ventosi, siti esposti al sole, siti 
in prossimità di fiumi o di sorgenti di calore sotterranee)
51 Alcuni impianti possono essere più o meno facilmente riconvertiti; le reti di 
distribuzione possono essere utilizzate fino ad un certo livello di carico, dopodiché sono necessari interventi di potenziamento. In teoria un utilizzo 
orientato al lungo periodo delle fonti rinnovabili (unitamente ad uno sviluppo 
coerente delle infrastrutture) potrebbe consentire una maggior razionalizzazione 
(almeno) delle infrastrutture per la produzione dell’energia (o anche 
dell’intero sistema di infrastrutture, se la modalità di generazione distribuita 
diverrà realmente preponderante in futuro) a livello europeo e nazionale, 
essendo in tal modo possibile sfruttare le risorse peculiari regionali e locali 
e quindi compensare le ulteriori necessità a livello nazionale o europeo secondo 
considerazioni di efficienza e di equità sul territorio.
52 In questa sede si parla di sostenibilità, in ambito energetico, facendo 
riferimento ad obiettivi di politica energetica (si vedano ad esempio più avanti 
gli obiettivi più volte richiamati nei testi legislativi dell’Unione Europea) 
che hanno il duplice scopo di evitare l’esaurimento delle risorse energetiche 
naturali ed evitare alterazioni irreversibili della capacità ricettiva 
(assorbimento ed assimilazione dei vari tipi di emissione) dell’ecosistema.
53 A livello internazionale è stato trattato anche il tema delle energie 
rinnovabili. Si vedano in particolare le raccomandazioni contenute nella 
relazione della G8 Task Force, dalle quali emergono scenari possibili per uno 
sviluppo delle fonti rinnovabili quale elemento chiave nel contenimento delle 
emissioni di gas serra nel prossimo futuro. Si tratta però in tal caso di 
consigli e proposte, utili per ottenere maggior impegno a livello planetario 
(coinvolgendo OCSE e IEA), ma che pongono nessun obbligo concreto per 
l’introduzione di energie rinnovabili.
54 Stilato nella città svedese il 30 novembre 1999, il “Protocol to abate 
Acidification, Eutrophication and Ground-level Ozone” ha per obiettivo la 
riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), 
ammoniaca (NH3) e composti organici volatili (COV), le cui concentrazioni in 
atmosfera sono causa di danni alla salute e dell'acidificazione dell'aria, 
responsabile del fenomeno delle "piogge acide". Esso impone ai firmatari tetti 
massimi di emissione delle sostanze sopra citate e livelli massimi di emissione 
per specifiche fonti. All’epoca della stesura il protocollo ipotizzava che, 
limitando l'analisi all'UE, una volta reso operativo, le aree con livelli di 
acidificazione superiori alla norma si sarebbero ridotte dai 93 milioni di 
ettari del 1990 ai 15 milioni del 2010, mentre quelle caratterizzate da 
eccessiva eutrofizzazione sarebbero passate da 165 a 108 milioni di ettari. 
Inoltre si stimava una riduzione del 50% del numero di giorni con un livello di 
ozono troposferico eccessivo. A tale accordo hanno aderito tra il 1999 ed il 
2000 31 paesi, quali i membri dell'UE, gli USA, il Canada ed alcune economie "in 
transizione", escluse Russia ed Ucraina.
55 Le politiche europee in materia energetica hanno come obiettivi generali la 
riduzione dei gas serra e la diversificazione e sicurezza delle fonti di 
approvvigionamento.
56 Ad esempio attraverso l'introduzione di misure fiscali che penalizzano le 
fonti combustibili che rilasciano maggiori quantità di carbonio (Carbon Tax).
57 Legge n°65/1994, concernente la “stabilizzazione delle concentrazioni in 
atmosfera di gas ad effetto serra ad un livello tale da prevenire pericolose 
interferenze delle attività umane al sistema climatico”
58 Per il raggiungimento di questi obiettivi i paesi possono servirsi di diversi 
strumenti che intervengono sui livelli di emissioni di gas a livello 
locale-nazionale oppure transnazionale, i cosiddetti meccanismi flessibili. I 
meccanismi sono di tre tipi: Joint Implementation: cooperazione all'interno di 
paesi sviluppati; Emission Trading: commercio delle emissioni tra paesi 
sviluppati; Clean Development Mechanism: cooperazione tra paesi sviluppati e 
paesi in via di sviluppo.
59 Gruppo di paesi che, in alcune negoziazioni sul cambiamento climatico, ha 
operato come un unico blocco. Ne fanno parte gli USA, il Canada, l’Australia, la 
Nuova Zelanda, il Giappone, la Norvegia, l’Islanda, la Federazione Russa e 
l’Ucraina.
60 Per entrare in vigore il protocollo deve essere però ratificato da almeno 55 
dei Paesi responsabili del 55 per cento delle emissioni di anidride carbonica 
rilevate nel 1990, condizione che, alla luce della recente conferenza di 
Johannesburg (Settembre 2002), non sembra più irrealizzabile, essendosi 
raggiunto l’accordo con Cina (che ha anche ratificato l’accordo il 30/08/2002) e 
Federazione Russa. Quest’ultima, insieme a Canada, Giappone e Nuova Zelanda, 
deve ancora provvedere a ratificare l’accordo.
61 G.U.C.E. 1996, C224.
62 Questa dipendenza energetica è in aumento e questa tendenza si rafforzerà con 
l’allargamento dell’Unione Europea.
63 Anche la liberalizzazione introdotta nel comparto energetico mira di per sé 
ad una maggior efficienza del settore nel suo complesso.
64 Il miglioramento dell’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti 
rinnovabili sono divenuti elementi ancora più rilevanti per il significativo 
contributo alla diminuzione dei gas ad effetto serra. Ad esempio un primo 
obiettivo proposto dalla Commissione Europea – COM (97) 514 – è stato quello di 
realizzare il 18% della produzione elettrica totale tramite impianti di 
cogenerazione, che utilizzino sia gas naturale sia fonti rinnovabili ed in 
particolare biomasse, consentendo di evitare emissioni di CO2 per un ammontare 
di 65 mln di tonnellate/anno.
65 In ambito comunitario, infatti, si ritengono validi i seguenti principi: i 
problemi energetico-ambientali implicano soluzioni locali (rifiuti, traffico, 
sviluppo e localizzazione di impianti energetici, sensibilizzazione ed 
informazione); la valorizzazione delle risorse energetiche locali e la vicinanza 
agli utenti finali (famiglie, imprese, collettività) suggeriscono funzioni di 
decentramento; le realtà territoriali locali hanno la responsabilità nonché il 
diritto/dovere di azioni bottom-up per creare condizioni di sviluppo sostenibile 
(Rapporto Energia ed Ambiente 2001, ENEA ).
66 Hans Pluckel (Chef de Bureau at Regio Randstad), Towards a green multilevel 
functioning EU, in The Commission’s WHITE PAPER ON GOVERNANCE: WHAT’S IN FOR THE 
ENVIRONMENT, Conference organised by the European Commission, Brussels December 
2001.
67 In tal senso anche i recenti programmi per la razionalizzazione nell’utilizzo 
dell’energia (SAVE e SAVE II) e per la promozione dell’utilizzo di energie 
prodotte da fonti rinnovabili (ALTENER), hanno coinvolto il livello locali, 
attraverso la creazione di specifiche agenzie locali per l’energia, come 
ulteriori attori che possono favorire un corretto impegno ed intervento a 
livello locale.
68 Essa impone agli Stati membri di comunicare i loro piani nazionali relativi 
alla diminuzione delle emissioni alla Commissione, che sottometterà rapporti 
periodici al Parlamento Europeo.
69 Il libro verde è rivolto in particolare al settore delle grandi installazioni 
energetiche ed industriali.
70 Cosiddetta “Direttiva Monti”.
71 Essendo falliti i tentativi di introdurre una tassa in base a motivazioni di 
natura ambientale si è pensato di introdurla rifacendosi a considerazioni di 
armonizzazione del mercato interno.
72 Proposta di direttiva COM(2002)415, testo finale.
73 Proposta di direttiva COM(2001)226, testo finale.
74 I principali ostacoli individuati sono: scarsa internalizzazione dei costi 
esterni dell’energia, vincoli istituzionali e giuridici, assenza di informazioni 
ai consumatori e agli industriali, barriere tecniche e finanziarie.
75 Secondo un’indagine della Commissione (COM -2000/247, 26 Aprile 2000) tali 
azioni dovrebbero essere: edifici ad alto rendimento energetico; efficienza 
energetica nel settore dei trasporti; rendimento energetico degli 
elettrodomestici e delle altre apparecchiature; etichettature dei prodotti 
energeticamente efficaci; promozione delle diagnosi energetiche nell’industria e 
nel terziario; ricorso agli accordi negoziati con le industrie e agli accordi a 
lungo termine in materia di rendimenti minimi; aumento della diffusione 
dell’informazione; finanziamento da parte di terzi, contratti con garanzia del 
risultato ed altre forme di finanziamento; efficienza energetica nel settore 
dell’elettricità e del gas e nella produzione combinata di calore ed elettricità 
(CHP detta anche “Cogenerazione”) – COM (97) 514.
76 Libro Bianco – COM (97) 599 – “Energia per il futuro: le fonti energetiche 
rinnovabili. Libro bianco per una strategia e un piano d’azione della Comunità”, 
26/11/97.
77 Libro Verde (Energia per il futuro: le fonti di energia rinnovabili).
78 Ma per quanto riguarda l’energia elettrica tale misura prevede il passaggio 
dal 14% al 22% del consumo.
79 COM(2000) 769 final del 29.11.2000 GREEN PAPER Towards a European strategy 
for the security of energy supply.
80 La Decisione N. 646/2000/CE istituisce un programma pluriennale di sostegno 
delle fonti energetiche rinnovabili (Programma ALTENER) avente i seguenti 
obiettivi:
creare le condizioni giuridiche, socioeconomiche e amministrative necessarie 
all'attuazione di un piano di azione comunitario per le fonti energetiche 
rinnovabili;
incoraggiare gli investimenti pubblici e privati nella produzione e 
nell'utilizzazione di energia da fonti rinnovabili.
Sono inoltre state introdotte altre iniziative quali “Renewable Energy 
Partnerships”, tra la Commissione da una parte e le autorità pubbliche, le 
industrie e le associazioni dall’altra, per incoraggiare ed incrementare 
l’impegno visibile da parte di questi attori e la “Campaign for Take-Off (CTO)”, 
per dare l’avvio all’attuazione della strategia introdotta con il Libro Bianco, 
attuazione che si prevede possa raggiungere i risultati prefissi entro il 2003.
81 Direttiva 2001/77/CE sullo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili 
nell’Unione Europea. Essa fissa il tasso di penetrazione delle fonti energetiche 
rinnovabili per la produzione di energia elettrica nel 2010 al 22%. Ogni paese 
dovrà impegnarsi in misura diversa a raggiungere tale obiettivo comune (vedi 
allegato D).
82 Esse si originano dal Libro verde della Commissione europea “Verso una 
strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico”, con il quale 
si prospetta l’obiettivo si sostituire, entro il 2020, il 20% del petrolio 
impiegato nei trasporti stradali con combustibili alternativi, attenuando in tal 
modo sia la dipendenza energetica, sia l’impatto ambientale.
83 La prima proposta di direttiva prevede che gli Stati membri provvedano 
affinché una percentuale indicativa minima di biocarburanti e di altri 
carburanti rinnovabili sia immessa nei rispettivi mercati. La proposta di 
direttiva fissa, come valori di riferimento di detta percentuale indicativa, il 
2% al 2005 e il 5,75% al 2010 della benzina e del gasolio usati nei trasporti. 
La seconda proposta mira a modificare il quadro comunitario delle accise sugli 
oli minerali - mediante emendamenti alla direttiva 92/81/CEE - onde consentire 
l’applicazione di aliquote ridotte sulle miscele contenenti biocombustibili (in 
misura proporzionale al contenuto di biocombustibili stessi) senza alcuna 
autorizzazione preventiva degli organi dell’Unione.
84 Un terzo principio ispiratore del Piano è l’adozione di norme per autoproduttori che anticipa forse l’odierno dibattito sulla produzione 
distribuita di energia come sistema di sviluppo sostenibile. 
85 Legge °9/9 Gennaio 1991 “Norme per l’attuazione del nuovo Piano Energetico 
Nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, 
idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali”.
86 Vengono innanzitutto introdotte una parziale liberalizzazione nonché la 
previsione che la produzione di energia da fonti rinnovabili non è soggetta ad 
autorizzazione. L’articolo 22 inoltre introduce incentivi alla produzione di 
energia elettrica da fonti di energia rinnovabili o assimilate e in particolare 
da impianti combinati di energia e calore. I prezzi relativi alla cessione, alla 
produzione per conto dell’ENEL, al vettoriamento ed i parametri relativi allo 
scambio verranno poi fissati dal Comitato Interministeriale Prezzi con il 
provvedimento n. 6 dell’aprile 1992.
87 Allo scadere del termine il prezzo di cessione rientra nei criteri del costo 
evitato.
88 Nello stesso provvedimento il CIP stabilisce le condizioni di efficienza 
energetica necessarie per ottenere l’assimilabilità alle fonti rinnovabili, 
calcolata attraverso un indice energetico che premia le soluzioni a più alo 
rendimento elettrico.
89 Legge n°10/9 Gennaio 1991 “Norme per l’attuazione del Piano Energetico 
Nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di 
sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”. 
90 Uno dei più significativi decreti d’attuazione è il D.P.R. 26 Agosto 1993 n° 
412 “Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, 
l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del 
contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’articolo 4/IV della 
Legge 9 Gennaio 1991, n° 10”, poi modificato ed integrato dal D.P.R. 21 Dicembre 
1999, n° 551 “Regolamento recante modifiche al Decreto del Presidente della 
Repubblica 26 Agosto 1993, n° 412, in materia di progettazione, installazione, 
esercizio e manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del 
contenimento dei consumi di energia” 
91 In particolare, nel Titolo I, l’art. 5 prescrive alle Regioni (e Province 
autonome) la predisposizione di piani energetici regionali relativi all’uso 
delle fonti rinnovabili. Gli artt. 8, 10 e 13 delegano alle Regioni (e Province 
autonome) il sostegno contributivo in conto capitale per l’utilizzo delle fonti 
rinnovabili in edilizia e agricoltura e per il contenimento dei consumi 
energetici nei settori industriale, artigianale e terziario. L’art. 19 introduce 
la figura professionale del responsabile per la conservazione e l’uso razionale 
dell’energia per i soggetti che operano nei settori industriale, civile, 
terziario e dei trasporti, ovvero l’Energy Manager. Il Titolo II tratta delle 
norme e tecniche per il contenimento del consumo di energia negli edifici.
92 Agevolazioni tributarie e sull’IVA per interventi effettuati e miranti al 
conseguimento del risparmio energetico e all’adozione di impianti basati 
sull’impiego di fonti rinnovabili.
93 In linea teorica gli obiettivi che questa misura intenderebbe raggiungere 
sono: 1) favorire l’uso di combustibili che emettono meno anidride carbonica, 2) 
promuovere iniziative volte ad aumentare l’efficienza energetica, 3) favorire 
l’uso di fonti rinnovabili.
94 La Carbon Tax è in sintonia con una eventuale riforma “verde” dell’intero 
sistema fiscale, in quanto aumenta il prezzo delle fonti di energia più 
inquinanti, internalizzando i costi esterni associati alle emissioni di gas 
serra (riducendo il loro consumo e spingendo verso la sostituzione con energia 
proveniente da fonti meno inquinanti). L’obiettivo è pertanto la variazione del 
mix di combustibili e non la raccolta di gettito (l’imposta può essere stabilita 
in modo da essere neutrale rispetto al gettito; vengono cioè ridotte altre 
tasse, tipicamente oneri sociali, in modo da non aumentare il carico fiscale 
complessivo per le imprese e/o i cittadini). Essa può altresì generare positive 
ricadute sull’occupazione (attraverso lo sgravio del costo del lavoro ed i nuovi 
investimenti sollecitati dalla necessità di maggiore efficienza energetica). Per 
evitare che l'introduzione della tassa rechi troppi danni alle imprese 
nazionali, possono essere previste eccezioni di cui possono godere alcune 
industrie (come quelle ad alta intensità energetica o per le quali sia molto 
elevata la competizione internazionale). Nel ddl di riordino del settore 
energetico, peraltro, è prevista (articolo 21) una modifica in materia di carbon 
tax. La legge tenderebbe a congelare ai livelli attuali il gettito derivante 
dalla carbon tax (eliminando quindi i previsti incrementi nel tempo) 
mantenendone inalterata la destinazione; evitare distorsioni del mercato; 
incentivare, a parità di emissioni in atmosfera, l'utilizzo di una fonte di 
ampia disponibilità e stabilità di prezzo a tutto vantaggio della sicurezza 
degli approvvigionamenti; introdurre, in sostituzione della carbon tax, un 
sistema di tassazione evoluta ed in linea con l'evoluzione del mercato, che 
stimola verso comportamenti virtuosi i produttori (che si devono adeguare alle 
soglie di emissione decrescenti nel tempo), anche attraverso la diversificazione 
delle fonti utilizzate consentendo tuttavia ai soggetti che rispettano i limiti 
imposti di non dover pagare la tassa o addirittura beneficiare della vendita dei 
diritti di emissione tramite l'istituzione dell'apposito mercato.
95 Decreto Legislativo 16 Marzo 1999, n°79 “Attuazione della direttiva 96/92/CE, 
recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica” (detto anche 
“Decreto Bersani”). 
96 Un analogo passo si compie per il settore del gas naturale con il Decreto 
Legislativo 23 Maggio 2000, n° 164 “Attuazione della direttiva 98/30/CE, recante 
norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’art. 41 della 
Legge 17 Maggio 1999, n° 144” (detto anche “Decreto Letta”).
97 Tra di esse sono da ricordare il Libro Verde elaborato dall’ENEA nell’ambito 
del processo organizzativo della Conferenza Nazionale Energia e Ambiente e 
soprattutto il “Libro Bianco per la valorizzazione energetica delle Fonti 
Rinnovabili” elaborato dal Ministero dell’Industria d’intesa con i Ministri 
dell’Ambiente, per le Politiche Agricole, dei Lavori Pubblici, delle Finanze e 
della Ricerca Scientifica e Tecnologica e sentita la Conferenza Unificata per i 
rapporti tra Stato, Regioni, Province Autonome e Autonomie Locali (approvato dal 
CIPE con delibera n° 126 del 6 Agosto 1999). Il Libro Bianco individua, per 
ciascuna fonte rinnovabile, gli obiettivi che devono essere conseguiti per 
ottenere le riduzioni di emissioni di gas serra attribuiti alle fonti 
rinnovabili dalla delibera Cipe ‘98 (“Linee guida per le politiche e misure 
nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”), indicando altresì le 
strategie e gli strumenti necessari allo scopo. La redazione di tale documento 
di indirizzo, inoltre, dà corso e attuazione, a livello nazionale, al Libro 
Bianco comunitario sulle rinnovabili (Com(97) 599 def. del 26-11-1997: "Energia 
per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili - Libro Bianco per una strategia 
e un piano d'azione della Comunità"; in esso si sostiene che "il ruolo degli 
Stati membri nell'attuazione del piano d'azione - del Libro Bianco comunitario - 
è cruciale. Essi devono decidere i loro obiettivi specifici nell'ambito del 
quadro più generale ed elaborare le proprie strategie nazionali per 
conseguirli").
98 Altre misure riguardano il rinnovo delle concessioni idroelettriche, 
subordinato a programmi di aumento di energia prodotta o di potenza installata 
ed i termini temporali per la decorrenza delle incentivazioni previste dal 
provvedimento Cip 6/92.
99 La quota è inizialmente fissata al 2% e l’obbligo si applica alle 
importazioni e produzioni di energia elettrica, al netto della cogenerazione, 
degli autoconsumi di centrale e delle esportazioni, eccedenti i 100 GWh. I 
produttori non devono obbligatoriamente produrre in proprio la quantità 
necessaria al raggiungimento della percentuale indicata, ma possono acquistare, 
in tutto o in parte, l’equivalente quota o i relativi diritti (certificati 
verdi) anche da altri produttori. Per gli inadempienti sono stabilite sanzioni 
consistenti nella limitazione alla partecipazione al mercato dell’elettricità.Il 
meccanismo viene ulteriormente sviluppato nel D.M. 11 Novembre 1999 – “ 
Direttive per l’attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti 
rinnovabili di cui ai commi 1,2,3 dell’articolo 11 del Decreto Legislativo 16 
Marzo 1999, n°79”.
100 Anche gli impianti autorizzati sotto il regime Cip 6/92 ed entrati in 
esercizio dopo il 1 aprile 1999 hanno diritto ai certificati verdi, i quali, 
però, sono di proprietà del Gestore della rete: questi li immette sul mercato a 
un prezzo determinato in base alla differenza tra l’onere di acquisto 
dell’elettricità Cip 6/92 (quando viene riconosciuta anche la quota 
incentivante) e i proventi della vendita della medesima elettricità.
101 Libro Bianco.
102 Per quanto attiene agli obiettivi di efficienza e risparmio energetici, due 
decreti ministeriali (24 Aprile 2001) stabiliscono gli obiettivi di risparmio 
energetico negli usi finali che, nel periodo 2002-2006, debbono essere 
obbligatoriamente conseguiti dai distributori di elettricità e gas naturale, 
dando attuazione a quanto previsto nell’art. 9 del D.lgs 79/99 e all’art.16 del 
D.lgs 164/00. Nei provvedimenti si stabilisce che, a partire dal 2002, i 
distributori di energia elettrica e gas (l’obbligo si applica ai distributori 
con più di 100.000 clienti idonei) dovranno dimostrare alla fine dell'anno di 
aver conseguito risparmi energetici pari alle quote fissate dai Ministeri 
dell'Ambiente e delle Attività Produttive. La garanzia di tali guadagni di 
efficienza è rappresentata dai "Titoli di Efficienza Energetica" (TEE), emessi 
dall'Autorità per l'Energia elettrica ed il Gas a fronte di miglioramenti negli 
usi finali in progetti qualificati per l'emissione. Per facilitare il 
conseguimento degli obiettivi stabiliti, i decreti permettono che i TEE siano 
oggetto di contrattazione, determinando la formazione di un mercato dei titoli 
di efficienza simile a quello dei certificati verdi. L’entità degli obiettivi, 
ambiziosa ma realistica e con tempi di ritorno degli investimenti contenuti, 
dovrebbe consentire di ottenere una riduzione delle emissioni di 7,5 Mt CO2 nel 
2006, valore che potrebbe crescere fino a 10 Mt CO2 nel 2010.
103 Il ddl presenta un intero capo in un certo senso dedicato alla sostenibilità 
energetica (“Capo V - Misure per la diversificazione delle fonti energetiche a 
tutela della sicurezza e dell’ambiente”).
104 Si veda, nello schema, la tabella 5 (Livelli Massimi di emissioni di GHG al 
2005 e per il periodo 2008-2012) in cui compare ad esempio il valore obiettivo 
di 124,1 Mt CO2 eq. (periodo 2008-2012) per il settore termoelettrico, che è il 
maggior responsabile delle emissioni.
105 I livelli sono definiti per gli “esercenti officine di produzione di energia 
elettrica, anche alimentate da fonti energetiche rinnovabili, per il rispetto 
della percentuale di riduzione delle emissioni di anidride carbonica prevista in 
ottemperanza agli impegni sottoscritti nel protocollo di Kyoto”. L’attuazione 
deve anche portare a “stabilire le modalità per l'organizzazione di un mercato 
per il commercio dei diritti di emissione di anidride carbonica”.
106 Il disegno di legge parla anche di obiettivi generali, come “perseguire il 
miglioramento della sostenibilità ambientale dell'energia, anche in termini di 
uso razionale delle risorse territoriali, ed il rispetto degli impegni assunti a 
livello internazionale, in particolare in termini di emissioni di gas ad effetto 
serra e di incremento dell'uso delle fonti energetiche rinnovabili assicurando 
il ricorso equilibrato a ciascuna di esse. La promozione dell'uso delle energie 
rinnovabili deve avvenire, anche attraverso il sistema complessivo delle 
incentivazioni, assicurando un equilibrato ricorso alle fonti stesse, assegnando 
la preferenza a quelle di minore impatto ambientale e territoriale”.
107 Processo avviato con la Legge n° 59/97 (“Bassanini”). 
108 L’energia rimane quindi materia di competenza dello Stato, cui competono 
anche le funzioni amministrative che assecondano esigenze di politica unitaria e 
hanno interesse di carattere nazionale o sovra-regionale; alle regioni e agli 
enti locali vengono assegnate funzioni con criterio residuale ed in base al 
principio di sussidiarietà (alle regioni espressamente il controllo di quasi 
tutte le forme di incentivazione ed il coordinamento dell’attività degli enti 
locali in relazione al contenimento dei consumi di energia degli edifici).
109 A livello comunale viene in particolare istituito uno sportello unico con 
funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l’ampliamento, la 
cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di 
impianti produttivi.
110 Tra cui ad esempio le funzioni amministrative concernenti la costruzione e 
l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza 
superiore a 300 MWt, le reti per il trasporto con tensioni superiore a 150 kV, 
l’emanazione di norme tecniche relative alla realizzazione di elettrodotti e il 
rilascio di concessioni per l’esercizio delle attività elettriche).
111 Si veda ad esempio D.P.C.M. 12 Ottobre 2000 relativo alle funzioni in 
materia di energia, miniere e risorse geotermiche.
112 Allo Stato è riservato il compito di dettare i principi fondamentali, mentre 
le Regioni hanno la potestà legislativa per tutto quanto non fa riferimento alla 
determinazione dei suddetti principi. Per quanto riguarda le competenze 
amministrative il nuovo testo dell’art 117 della costituzione attribuisce 
potestà regolamentare alle regioni (salvo i casi di competenza esclusiva 
statale), mentre a Comuni, Province e Città Metropolitane riserva quella sulle 
funzioni loro attribuite (quelle fondamentali, attribuite con legge dello 
stato). L’art 118 dispone inoltre che “le funzioni amministrative sono 
attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano 
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei 
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
113 Tra queste “la fissazione degli obiettivi minimi nazionali in materia di 
fonti rinnovabili e di risparmio energetico, sentita la Conferenza unificata” e 
“la definizione, d'intesa con la Conferenza unificata, dei principi generali per 
la articolazione territoriale degli obiettivi minimi nazionali in materia di 
fonti rinnovabili e risparmio energetico”.
114 Tra cui “l’adozione di indirizzi e di misure per salvaguardare la sicurezza 
e l’economicità degli approvvigionamenti per i clienti vincolati, nonché 
garantendo la diversificazione delle fonti energetiche, anche con 
l’utilizzazione delle energie rinnovabili e dell’energia prodotta mediante 
cogenerazione” e “la quantificazione dell’obbligo, a carico di produttori ed 
importatori, di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota prodotta da 
fonti rinnovabili, e le regole generali per la commercializzazione dei 
“certificati verdi”.
115 UE Green Paper “Towards a European strategy for the security of energy 
supply”.
116 Insieme all’efficienza negli usi finali, che permette di ottenere i tre 
obiettivi suddetti dal lato della domanda ed è, proprio in ragione di ciò, 
spesso trattata, nelle politiche adottate, insieme alle fonti rinnovabili in 
quanto la diminuzione dei consumi (della domanda) consente di raggiungere più 
facilmente anche gli obiettivi (non assoluti, ma relativi proprio ai consumi 
totali) di penetrazione delle fonti rinnovabili.
117 Con l’eccezione dei grandi impianti idroelettrici.
118 La produzione ottenibile con talune fonti energetiche rinnovabili non è 
facilmente programmabile, per ovvi motivi legati alla variabilità meteorologica 
(ad esempio regime dei venti), pertanto gli impianti e le infrastrutture non 
sono facilmente inseribili nel quadro strutturale (tecnologico e di 
coordinamento) di soddisfacimento della domanda. Esse presentano un “debito di 
potenza”, in quanto devono essere “garantite” da impianti convenzionali che 
entrino in funzione quando diminuisce la produzione ottenibile da esse.
119 Vi sono anche interessi di natura diversa rispetto al comune utilizzo di una 
risorsa (valore ricreativo, simbolico, ecc.).
120 Conviene cooperare laddove si riesca poi ad imporre un proprio standard come 
norma (standard di diritto, es. proposta di quadro comunitario sui regimi di 
sostegno) o prassi (standard di fatto, es. metodologia di certificazione che 
acquista credibilità tale da divenire l’unica utilizzata).
121 Gli stessi complessi processi di ottenimento delle autorizzazioni 
costituiscono una forte barriera all’entrata.
122 Le esternalità (costi non contabilizzati) introducono una non corretta 
ripartizione dei costi (chi sostiene i costi dell’azione volta all’efficienza 
non ne ottiene tutti i benefici); la presenza di asimmetria informativa induce 
gli attori (imprese, utenti) a non investire in ricerca nuove opzioni 
tecnologiche e/o di metodi di utilizzo più efficienti.
123 Il Quinto programma d’azione a favore dell’ambiente e di uno sviluppo 
sostenibile ("Per uno sviluppo durevole e sostenibile", COM (92) 23, Bruxelles, 
maggio 1992 ma formalmente deliberato nel 1993) contiene sostanziali novità di 
approccio rispetto ai precedenti programmi ambientali dell’Unione: esso si 
presenta come lo strumento di attuazione in ambito comunitario dell’Agenda 21 e 
costituisce il quadro unitario di riferimento per le politiche degli Stati 
membri. Di particolare rilievo gli indirizzi relativi all’integrazione delle 
politiche, all’ampliamento degli strumenti di governo (economici, volontari, 
informativi), alla condivisione delle responsabilità ed alla sussidiarietà, all’internalizzazione 
dei costi esterni, alla riforma fiscale in senso ecologico, ai conti/satellite 
ambientali da affiancare alla contabilità nazionale, all’individuazione dei 
settori d’intervento e delle tematiche ambientali prioritarie.
124 Negli anni che precedono il trattato, peraltro, l’Unione Europea viene 
criticata per non aver mantenuto gli impegni in tema di sostenibilità assunti 
durante la Conferenza di Rio.
125 Strategie per la transizione vengono in seguito definite in diversi settori: 
agricoltura, energia, trasporti, mercato interno, attività estrattive ed 
industria, cooperazione allo sviluppo, cooperazione economica e finanziaria, 
pesca, affari trasversali (in cui sono responsabili i Ministri degli Affari 
Esteri)
126 Nei settori trasporti, energia, agricoltura, attività estrattive ed 
industria, mercato interno, cooperazione allo sviluppo.
127 Purtroppo, pur appena nato, questo processo di attuazione della strategia 
non si è contraddistinto per coerenza ed efficacia (la relazione di sintesi del 
2002 non menziona alcuno degli indicatori proposti e non fissa, tra le priorità, 
alcun obiettivo ambientale - neppure gli obiettivi collegati a Kyoto; inoltre 
nella sua predisposizione sono stati completamente trascurati i requisiti di 
trasparenza e partecipazione di associazioni esterne alla Commissione), 
lasciando intravedere anche in questo caso la difficoltà che permane nei 
tentativi di rendere attuabile nella concreta prassi politica, pur di lungo 
periodo, ogni proponimento connesso allo sviluppo sostenibile.
128 L’Unione Europea conferisce all’integrazione degli aspetti ambientali in 
tutte le politiche di governo il massimo rilievo formale, traducendola in un 
vero e proprio obbligo giuridico, fin dal Trattato di Amsterdam (articolo 6 del 
testo consolidato).
129 Obiettivi di riduzione o di limitazione quantificata delle emissioni.
130 Inghilterra, Scozia, Galles ed Irlanda del Nord.