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I 
permessi di inquinamento negoziabili per le risorse idriche: applicabilità 
all’Italia
Water Quality Trading
 
VANIA PACCAGNAN*
Abstract
Water quality trading represents 
an institutional innovation developed in several countries in order to cope with 
diffuse pollution. After having described this policy instrument, this note 
reviews and assesses its application in the US and Australia, in order to 
clarify how it can be . The objective is to understand whether it can be 
introduce in Italy, given the current legislative and institutional framework 
for water resource management. 
Key words: Water quality trading, diffuse pollution, economic instruments. 
 
Premessa
I permessi di inquinamento negoziabili hanno trovato amplia applicazione fin 
dagli anni ’80 per vari inquinanti atmosferici, sia di natura locale (es. SO2) 
che globale (CO2), perché giudicati in grado di raggiungere un dato 
standard qualitativo al minimo costo. 
La presente nota intende fornire una rassegna delle esperienze dei permessi di 
inquinamento applicati alle risorse idriche, allo scopo di comprendere se e in 
che misura tale meccanismo è applicabile al caso italiano.
Il contributo, dopo aver descritto il funzionamento dei permessi di inquinamento 
applicati all’acqua, passerà in rassegna le principali esperienze 
internazionali, per evidenziarne gli aspetti applicativi e valutarne l’efficacia 
nel miglioramento dello stato qualitativo dei corpi idrici. 
Generalità
In generale, i permessi di inquinamento si basano sul principio che 
l’aumento di emissioni inquinanti da una fonte dev’essere compensato dalla 
diminuzione equivalente di un’altra fonte. Il meccanismo può essere riassunto 
come segue. Uno standard ambientale è fissato dal regolatore ambientale, il 
quale definisce il tetto massimo di inquinamento ammesso senza tuttavia 
determinare la distribuzione dello stesso tra le fonti inquinanti. A questo 
standard corrisponde una quantità di permessi che è distribuita ai soggetti 
inquinatori, i quali possono decidere se conformarsi agli standard ambientali, 
abbattendo il corrispondente carico inquinante, o scambiarsi i permessi di 
inquinamento. In questo schema, alcune fonti di inquinamento sono autorizzate ad 
emettere una quantità di inquinamento superiore a quella concessa dai vincoli di 
legge, a patto che abbiano acquistato dei permessi da altri inquinatori che, 
inquinando meno dello standard consentito possono vantare dei crediti. Un 
mercato per i diritti di inquinamento può essere stabilito a scala locale (es. 
bacino idrografico), nazionale o continentale.
Gli esempi di permessi di inquinamento, nel caso delle risorse idriche, 
riguardano principalmente i corsi d’acqua superficiali, anche se non è mancato 
l’interesse scientifico per eventuali sperimentazioni al caso dei corpi idrici 
sotterranei. Identifichiamo un mercato dei permessi in tutti i casi in cui a un 
inquinatore è permesso di adempiere agli obblighi di legge in materia di 
inquinamento delle risorse idriche diminuendo l’apporto inquinante di altre 
fonti (Woodward e Kaiser, 2002). I permessi sono sempre riferiti a un singolo 
inquinante (quali es. i nutrienti).
Nel caso delle risorse idriche, questo strumento di politica ambientale si è 
affermato per due ordini di motivi (Nguyen et al., 2006). In primo luogo, per 
ovviare ai limiti delle politiche regolative di tipo autoritativo, che non 
consentono di raggiungere l’obiettivo di qualità ambientale al minimo costo1. 
In secondo luogo, le politiche regolative affermatisi in Europa a partire dagli 
anni ’70 e negli USA a partire dagli anni ’50, hanno esaurito la loro efficacia 
per quanto concerne gli scarichi puntuali. Con riferimento a queste fonti, il 
miglioramento della qualità dei corpi idrici dovrebbe passare per un 
inasprimento degli standard di emissione. Considerato il fatto che si sono 
raggiunte percentuali di abbattimento notevoli, tale inasprimento produrrebbe un 
aumento dei costi di enforcement considerevoli. L’attenzione dei policy 
makers, di conseguenza, si è rivolta alle fonti di inquinamento diffuse, la 
cui regolazione ambientale è normalmente impostata su approcci volontari o di 
regolazione degli input produttivi (quali fertilizzanti). L’imposizione di 
standard ambientali per le fonti diffuse si rivela tuttavia difficoltosa, date 
le difficoltà di monitoraggio2. 
Di conseguenza, risulta più conveniente porre in essere un mercato dei diritti 
dell’inquinamento tra fonti di inquinamento diffuse e fonti di inquinamento 
puntuali o tra fonti d’inquinamento puntuali solamente.
I permessi di inquinamento applicati alle acque, pertanto, non possono essere 
pensati se non in combinazione con altri strumenti di politica ambientale, 
soprattutto di tipo Command e Control. La prima condizione per poter introdurre 
un mercato dei permessi è infatti la fissazione dello standard ambientale, la 
quantità massima di inquinante che il regolatore ambientale autorizza (la c.d. 
“bubbole”), data dalla somma dei singoli contributi. In questo senso, i permessi 
si sommano anziché sostituire gli strumenti regolativi già in essere.
Di fatto, l’introduzione di questo meccanismo coincide con la creazione di un 
mercato ex novo, quello dei permessi di inquinamento. Per questo motivi gli 
aspetti istituzionali devono essere attentamente valutati e analizzati nella 
fase di implementazione del sistema, allo scopo di garantire l’efficacia dello 
strumento stesso. 
In particolare, affinché il mercato permetta il raggiungimento dell’obiettivo di 
policy al minimo costo è necessario che i diritti di inquinamento siano ben 
definiti e che non esista potere di mercato dei soggetti che si scambiano i 
permessi. 
In riferimento al primo aspetto, la completezza del mercato dei diritti 
d’inquinamento è garantita dalla chiara definizione degli stessi (devono essere, 
in altri termini, chiaramente definiti i diritti allo scarico degli inquinatori, 
il c.d. entitlement), dalla trasferibilità degli stessi (transferability) 
e dal diritto di proteggere tale diritto contro le pretese altrui (enforceability) 
(Woodward e Kaiser, 2002). Per quanto concerne la definizione della titolarità 
dei permessi, se il diritto ad inquinare è già sancito dalle attuali 
autorizzazioni allo scarico, non lo stesso si può dire per l’assegnazione del 
permesso all’inquinatore. In generale, le modalità di distribuzione dei permessi 
maggiormente usate sono il grandfathering e il sistema delle aste. Nel 
primo caso (maggiormente usato), la quantità di permessi è proporzionale alle 
quantità inquinanti storicamente emesse. Nel secondo caso, gli inquinatori 
devono acquistare i permessi messi all’asta dal regolatore ambientale. Nella 
fase di design, l’altro aspetto da prendere in considerazione riguarda la 
fissazione della bubble. Nel caso delle risorse idriche, storicamente si 
è preferito regolare puntualmente gli scarichi, anche se il peso delle fonti 
diffuse ha prodotto un cambio di approccio regolatorio, sempre più informato dal 
principio della qualità del corpo idrico recettore. Mentre negli Stati Uniti 
questo approccio regolativo si è tradotto nella fissazione del Total Maximum 
Daily Load (TMDL, v. sotto), in Europa lo standard è fissato in termini di 
qualità del corpo idrico (es. obiettivo “buono” sancito dalla Direttiva Quadro 
Acque, WFD, 2000/60/CE). Manca quindi la fissazione esplicita di un limite alla 
quantità di sostanze inquinanti sversate in corpo idrico. Una soluzione potrebbe 
essere data dalla possibilità, già sperimentata negli Stati Uniti per le fonti 
non puntuali, di fissare lo standard in riferimento alla situazione attuale: i 
crediti sono pertanto assegnati alle fonti che riducono di una data percentuale 
i livelli di inquinamento attuali.
L’enforceability è strettamente legata al problema del monitoraggio. 
Mentre per le fonti puntuali un efficace monitoraggio è spesso già in essere, 
per le fonti diffuse i carichi sono stimati, spesso sulla base di 
modellizzazioni. Anche i miglioramenti ambientali sono dedotti da simulazioni. È 
inoltre necessario verificare che effettivamente i programmi migliorativi siano 
posti in essere. La definizione del sistema di monitoraggio, influendo sui costi 
di transazione, ha importanti implicazioni per la creazione e la vivacità del 
mercato dei permessi. La questione è particolarmente importante nei casi in cui 
si vogliano coinvolgere fonti di inquinamento diffuse in cui, notoriamente, tali 
costi sono maggiori (Griffin e Bromley, 1982). 
Con riferimento alla struttura del mercato, Woodward e Kaiser (2002) individuano 
quattro possibilità: borse dei permessi, negoziazioni bilaterali, mercato 
tramite intermediari (clearinghouses) e compensazioni one shot. Le 
quattro strutture differiscono per i costi di transazione e per la maggiore o 
minore capacità di risolvere alcuni problemi di implementazione dati dalla 
natura dei fenomeni di inquinamento che caratterizzano le risorse idriche.
Tra tutte le possibilità, quella di più difficile applicazione all’inquinamento 
idrico risulta la dei permessi. A differenza degli inquinanti 
atmosferici, la mancanza di uniformità delle fonti di inquinamento idrico e 
delle tipologie di inquinanti, derivante da varie caratteristiche dei fenomeni 
di inquinamento, ostacola l’efficace scambio di permessi. In particolare:
- sono differenti le fonti di 
inquinamento (puntuali vs. diffuse) e per quelle diffuse risulta incerto 
l’apporto inquinante 
- sono diversi gli impatti delle diverse fonti (a seconda ad esempio della 
distanza dal corpo idrico recettore o altre condizioni fisiche).
Di conseguenza, risulta difficile 
compensare l’aumento dell’inquinamento di una fonte con l’esatta riduzione di 
un’altra fonte. A tale scopo, nelle realtà considerate, sono stati introdotti 
dei trading ratio, ossia dei rapporti di equivalenza tra fonti inquinanti, atti 
ad eguagliare gli apporti marginali di due diverse fonti. Un’ulteriore 
complicazione è data dal fatto che i costi di abbattimento non sono dati ma 
dipendono dalla localizzazione delle fonti inquinanti. L’inquinamento prodotto a 
monte, infatti, aumenterà i costi di abbattimento degli agenti posti a valle. 
Questa situazione rappresenta un’altra violazione del principio di uniformità. 
Infine, a differenza delle borse, la localizzazione delle fonti inquinanti non 
consente alle stesse di rimanere anonime. Di conseguenza, le borse non sono 
frequentemente utilizzate nell’ambito dello scambio dei permessi di inquinamento 
idrico.
Nella pratica, risultano maggiormente diffuse le negoziazioni bilaterali. 
Il problema di questi meccanismi risiede negli elevati costi di transazione 
provocati dai necessari controlli sul rispetto dei limiti di emissioni puntuali. 
Si è tentato di ovviare a questo problema in due modi: (i) istituendo dei 
meccanismi uniformi di calcolo dei crediti (anche via web: www.nutrientnet.org), 
sulla base di indicatori osservabili o (ii) certificando l’emissione dei crediti 
(da parte dell’US Environmental Protection Agency - USEPA). Nonostante questi 
tentativi, le negoziazioni bilaterali risultano preferibili nei casi in cui le 
fonti inquinanti non siano numerose. L’anonimato delle fonti in questo caso non 
è garantito.
Non così invece nel caso delle clearing houses, dove compratori e 
venditori di permessi non si incontrano, visto che gli scambi sono mediati da un 
terzo soggetto, che acquista i permessi dai venditori e li rivende ai 
richiedenti. Questo meccanismo potrebbe ridurre i costi di transazione a 
condizione che i costi di costituzione dell’intermediario non compensino i 
guadagni derivanti dal centralizzare le transazioni. Un altro aspetto negativo è 
dato dal fatto di rivendere i permessi al prezzo medio di acquisto, violando 
perciò la condizione di eguaglianza tra costi marginali di abbattimento e prezzo 
dei permessi. Questo meccanismo, in linea teorica, è applicabile ai casi in cui 
ci siano numerosi inquinatori che fronteggiano costi di abbattimento uniformi.
L’ultimo tipo di meccanismo viene denominato impropriamente trading, visto che 
nella pratica consiste nella compensazione tra diverse fonti inquinanti, 
dove alcune giustificano l’aumento di carico inquinante o la non conformità agli 
standard attraverso riduzioni e miglioramenti degli scarichi posti in essere da 
altre fonti inquinanti. Questo sistema risulta il meno incentivante, dato che 
coinvolge solamente le fonti inquinanti che non rispettano gli standard, mentre 
non crea incentivi a ridurre ulteriormente gli standard oltre gli standard 
puntuali. 
Esperienze internazionali
I paesi che maggiormente hanno sperimentato il sistema dei permessi 
applicati alle acque risultano essere gli Stati Uniti e l’Australia, che li 
hanno introdotti per far fronte principalmente a problemi di eccessivo carico di 
nutrienti e di salinità dei corpi idrici. 
Nel primo caso si contano 27 programmi di negoziazione tra inquinatori. Di 
questi, 23 riguardano negoziazioni tra fonti diffuse e non e 4 riguardano i 
mercati tra fonti inquinanti puntuali. La maggior parte dei programmi (22) 
riguarda i nutrienti, mentre solo 2 riguardano metalli e 3 singole sostanze 
(selenio e sedimenti).
Nella pratica, questi programmi si sono affermati per rispondere a due tipi di 
esigenze. Da un lato, l’introduzione di mercati di permessi di emissione è presa 
in considerazione qualora una fonte inquinante, pur sottoposta a dei limiti di 
emissione, voglia espandere la propria produzione. In questo caso, risulta 
conveniente coinvolgere altre fonti di inquinamento (spesso di origine diffusa) 
che presentano costi di abbattimento più bassi, per compensare il proprio 
aumento di carico inquinante con la diminuzione dello stesso operata da una 
fonte alternativa. Dall’altro, i mercati sono stati introdotti nelle situazioni 
in cui occorreva imporre dei limiti stringenti agli scarichi, allo scopo di 
raggiungere l’obiettivo di qualità ambientale a minor costo. Nel caso degli 
Stati Uniti lo standard ambientale, sulla base del quale emettere i permessi, è 
il c.d. Total Maximum Daily Load (TMDL), ossia la quantità massima di carico 
inquinante che può essere sversata su un corpo idrico senza peggiorarne la 
qualità ambientale (CITF, 2003).
Allo scopo di incoraggiare le pratiche di emission trading applicate agli 
inquinanti idrici, la USEPA ha redatto un documento contenente le linee guida 
per lo sviluppo di questi mercati (USEPA, 2003). 
Descriviamo di seguito tre casi di mercati dei permessi che si differenziano per 
tipologia delle transazioni, inquinanti trattati e successo: il fiume Fox 
(Wisconsin), il bacino del Tar Pamlico (North Carolina) e il lago Dillon 
(Colorado). 
Il fiume Fox costituisce il primo esempio di emission trading applicato alle 
risorse idriche negli Stati Uniti (OECD, 1999). Nel 1981 il Wiscounsin 
Department approvò la possibilità di scambiare i permessi di scarico nel fiume 
Fox, con riferimento agli scarichi che incrementano il carico di BOD nel corpo 
idrico. L’idea del programma era di introdurre un certo grado di flessibilità 
nell’adempimento degli standard ambientali per le fonti di inquinamento 
puntuali. In pratica, era prevista la possibilità per le fonti che riuscivano a 
ridurre il carico di BOD versato nel fiume rispetto al valore limite di legge, 
di vendere la differenza ad altre fonti. Il programma fu lanciato sulla base di 
stime secondo le quali gli scambi avrebbero consentito di risparmiare 7 milioni 
di $ nei costi di recepimento della normativa. I soggetti coinvolti erano 
ventuno. In realtà, i costi si sono rivelati sostenibili e finora nessuno 
scambio è stato registrato. I motivi del mancato successo del programma sono (Carlin, 
1992):
- lo sviluppo da parte delle 
industrie inquinanti di alternative di policy che hanno permesso comunque di 
recepire la normativa;
- l’incertezza normativa legata al fatto che il Clean Water Act non autorizza 
espressamente gli scambi;
- le restrizioni agli scambi imposte dalla normativa statale.
Nel caso del bacino del Tar Pamlico, il mercato nasce come conseguenza di un’azione dell’Associazione di Industriali, in risposta a un inasprimento degli standard ambientali per le concentrazioni di nitrati e fosforo (Nguyen, 2006). Nel 1989, infatti, la North Carolina Environmental Management Commission definì il bacino Tar-Pamlico come zona vulnerabile ai nutrienti. In seguito alla ricognizione delle fonti inquinanti, risultò evidente che il maggior apporto veniva dalle fonti di origine diffusa. Nonostante questo risultato, la Commissione suggerì di fermare l’aumento degli apporti derivanti da fonti puntuali. La reazione degli industriali si concretizzò nella formazione di un’Associazione, per proporre l’introduzione di mercati dei permessi anziché rafforzare i controlli sulle fonti puntuali. In particolare, la proposta prevedeva:
- la regolazione del carico 
nutriente prodotto in aggregato dalle fonti puntuali, autorizzando perciò lo 
scambio di nutrienti tra soggetti inquinatori;
- l’impegno per i membri dell’Associazione a versare dei contributi ad un fondo 
per incoraggiare la riduzione dell’inquinamento da fonti diffuse allo scopo di 
compensare ogni sforamento dalla “bolla” definita per gli inquinatori puntuali.
In seguito a questa proposta, si 
svilupparono due mercati, uno tra fonti puntuali (un soggetto industriale e una 
dozzina di impianti di trattamento delle acque reflue civili), attraverso 
negoziazioni bilaterali, e uno tra fonti puntuali, da un lato, e fonti diffuse, 
dall’altro, attraverso un intermediario (clearinghouse) tra 
l’associazione degli industriali e gli agricoltori. Di fatto, la 
clearinghouse rimborsa agli agricoltori il 75% dei costi di implementazione 
di best practices allo scopo di ridurre gli apporti di azoto e fosforo. Dal 1996 
$ 750,000 sono stati versati come contributi a fondo perduto per la riduzione 
dell’inquinamento di origine diffusa. L’adesione all’Associazione è volontaria 
ma, per i non membri, alle singole fonti puntuali si applicano gli standard 
definiti a livello nazionale. Nel caso esaminato, le fonti puntuali 
contribuiscono per il 15% al carico totale sversato. Ogni membro 
dell’Associazione provvede al versamento di $56 per kg prodotto da conferire al 
fondo per il finanziamento di interventi alternativi al miglioramento degli 
scarichi puntuali. Il limite complessivo di scarico (la “bubble”) ammontava nel 
2004 a 425.000 kg. Se le emissioni risultano inferiori alla bubble, 
all’Associazione è consentito accantonare la quota rimanente sotto forma di 
crediti (banking) da poter utilizzare negli anni successivi. Nel complesso, lo 
scarico totale di nutrienti è diminuito del 18%.
Infine, il caso del lago Dillon è un buon esempio di scambi tra fonti diffuse e 
puntuali. A fronte della fissazione di limiti annuali agli scarichi nel lago, è 
data la possibilità alle fonti puntuali di compensare gli sforamenti di tale 
limite attraverso il supporto alla rimozione dell’apporto da fonti diffuse. Per 
ovviare all’incertezza derivante dalle azioni di contenimento dell’apporto da 
fonti diffuse, gli scambi sono stati regolati in rapporto 2 : 1. In altri 
termini, ogni aumento di una tonnellata di carico da fonti puntuali dev’essere 
compensato da una diminuzione di due tonnellate di carico da fonti diffuse. Lo 
scambio dovrebbe risultare conveniente per l’inquinatore “puntuale”, considerato 
che si stima che la riduzione di una libbra di fosforo tramite depurazione costa 
$860, mentre la stessa riduzione da fonte diffusa costa $119 (OECD, 1999).
Nella realtà statunitense i mercati dei permessi di fatto si concretizzano in 
meccanismi di contrattazione. In Australia, invece, il mercato dei permessi di 
inquinamento ha sviluppato più meccanismi istituzionali. Un primo esempio 
riguarda principalmente la salinità dei corsi d’acqua, provocata dall’industria 
mineraria o dalle acque di raffreddamento utilizzate nei processi di produzione 
di energia elettrica. Il caso più interessante è quello rappresentato dal fiume 
Hunter (nello stato del New South Wales). Nel bacino, l’incremento della 
salinità provocava aumenti di costi di trattamento delle acque a scopi potabili 
e riduzione dei raccolti agricoli. Di conseguenza, l’EPA del New South Wales ha 
emesso dei permessi per 11 miniere di carbone, specificanti il massimo 
incremento di conduttività del fiume causato dallo scarico. Questo limite è 
stato rimosso e sostituito con un indice di concentrazione di salinità per le 
acque riceventi lo scarico. Allo scopo di implementare il regime, il fiume è 
stato diviso in tre sezioni (alta, media e bassa). Ogni inquinatore è stato 
assegnato a una sezione. Ogni punto di monitoraggio lungo il fiume individua un 
blocco, in cui è divisa l’asta. Ogni credito autorizza il possessore a scaricare 
lo 0.1% del massimo carico disponibile per ogni blocco. I possessori di crediti 
sono liberi di scambiarsi i permessi con altri possessori, ma tutti gli scambi 
devono essere registrati in un apposito registro (Credit Register). 
L’assegnazione dei permessi avviene sulla base di un meccanismo piuttosto 
complicato: dapprima una “merit formula” viene calcolata, considerando la 
gestione ambientale di ogni attività mineraria; in secondo luogo, un punteggio 
di performance ambientale viene calcolato attraverso le elaborazione del piano 
di gestione di bacino. Problemi nella raccolta e analisi dei dati, uniti a 
problemi di siccità, hanno di fatto impedito al programma di decollare (OECD, 
1999).
Un sistema più semplice è quello introdotto per lo scambio di permessi per i 
nutrienti, sempre nello stato del New South Wales (Australia). La New South 
Wales ha introdotto un c.d. “bubble regime”, costituito dall’insieme dei 3 
impianti di trattamento collocati nel bacino del Hawkesbury-Nepean (Sydney), 
tutti di proprietà di uno stesso operatore, che contribuiscono per il 60% e per 
il 75% del carico di fosforo e azoto del bacino. L’idea è che il regolatore 
ambientale controlli il carico inquinante totalmente generato nel bacino (la “bubble”), 
anziché le singole fonti puntuali. Viene, in altri termini, lasciata libertà al 
gestore degli impianti di depurazione di cercare di recepire gli standard 
ambientali ricercando la soluzione migliore in termini di costo-efficacia. Si 
stima infatti che i risparmi di costo si aggirino intorno al 10-20% dei costi 
totali.
Fattibilità di un mercato dei permessi nel caso italiano
L’analisi delle criticità nell’applicazione del mercato dei permessi e le 
esperienze internazionali ci consentono di valutare la fattibilità di un sistema 
di water quality trading (WQT) nel caso italiano.
Una prima difficoltà da superare affinché un sistema dei permessi possa essere 
efficacemente introdotto è data dalla sua legittimità, ossia dal fatto che tale 
sistema non sia in palese contrasto con la normativa in vigore. Questo aspetto, 
negli Stati Uniti, si è rivelato cruciale: il Clean Water Act, infatti, non 
prevedeva tale meccanismo in tal senso e molti programmi hanno dovuto superare 
anche lo scoglio della legittimità della possibilità di scambiarsi i permessi.
Nel caso italiano, queste difficoltà non dovrebbero presentarsi, per diversi 
ordini di motivi. Innanzitutto il recepimento del Protocollo di Kyoto tramite la 
l. 120/2002 e della Direttiva sull’ETS ha introdotto nel nostro paese questo 
strumento di politica ambientale. In linea di principio, nulla vieterebbe di 
introdurre un sistema analogo per le acque (IRER, 2006). Neanche la legislazione 
di settore pone particolari ostacoli, considerato che la WFD prevede 
espressamente la possibilità di introdurre delle misure supplementari allo scopo 
di raggiungere il buono stato ecologico. Neanche l’esistenza di standard di 
emissione puntuali (cfr. Dir. 271/91 recepita tramite D.Lgs. 152/99) impedisce 
di introdurre mercati dei permessi, specialmente nelle zone in cui il rispetto 
di questi standard non sia sufficiente al raggiungimento del buono stato 
ecologico. In queste realtà, infatti, sarà necessario inasprire gli standard 
puntuali (possibilità non vietata dal legislatore). I crediti di inquinamento, 
in tali contesti, potrebbero garantire il raggiungimento dell’obiettivo di 
policy al minimo costo, considerata la flessibilità che lasciano ai soggetti 
economici nella scelta delle tecnologie di abbattimento.
Nel caso della Regione Lombardia, ad esempio, il sistema è particolarmente 
indicato per la riduzione dei carichi inquinanti da fonti diffuse, aspetto che 
merita particolare attenzione vista la designazione della totalità della 
superficie regionale come area sensibile ai sensi del D.Lgs. 152/99. 
Se in linea teorica non ci sono ostacoli legislativi all’introduzione di questo 
meccanismo in Italia, numerosi punti critici si possono sollevare all’atto 
dell’implementazione del sistema. 
Il primo è l’individuazione della scala territoriale adeguata per l’introduzione 
del water quality trading. Le esperienze internazionali mostrano che 
generalmente gli scambi avvengono, nel caso dei fiumi, a livello di bacino 
idrografico. Nel caso italiano le possibilità di scelta sono duplici: da un lato 
esiste la possibilità che un unico sistema venga introdotto per tutto ogni 
bacino; dall’altro, l’alternativa consiste nell’introdurre più mercati, uno per 
ogni sottobacino. La prima soluzione appare quella più delicata dal punto di 
vista dell’implementazione: se da un lato, infatti, garantirebbe un numero di 
fonti di inquinamento maggiore (e aumentando potenzialmente il numero dei 
soggetti partecipanti al mercato), dall’altro aumenterebbero parallelamente i 
costi di transazione derivanti dalla maggiore difficoltà delle contrattazioni e 
dalla necessità di introdurre dei sistemi di trading ratio per tenere in 
considerazione l’eterogeneità degli scarichi nei due sottobacini. L’introduzione 
di un soggetto regolatore (per la standardizzazione dell’emissione dei permessi) 
e di un intermediario potrebbe far diminuire i costi di transazione. La seconda 
possibilità vede un numero più esiguo di soggetti inquinatori: da un lato la 
minore numerosità dei soggetti coinvolti potrebbe rendere superfluo 
l’introduzione di un mediatore; dall’altro l’esito del mercato sarebbe quindi 
lasciato solamente alla buona riuscita delle contrattazioni bilaterali 
(possibilità questa che potrebbe di nuovo aumentare i costi di transazione). La 
suddivisione in sottobacini, infine, potrebbe produrre delle sperequazioni nella 
riduzione dei carichi inquinanti, nel caso in cui i costi di abbattimento 
presentino una varianza notevole da sottobacino a sottobacino.
Altri requisiti da soddisfare per poter applicare tale approccio sono i seguenti (Maran et al., 2006):
- la presenza di criticità nei 
bacini non risolvibili con strumenti di politica ambientale tradizionale, quali 
gli standard o le tasse sugli scarichi;
- la disponibilità di informazioni ambientali che consentano da un lato di 
caratterizzare il problema (ad esempio in termini di incidenza delle fonti di 
inquinamento puntuale sulle diffuse) allo scopo di fissare un obiettivo di 
miglioramento di qualità ambientale. Come detto sopra, infatti, la non esistenza 
in Europa di meccanismi simili alla definizione del TMDL costringe i regolatori 
ambientali a perseguire il miglioramento della qualità ambientale a partire 
dallo stato qualitativo attuale.
La disponibilità di informazioni si rivela fondamentale anche per predisporre 
una efficace rete di monitoraggio degli scarichi per l’emissione dei permessi e 
dei crediti di inquinamento. A tale proposito, è necessario sottolineare 
l’esigenza di un maggior coordinamento tra ARPA, quale attore preposto al 
monitoraggio qualitativo delle acque, e Province, come soggetti incaricati della 
concessione di permessi agli scarichi. Una forte freno all’introduzione di un 
sistema dei permessi in Italia è dato dal fatto che i dati relativi alle 
autorizzazioni agli scarichi sono frequentemente disponibili solamente in 
formato cartaceo, e come tali difficilmente accessibili e utilizzabili per 
fissare gli obiettivi di abbattimento di inquinamento degli scarichi. Va anche 
segnalato che in molti casi (es, il RIAL della Regione Lombardia) sistemi 
informativi ambientali sono in fase di preparazione ma saranno disponibili solo 
tra qualche anno. In assenza infatti di uno standard ambientale simile al TMDL, 
potrebbe essere necessario raggiungere il buono stato ecologico attraverso un 
meccanismo trial and error, dove l’ARPA svolge una funzione fondamentale 
di definizione dello status di qualità del corpo idrico e la Provincia di tenuta 
dei registri degli scarichi. Dall’integrazione delle due basi informative si 
potrà comprendere l’effetto degli scarichi sulla qualità del corpo idrico e, per 
questa via, proporre dei miglioramenti dell’attuale condizione.
Un ultimo aspetto critico riguarda la possibilità che gli scambi di permessi 
effettivamente abbiano luogo. Questo aspetto dipende dalla convenienza, oltre 
che dalla facilità, di scambiarsi i permessi. Lo scambio può essere facilitato 
attraverso l’introduzione di meccanismi istituzionali volti a rendere più 
agevole l’incontro tra le parti. A tale proposito, la l.r. 2/03 prevede vari 
strumenti di programmazione negoziata. Il contratto di fiume è una possibilità 
già sperimentata in Lombardia. Un altro aspetto fondamentale per l’effettivo 
scambio di permessi è dato dalla convenienza, per i soggetti economici, a 
scambiarsi i permessi. Da un punto di vista economico, il mercato dei permessi è 
tanto più vivace quanto maggiori sono le differenze dei costi di abbattimento 
tra diversi soggetti (allo stato attuale tali informazioni non sono 
disponibili). 
Con riguardo all’efficacia del water quality trading nel caso italiano, una 
simulazione di Maran et al. (2005), relativa all’introduzione del mercato dei 
permessi tra fonti diffuse e puntuali, stima che il meccanismo possa contribuire 
a una riduzione del 42% del carico inquinante, permettendo un risparmio di costi 
del 70%
Vista tale complessità, è inevitabile che si sperimenti tale meccanismo 
attraverso dei progetti pilota (IRER, 2006). Tale sperimentazione dovrebbe 
vedere coinvolti, oltre che attori istituzionali (Regione, ARPA, Province) anche 
le associazioni di categoria e i consorzi di bonifica, che potrebbero svolgere 
un importante funzione di intermediari, perciò riducendo i costi di transazione 
connessi all’introduzione di tale sistema.
Bibliografia
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* Dipartimento di Pianificazione, Università IUAV di Venezia - IEFE, Università Bocconi.
_____________
1 Queste 
regolazioni risultano essere di minimo costo solamente quando gli inquinatori 
presentano lo stesso costo di abbattimento marginale
2 Per le difficoltà di individuazione dei punti di scarico, per 
la variabilità dei carichi inquinanti provocata da una variazione delle 
condizioni atmosferiche e per le specificità locali relative all’utilizzo di 
fertilizzanti.
 
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it 
il 3/08/2007