Copyright © Ambiente Diritto.it
ASPETTI GIURIDICI E 
AMMINISTRATIVI PER LO SVILUPPO DI IMPIANTI ENERGETICI A BIOMASSA
 
	
	Lorenzo Dotti *
 
Introduzione - 
    Cosa si intende per biomassa
 
Biomassa è una 
    locuzione che riunisce una gran quantità di materiali di natura estremamente 
    eterogenea. 
    In generale con tale termine si designa ogni sostanza organica di origine 
    vegetale o animale da cui sia possibile ottenere energia attraverso processi 
    di tipo termochimico o biochimico. Queste sostanze sono disponibili come 
    prodotti diretti o residui del settore agricolo-forestale, come 
    sottoprodotti o scarti dell’industria agro-alimentare, e come scarti della 
    catena della distribuzione e dei consumi finali.
 
La biomassa è 
    considerata un’energia rinnovabile anche se viene combusta per produrre 
    energia perché ha origine dalla fotosintesi clorofilliana di acqua e CO2 che 
    da luogo a carboidrati vegetali. 
    Questi carboidrati quando vengono usati come combustibili producono 
    nuovamente CO2 che può rinnovare il ciclo della fotosintesi. Quindi a livello 
    globale l’utilizzo delle biomasse vegetali per produzione di energia riduce 
    il ricorso ai combustibili fossili tradizionali contribuendo a diminuire la 
    quantità globale di anidride carbonica e degli altri gas che contribuiscono 
    all’effetto serra.
 
In particolare 
    poi, l’anidride carbonica emessa da impianti di produzione energia 
    alimentati a legna non viene conteggiata ai fini degli accordi del 
    Protocollo di Kyoto e quindi tutta l’energia prodotta in tal modo è da 
    considerarsi ad emissione zero. La composizione della biomassa pur variando a 
    seconda delle tipologie, è costituita mediamente a secco dal 25% di fibre 
    lignee e dal 75% di carboidrati.
 
L’emissione 
    specifica di CO2 dipende dalla composizione chimico fisica e si attesta tra 
    50 e 70 kg/GJ.
    Per una definizione normativa occorre far riferimento al D.Lgs. n° 387 del 
    29 dicembre 2003 che ha dato attuazione alla direttiva 2001/77/CE relativa 
    alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel 
    mercato interno dell’elettricità e, soprattutto, al DPCM 8 marzo 2002 che 
    contiene la disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili 
    aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico, nonché delle 
    caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione.
 
In base 
    all’Allegato III del suddetto decreto, sono individuati come biomassa:
    -
    materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate;
    
- materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni agricole non dedicate;
- materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura;
- materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di 
    legno vergine da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di 
    legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di 
    sughero vergine, tondelli non contaminati da inquinanti aventi le 
    caratteristiche previste per la commercializzazione e l’impiego;materiale 
    vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti 
    agricoli, avente le caratteristiche per la commercializzazione e l’impiego.
    
    
    Si può facilmente constatare come, tra le principali novità apportate da 
    quest’ultimo decreto rispetto alla normativa vigente, vi sia proprio 
    l’introduzione tra i combustibili ammessi per usi civili ed industriali 
    delle biomasse combustibili e, nell’ambito di questa categoria, degli scarti 
    legnosi non trattati, che in precedenza erano classificati dal D.M. 
    05/02/1998 n°72 come rifiuti non pericolosi e che quindi potevano essere 
    avviati al recupero energetico solo seguendo le rigide procedure previste 
    dal Decreto Ronchi. 
    
    
    Cosa significa fare investimenti in biomassa
    
    
    L’aspetto saliente degli investimenti in biomassa di origine forestale è 
    sicuramente la stretta interdipendenza con il territorio e questo determina 
    un uso razionale delle rispettive potenzialità che può portare notevoli 
    benefici ad entrambi i sistemi.Gli aspetti economici e sociali legati all’avvio di una filiera bioenergetica possono, se appositamente studiati e promossi, rappresentare 
    un fattore di interesse per imprenditori e pubbliche amministrazioni.Il concetto di sviluppo locale, inteso anche come sistema culturale di 
    valorizzazione delle risorse territoriali, risulta quindi ovviamente 
    collegato anche allo sfruttamento delle risorse energetiche locali.
     
L’attivazione di una filiera bioenergetica implica necessariamente l’avvio e 
    il coordinamento di una serie complessa di relazioni sul territorio. Tale peculiarità rende il settore delle biomasse bisognoso di supporto, 
    coordinamento e promozione, considerando che si tratta del meccanismo più 
    complesso fra le fonti rinnovabili. Lo sviluppo di progetti efficienti per la 
    valorizzazione energetica delle biomasse forestali necessita di un iter 
    complesso poiché l’intersecarsi di plurime competenze rende il processo 
    pregno di difficoltà, sia endogene che esogene, collegate principalmente al 
    vasto numero di attori coinvolti, oltre che ad una notevole complessità 
    progettuale insita nella realizzazione di una filiera economica e produttiva 
    economicamente autosufficiente.
 
Elemento di 
    particolare difficoltà è il raggiungimento di un equilibrio su scala locale 
    tra domanda e offerta di biomassa. La massima valorizzazione della filiera 
    avviene infatti prevedendo di mantenere le attività di raccolta, 
    trasformazione e utilizzo in ambito locale attraverso l’adozione di impianti 
    medio piccoli che utilizzino le risorse disponibili in zone ristrette e 
    servite da una buona rete stradale.
 
L’avvio e il 
    coordinamento di una filiera biomassa-energia acquisisce così una valenza 
    trasversale destinata ad abbracciare settori tra loro non sempre contigui, 
    dove l’alto numero di relazioni e attività imprenditoriali impegnate nel 
    processo rappresenta sicuramente uno degli elementi principali. La filiera 
    biomassa energia in ambito territoriale può essere schematizzata in cinque 
    fasi principali.
     
| Raccolta | 
            Trasporto/Stoccaggio | Pretrattamento | Conversione | 
            Utilizzo/Distribuzione | 
    
    
    Ciascuno di questi momenti implica necessariamente un sistema diretto ed 
    indiretto di attività a carattere imprenditoriale che spesso rimangono 
    nascoste.
 
La fase di 
    raccolta della biomassa, considerata la più critica del processo, impiega 
    operatori agricoli o forestali per le operazioni di taglio ed esbosco. Oltre 
    a queste attività propriamente imprenditoriali occorre rilevare l’importanza 
    di quelle di tipo pubblicistico che vengono gestite dagli enti territoriali 
    (piani di assestamento, rilevazione, programmazione territoriale, 
    monitoraggio e controllo).
 
Importante 
    evidenziare come il funzionamento della filiera legno energia implichi 
    un’attività di trasporto ben organizzata che ha lo scopo di assicurare il 
    flusso del legno dalla produzione all’utilizzo in caldaia lungo tutte le 
    tappe (essiccazione, depezzatura, trasporto). Per tali operazioni sono 
    necessari, oltre ad un sistema viario efficiente, mezzi di trasporto e 
    strumenti meccanici che richiedono necessariamente fornitori, distributori e 
    manutentori.
 
A secondo 
    dell’utilizzo finale, ma anche delle fasi operative da collegare, e 
    dell’organizzazione di cantiere adottata, si tratta di movimentare legno in 
    differenti pezzature: tronchi di piante intere, oppure tronchetti o scaglie 
    pronti all’uso come combustibile. La modalità di trasporto deve essere 
    attentamente valutata anche in riferimento all’incidenza economica, 
    potenzialmente rilevante, che può avere questa operazione sul costo finale 
    del combustibile pronto all’uso.
 
In merito, 
    particolare attenzione va data alla fase di carico e scarico tra sede di 
    provenienza-vettore e sede di arrivo, utilizzando di volta in volta le 
    soluzioni, manuali o meccaniche (con pinza idraulica, benna, cippatrice 
    ecc.), più opportune. Per effettuare il trasporto possono essere impiegati 
    trattori con rimorchi agricoli, eventualmente dotati di sponde alte, o 
    comuni mezzi da strada.I parametri che incidono maggiormente sulla scelta 
    del vettore e sulle modalità di carico e scarico sono:
    -
    tipo (in base alla pezzatura) e quantità (in peso e volume) del materiale da 
    trasportare all’anno e per singolo viaggio;
- distanza e tipo di viabilità da percorrere;
- spazi disponibili e livello di accessibilità della sede di partenza e di arrivo del materiale;
- macchinari vari: costo/disponibilità;
- manodopera: costo/disponibilità.
    
    La biomassa, raccolta in aree di stoccaggio, viene prelevata e trasportata 
    in un centro, preferibilmente baricentrico rispetto alle aree di raccolta e 
    vicino all’impianto di produzione, per le attività di pretrattamento 
    (selezione, cippatura ed eventuale pellettizzazione). La procedura raccolta – 
    trasporto – pretrattamento non avviene necessariamente in questa sequenza 
    poiché, a secondo delle caratteristiche morfologiche e delle esigenze 
    specifiche, il pretrattamento può avvenire anche immediatamente o 
    contestualmente alle fasi di raccolta.
 
Nell’ambito del 
    pretrattamento, un aspetto indubbiamente importante è rivestito 
    dall’essiccazione. Considerato che durante l’abbattimento il legno presenta 
    un contenuto di acqua piuttosto elevato, anche se variabile a seconda della 
    specie, e che per la combustione è essenziale utilizzare legno con bassa 
    umidità, risulta importante effettuare una buona essiccazione.
 
Per i tronchetti 
    la sede abituale di essiccazione è il deposito stagionale in cui, 
    operativamente, viene favorita dal libero passaggio d’aria tra i pezzi di 
    legno. Per il cippato, ossia il legno sminuzzato in scaglie che necessita di 
    luoghi di stoccaggio maggiormente strutturati come i silos, le ragioni di 
    una buona essiccazione sono anche legate alla necessità di minimizzare 
    l’insorgenza di muffe sulle particelle di legno che ne riducono il potere 
    calorifero.
 
Passando alla fase 
    della produzione di energia (termica e/o elettrica), è necessario 
    evidenziare preliminarmente che la conversione energetica delle biomasse 
    avviene tramite tecnologie ormai ampiamente conosciute, anche se in fase di 
    continuo sviluppo. Facendo riferimento alle tecnologie realmente disponibili 
    sul mercato nazionale, si parla di caldaie di ogni gamma di potenza e 
    tipologie per le biomasse solide (materiali sfusi, cippati o densificati) 
    per la produzione di energia termica per un vasto settore di utenze (dalla 
    singola abitazione ai casi più complessi).
 
In questo contesto 
    si può ritenere che l’attuale sviluppo tecnologico risenta di tre fattori:
    l’aspetto economico, che riassume in se i problemi legati all’efficienza 
    energetica della tecnologia, alle incertezze del settore (dovute alle 
    variazioni dei prezzi dell’energia e delle incentivazioni delle fonti 
    rinnovabili) e a buona parte dei requisiti normativi (sia in termini di 
    leggi che di norme tecniche) che incidono sui costi di produzione;l’aspetto 
    ambientale, che si pone sempre più frequentemente come un fattore di natura 
    sociale che poi alla fine si trasforma in economico;lo sviluppo culturale e 
    tecnico, che si manifesta con idee di dominio pubblico (che possono incidere 
    sulla normativa), ma soprattutto come disponibilità di risorse umane in 
    grado di risolvere dei problemi sia di natura tecnica che di carattere 
    generale.
 
Quest’ultimo 
    aspetto è di importanza strategica e aiuta a comprendere come l’introduzione 
    di tecnologie sul territorio porti alla creazione di capacità professionali 
    locali preziose per la loro diffusione, accettazione e miglioramento. Tale 
    fenomeno richiede tuttavia tempo e una certa costanza delle condizioni di 
    sviluppo. Ritornando all’aspetto pratico dell’utilizzo delle biomasse, 
    occorre innanzitutto sottolineare l’esigenza di un parco legno, un luogo 
    cioè dove la biomassa pronta all’uso viene stoccata e trattata come un 
    combustibile pronto ad alimentare l’impianto. 
 
Per inciso, un 
    elemento delicato del funzionamento dell’impianto è proprio quello legato ai 
    contratti di fornitura della biomassa, che non deve mai venir meno, e al 
    fatto che tali contratti garantiscano la provenienza locale di una 
    percentuale maggioritaria di biocombustibile.La scelta della taglia di 
    impianto o di una tra le diverse tecnologie di produzione di energia termica 
    od elettrica, deve essere compatibile innanzitutto con la disponibilità 
    areale di biomassa e con le utenze energetiche.
 
A titolo puramente 
    informativo, tra le tecnologie di conversione energetica occorre menzionare, 
    oltre alla combustione tal quale, anche la pirolisi o gassificazione.La 
    combustione diretta, che è stata per molto tempo l’unico mezzo per produrre 
    calore ad uso industriale e domestico, può interessare non solo la legna, ma 
    anche scarti forestali, paglia, residui dell’industria del legno (segatura, 
    trucioli) e dell’industria agro-alimentare (sansa delle olive, gusci, 
    noccioli, ecc.).
 
Questi materiali 
    presentano caratteristiche di dispersione nel territorio, di modesto valore 
    unitario, di grandi volumi e di discontinuità nel tempo e questo pone 
    problemi economici, di non facile risoluzione, di raccolta, conservazione, 
    pretrattamento e distribuzione. Il processo di combustione permette la 
    trasformazione dell’energia chimica intrinseca alla biomassa in energia 
    termica, mediante una successione di reazioni chimico-fisiche che partendo 
    dall’essiccazione in camera di combustione, passa poi, man mano che la 
    temperatura aumenta, ai processi di pirolisi, gassificazione e combustione.
 
Il risultato di 
    questi processi è la produzione di calore che viene recuperato mediante 
    scambiatori di calore in cui si trasferisce l’energia termica ad aria o 
    acqua. La quantità di energia termica fornita dalla biomassa dipende 
    ovviamente dal tipo utilizzato, dalla quantità di ceneri e dal contenuto di 
    umidità; in linea generale il potere calorifico della biomassa è pari a 
    circa 2800 kcal/kg, con un rendimento di conversione del 20% ne occorre 1,5 
    kg per produrre 1 kWh (860 kcal).
 
È sicuramente da 
    sottolineare il fatto che gli impianti per la produzione di calore si 
    prestano anche per la generazione di elettricità in piccole di taglie (pari 
    circa al 15% della potenza termica) utilizzando la tecnologia del ciclo 
    Rankine a condensazione con caldaie a griglia mobile o a letto fluido, che è 
    il più importante ciclo motore a combustione esterna. Le principali problematiche di funzionamento risultano legate alla pulizia 
    delle superfici scambianti, all’affidabilità dei sistemi di alimentazione e 
    all’approvvigionamento del combustibile. I primi due problemi sono di natura 
    strettamente tecnica e sono quindi superabili in fase di progettazione, 
    mentre il terzo è di carattere strategico e implica capacità organizzative 
    iniziali tali da non provocare mai la mancanza di combustibile alla bocca 
    dell’impianto.
 
La cogenerazione 
    localizzata in vicinanza dei centri abitati, pur essendo fortemente 
    razionale dal punto di vista strategico, energetico e ambientale, trova oggi 
    evidenti limiti nel costo delle reti. Non servono analisi dettagliate per 
    dimostrare come l’elemento dirompente sia rappresentato dal costo del 
    trasporto di calore; necessitano allora interventi mirati, consistenti 
    innanzitutto nell’individuazione dei siti ove sviluppare, nelle condizioni 
    attuali, questo tipo di applicazione.
 
Dal punto di vista 
    tecnologico quindi, le principali implicazioni riguardano lo sviluppo di 
    sistemi di distribuzione del calore più economici di quelli attuali, la 
    scelta di sistemi alternativi alle reti come il servizio calore con 
    combustibili derivanti dalle biomasse con caratteristiche standard (ad 
    esempio il pellet) o, in alternativa, lo sviluppo di sistemi di 
    cogenerazione utilizzanti biomasse idonei soprattutto per le taglie più 
    piccole (ad esempio 1-2 MWt e 150-300 kWe).
 
Proprio in 
    riferimento ai pellets, è interessante considerare la possibilità di 
    usufruire delle biomase forestali per la produzione di questo 
    biocombustibile solido diffuso già da molti anni in diversi Paesi europei, 
    che potrebbe rappresentare una scelta di notevole interesse nell’ambito di 
    politiche tese a favorire l’utilizzo delle risorse locali e il miglioramento 
    delle loro economie. Più in dettaglio, il pellet può essere costituito da 
    legno vergine di scarto essiccato e pressato meccanicamente attraverso 
    macchine pellettizzatrici in piccoli cilindretti (dal diametro variabile tra 
    i 5 e gli 8 mm e lunghezza di 10-20 mm), senza alcuna aggiunta di additivi.
 
Esso costituisce un combustibile con eccellenti performance ambientali, un elevato potere calorifico (pari a 4200 kcal/kg) e, aspetto da non trascurare, di facile stoccaggio e movimentazione che lo rende competitivo con gli altri combustibili tradizionali. Il mercato dei pellets può essere un vettore di sviluppo rilevante di attività tra loro correlate come, ad esempio, le attività di raccolta e di conversione delle biomasse, sostituzione, retrofitting e manutenzione dei sistemi di riscaldamento privati, pubblici (scuole, piscine, palestre) ed industriali; realizzazione e gestione di
centrali per la 
    produzione di energia. 
 
Ritornando alle 
    biomasse in generale, un ultimo elemento, che spesso non viene tenuto in 
    debita considerazione, riguarda l’utilizzo delle ceneri di risulta della 
    combustione, che rappresentano circa il 2% della legna bruciata e nelle 
    quali sono presenti microelementi (K, P, Ca, Mg), macroelementi (Al, Fe) ed 
    anche metalli pesanti (As, Cd, N). In base al decreto Ronchi, queste ceneri 
    sono considerate a tutt’oggi un rifiuto e quindi sono destinate a finire in 
    discarica; potrebbero invece, debitamente trattate, essere utilizzate come 
    compost, nei conglomerati cementizi o nelle massicciate delle strade.
 
Sono state 
    elaborate delle linee guida, che però non sono ancora utilizzabili 
    concretamente oltre che per questioni di tipo normativo, anche a causa della 
    mancanza di una filiera, cioè di un’organizzazione in grado di gestire 
    queste ceneri in tutti i passaggi necessari. Insomma, investire in biomassa 
    consente di mettere in risalto le importanti e variegate ricadute ambientali 
    che contraddistinguono queste fonti di energia rinnovabile, caratterizzate 
    non solo dal fatto di essere accumulabili, idonee per diverse applicazioni e 
    diffuse sul territorio, ma dalla loro capacità di creare una cultura diffusa 
    che incoraggi e promuova la sostituzione di combustibili fossili con quelli 
    di origine vegetale. 
 
L’approccio 
    forestale allo sviluppo della filiera foresta legno energia è quindi volto a 
    determinare le maggiori, possibili, ricadute economiche sui soggetti 
    (proprietari, gestori e utilizzatori) che operano in bosco nelle prime fasi 
    della filiera perché si possano valorizzare le attività selvicolturali e, 
    infine, la gestione multifunzionale dei soprassuoli. Sotto l’aspetto più 
    strettamente economico, nel valutare gli impianti alimentati a biomassa, è 
    bene tener conto dell’indice di fattibilità economica, cioè del rapporto fra 
    costo accettabile della biomassa alla bocca dell’impianto 
    termico/termoelettrico (stimato fra i 4/5 centesimi di Euro al kg.) e costo 
    medio presunto nelle condizioni attuali.
 
La situazione si 
    prospetta favorevole solo quando questo indice è superiore a 1, anche se 
    questo valore orientativo non è applicabile ai piccoli impianti destinatari 
    della biomassa forestale che possono accettare costi superiori a quello 
    considerato accettabile per le altre varietà di biomasse.Nella tabella qui 
    sotto è rappresentato il potenziale di biomasse oggi utilizzabili in Italia 
    e la quantità di energia teoricamente producibile.
     
| Tipo di biomassa | Potenziale teorico | Energia producibile | Indice di fattibilità economica | ||
| EE | ET | COG | |||
| Residuale agricola | 13 Mt/a si s.s | 15 | 43 | 50 | 0,5 | 
| Forestale | 6 Mt/a di s.s | 7 | 21 | 24 | 0,5 | 
| Residui industriali (RU ) secchi | 8 Mt/a di s.s | 10 | 32 | 37 | >1 | 
| RU per fermentazione anaerobica | 1,3 Mtep/a | 4,5 | 11 | 12 | >1 | 
| Dedicata | 20 Mt/a di s.s | 23 | 78 | 89 | ? | 
| Biomassa da RSU | 7 Mt/a di t.q | 4 | 11 | 13 | >1 | 
(Fonte: elaborazione CTI, 2004)
    Va notato poi che la disponibilità di sistemi di piccola-media taglia 
    darebbe la possibilità di promuovere la generazione distribuita sul 
    territorio, offrendo l’opportunità agli imprenditori rurali di considerare 
    attività alternative o perlomeno integrative a quelle tradizionali. La 
    pratica, tuttavia, indica come necessari consistenti incentivi di carattere 
    economico, soprattutto quando si pensa di utilizzare a fini energetici il 
    territorio agricolo-forestale.
 
Risulta quindi del 
    tutto evidente, a fianco delle necessarie migliorie tecnologiche mirate 
    soprattutto al contenimento dei costi e alla massimizzazione del rendimento, 
    l’imprescindibilità di un quadro normativo e finanziario particolarmente 
    favorevole che va costruito sulla base di un quadro politico realmente 
    aperto allo sviluppo delle energie rinnovabili.
    
     
Fonti normative per lo sviluppo delle biomasse
    
    
    A partire dal 2000, l’Unione Europea ha proposto un considerevole numero di 
    strumenti legali per promuovere le fonti rinnovabili e l’efficienza 
    energetica.
    Fra i provvedimenti di diretto interesse per il settore delle biomasse è 
    opportuno menzionare:
    
    -
    Direttiva 2003/30/CE per la promozione dei biocombustibili;
    -
    Direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edifici;
    -
    Direttiva 2004/8/CE per la promozione della cogenerazione;
    -
    Direttiva 2001/77/CE per la promozione dell’energia elettrica prodotta da 
    fonti rinnovabili.
    
    Questo è sostanzialmente l’universo nel quale si sta sviluppando la politica 
    dell’U.E. in tema di fonti rinnovabili e risparmio energetico e che andrebbe 
    integrato, in un approccio olistico, con le politiche di afforestazione/riforestazione 
    che potrebbero incidere anche in termini di disponibilità di combustibile. Ai 
    fini di questa ricerca, comunque, l’atto normativo maggiormente attinente 
    risulta essere il D.Lgs. 387/2003 con il quale il Legislatore italiano ha 
    finalmente recepito e dato efficacia alla sopra menzionata Direttiva 
    2001/77/CE. Le disposizioni contenute nel predetto decreto sono dirette ad 
    incrementare l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili nella produzione 
    di elettricità, nonché a promuovere misure idonee a favorire l’aumento del 
    consumo di elettricità da fonti rinnovabili e favorire lo sviluppo di 
    impianti di microgenerazione elettrica alimentati sempre dalle suddette 
    fonti, soprattutto in relazione alle aree montane e agricole.
 
Per comprendere 
    completamente la portata del decreto 387/2003, occorre esaminare con 
    attenzione l’art.2, lettera a), sulla base del quale vengono considerate 
    fonti energetiche rinnovabili “…le fonti energetiche rinnovabili non fossili 
    (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, 
    biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e 
    biogas). In particolare, per biomasse si intende: la parte biodegradabile 
    dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, dalla 
    silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei 
    rifiuti industriali e urbani”
 
Nell’ambito di questo articolo risulta poi importante la definizione di impianti di microgenerazione che rappresentano quegli impianti con capacità di generazione non superiori a 1 MW elettrico.
    Al fine di incentivare in modo sempre maggiore l’impiego delle fonti 
    rinnovabili, vengono potenziate anche le agevolazioni, introdotte appunto 
    con il decreto, e individuabili sia in termini economici, attraverso il 
    riconoscimento dell’accesso al regime dei certificati verdi, sia in termini 
    amministrativi di accesso alle procedure autorizzative semplificate.
 
A tal proposito è 
    doveroso segnalare che le opere per la realizzazione degli impianti 
    alimentati da fonti rinnovabili, devono essere considerate di pubblica 
    utilità, urgenti ed indifferibili. Inoltre, ed è questo un passaggio davvero 
    rilevante, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di 
    energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di 
    modifica, potenziamento, nonché tutte le opere connesse e le infrastrutture 
    indispensabili alla costruzione e all’esercizio, sono soggetti ad un’unica 
    autorizzazione, la quale viene rilasciata a seguito di un procedimento 
    unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate e svolto 
    sulla base dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla 
    L.241/1990.
 
Risulta poi 
    interessante una particolarità relativa al periodo di riconoscimento dei 
    certificati verdi, in riferimento al quale l’art. 20 del D.Lgs. 387/2003 
    concernente le disposizioni transitorie e finali, al comma 5 stabilisce 
    infatti un arco temporale di otto anni, mentre il successivo comma 6 
    stabilisce che “Al fine di promuovere in misura adeguata la produzione di 
    elettricità da impianti alimentati da biomassa e da rifiuti, ad esclusione 
    di quella prodotta da centrali ibride…, il periodo di riconoscimento dei 
    certificati verdi di cui al comma 5 può essere elevato, anche mediante 
    rilascio, dal nono anno, di certificati verdi su una quota di energia 
    elettrica prodotta anche tenuto conto di quanto previsto al precedente art.17. 
    Al medesimo fine, possono essere utilizzati i certificati verdi attribuiti 
    al Gestore della rete…”
 
Si tratta in tutta evidenza di un ulteriore disposizione tendente ad agevolare l’impiego di biomassa e rifiuti per la produzione di energia elettrica, ponendosi in linea con tutto l’impianto normativo delineato dal nuovo decreto.
    Più nel dettaglio le misure nazionali volte a favorire il consumo di 
    elettricità derivante da fonti rinnovabili sono rappresentate, secondo 
    quanto disposto dall’art. 3 del D.Lgs. 387/2003, oltre che dalle specifiche 
    misure contenute nel decreto stesso, anche da quelle risultanti dal D.Lgs. 
    79/1999 e dai provvedimenti assunti al fine dall’attivazione della Legge 
    120/2000 di ratifica del Protocollo di Kyoto.
 
In particolare il sopra citato D.Lgs. 79/1999 introduce l’obbligo a carico dei grandi produttori e importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica a decorrere dal 2002 una quota minima, pari al 2%, di elettricità prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1 aprile 1999.
 
    A tal fine, riprendendo il D.Lgs. 387/2003 e precisamente l’art. 4, è 
    previsto a decorrere dall’anno 2004 e fino al 2006 che questa quota minima 
    di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili sia 
    incrementata annualmente di 0,35 punti percentuali.
 
Di notevole 
    interesse risultano poi i Decreti Ministeriali del 20 luglio 2004 
    sull’efficienza energetica che hanno sostituito i DM del 24 aprile 2001. Questi 
    provvedimenti mirano, tra l’altro, a creare un vero e proprio mercato di 
    titoli di efficienza energetica, i cosiddetti certificati bianchi, con un 
    meccanismo per certi versi simile a quello previsto per i certificati verdi. In 
    tale ambito dovrebbe rientrare anche il teleriscaldamento a biomasse, citato 
    espressamente nella Tabella A dell’allegato 1, visto che esso è considerato 
    risparmio di energia primaria e quindi presenta tutte le caratteristiche per 
    far parte delle fattispecie aventi diritto all’emissione di un titolo di 
    efficienza energetica.
 
È doveroso 
    comunque citare anche l’interpretazione che ritiene tali decreti come 
    un’occasione mancata per incentivare l’uso delle biomasse in quanto avrebbe 
    diritto all’emissione del titolo sopracitato solo l’impianto che andrebbe a 
    sostituire gas o energia elettrica; penalizzando così le zone di montagna 
    non ancora allacciate alla rete del gas. Questo breve excursus sulla 
    normativa nazionale può essere completato con il già citato DPCM 8 marzo 
    2002 che, oltre ad enucleare la classificazione merceologica delle biomasse, 
    ne disciplina all’allegato III punto 2 le condizioni di utilizzo elencando i 
    metodi della combustione diretta e della pirolisi o gassificazione.
 
Lo stesso 
    provvedimento indica inoltre i limiti di emissione riferiti ad un’ora di 
    funzionamento di questi impianti, esclusi i periodi di avviamento, arresto e 
    guasti, con l’indicazione puntuale delle condizioni operative al fine del 
    rispetto dei valori limite che rappresentano indubbiamente un aspetto non 
    trascurabile anche, se non soprattutto, agli occhi delle comunità in cui gli 
    impianti a biomassa vengono installati, sempre più attente agli aspetti 
    socio-ambientali.
     
    
    Strumenti finanziari per lo sviluppo delle biomasse
    
    La programmazione 2000-2006 dei Fondi Strutturali dell’Unione Europea ha 
    determinato un passaggio importante nelle politiche comunitarie di 
    promozione delle fonti rinnovabili. Le fonti energetiche rinnovabili sono 
    state individuate dalla Commissione Europea come uno tra i possibili fattori 
    di crescita economica e sociale per le aree d’Europa che presentano 
    difficoltà strutturali e che necessitano di avviare percorsi di 
    riconversione economica e sociale. 
    Tra le fonti rinnovabili, la bioenergia, viste le relazioni imprenditoriali 
    che vi sono connesse, risulta, a tale proposito, di particolare rilievo.
 
I Fondi 
    strutturali istituiti a suo tempo dal Regolamento CEE 2052/88 sono gli 
    strumenti di cui si avvale la Comunità Europea per ridurre il divario tra i 
    livelli di sviluppo delle diverse Regioni e tra i diversi Stati Membri 
    dell’Unione Europea. Il Regolamento CE 1260/1999 recante “Disposizioni 
    generali sui Fondi Strutturali” disciplina l’intervento finanziario della 
    Comunità Europea per la Programmazione 2000/2006.Nell’ambito di questi 
    fondi, rivestono importanza, ai fini di questa ricerca, il Fondo Europeo di 
    Sviluppo Regionale – FESR – gestito dalla Direzione Generale per la Politica 
    Regionale e il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia – FEOGA – 
    gestito dalla Direzione Generale per l’Agricoltura.
 
Tali Programmi 
    sono attuati a livello regionale attraverso il recepimento, sulla base delle 
    indicazioni nazionali e regionali, in Programmi quali il DocUp – Documenti 
    Unici di programmazione - e i PSR – Piani di Sviluppo Rurale.
    L’importante dotazione finanziaria dei Fondi Strutturali per lo sviluppo 
    delle fonti rinnovabili, alla quale partecipano per l’attuazione sul 
    territorio anche le risorse di stato e Regioni, ci può far capire quanto 
    l’Unione Europea abbia puntato sullo sviluppo di fonti energetiche 
    rinnovabili.
 
I finanziamenti 
    concessi con il FERS e con il FEOGA assumono la forma di sovvenzioni non 
    rimborsabili.
    Gli stanziamenti sono utilizzati tramite programmi di sviluppo, che 
    costituiscono l’insieme delle misure ammissibili a beneficiare degli aiuti 
    strutturali.Non appena la Commissione e le autorità degli Stati membri 
    raggiungono un accordo su un determinato programma, vengono messi a 
    disposizione stanziamenti comunitari per realizzare gli obiettivi del 
    programma.
 
Per quanto 
    concerne il FERS, sono previste misure di finanziamento per lo sviluppo di 
    fonti rinnovabili di energia con riferimento, fra gli altri, agli impianti 
    di cogenerazione e distribuzione del calore in teleriscaldamento di potenza 
    non superiore a 5 MW termici alimentati da biomasse di origine 
    agro-forestale e a reti di distribuzione di calore in teleriscaldamento 
    alimentate sempre da impianti che utilizzano biomasse agro-forestali.Lo 
    sviluppo delle energie rinnovabili è stato individuato dalla Commissione 
    Europea come un elemento di sostegno per le cosiddette aree Obiettivo 1 e 2 
    e, cioè quelle aree europee che necessitano di una riconversione economica e 
    sociale presentando ritardi nello sviluppo e difficoltà strutturali.
 
In Italia tali 
    zone coincidono principalmente con il Mezzogiorno e le aree montane.
    Soggetti destinatari dell’intervento sono gli operatori e la popolazione 
    residente, mentre la copertura geografica riguarda le aree obiettivo 2 e le 
    aree a sostegno transitorio.Occorre inoltre menzionare il Regolamento n° 
    1257/ 99 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo 
    agricolo di orientamento e di garanzia, sezione orientamento, (FEOAG) che ha 
    previsto un sistema articolato di misure di intervento contenute nel Piano 
    di Sviluppo Rurale (PSR) di durata settennale (2000 – 2006).
 
All’art. 2 del 
    suddetto Regolamento viene ricordato come il sostegno allo sviluppo rurale, 
    legato alle attività agricole e alla loro riconversione, possa riguardare, 
    fra le varie attività, anche uno sviluppo forestale sostenibile. L’art. 30 
    evidenzia invece come gli investimenti nel settore forestale debbano 
    comunque essere legati all’uso diretto del legname come materia prima con 
    operazioni precedenti la trasformazione industriale.
 
Nella pratica poi, 
    proprio sfruttando le opportunità insite tra le righe di tale normativa, 
    alcune Regioni, hanno istituito bandi del PSR per finanziare l’acquisto e la 
    messa in opera di impianti termici funzionanti a biomassa ed incentivare 
    interventi agro-forestali per la produzione di biomasse.Un interessante 
    programma di supporto comunitario per le azioni non tecnologiche nell’ambito 
    dell’energia è rappresentato dall’Intelligent Energy Europe – EIE.
 
Si tratta, più 
    precisamente, di un programma rivolto al tema dell’efficacia energetica e 
    alle fonti di energia rinnovabili inaugurato nel 2003 e destinato a durare 
    fino al 2006.Obiettivo di EIE è quello di sostenere le politiche dell’Unione 
    europea in ambito energetico, offrendo un contributo bilanciato 
    nell’ottenimento degli obiettivi generali di sicurezza, fornitura 
    energetica, competitività e protezione dell’ambiente.
 
Fra i quattro 
    ambiti di azione, merita di essere menzionato ALTENER, che raccoglie 
    iniziative volte alla promozione delle fonti di energia nuova e rinnovabile 
    per la produzione centralizzata e decentralizzata di elettricità e calore, e 
    alla loro integrazione nell’ambiente locale e nei sistemi energetici.Un 
    altro strumento finanziario istituito a livello europeo specificatamente per 
    l’ambiente che può costituire un interessante fonte di finanziamento per 
    incentivare l’uso delle biomasse è rappresentato dal LIFE.
 
Obiettivo generale 
    del LIFE, istituito con Regolamento n° 1655/2000 e parzialmente modificato 
    con Regolamento n° 1682/2004, è quello di contribuire all’applicazione, 
    all’aggiornamento e allo sviluppo della politica comunitaria nel settore 
    dell’ambiente e della legislazione ambientale, in particolare nel settore 
    dell’integrazione dell’ambiente nelle altre politiche, nonché nello sviluppo 
    sostenibile della Comunità.Più precisamente, l’art. 4 comma 2 stabilisce che 
    possono essere finanziati progetti che mirino allo sviluppo di tecnologie 
    pulite, ponendo l’accento sulla prevenzione, compresa la riduzione delle 
    emissioni di gas ad effetto serra.
 
A livello statale 
    risulta molto interessante per il finanziamento parziale di progetti pilota 
    il fondo per la promozione dello sviluppo sostenibile istituito dall’art.109 
    della Legge n° 388/2000 – Legge finanziaria 2001 – modificato dall’art.62 
    delle Legge n° 448/2001 – Legge Finanziaria 2002.Tramite queste 
    disposizioni, è stato istituito presso il Ministero dell’Ambiente un fondo 
    destinato a finalizzare ed incentivare misure ed interventi di promozione 
    dello sviluppo sostenibile.
 
Sempre questa normativa stabilisce che entro il 31 dicembre di ogni anno, il suddetto Ministero dovrebbe definire il programma annuale di utilizzazione dei fondo e sottoporlo all’approvazione del CIPE.
    Di fatto poi, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica 
    - CIPE - ha individuato, con le delibere n° 16, n° 63 e n° 80 del solo anno 
    2002, nelle misura 3 e 5 importanti settori di intervento per dare impulso 
    allo sviluppo sostenibile.
 
Più 
    specificatamente la misura 3, dedicata alla promozione della ricerca di base 
    e applicata, nonché dell’innovazione tecnologica finalizzata alla protezione 
    dell’ambiente, alla riduzione del consumo delle risorse naturali e 
    all’incremento dell’efficienza energetica, può rappresentare una fonte di 
    finanziamento solo interpretando in maniera estensiva la previsione in 
    favore dello sviluppo di prototipi ad alta efficienza energetica e a bassa 
    emissione nel settori dell’industria e dei trasporti.
 
La misura 5 - 
    elaborazione ed attuazione di piani di sostenibilità in aree territoriali di 
    particolare interesse dal punto di vista delle relazioni fra i settori 
    economico, sociale e ambientale – risulta invece più facilmente adattabile 
    allo sviluppo di progetti legati alle biomasse.Fra le finalità viene infatti 
    citato il recupero di aree sottoposte a processi di degrado ambientale (rinaturalizzazione, 
    ripristino aree boschive, recupero e ridestinazione di aree industriali 
    dismesse, recupero ambientale di aree di interesse storico e culturale).
 
La stessa misura 
    stabilisce inoltre che i soggetti proponenti gli interventi dovranno 
    stipulare con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio 
    specifiche intese di programma che identifichino l’intervento finanziato, le 
    modalità di finanziamento o di cofinanziamento dei programmi già avviati o 
    in corso di realizzazione, nonché gli strumenti di monitoraggio e controllo.
     
    
    Aspetti gestionali e amministrativi
    
    Intento di quest’ultimo paragrafo è quello di delineare, in rapida sequenza, 
    gli aspetti gestionale ed amministrativi più rilevanti che vengono 
    affrontati da un ente pubblico interessato a disporre di tali tipi di 
    impianti. Fra i diversi istituti e strumenti giuridici a disposizione della 
    Pubblica Amministrazione per la realizzazione e la gestione degli impianti 
    termici a biomassa, meritano di essere ricordate queste possibili soluzioni:
    -
    c.d. gestione in economia;
    -
    concessione (di lavori/ di servizi);
    -
    società a capitale misto pubblico locale;
    -
    appalto pubblico (di lavori, di servizi, di forniture, misto).
    
    Occorre, innanzitutto, sottolineare che nel caso della gestione in economia, 
    consistente nel ricorso all’apparato organizzativo proprio dell’ente, è 
    necessario che l’Amministrazione proceda comunque al conferimento 
    all’esterno di alcune fasi della gestione del servizio pubblico di 
    erogazione dell’energia termica prodotta, per quanto riguarda il reperimento 
    dell’impianto, la sua manutenzione e la fornitura della biomassa. 
Si ritiene, 
    inoltre, che, data la particolarità e novità del ricorso a impianti termici 
    a biomasse per la gestione del servizio pubblico di erogazione del calore e 
    di conseguenza delle connesse problematiche, appaia poco probabile che gli 
    enti territoriali possano vantare al proprio interno un complesso 
    organizzativo dotato delle conoscenze tecniche e dell’esperienza necessaria.
 
Per quanto 
    riguarda, invece, la concessione di lavori pubblici, è giusto focalizzare 
    l’attenzione sulle considerazioni che tale modulo organizzativo presuppone 
    la distribuzione del calore a privati cittadini con la corresponsione di una 
    tariffa di servizio, l’obbligo del concessionario di appaltare a soggetti 
    terzi almeno il 40% dei lavori in appalto e la necessaria identità giuridica 
    fra soggetto esecutore dei lavori (e/o fornitore dell’impianto) e soggetto 
    gestore.
 
La praticabilità 
    di questa ipotesi è allora condizionata a casi di valore economico 
    sufficientemente elevato da rendere la gestione interessante per 
    l’imprenditore privato e dalla previsione di servizio a favore, in tutto o 
    in parte, di utenti terzi rispetto all’amministrazione concedente (soggetti, 
    appunto, alla corresponsione della tariffa).Le condizioni che rendono invece 
    efficiente il ricorso al modello gestionale della società a capitale misto 
    pubblico/privato si possono riassumere nei seguenti fatti: 
    l’attività affidata (quale oggetto societario) deve essere, per dimensione e 
    valore, di entità adeguata a sostenere la gestione;
    è importante non limitare la prestazione a impianti tecnologici non 
    convenzionali, ma estenderla alla più generale attività di erogazione 
    tecnica;
    ci deve essere interesse, da parte dell’Amministrazione, a coinvolgere 
    patners (e di conseguenza capitali e know how) privati nell’iniziativa 
    imprenditoriale;
    occorre infine prevedere la prospettiva di estendere l’attività anche oltre 
    le prestazioni immediatamente affidate alla società, è cioè necessario che 
    sussista un piano economico e gestionale che giustifichi la natura 
    imprenditoriale dello strumento prescelto.
 
Passando infine a 
    considerare il contratto d’appalto, è bene preliminarmente ricordare che, 
    tramite questo tipico strumento privatistico, la Pubblica Amministrazione 
    acquisisce sul mercato quelle risorse materiali, strumentali e anche 
    intellettuali necessarie allo svolgimento delle sue funzioni e alla gestione 
    dei servizi pubblici. Nell’ipotesi di pubblico appalto affidato direttamente 
    dall’ente interessato, quest’ultimo potrà variamente decidere:
    -
    di appaltare la fornitura e la posa in opera e/o i lavori di realizzazione 
    dell’impianto mantenendo la gestione internamente;
    -
    di appaltare con distinte procedure i lavori/fornitura e l’attività di 
    gestione (qualificabile come appalto di servizi) affidandole pertanto a due 
    distinti soggetti esterni;
    -
    di appaltare mediante unica gara di appalto misto fornitura, installazione e 
    gestione ad un unico soggetto terzo.
    
    Quest’ultima alternativa consiste nell’affidamento in toto non solo della 
    costruzione dell’impianto ma anche della gestione per un numero di anni 
    sufficienti all’aggiudicatario, in modo che lo stesso recuperi il capitale 
    investito e riceva dall’investimento l’equo utile d’impresa. L’aggiudicatario 
    rimane proprietario dell’impianto fino al termine del suddetto periodo, 
    terminato il quale la responsabilità della gestione passa alla Pubblica 
    Amministrazione, che potrà scegliere tra le forme di prosecuzione di 
    affidamento della gestione oppure la gestione in proprio.
     
Tale scelta può essere alternativamente implementata sia a mezzo della 
    concessione di lavori pubblici che di appalto misto di servizi e lavori (e/o 
    forniture).
 
Per quanto le due 
    alternative siano tra loro diverse dal punto di vista delle soluzioni 
    contrattuali tra appaltante ed appaltatore, per la specificità della 
    tipologia d’impianto esse hanno in comune la necessità di conferire 
    l’affidamento ad un soggetto che sia effettivamente qualificato.In effetti, 
    anche nel caso di sola costruzione, occorre che l’appaltatore conosca 
    comunque a fondo i vari momenti della gestione di un impianto di produzione 
    e distribuzione di energia termica, alimentato ad esempio a cippato di 
    legno, per cui la sola realizzazione deve prevedere anche obblighi precisi 
    per l’appaltatore di fornitura, oltre che di bene materiali, anche di quelle 
    informazioni atte a consentire all’appaltante una corretta gestione 
    dell’impianto durante tutta la vita tecnica del medesimo.
 
Tutti questi 
    elementi amministrativi e gestionali (che richiedono comunque 
    approfondimenti specifici), abbinati alle considerazioni svolte nei 
    paragrafi precedenti, confermano, una volta di più, la complessità delle 
    tematiche legate allo sfruttamento di questa fonte di energia rinnovabile 
    che rappresenta comunque un opportunità che merita di essere studiata a 
    fondo e sperimentata.
    
    ___________________________________________
* Giurisperito, diplomato MEMA terza edizione.
    
    
    Bibliografia
    
    
    AA.VV., Energia da biomasse. Stato dell’arte del settore nazionale delle 
    biomasse e opportunità di sviluppo, in Regioni e Ambiente, anno V, n°11, 
    Novembre 2004, pp. 24-27. 
    
    AA.VV., La chiusura del cerchio sostenibile. Aspetti strategici e di 
    sviluppo per l’uso energetico delle biomasse, Atti del Convegno, Milano 22 
    settembre 2004.
    
    VITTORIO BARTOLELLI, Disponibilità di biomasse sul territorio italiano e 
    aspettative reali di sfruttamento, febbraio 2003, pp. 1-11.
    
    ANTONIO FINOCCHIARO, PIERLUIGI MARTINI, Aspetti giuridici e amministrativi 
    relativi all’acquisizione ed alla gestione degli impianti termici a biomasse, 
    a cura dell’Assessorato Politiche per la Montagna e Foreste della Regione 
    Piemonte, Torino 2001.
    
    FULVIO PASSALACQUA, Programmi a supporto della Biomassa in Italia. 
    L’esigenza di percorsi coordinati, slides, BIOSIT, Firenze 29 settembre 
    2003.
    
    FULVIO PASSALACQUA, Le ricadute economiche e sociali dirette e indirette 
    della filiera bioenergetica, Firenze 2002.
    
    FULVIO PASSALACQUA, GIANLUCA TONDI, Sistemi di valorizzazione delle Biomasse 
    forestali sulla Montagna Toscana. Gli effetti sull’occupazione e sul 
    territorio. Il ruolo degli enti locali, Atti della VII Conferenza Regionale 
    sull’Ambiente (Firenze, Palazzo dei Congressi, 12-13 dicembre 2002).