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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Sentenza della Corte Costituzionale n. 340 del 16 dicembre 2009. 
Parziale illegittimità costituzionale dell'art. 58 del decreto legge 25 giugno 
2008 n. 112, convertito con modificazioni in legge 6 agosto 2008 n. 133
CARLO RAPICAVOLI*
 
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 340 del 16 dicembre 2009, depositata il 
30 dicembre 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, 
comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo 
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione 
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con 
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, esclusa la proposizione 
iniziale: «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente 
classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la 
destinazione urbanistica».
L’art. 58 del D. L. 112/2008 prevede che:
1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio 
immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, ciascun ente con 
delibera dell'organo di Governo individua redigendo apposito elenco, sulla base 
e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i 
singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali 
all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di 
valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle 
alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione;
2. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente 
classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la 
destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di 
approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante 
allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli 
immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di 
pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. La 
verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro un 
termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, 
nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo 
strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano 
variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal 
medesimo strumento urbanistico vigente.
Come rivela il tenore testuale dell’articolo, si tratta di una norma che affida 
agli enti locali la formazione degli elenchi in essa previsti, sulla base di 
valutazioni demandate agli enti medesimi, con lo scopo di favorire su tutto il 
territorio nazionale l’individuazione di immobili suscettibili di 
«valorizzazione ovvero di dismissione», nella prospettiva di permettere il 
reperimento di ulteriori risorse economiche e quindi di ottenere l’incremento 
delle entrate locali.
La norma censurata stabilisce che «L’inserimento degli immobili nel piano ne 
determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne 
dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del 
consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni 
costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in 
quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità 
agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province 
e delle Regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere 
effettuata entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di 
ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni 
classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero 
nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei 
volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente».
Ad avviso della Corte Costituzionale, “ancorché nella ratio dell’art. 58 siano 
ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in 
quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare 
degli enti, non c’è dubbio che, con riferimento al comma 2 qui censurato, assuma 
carattere prevalente la materia del governo del territorio, anch’essa rientrante 
nella competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni, avuto riguardo all’effetto 
di variante allo strumento urbanistico generale, attribuito alla delibera che 
approva il piano di alienazione e valorizzazione. 
Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., in tali materie lo 
Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle 
Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra 
normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla 
prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda 
l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti 
obiettivi (ex plurimis: sentenze nn. 237 e 200 del 2009).
Orbene la norma in esame, stabilendo l’effetto di variante sopra indicato ed 
escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta a verifiche di 
conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte della 
disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini 
specifici), introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri 
ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi 
d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il 
menzionato parametro costituzionale (sentenza n. 401 del 2007). 
Alla stregua di queste considerazioni deve essere dichiarata l’illegittimità 
costituzionale dell’art. 58, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, 
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, per contrasto con 
l’art. 117, terzo comma, Cost., restando assorbito ogni altro profilo. 
Da tale declaratoria, tuttavia, resta esclusa la proposizione iniziale del comma 
2, secondo cui «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la 
conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone 
espressamente la destinazione urbanistica». Infatti, in primo luogo, la suddetta 
disposizione non risulta oggetto di specifiche censure. In secondo luogo, mentre 
la classificazione degli immobili come patrimonio disponibile è un effetto 
legale conseguente all’accertamento che si tratta di beni non strumentali 
all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente, la destinazione 
urbanistica va ovviamente determinata nel rispetto delle disposizioni e delle 
procedure stabilite dalle norme vigenti”. 
Effetti della sentenza
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale permane l’impianto generale 
delineato dall’art. 58 e quindi:
1) Regioni, Province, Comuni e altri Enti Locali, con deliberazioni dei 
rispettivi organi consiliari, redigono il piano delle alienazioni e 
valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione che consiste in un 
apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i 
propri archivi e uffici, dei singoli beni immobili ricadenti nel territorio di 
competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, 
suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione;
2) L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente 
classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la 
destinazione urbanistica.
A seguito della sentenza della Corte tuttavia l’inserimento nel piano e la 
previsione della destinazione urbanistica non costituiscono immediatamente 
variante allo strumento urbanistico generale, come originariamente previsto 
dalla seconda parte del comma 2, dichiarato incostituzionale (“la deliberazione 
del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e 
valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale 
variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di 
conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza 
delle Province e delle Regioni (…)”).
E’ necessario invece che la deliberazione che dispone la destinazione 
urbanistica dell’immobile inserito nel piano delle alienazioni sia sottoposta 
alle procedure previste dalle disposizioni regionali vigenti in materia di 
governo del territorio e di varianti agli strumenti urbanistici comunali.
Nel rispetto della ratio della previsione dell’art. 58, in cui si ravvisano 
chiaramente profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto 
finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli 
enti, di competenza statale, appare urgente che le singole Regioni procedano ad 
adottare con urgenza i necessari atti di indirizzo che disciplinino in modo 
rapido e semplificato la verifica e l’approvazione delle deliberazioni comunali, 
attraverso una procedura idonea a verificare esclusivamente “la conformità agli 
eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e 
delle Regioni”.
Sono facilmente immaginabili le conseguenze sui bilanci degli Enti Locali in 
caso di ritardi nei provvedimenti regionali, in particolare per quei Comuni e 
Province che hanno già approvato il piano delle alienazioni, ai sensi e con gli 
effetti previsti dall’art. 58, allegato al bilancio di previsione 2009 o 2010 e 
ancor di più per quegli Enti che hanno già provveduto ad alienare immobili 
valorizzati ai sensi del medesimo art. 58 e che potrebbero trovarsi esposti a 
prevedibili contenziosi.
Com’è noto l’art. 136 della Costituzione prevede che “Quando la Corte dichiara 
l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di 
legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla 
pubblicazione della decisione”; e l’art. 30 della Legge 11 marzo 1953 n. 87 
disciplina ulteriormente gli effetti della pronuncia di illegittimità 
costituzionale.
La Cassazione ha più volte ribadito che "Le pronunce di accoglimento della Corte 
Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la 
validità e l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo 
il limite delle situazioni giuridiche "consolidate" per effetto di eventi che 
l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le 
sentenze passate in giudica, l'atto amministrativo non più impugnabile, la 
prescrizione e la decadenza”.
Pertanto quando un ente o un'amministrazione dello Stato revoca un atto ormai 
perfetto valido ed efficace basandosi sull'assunto che l'atto risulta essere in 
vigore in base ad una norma incostituzionale, nonostante che l'atto stesso 
risulti avere tali requisiti sin dall'inizio o li abbia acquisiti nel corso del 
tempo e, comunque, prima della sentenza d'incostituzionalità ovvero, in caso di 
vizi, quest'ultimi non siano stati fatti valere nella sede opportuna rispettando 
i modi e i tempi dell'impugnazione, è possibile ricorrere ai T.A.R. per 
l'annullamento del provvedimento. 
Questo significa che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua 
ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza 
della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi "di legalità". 
La stessa legge dovrà comunque essere disapplicata per i rapporti non ancora 
costituiti o in corso di perfezionamento. 
In ogni caso si avrà come risultato di ritenere, comunque, abrogata la norma 
incostituzionale nei confronti di eventuali nuovi rapporti o nei confronti di 
quelli in corso di costituzione e non ancora perfetti; sarà valida ed efficace 
per quelli perfezionatisi in momenti precedenti al giudizio della Corte 
Costituzionale.
Pertanto se per le deliberazioni già adottate ed efficaci non si porrebbero 
problemi, va risolto il problema per gli atti in itinere o di prossima adozione.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di ritenere come soddisfacente la 
modalità già contenuta nell’ultima parte del comma 2 dell’art. 58.
Le Regioni potrebbero, con proprio atto di indirizzo, stabilire una procedura di 
esame e ritenere soddisfatto l’esercizio del proprio potere di governo del 
territorio a seguito della trasmissione da parte degli Enti Locali della 
deliberazione adottata ai sensi dell’art. 58 e della successiva verifica di 
conformità agli strumenti di pianificazione territoriale vigenti, con le 
modalità ritenute più opportune, entro termini brevi che potrebbero essere di 
trenta giorni come già previsto dalla norma statale soggetta a sindacato di 
costituzionalità da parte della Corte.
Si potrebbero, altresì, inquadrare – con il solo limite del tempo necessario al 
perfezionamento della procedura – le varianti adottate ai sensi e per gli 
effetti dell’art. 58 comma 2 come comuni varianti parziali agli strumenti 
urbanistici comunali e, in quanto tali, soggette alla procedura prevista da 
ciascuna legge regionale in materia di governo del territorio.
Conclusioni
Alla luce di quanto sopra esposto si può ritenere che ai sensi dell’art. 58 del 
D. L. 12/2008, convertito in Legge 133/2008, a seguito della sentenza della 
Corte Costituzionale n. 340/2009:
1) Regioni, Province, Comuni e gli altri Enti Locali, con deliberazione 
consiliare, redigono il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari 
allegato al bilancio di previsione;
2) Gli Enti di cui al punto 1) inseriscono nel piano un apposito elenco, sulla 
base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e 
uffici, dei singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non 
strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di 
valorizzazione ovvero di dismissione;
3) L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente 
classificazione come patrimonio disponibile;
4) Contestualmente all’inserimento nel Piano, la deliberazione dispone 
espressamente la destinazione urbanistica di ogni singolo immobile da 
valorizzare ovvero da dismettere;
5) Qualora la destinazione urbanistica disposta per il singolo immobile 
costituisce variante allo strumento urbanistico generale, è necessario – ai fini 
dell’efficacia definitiva della variante – che questa sia determinata nel 
rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme regionali.
Al riguardo va precisato che:
a) È da considerare comunque ammissibile l’adozione della variante specifica 
adottata dall’Ente Locale ai sensi dell’art. 58 del D. L. 112/2008 anche se non 
espressamente prevista in tale forma dalla vigente normativa regionale; la 
legittimazione ad indicare espressamente la destinazione urbanistica di ogni 
singolo immobile da valorizzare ovvero da dismettere è attribuito all’Ente 
Locale dall’art. 58, comma 2, nella parte ritenuta costituzionalmente legittima 
dalla Corte, tenendo conto del fatto che nella ratio dell’art. 58 sono 
ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in 
quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare 
degli enti;
b) E’ auspicabile l’emanazione da parte delle singole Regioni di atti di 
indirizzo e procedurali che individuino le modalità per l’esercizio della 
verifica di conformità delle deliberazioni dei Consigli Comunali agli atti di 
pianificazione sovraordinata di competenza regionale e provinciale;
c) In assenza di specifiche indicazioni regionali, le deliberazioni consiliari 
adottate ai sensi dell’art. 58 saranno soggette all’iter previsto per le 
varianti ordinarie agli strumenti di pianificazione comunale;
6) E’ fatta salva la legittimità degli atti di approvazione del piano delle 
alienazioni e valorizzazioni immobiliari adottate dagli Enti Locali già 
perfezionati ed efficaci, comprensivi dell’indicazione espressa della 
destinazione urbanistica.
7) Gli atti in itinere, di prossima adozione o non ancora perfezionati ed 
efficaci, vanno assoggettati alle procedure regionali di approvazione delle 
varianti urbanistiche.
La disciplina della Regione Veneto
Nel caso specifico della Regione Veneto, le deliberazioni assunte ai sensi 
dell’art. 58 del D. L. 112/2008, per i Comuni sprovvisti di PAT approvato, in 
considerazione dell’interesse pubblico perseguito con il suddetto atto, sono da 
considerare come varianti parziali al PRG ammesse ai sensi dell’art. 48 della L. 
R. 11/2004 e soggette – in assenza di diversa indicazione procedurale da parte 
della Giunta Regionale – alla procedura di approvazione prevista dall’art. 50, 
comma 3, della L. R. 61/1985, come espressamente previsto dal citato art. 48 
“Disposizioni transitorie” ad esempio per le varianti relative al recupero 
funzionale dei complessi immobiliari dismessi dal Ministero della difesa di cui 
all’articolo 1, comma 259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 “Disposizioni 
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge 
finanziaria 2007)”.
Infatti il citato art. 48 della L. R. 11/2004 dopo aver fissato il principio 
secondo il quale fino all'approvazione del primo piano di assetto del territorio 
(PAT), il comune non può adottare varianti allo strumento urbanistico generale 
vigente indica le eccezioni ex lege relative alle varianti finalizzate, o 
comunque strettamente funzionali, alla realizzazione di opere pubbliche e di 
impianti di interesse pubblico nonché altre ipotesi specifiche.
Non v’è dubbio che le modifiche alle destinazioni d’uso degli immobili inseriti 
nel piano di cui all’art. 58 del D. L. 112/2008 perseguano l’interesse pubblico, 
sancito dalla stesa norma, alla valorizzazione del patrimonio disponibile di 
proprietà pubblica e alla sua eventuale alienazione i cui proventi sono 
destinati alla realizzazione di opere pubbliche o a spese di investimento.
L’espressa previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 58 del D. L. 112/2008 
dell’indicazione della destinazione urbanistica per ogni singolo immobile 
inserito nel piano, ne legittima pienamente l’adozione da parte del Consiglio 
Comunale e rappresenta una delle eccezioni ex lege al divieto di adozione di 
varianti ai PRG prima dell’approvazione dei PAT.
Non sussistono altresì questioni di vuoto normativo relativo alla procedura da 
seguire in quanto, in assenza di espressa specifica previsione regionale, si 
applica la procedura di cui all’art. 50, comma 3, della L. R. 61/1985.
In alternativa, ricorrendone i presupposti, potrebbe essere attivata la 
procedura dell’accordo di programma ai sensi dell’art. 32 della legge regionale 
del Veneto 29 novembre 2001, n. 35, che prevede che per l'attuazione organica e 
coordinata di piani e progetti che richiedono per la loro realizzazione 
l'esercizio congiunto di competenze regionali e di altre amministrazioni 
pubbliche, anche statali ed eventualmente di soggetti privati, il Presidente 
della Giunta regionale può promuovere la conclusione di un accordo di programma, 
anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il 
coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il 
finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. 
Per verificare la possibilità di concordare l'accordo di programma, il 
Presidente della Giunta regionale convoca una conferenza fra i soggetti 
interessati. L'accordo consiste nel consenso unanime dei soggetti interessati, 
autorizzati a norma dei rispettivi ordinamenti in ordine alla natura e ai 
contenuti dell'accordo stesso. Esso è reso esecutivo con decreto del Presidente 
della Giunta regionale ed è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione 
del Veneto. L'accordo sostituisce ad ogni effetto le intese, i pareri, le 
autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti da leggi regionali. Esso 
comporta, per quanto occorra, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, 
nonché l'urgenza e l'indifferibilità dei relativi lavori, e la variazione 
integrativa agli strumenti urbanistici senza necessità di ulteriori adempimenti.
 
* Direttore Generale 
e Dirigente del Settore Ambiente  e Pianificazione Territoriale della 
Provincia di Treviso
 
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it 
il 09/01/2010