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L’attuazione della riforma della pubblica amministrazione nelle province
CARLO RAPICAVOLI*
 
1. IL RUOLO E IL FUTURO DELLE PROVINCE
2. LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
3. L’ATTUAZIONE DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE NELLA XVI LEGISLATURA: DAL 
FEDERALISMO FISCALE ALLA CARTA DELLE AUTONOMIE
4. LA RIFORMA DEL LAVORO PUBBLICO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
5. IL PROTOCOLLO DI INTESA UPI – DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA
6. LA PERFORMANCE
7. LA VALUTAZIONE
8. LA DIRIGENZA
9. LE RELAZIONI SINDACALI NELLA FASE DI ADEGUAMENTO DEGLI ORDINAMENTI
10. LA MANOVRA FINANZIARIA E GLI EFFETTI SULLA RIFORMA
11. IL FUTURO?
1. IL RUOLO E IL FUTURO DELLE PROVINCE
Inevitabilmente, prima di affrontare il tema della possibile attuazione della 
riforma della pubblica amministrazione dal punto di vista delle Province, siamo 
costretti ancora una volta a considerare il tema stesso dell’esistenza delle 
Province.
Ormai da mesi il dibattito politico spesso richiama l'abolizione della Province 
come un toccasana sia per l'organizzazione dello Stato che per l'economia: 
vengono fornite cifre sul risparmio che ne conseguirebbe dell'ordine di 13-16 
miliardi di Euro.
Lo affermano numerosi esponenti politici, qualche organo di stampa ne ha fatto 
una battaglia storica; ma concordano anche autorevoli istituti di ricerca. 
La realtà però è ben diversa da quanto emerge oggi da una campagna mediatica e 
propagandistica sul tema svolta senza approfondire effettivamente la questione.
Richiamando e riportando i dati ufficiali emersi nell'ultima assemblea generale 
dell'UPI nell'ottobre scorso, emerge che negli ultimi anni, secondo i dati 
raccolti nella Relazione Unificata sull’economia e sulla finanza pubblica del 
2008, la spesa è cresciuta del 7% a livello centrale, del 5% a livello regionale 
e solo del 3,4% per Comuni e Province, perfettamente in linea con la crescita 
dell’inflazione.
La Corte dei Conti - Sezioni Riunite - nel suo Rapporto sul coordinamento della 
finanza pubblica 2010 dichiara nel Capitolo dedicato al tema del "Patto di 
stabilità che "Cumulativamente, sia le Province che i Comuni hanno pienamente 
conseguito gli obietti assegnati, anche con un considerevole scarto positivo. Le 
Province, infatti, che erano tenute a non peggiorare un disavanzo (calcolato in 
termini di competenza mista) pari a 551 milioni, registrano un saldo positivo di 
275 milioni; ciò significa che le Province hanno migliorato il proprio saldo 
complessivo effettivo al 31.12.2009 di 275 milioni di euro in più rispetto 
all'obiettivo programmato complessivamente per il totale delle Province imposto 
dal Patto di stabilità interno 2009.
Il tema della cancellazione delle Province è tornato all’attenzione delle 
istituzioni e degli studiosi negli ultimi giorni del maggio 2010 in occasione 
della predisposizione della manovra finanziaria allorché, per trovare le risorse 
necessarie, si è ipotizzato – e poi escluso – di operare con legge statale (o 
meglio con decreto-legge) la cancellazione delle Province con meno di 220.000 
abitanti.
Rispetto al passato, la questione si è posta in termini nuovi: non abolire con 
legge statale ordinaria o costituzionale la categoria dell’ente territoriale 
autonomo, ma cancellare con decreto-legge solo alcune Province, sulla base del 
criterio demografico corretto da quello di confine; ipotesi prima annunciata, 
poi stralciata, quindi inserita nella nuova carta delle autonomie per essere 
nuovamente eliminata.
Le Province invece devono essere mantenute, riformate se si vuole, rivalutate 
nelle funzioni che oggi sono svolte da una infinità di altri Enti sovra comunali 
ad ampio raggio, sopprimendo invece questi.
Va, infatti, piuttosto valorizzato il ruolo delle Province come presidio 
democratico del territorio provinciale: una comunità che si organizza a livello 
provinciale in tutti i suoi aspetti (economico, sindacale, politico, religioso, 
associativo…) deve essere governata da un’istituzione democraticamente 
rappresentativa, attraverso l’elezione diretta del Presidente della provincia e 
del consiglio provinciale.
Allora diventa ormai inderogabile la definizione delle funzioni fondamentali 
delle Autonomie Locali in attuazione dell'art.117 della Costituzione, tale 
adempimento oggi rappresenta una vera e propria emergenza.
Il livello di governo dell'area vasta identificabile nella dimensione 
provinciale assume un'importanza strategica; le funzioni fondamentali delle 
Province debbono esser essenzialmente quelle di pianificazione e coordinamento 
dello sviluppo economico locale oltre che quelle di sussidiarietà a supporto dei 
Comuni. Politiche che non possono essere surrogate dall'iniziativa polarizzante 
delle città capoluogo, ma debbono proiettarsi sul territorio in un'ottica di 
riequilibrio complessivo.
Una pianificazione complessiva che comprenda e finalizzi organicamente ed in 
modo coerente oltre che le politiche del lavoro, della formazione e 
programmazione scolastica, ovviamente, la pianificazione territoriale di area 
vasta.
Una pianificazione che attraverso Piani Territoriali di Coordinamento 
Provinciali di nuova generazione sia in grado di inglobare e legare 
organicamente le varie pianificazioni di settore, comprendenti il governo del 
territorio, dell'ambiente, delle risorse idriche ed energetiche, della gestione 
dei rifiuti, la pianificazione e la gestione del sistema dei trasporti e della 
mobilità, a completamento e consolidamento delle storiche competenze provinciali 
sulle reti territoriali della viabilità. Non può sfuggire infatti l'organicità 
di tutto il complesso di tali materie se si intendono perseguire politiche 
coerenti che puntino al progresso economico in un quadro di sostenibilità.
In coerenza con tutto ciò assume un carattere devastante l'esistenza di quella 
miriade di organismi, agenzie, ATO, consorzi ed enti di secondo grado, 
proliferati in questi anni al di fuori dei livelli di governo individuati dal 
titolo V della Costituzione, non allo scopo della gestione associata di servizi 
(cosa che sarebbe ancorché virtuosa), ma con l'intento di disgregare la 
governance organica del territorio e delle sue risorse moltiplicando, questi si, 
i posti ed i costi della politica.
Al riguardo c'è chi sostiene, in nome dell’efficienza, che le agenzie o i 
consigli di amministrazione sono più funzionali all’assolvimento di compiti 
istituzionali quasi che il voto popolare sia un intralcio alla modernità.
E così ci troviamo di fronte a 222 ATO di acque e rifiuti, 191 Consorzi di 
Bonifica, 63 Bacini Imbriferi, innumerevoli Agenzie, etc., il cui operato non 
può essere sottoposto al giudizio del cittadino elettore.
2. LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
L’Unione delle Province d’Italia, nelle sue proposte per l’avvio della XVI 
legislatura, ha posto al centro della riflessione la necessità di portare a 
compimento la lunga transizione istituzionale avviata in Italia, dando 
finalmente attuazione ai principi di autonomia e sussidiarietà della riforma 
costituzionale del 2001, attraverso un profondo riordino delle istituzioni, una 
chiara definizione dei ruoli di ciascun livello di governo, per costruire un 
quadro di riferimento stabile, snello, moderno ed efficiente all’amministrazione 
pubblica. 
In questa prospettiva erano individuati come prioritari alcuni provvedimenti: la 
nuova Carta delle autonomie locali, la legge sul federalismo fiscale, la riforma 
del sistema della contrattazione pubblica.
E’ evidente a tutti il legame che esiste tra il riordino degli assetti 
istituzionali, il federalismo fiscale e una riforma della pubblica 
amministrazione basata sull’efficienza e sulla trasparenza. Non può esistere una 
vera autonomia nell’utilizzo delle risorse pubbliche (entrate e spese) senza una 
chiara definizione dei ruoli istituzionali di ogni livello di governo previsto 
dalla Costituzione e un sistema di misurazione dei fabbisogni e delle 
prestazioni di ogni istituzione. La maggiore autonomia prevista dalla 
Costituzione implica infatti una maggiore responsabilità, sia nell’esercizio 
delle funzioni attribuite, sia nella rendicontazione delle attività svolte.
Nei primi due anni della XVI legislatura, il dibattito parlamentare e il 
confronto politico è fuoriuscito dallo scontro netto maggioranza-opposizione su 
tre provvedimenti che si iscrivono tutti nel percorso di riforma istituzionale e 
di attuazione del titolo V, parte II, della Costituzione:
• la legge delega sul federalismo fiscale (legge 42/09);
• il disegno di legge sulla nuova Carta delle Autonomie locali;
• la legge delega sul lavoro pubblico (legge 15/09) e il decreto legislativo 
150/09 di attuazione.
• Il decreto legislativo 28 maggio 2010 n. 85 sul federalismo demaniale
• Il decreto legge 31 maggio 2010 n. 78 contenente la manovra finanziaria
Non potendo evidentemente affrontare tutte le tematiche relative al complesso 
delle riforme in itinere, ci si soffermerà sul D. Lgs. 150/2009 e sugli effetti 
che possono derivare alla concreta applicazione del Decreto Brunetta dalle 
attuali previsioni della manovra finanziaria.
3. L’ATTUAZIONE DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE NELLA XVI LEGISLATURA: DAL 
FEDERALISMO FISCALE ALLA CARTA DELLE AUTONOMIE
Sul federalismo fiscale c’è stato un confronto approfondito tra il Governo e le 
autonomie territoriali in Conferenza unificata e, poi, un ampio dibattito 
parlamentare durante l’iter di approvazione della legge delega, che ha 
consentito di giungere ad un punto di equilibrio largamente condiviso.
A tutti i livelli istituzionali del territorio previsti nell’articolo 114 della 
Costituzione - Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni, Roma capitale - 
viene riconosciuta l’autonomia di entrata e di spesa prevista dall’articolo 119 
della Costituzione, attraverso il ricorso a tributi propri, compartecipazioni e 
fondi perequativi.
Il passaggio ad un nuovo sistema di finanziamento che ribalta l’impostazione 
attuale e si fonda sull’autonomia e sulla responsabilità di ogni istituzione 
territoriale è molto complesso e comporta uno stravolgimento dell’attuale 
sistema fiscale. Per passare dalla spesa storica alla copertura dei fabbisogni 
standard è necessaria la precisa individuazione delle funzioni che ogni ente 
svolge e la misurazione delle prestazioni offerte dalle pubbliche 
amministrazioni.
Per raggiungere questi obiettivi storici occorre cambiare profondamente il modo 
di funzionare delle amministrazioni, armonizzare i loro sistemi finanziari e 
contabili, trasformare l’amministrazione centrale da soggetto gestore dei 
trasferimenti a soggetto che, a partire dalla conoscenza e il confronto delle 
prestazioni delle diverse amministrazioni, sia in grado di regolare e 
incentivare in modo appropriato il funzionamento del sistema repubblicano, 
utilizzando fino in fondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed 
adeguatezza dell’art. 118 della Costituzione.
Per questi motivi, le Regioni e le autonomie locali hanno sempre sottolineato la 
necessità di affrontare insieme il tema del federalismo fiscale e il tema del 
federalismo istituzionale. Non si può costruire un sistema fondato 
sull’individuazione dei fabbisogni standard di ogni livello di governo se non 
c’è una chiara individuazione di “chi fa che cosa”.
Per questo è essenziale che, insieme all’attuazione della delega sul federalismo 
fiscale, sia approvata dal Parlamento una legge che individui chiaramente le 
funzioni fondamentali dei Comuni e delle Province, riavvii il processo di 
decentramento delle funzioni amministrative verso le autonomie locali secondo 
criteri di prossimità e di proporzionalità e riordini nel profondo la pubblica 
amministrazione italiana, attraverso la soppressione di enti, organismi e 
strutture statali e regionali che oggi esercitano funzioni che potrebbero essere 
tranquillamente allocate a Comuni e Province.
4. LA RIFORMA DEL LAVORO PUBBLICO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Accanto alla necessaria opera di semplificazione istituzionale che deve essere 
compiuta dalle leggi statali e regionali, in attuazione dell’articolo 118 della 
Costituzione, c’è però un’altra sfida che tutte le amministrazioni devono 
affrontare al proprio interno: l’attuazione dei principi di buon andamento e di 
imparzialità che sono scritti nell’articolo 97 della Costituzione.
Il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 in materia di “ottimizzazione 
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle 
pubbliche amministrazioni” traduce in norme giuridiche vincolanti i principi 
contenuti nella legge delega e imposta una profonda revisione di diversi aspetti 
della disciplina del lavoro presso la pubblica amministrazione, in particolare, 
sulle seguenti materie:
- la valutazione della performance;
- la trasparenza delle amministrazioni;
- il riconoscimento del merito e dei premi;
- la contrattazione collettiva;
- la riforma della dirigenza;
- gli aspetti disciplinari.
ANCI, UPI e Conferenza delle Regioni hanno presentato insieme alcune proposte, 
che sono state accolte, per precisare l’ambito di intervento del decreto 
legislativo nei confronti delle autonomie territoriali, sottolineando che le 
norme che hanno un impatto diretto sull’organizzazione degli enti non possono 
essere applicate direttamente e devono valere solo nei limiti delle disposizioni 
di principio da enucleare nel testo (cfr. gli articoli 16, 31 e 74 del D. Lgs 
150/09).
5. IL PROTOCOLLO DI INTESA UPI – DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA
L’Unione delle Province d’Italia ha firmato un Protocollo di intesa con il 
Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, con l’obiettivo di 
condividere un quadro di riferimento comune, sia relativamente alle prime linee 
di interpretazione delle disposizioni del decreto, che alle indicazioni da 
recepire nell’ambito dell’autonomia normativa di ogni ente e, più in generale, 
alla costruzione di un sistema di indicatori per verificare le performance delle 
amministrazioni provinciali, anche attraverso l’utilizzo delle sperimentazioni e 
delle esperienze già avviate dalle Province.
A nostro avviso occorre evitare un’interpretazione rigida della legge che 
preveda vincoli e obblighi procedurali uniformi per tutti. Riteniamo che le 
nuove disposizioni legislative debbano essere considerate come uno strumento ed 
una opportunità per l’ulteriore miglioramento delle amministrazioni e debbano 
essere attuate con la necessaria flessibilità che discende dall’autonomia 
propria degli enti locali.
In molte Province sono state intraprese da tempo azioni efficaci di valutazione 
delle prestazioni amministrative e della produttività del lavoro pubblico, per 
ridurre gli sprechi e per migliorare l’efficienza e l’efficacia delle attività 
amministrative e dei servizi pubblici. I principi della riforma dovranno 
pertanto essere tradotti attraverso la valorizzazione dell’autonomia normativa 
ed organizzativa che la Costituzione riconosce alle Province. Per conseguire 
successi duraturi nella gestione dei servizi pubblici occorre, infatti, arrivare 
alla definizione di meccanismi e regole adeguati alle specificità del singolo 
servizio ed alle caratteristiche della singola amministrazione.
Il Comitato di attuazione del Protocollo ha individuato come priorità:
1. la definizione di alcune linee di interpretazione e di indirizzo condivise 
tra le parti sulla riforma del lavoro pubblico;
2. l’adeguamento dei regolamenti provinciali in attuazione della riforma;
3. la costruzione di metodologie e indicatori per la valutazione delle 
performance delle amministrazioni, in particolare sulle funzioni fondamentali 
delle Province, e sulla produttività dei dirigenti e dei dipendenti;
4. il coinvolgimento delle Unioni regionali nei lavori del Comitato di 
attuazione attraverso la designazione di un loro rappresentante che possa poi 
rapportarsi al territorio regionale;
5. la verifica ed evidenziazione delle esperienze più significative di 
attuazione della riforma.
6. LA PERFORMANCE1
L’oggetto primario della performance è il contributo che il singolo, il gruppo 
di lavoro o il complesso dell’organizzazione rendono attraverso la propria 
azione, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi e all’incremento del 
valore del servizio pubblico, che è dato dalla capacità di rispondere ai bisogni 
dei destinatari, oltre che dall’efficiente utilizzo delle risorse. 
La valutazione e la produttività possono essere quindi analizzate solo nel 
contesto della valutazione dell’efficacia del servizio. 
La definizione degli obiettivi da conseguire sarà da considerare come perno su 
cui basare l’intero sistema: essa non consiste in un esercizio astratto da 
compiersi esclusivamente sulla base della analisi di elementi esterni, ma 
consegue dai risultati della valutazione di performance (di ciò che si è fatto 
nei periodi precedenti), oltre che dalle condizioni presenti nell’ambiente 
esterno.
Le norme relative al piano delle performance e la relazione delle performance 
potranno costituire una chiave di lettura intelligibile, coordinata e coerente 
degli strumenti già presenti nel sistema di programmazione e controllo (RPP, PEG, 
PDO, rendiconto della gestione e relazione al rendiconto delle gestione), ed una 
opportunità per compensare le eventuali lacune del sistema stesso, attraverso 
una revisione dinamica, con cui verificarne l’adeguatezza rispetto ai principi 
degli articoli 4 (ciclo di gestione della performance) e 5, comma 2 (caratteri 
degli obiettivi – strategici, specifici e operativi – assunti dall’ente nei 
documenti di programmazione), senza aggiungere ulteriori atti al già numeroso 
catalogo di quelli previsti dal Testo unico e dal d.lgs. n. 170/2006.
7. LA VALUTAZIONE
Nell’ampia varietà delle disposizioni del Titolo II sono di particolare 
interesse, per gli enti locali, quelle che stabiliscono un ampliamento 
dell’oggetto della valutazione (articolo 3) e quelle relative al nuovo Organismo 
indipendente di valutazione della performance (articolo 14).
Per le P.A. territoriali, l’Organismo avrà il ruolo di potenziare il sistema 
rappresentando così un valore aggiunto rispetto ai nuclei di valutazione, 
istituiti e regolati nell’ambito dell’autonomia da parte degli enti e le altre 
forme di controllo interno.
Le Province potranno pertanto decidere se istituire l’organismo indipendente di 
valutazione in sostituzione dei nuclei di valutazione oggi esistenti, oppure 
affiancare ai nuclei attuali un organismo che abbia piuttosto il compito di 
garantire la certificazione dei sistemi di valutazione interni relativamente 
agli indirizzi e alle metodologie che saranno definiti in sede nazionale.
In primo luogo, appare fondamentale e poco sottolineata la previsione di un 
Organismo con funzioni valutative di più amministrazioni, anche per rispondere 
al criterio dell’economia di gestione. 
La Provincia potrà dunque proporre ai Comuni del territorio ed eventualmente 
agli altri enti di area vasta la costituzione in forma associata del nuovo 
Organismo.
Quanto al requisito dell’autonomia i compiti dell’Organismo non escludono che i 
componenti siano anche soggetti interni all’Ente che possano garantire una 
adeguata esperienza maturata all’interno dell’amministrazione (al contrario, 
vale quanto stabilito dall’articolo 13, comma 3): esclude soltanto che soggetti 
interni all’ente partecipino alle attività di cui all’art. 14, comma 4, lettera 
e) relativo, ragionevolmente, al Direttore Generale e al Segretario Generale che 
di regola fanno parte del Nucleo di valutazione.
Per quanto riguarda la composizione, ribadita la netta preferenza per la 
gestione associata è opportuno graduare la scelta fra organo monocratico o 
collegiale in base alle dimensioni strutturali dell’ente.
Spetta al Presidente della Provincia o al Sindaco la nomina dei componenti 
dell’Organismo, come quella del Nucleo di valutazione.
Va detto, tuttavia, che il disegno di legge sul Codice delle Autonomie (d.d.l. 
n. 3118) licenziato dalla I Commissione Permanente della Camera il 10 giugno 
2010 ed in fase di approvazione in prima lettura dalla Camera prevede all’art. 
24 che la nomina dell’Organismo Indipendente di Valutazione sia competenza del 
consiglio comunale o provinciale.
Le funzioni dell’Organismo sono quelle previste dall’articolo 14, comma 1 e 4, 
con una osservazione specifica, relativa alla lettera e).
Tra i compiti dell’Organismo, vi è la proposta di valutazione dei dirigenti di 
vertice (Segretario Generale e Direttore Generale, ove previsto), da proporre al 
Presidente della Provincia, organo di vertice per i soggetti da valutare e 
soggetto titolare del potere di nomina.
L’Organismo dovrebbe per questo adempimento operare ovviamente senza soggetti 
interni all’ente aiutando il Presidente della Provincia a verificare se il suo 
ente ha un’organizzazione e un sistema di valutazione adeguati a soddisfare i 
principi della trasparenza e della responsabilità.
All’Organismo non spetta analogo compito per la valutazione dei dirigenti, che 
invece compete al Direttore Generale o al vertice gestionale degli enti, ovvero 
alla figura competente alla gestione dell’ente nel suo complesso, ai fini di una 
corretta omogeneità e che si avvarrà dell’Organo come funzione di supporto sulla 
base del Sistema di Misurazione e Valutazione; oltre che per la verifica del 
raggiungimento degli obiettivi e le risultanze del controllo strategico.
Il particolare e forte collegamento con il rappresentante dell’ente è di 
particolare importanza anche per l’esercizio delle attività di controllo 
strategico, da condurre sulla base delle previsioni contenute nel Piano generale 
di sviluppo (art. 165, comma 7 del d.lgs. n. 267/2000 e art. 13 comma 3, d.lgs. 
n. 170/2006).
In ogni caso, relativamente alle attività di valutazione, l’Unione delle 
Province d’Italia ha già avviato i contatti per arrivare alla definizione del 
Protocollo con la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità 
delle amministrazioni pubbliche previsto dall’art. 13, comma 2, del decreto, 
attraverso il quale verranno definiti ulteriori indirizzi e metodologie, in 
particolare sulla valutazione delle performance delle amministrazioni e sul 
rapporto che essa dovrà avere con la valutazione dei dirigenti e dei dipendenti.
8. LA DIRIGENZA 
Le norme sulla dirigenza rappresentano l’altro grande capitolo d’interesse in 
questa prima fase e anche qui occorre ribadire il valore fondamentale delle 
previsioni regolamentari, adottate o adottabili dai singoli enti.
La caratteristica di fondo delle disposizioni sulla dirigenza è quella di un 
intervento migliorativo e correttivo della normativa esistente, spesso per 
adeguarla alla giurisprudenza costituzionale e amministrativa.
Qui non verrà però svolto un esame analitico delle disposizioni riguardanti 
l’assetto strumentale e il quadro funzionale della dirigenza: saranno invece 
esaminate le disposizioni contenute nell’articolo 40, con particolare 
riferimento alle tre questioni delle procedure di conferimento (articolo 40 
comma 1, lettera b), della professionalità richiesta per i c.d. incarichi ad 
esterni (articolo 40, comma 1, lettera e) e dei limiti quantitativi a questa 
tipologia di incarichi (articolo 40, comma 1 lettera f).
La conferma e l’affinamento dei caratteri di pubblicità delle procedure di 
conferimento è senz’altro positiva e utile.
Appare indefettibile il riferimento alla valutazione comparativa dei candidati e 
alla motivazione delle ragioni della scelta effettuata, necessaria tanto nel 
caso di incarichi a soggetti interni, quanto nel caso di nomina di esterni.
Di ciò dovranno darsi carico gli enti, con le opportune revisioni regolamentari 
e nella loro azione amministrativa, facendo in modo che nelle nell’accesso alla 
dirigenza dell’ente siano verificati il completamento di un ciclo completo di 
studi universitari, adeguate specializzazioni, requisiti di professionalità e di 
merito, esperienze amministrative che soddisfino i principi costituzionali 
dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.
Pur nel crescente disfavore per l’attribuzione di incarichi a soggetti diversi 
dai dirigenti dell’Amministrazione, la lettera e) dell’articolo 40 conferma la 
previsione del ricorso a tale istituto, integrando la portata degli incisi 
relativi alla particolare professionalità richiesta per il conferimento e alle 
concrete esperienze di lavoro maturate.
Dalla complessiva lettura del nuovo testo dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 
n.165/2001 risulta che:
• la verifica dell’esistenza di specifiche qualificazioni professionali riguarda 
esclusivamente i dirigenti a tempo indeterminato; l’esito negativo di detta 
verifica consente di attivare le procedure per il conferimento di incarichi 
dirigenziali sia a soggetti esterni all’amministrazione, sia a personale interno 
non avente qualifica dirigenziale, in possesso dei requisiti a tal fine 
prescritti; in tale ultimo caso sarebbe opportuno prevedere criteri specifici e 
premianti di valutazione della qualificazione maturata all’interno dell’ente;
• la procedura rivolta a soggetti diversi dai dirigenti dell’ente deve avere 
caratteri sostanziali di pubblicità e selettività, da definire a livello 
regolamentare;
• nel caso di conferimento di un incarico dirigenziale a funzionari dell’ente, 
la conseguenza nel rapporto di lavoro esistente è la collocazione in 
aspettativa, e non la conclusione del rapporto di lavoro stesso.
• I principali problemi interpretativi nascono dal comma 6-ter, dal quale si 
ricaverebbe la regola che le modalità di conferimento di incarichi dirigenziali 
ai sensi del comma 6 e i limiti percentuali alla scelta di soggetti esterni per 
gli incarichi dirigenziali si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche e, 
dunque, anche agli enti locali.
Quest’interpretazione appare troppo rigida in quanto:
• la materia è regolata per Comuni e Province dal vigente art. 110 d.lgs n. 
267/2000;
• lo svolgimento della previsione normativa primaria avviene e deve avvenire con 
norme regolamentari, espressione dell’autonomia degli enti;
• i livelli dimensionali degli enti e le caratteristiche strutturali della 
dirigenza statale non consentirebbero comunque un’applicazione reale di limiti 
percentuali fissi agli enti locali;
• il comma 6-bis attiene al meccanismo di arrotondamento percentuale, mentre il 
comma 5 bis, esplicitamente riferito alle amministrazioni statali, non è 
richiamato dal comma 6-ter.
Alla luce di queste considerazioni, l’UPI e il Dipartimento della funzione 
pubblica metteranno in atto ulteriori approfondimenti in materia per trovare le 
soluzioni più adeguate ai problemi derivanti da queste disposizioni normative.
9. LE RELAZIONI SINDACALI NELLA FASE DI ADEGUAMENTO DEGLI ORDINAMENTI
Il decreto 150 incide significativamente sul sistema delle relazioni sindacali, 
ridefinendo ambiti, modalità e istituti della partecipazione sindacale, 
attraverso la modifica degli articoli 5, comma 2, 9 e 40 del Decreto legislativo 
165/2001.
Sulla base di una valutazione critica sulla situazione in essere il decreto 
cerca di rafforzare la capacità della parte datoriale di utilizzare in modo 
corretto le relazioni sindacali.
Il termine per l’adeguamento dei contratti decentrati va necessariamente 
coordinato con il diverso termine assegnato al sistema delle autonomie, dagli 
articoli 16 e 31, per l’adeguamento dei propri ordinamenti alle disposizioni di 
cui al titolo II (misurazione, valutazione e ciclo della performance) e allo 
stesso titolo III del decreto (merito e premi); ne consegue che, entro il più 
ristretto termine del 31 dicembre 2010, gli enti devono procedere a adeguare i 
propri ordinamenti ai principi fissati da dette disposizioni. Tale attività di 
adeguamento non può prescindere dall’applicazione delle disposizioni 
dell’articolo 40, comma 1, come modificato dal decreto legislativo 150, nella 
parte in cui individua le materie escluse dall’ambito della contrattazione 
collettiva.
Logica conseguenza del rispetto del termine del 31 dicembre 2010 per 
l’adeguamento delle disposizioni statutarie e regolamentari sarà la contestuale 
perdita di efficacia delle disposizioni dei contratti collettivi decentrati 
relative ad istituti che devono trovare spazio nelle fonti regolamentari.
Entro il diverso termine del 31 dicembre 2011 dovrà essere completato 
l’adeguamento dei contratti collettivi decentrati al nuovo quadro normativo di 
riferimento, attraverso la compiuta disciplina dei soli istituti riservati alla 
contrattazione.
Certamente l’adeguamento dei contratti decentrati, fermi restando i termini 
sopra indicati per l’adeguamento complessivo, può avvenire anche per tappe 
successive, intervenendo su singoli istituti, fermo restando che ogni intervento 
deve essere rispettoso dei limiti e delle disposizioni contenute nelle 
disposizioni dei titoli II e III del D.Lvo 150. 
La possibilità di adeguamento graduale delle disposizioni contenute nei 
contratti decentrati non esclude per altro l’immediata applicabilità, nelle 
materie riservate dalle nuove disposizioni alla contrattazione, delle 
disposizioni (articolo 40, comma ter) che introducono il provvedimento 
unilaterale sostitutivo del mancato accordo, finalizzato ad “assicurare la 
continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica” e valido solo in 
via provvisoria fino alla successiva sottoscrizione del contratto. 
10. LA MANOVRA FINANZIARIA E GLI EFFETTI SULLA RIFORMA
Le previsioni contenute nella manovra finanziaria approvata con il D. L. 78/2010 
incidono fortemente su quanto appena illustrato.
Una sintesi delle norme di interesse per gli Enti Locali dimostra quanto 
dirompenti siano gli effetti della manovra così come predisposta2.
Mi limito ad alcune considerazioni generali, anche in attesa di auspicate 
modifiche in fase di conversione in legge.
1) LA FORMAZIONE: il taglio lineare del 50% della formazione non può conciliarsi 
con un processo di riorganizzazione profonda, di innovazione e di sviluppo delle 
professionalità nella pubblica amministrazione. Questo è il momento di essere 
severi sulla qualità della formazione, di essere drastici sui requisiti di 
accreditamento, di essere decisi nel pretendere una valutazione reale degli 
interventi ma non è certamente il momento di disinvestire in formazione;
2) LA VALUTAZIONE: Diventa davvero difficile immaginare l’introduzione del 
sistema di valutazione delineato dal Decreto Brunetta e prima illustrato se, 
come prevede il decreto legge sulla manovra finanziaria, “il trattamento 
economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, 
ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti 
delle amministrazioni pubbliche (…) non può superare, in ogni caso, il 
trattamento in godimento nell’anno 2010”. Ciò vuol dire che nessuno, qualsiasi 
sia l’esito di una nuova ed efficace valutazione potrà avere un euro in più di 
quanto ha avuto quest’anno. Se viene confermata tale disposizione e non ci si 
limita soltanto a imporre l’invarianza del monte salariale complessivo di 
ciascun Ente, per tre anni tutto il sistema di valutazione delle performance 
rischia di rimanere soltanto teorico.
3) LA COMUNICAZIONE PUBBLICA: Tagliare in modo indiscriminato l’80% delle spese 
di comunicazione pubblica significa impedire ogni processo di approfondimento, 
di coinvolgimento dei cittadini;
4) L’INNOVAZIONE: Non disporre di risorse per avviare i processi organizzativi 
della pubblica amministrazione esclude ogni possibile riforma che possa in 
prospettiva portare efficienza e risparmi di spesa. La vicenda della PEC è 
emblematica al riguardo
Credo che nessuno possa contestare la necessità della manovra; ma bisognerebbe 
dare maggiore responsabilità alle amministrazioni, alla loro capacità di gestire 
i budget e di tenere i saldi di bilancio pure di fronte a scelte diverse l’una 
dall’altra e dettate dalle peculiarità di ciascuna.
Principio questo che dovrebbe essere uno dei cardini della riforma in senso 
federale.
Stabilire per legge quanto ciascuno deve tagliare in comunicazione, formazione, 
spese di consulenza, ecc. con lo spauracchio onnipresente del “danno erariale” 
farà sì che nessun dirigente avrà più il coraggio di fare alcunché.
A ciò va aggiunto anche il tentativo di scaricare sugli enti locali il grosso 
dei sacrifici. Non solo per i tagli lineari a tutti i comuni, ma anche per i 
tagli a province e, soprattutto, regioni. Questi infatti incideranno ancora sui 
servizi di welfare (ai fondi per la non autosufficienza, ai fondi per il 
sostegno ai servizi per l'infanzia, al fondo per l'affitto, tutti pesantemente 
alimentati da risorse regionali) che toccano i servizi finali (case di riposo, 
assistenza domiciliare, asili nido, interventi sul tema della casa), ai centri 
per l’impiego, ai fondi per la formazione che, gestiti dai comuni e dalle 
province, saranno percepiti dai cittadini come scelte proprie degli enti locali.
11. IL FUTURO?
Non resta che attendere le auspicate modifiche che saranno apportate al testo 
del D. L. 78/2010 in fase di conversione in legge.
Altrettanta attesa è posta per l’approvazione definitiva del Codice delle 
Autonomie nonché dei prossimi decreti attuativi previsti dalla legge delega sul 
federalismo fiscale (legge 42/09): il decreto sull'autonomia impositiva dei 
Comuni, quello sull'autonomia impositiva delle Province, quello sui fabbisogni 
standard, quello sui costi standard e quello sull'ordinamento di Roma capitale 
che, secondo le previsioni, dovrebbero essere presentati per il primo esame del 
Consiglio dei Ministri entro giugno 2010.
 
* Direttore Generale e Dirigente del Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale della Provincia di Treviso
__________________
1 Cfr “Note 
applicative del D. Lgs. 150/2009” elaborate nell’ambito delle attività di 
attuazione del Protocollo di intesa del 18 novembre 2009 tra il Ministro per la 
Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e l’UPI
2 Queste le prime indicazioni per l’applicazione del decreto per 
gli Enti Locali.
1. DISPOSIZIONI RELATIVE AGLI AMMINISTRATORI
1.1 - INDENNITÀ SINDACO, PRESIDENTE DI PROVINCIA E ASSESSORI
Entro 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge (entro il 28 
settembre), con decreto del Ministero dell’Interno vanno rideterminati gli 
importi delle indennità prevedendo una riduzione pari al 7% di quella 
attualmente determinata ai sensi del D. M. 4 aprile 2000 n. 119 e successive 
integrazioni.
1.2 - INDENNITÀ CONSIGLIERI COMUNALI E PROVINCIALI
- Ai Consiglieri Comunali e Provinciali spetta una indennità di funzione 
onnicomprensiva che, in ciascun mese, non può superare l’importo pari ad un 
quinto dell’indennità massima prevista per il Presidente della Provincia 
(attualmente il limite dei gettoni di presenza cumulabili è pari ad un quarto 
dell’indennità del Presidente);
- Non sono più previsti gettoni di presenza.
La decorrenza delle riduzioni, seppure non precisato dalla norma, può intendersi 
collegato all’atto di emanazione del Decreto Ministeriale (previsto, come detto, 
entro il 28 settembre), in quanto il computo deve essere effettuato in rapporto 
all’indennità del Sindaco o del Presidente fissata dal Decreto Ministeriale e 
non rispetto all’indennità attuale determinata a seguito degli aumenti e delle 
riduzioni succedutesi nel tempo, per effetto delle norme sopravvenute, rispetto 
alle previsioni del D. M. del 2000 (es. la riduzione del 10% disposta dalla 
Legge Finanziaria 2006). 
Inoltre l’art. 5, comma 7, precisa che con lo stesso D. M., con il quale deve 
essere fissata l’indennità per Sindaco, Presidente e Assessori con le riduzioni 
previste, va determinato anche l’importo dell’indennità di funzione dei 
Consiglieri.
Quindi si ritiene possa attendersi l’emanazione del D. M. per rendere 
applicabile la norma.
I parlamentari nazionali ed europei ed i consiglieri regionali non hanno diritto 
ad alcuna indennità di funzione o altro emolumento derivante dal ruolo di 
consigliere provinciale.
E’ disposto il divieto di percepire compensi o indennità di missione per la 
partecipazione da parte di sindaco, presidente, assessori e consiglieri, ad 
organi o commissioni comunque denominati se la partecipazione è connessa 
all’esercizio delle funzioni pubbliche.
1.3 - RIMBORSO SPESE DI VIAGGIO AMMINISTRATORI
Agli amministratori che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del 
capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, previa autorizzazione del 
capo dell’amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero 
del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri, è dovuto esclusivamente 
il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute; è stato eliminato 
il “rimborso forfetario onnicomprensivo per le altre spese”.
La disposizione è di dubbia applicazione circa il rimborso delle spese di 
soggiorno.
Tuttavia, poiché il comma 2 dell’art. 84 del D. Lgs. 267/2000, “La liquidazione 
del rimborso delle spese è effettuata dal dirigente competente, su richiesta 
dell’interessato, corredata della documentazione delle spese di viaggio e 
soggiorno effettivamente sostenute e di una dichiarazione sulla durata e sulle 
finalità della missione”, non è stato modificato, si può ritenere che spetti il 
rimborso di tutte le spese di viaggio e di soggiorno documentate.
Resta, altresì, in vigore anche il Comma 3 dell’art. 84 che dispone che: “Agli 
amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha sede il 
rispettivo ente spetta il rimborso per le sole spese di viaggio effettivamente 
sostenute per la partecipazione ad ognuna delle sedute dei rispettivi organi 
assembleari ed esecutivi, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli 
uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate”.
Per “amministratori” vanno intesi Sindaco, Presidente, Assessori e Consiglieri 
(art. 77, comma 2, del D. Lgs. 267/2000).
1.4 - UNICA INDENNITÀ
Chi è eletto o nominato in organi appartenenti a diversi livelli di governo non 
può comunque ricevere più di una indennità di funzione a sua scelta.
1.5 - COMPENSI PER COMMISSIONI E ALTRI ORGANI COLLEGIALI
Sindaco, Presidente, Assessori e Consiglieri non possono percepire alcun 
compenso, neanche quello dovuto per spese di indennità di missione, per la 
partecipazione ad organi o commissioni comunque denominate, se tale 
partecipazione è connessa all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche.
2. ORGANI COLLEGIALI
2.1 - INDENNITÀ E GETTONI DI PRESENZA (PER I SOGGETTI ESTERNI DIVERSI DAGLI 
AMMINISTRATORI)
Le indennità ed i gettoni di presenza oggi riconosciuti ai componenti delle 
varie commissioni e organi collegiali operanti presso l’amministrazione sono 
ridotti del 10% e devono rimanere immutati fino al 31 dicembre 2013.
La disposizione ha efficacia immediata.
3. DISPOSIZIONI RELATIVE AL PERSONALE
3.1 - TRATTAMENTO ECONOMICO DEI DIPENDENTI
Per gli anni 2011,2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli 
dipendenti, anche dirigenti, non può superare in ogni caso il trattamento in 
godimento nell’anno 2010.
Dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei 
singoli dipendenti superiori a 90.000,00 euro lordi annui sono ridotti del 5% 
per la parte eccedente il predetto importo.
Dal 31 maggio 2010 non si applicano più le disposizioni normative e contrattuali 
che autorizzano la corresponsione a favore dei dirigenti di importi derivanti da 
incarichi aggiuntivi.
I rinnovi contrattuali riferiti al biennio 2008-2009 non possono in ogni caso 
determinare aumenti retributivi superiori al 3,2%; i contratti già sottoscritti 
che prevedano una percentuale superiore vanno adeguati a detto limite.
Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e 
negoziali relative al triennio 2010-2012 per tutto il personale. E’ fatta salva 
l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale nella misura prevista a 
decorrere dall’anno 2010.
3.2 - INDENNITÀ DI FINE RAPPORTO
Il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto è riconosciuta in un unico 
importo annuale se pari o inferiore al loro a 90.000,00 Euro; in due importi 
annuali (90.000,00 il primo anno e il residuo il secondo anno) se l’ammontare 
complessivo è superiore a 90.000,00 euro ma inferiore a 150.000,00; in tre 
importi annuali negli altri casi.
3.3 - ATTIVITÀ DI FORMAZIONE
A decorrere dal 2011 la spesa per attività di formazione dei dipendenti non può 
essere superiore al 50% della spesa sostenuta nel 2009.
Le amministrazioni svolgono prioritariamente l’attività di formazione tramite la 
Scuola superiore della pubblica amministrazione. 
La violazione di tale limite costituisce illecito disciplinare e determina 
responsabilità erariale
3.4 - INDENNITÀ PER I DIPENDENTI
I dipendenti componenti di consigli di amministrazione o di collegi sindacali di 
enti concessionari dell’amministrazione o sottoposti alla vigilanza della 
medesima non possono percepire alcun compenso ed i compensi dovuti dalla società 
o dall’ente sono corrisposti direttamente all’amministrazione per confluire 
nelle risorse destinate al trattamento accessorio della dirigenza o del 
personale non dirigenziale.
4. RIDUZIONE DELLE SPESE
4.1 - INCARICHI DI CONSULENZA, STUDIO E RICERCA
A decorrere dal 2011 la spesa annua non può essere superiore al 20% di quella 
sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi in violazione di tale 
limite costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.
4.2 - SPESE DI RAPPRESENTANZA, PUBBLICITÀ, CONVEGNI
A decorrere dal 2011 non è possibile effettuare spese per relazioni pubbliche, 
convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza per un ammontare superiore al 
20% della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le medesime finalità.
4.3 - SPESE PER SPONSORIZZAZIONI
A decorrere dal 2011 le spese per sponsorizzazioni sono vietate.
4.4 - SPESE PER MISSIONI
A decorrere dal 2011, le spese per missioni non possono superare l’ammontare del 
50% della spesa sostenuta nell’anno 2009.
Il limite non si applica alla spesa effettuata per lo svolgimento di compiti 
ispettivi.
Dal 1 giugno 2010 non sono più dovute le diarie per le missioni all’estero.
Dal computo si ritiene possano essere esclusi i rimborsi previsti per gli 
amministratori dall’art. 84, comma 3, del D. Lgs. 267/2000 (vedi punto 1.3).
4.5 - ACQUISTO E NOLEGGIO AUTOVETTURE
A decorrere dal 2011 e fatti salvi eventuali contratti pluriennali in essere, la 
spesa per acquisto, manutenzione, noleggio di autovetture non può essere 
superiore all’80% della spesa sostenuta nel 2009.
5. PATTO DI STABILITÀ’
5.1 - SPESE DEL PERSONALE
E’ necessario procedere alla riduzione delle spese di personale, al loro degli 
oneri riflessi a carico dell’amministrazione e dell’IRAP, con esclusione degli 
oneri relativi ai rinnovi contrattuali, attraverso:
a) La riduzione dell’incidenza delle spese di personale rispetto al complesso 
delle spese correnti, attraverso la parziale reintegrazione dei cessati e 
contenimento della spesa per il lavoro flessibile;
b) Razionalizzazione della struttura organizzativa, con accorpamenti di uffici e 
riduzione dell’incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico;
c) Contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa.
Costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di 
collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro e 
per il personale di cui all’art. 110 del D. lgs. 267/2000. 
5.2 - PAGAMENTI
E’ possibile escludere dal saldo rilevante ai fini del rispetto del patto di 
stabilità relativo all’anno 2010 i pagamenti in conto capitale effettuati entro 
il 31 dicembre 2010 per un importo non superiore allo 0,78% dell’ammontare dei 
residui passivi in conto capitale risultanti dal rendiconto dell’esercizio 2008.
6. ESERCIZIO DI FUNZIONI IN FORMA ASSOCIATA PER I COMUNI
I Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti sono obbligati a svolgere in 
forma associata, attraverso convenzione o unione di comuni, le seguenti 
funzioni:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella 
misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo 
conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente 
legge; 
b) funzioni di polizia locale; 
c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e 
quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica; 
d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; 
e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta 
eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di 
edilizia nonché per il servizio idrico integrato; 
f) funzioni del settore sociale
I Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire 
società e devono mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2010, le società 
già costituite., fatta eccezione per le società tra comuni, a partecipazione 
paritaria o proporzionale al numero degli abitanti, la cui popolazione 
complessiva supera i 30.000 abitanti,
7. TARIFFA RIFIUTI
La tariffa di igiene ambientale non ha natura tributaria. Con questa norma si 
risolve la questione del rimborso IVA. Trattandosi di corrispettivo di un 
servizio e non di una tassa, come aveva ritenuto la Corte Costituzionale, è 
soggetta ad IVA.
 
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it 
il 22/06/2010