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LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI NEL CODICE AMBIENTALE
Carlo Rapicavoli*
 
1. La gestione integrata dei rifiuti 
urbani
2. L'Autorità d'Ambito e la gestione integrata dei rifiuti
3. Le modalità di affidamento del servizio nella disciplina dei rifiuti
4. Brevi considerazioni sulla gestione "in house"
5. La disciplina regionale veneta (l. R. 3/2000) e la gestione della fase 
transitoria – La situazione nella Provincia di Treviso
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Il D. Lgs. 152/2006 ha introdotto 
sostanziali modifiche nella disciplina normativa sulla gestione dei rifiuti 
urbani.
In particolare:
1) La competenza passa dai Comuni all’Autorità d’Ambito, non più come 
aggregazione “volontaria” dei Comuni, ma come unico soggetto cui gli Enti Locali 
partecipano obbligatoriamente;
2) Si separa nettamente il “governo” dalla “gestione” dei rifiuti;
3) Si introduce il concetto di “gestione integrata dei rifiuti”;
4) Si introduce una disciplina settoriale per l’affidamento dei servizi, che 
mira alla tutela della concorrenza prevedendo l’obbligo della “gara”.
1. La gestione integrata dei rifiuti urbani 
Il Codice Ambientale prevede per la prima volta una “gestione integrata dei 
rifiuti” (art. 200, comma 1, lett. a, del D. Lgs. 152/2006).
Già nel decreto Ronchi si parlava di “gestione unitaria dei rifiuti urbani”, ma 
con questa espressione ci si riferiva al superamento della frammentazione delle 
gestioni e al principio di autosufficienza territoriale e di prossimità. 
Nel Codice ambientale invece “gestione integrata” indica che l’insieme di 
attività, comprendente la realizzazione e gestione degli impianti (art. 201, 
comma 4, lett. a), art. 202, comma 5) deve essere svolto da un unico soggetto. 
In sostanza, tutte le attività che rientrano nella “gestione” come definita 
nell’art. 183, comma 1, lett. g) (raccolta, trasporto, recupero e smaltimento 
dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo 
delle discariche dopo la chiusura) sono soggette ad un unico regime, individuato 
dall’art. 202 (affidamento del servizio mediante gara) e affidate ad unico 
soggetto. 
Un aspetto da esaminare riguarda la distinzione tra <ciclo integrato dei 
rifiuti> e <gestore unico per l'intero ambito>. 
Il ciclo integrato dei rifiuti (definizione all'art. 183, lett. d), richiedendo 
che esso comprenda anche lo smaltimento, che deve realizzarsi completamente 
all'interno dell'ambito, conduce all'unicità del soggetto gestore, che si desume 
anche dallo scopo della legge, in quanto fonda l'organizzazione su ambiti 
territoriali ottimali; lo scopo è il "superamento della frammentazione delle 
gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti" (art. 200, 
comma 1), anche per raggiungere "adeguate dimensioni gestionali".
E' quindi chiaro che la disciplina presuppone che vi sia un unico gestore per 
ambito territoriale. 
L'art. 183 del Codice Ambientale, nel definire il gestore del servizio di 
gestione dei rifiuti, prevede, comunque, che esso possa ricorrere ad altre 
imprese "per lo svolgimento di singole parti del servizio medesimo", 
coordinandole.
Il gestore del servizio, pertanto, può ricorrere ad altre imprese, in possesso 
dei requisiti di legge, per lo svolgimento di singole parti del servizio, fermo 
restando il suo ruolo di unico referente della gestione e coordinatore delle 
imprese partecipanti. In ogni caso l'affidamento deve riguardare la 
realizzazione dell'intero servizio (art. 201, comma 4).
2. L'Autorità d'Ambito e la gestione integrata dei rifiuti
Il Codice Ambientale persegue l’obiettivo dell’unicità del governo dell’ambito 
attraverso l’istituzione obbligatoria delle Autorità d’ambito (art. 201, comma 
2).
Il Codice prevede che obbligatoriamente gli enti locali del medesimo 
ambito costituiscano e partecipino ad una Autorità d’ambito, struttura 
dotata di personalità giuridica “alla quale è trasferito l’esercizio 
delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti”.
La disciplina delle forme e i modi della costituzione delle Autorità è di 
competenza regionale.
Le Autorità d’ambito sono ora obbligatorie e non vi sono equivoci sulla loro 
natura di enti locali di secondo grado, poiché a dette Autorità spetta per legge 
statale l’esercizio delle competenze locali in materia di gestione integrata dei 
rifiuti (“è trasferito”, e non “sarà trasferito”), non vi è quindi margine di 
scelta che richieda la manifestazione di volontà di ciascun ente componente.
Nel testo del Codice Ambientale, l'Autorità d'Ambito è un soggetto dotato di 
personalità giuridica, espressione delle autonomie locali – e quindi 
rappresentativo di secondo grado – che ha compiti di indirizzo 
politico-amministrativo, di amministrazione attiva (essenzialmente la gestione 
delle gare) e di controllo.
E’ il soggetto cui compete la “gestione” dei rifiuti urbani ed assimilati, che 
indice le gare ad evidenza pubblica, al quale è demandata “l’organizzazione, 
l’affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti” 
(art. 201, comma 1).
Inoltre “L’Autorità d’ambito organizza il servizio e determina gli obiettivi da 
perseguire per garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di 
efficacia, di economicità e di trasparenza; a tal fine adotta un apposito piano 
d’ambito, in conformità a quanto previsto dall’art. 203, comma 3” (art. 201, 
comma 3).
E’ l’Autorità d’ambito che aggiudica il servizio (art. 202, comma 1), il 
contratto di servizio intercorre tra Autorità d’ambito e i soggetti affidatari 
del servizio. Spetta alle Autorità d’ambito definire “le procedure e le 
modalità, anche su base pluriennale, per il conseguimento degli obiettivi 
previsti dalla parte quarta del presente decreto”, ed elaborare “un piano 
d’ambito comprensivo di un programma degli interventi necessari, accompagnato da 
un piano finanziario e dal connesso modello gestionale ed organizzativo” (art. 
203, comma 3).
La nuova struttura organizzativa disegnata dal Codice porta, dunque, novità di 
non poco conto: l'unico referente soggettivo per tutte le aziende di settore è 
l'Autorità d'Ambito e non più i Comuni, singoli o associati. Questo referente 
esclusivo è un soggetto composto da una componente politica (tanti quanti sono i 
Comuni compresi nell'ATO), ognuna portatrice di esigenze proprie e a volte anche 
particolari per specificità (avendo riguardo al contesto territoriale piuttosto 
che alle dimensioni dell'ente specifico). Di converso il gestore non può 
ricoprire cariche all'interno dell'Autorità e non vede, nella propria compagine 
societaria, la presenza di alcun soggetto politico. Netta appare, infatti, nel 
disegno normativo la separazione tra le funzioni di governo (riconosciute 
all'Autorità a garanzia prioritaria dell'unitarietà gestionale) e le funzioni di 
gestione.
3. Le modalità di affidamento del servizio nella disciplina dei rifiuti
La novità di grande peso introdotta dal D. Lgs. 152/2006 è la prescrizione di 
affidare a terzi, mediante gara, l’intero servizio, (compresa la realizzazione e 
gestione degli impianti, e compresa naturalmente la raccolta, la raccolta 
differenziata, la commercializzazione e lo smaltimento completo di tutti i 
rifiuti urbani e assimilati prodotti all’interno dell’Ato, art. 201, comma 4, 
lett. a) e b).
L’aggiudicazione del servizio mediante gara compete all’Autorità d’ambito.
L'art. 202, comma 1, del Codice Ambientale, infatti, nello stabilire che 
l'Autorità d'Ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti 
urbani mediante "gara", precisa che la stessa deve essere disciplinata dai 
principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui 
all'art. 113, comma 7, del D. Lgs. 267/2000. E' emersa fin da subito, quindi, la 
scomparsa della possibilità di scelta tra diversi modelli di gestione come 
consentito dal comma 5 dell'art. 113 del TUEL sostituita dalla previsione della 
procedura ad evidenza pubblica per la scelta del gestore. Il Codice, dunque, 
ammette una sola modalità di affidamento del servizio, ritenendo che in questo 
settore esista un mercato dove operano soggetti economici ed è quindi 
intervenuto a tutela di quel mercato, e in definitiva della concorrenza, creando 
per i rifiuti una disciplina di settore diversa rispetto a quella ordinaria.
E’ disciplinata anche l’utilizzazione dei beni strumentali per il servizio, in 
modo diverso rispetto a quanto prevede l'art. 113 del TUEL.
Secondo l’art. 113, alla scadenza di ciascun periodo di affidamento (e in esito 
alla successiva gara di affidamento) “le reti, gli impianti e le altre dotazioni 
patrimoniali di proprietà degli enti locali o delle società di cui al comma 13, 
sono assegnati al nuovo gestore” (art. 113, comma 9 del Tuel).
Tali società (quelle del comma 13) “pongono le reti, gli impianti e le altre 
dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del 
servizio…a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore, 
ove prevista, o dagli enti locali”.
Secondo la nuova disciplina relativa alla gestione dei rifiuti, invece, “gli 
impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali già 
esistenti al momento dell’assegnazione del servizio sono conferiti in comodato 
ai soggetti affidatari del medesimo servizio”. Prescrizione che potrebbe essere 
interpretata nel senso della necessaria gratuità dell’utilizzazione degli 
impianti di recupero o smaltimento, gratuito essendo il comodato. Ma che può 
essere invece intesa nel senso che spetti all’Autorità locale decidere nell’uno 
o nell’altro senso, non essendo decisivo l’uso del termine “comodato” ed 
esistendo d’altra parte la regola generale secondo cui l’utilizzatore degli 
impianti paga un canone.
L’art. 201, comma 6 del codice ambientale provvede a completare la disciplina 
prevedendo una durata del rapporto non inferiore ai 15 anni, salvo durate 
maggiori stabilite con legge regionale. 
A queste, altre previsioni si aggiungono, relative al personale degli ex gestori 
e allo svolgimento delle gare. Quanto al personale del gestore uscente, l’art. 
202, comma 6, prevede il passaggio diretto ed immediato al nuovo gestore con la 
salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive ed individuali, in atto. 
Si applica l’art. 2112 del c.c. (trasferimento di ramo d’azienda).
Poiché la nuova modalità di affidamento del servizio è una soltanto (la gara), è 
necessaria una disciplina specifica che preveda la cessazione anche anticipata 
delle gestioni precedenti.
A questo provvede l’art. 204, secondo cui i gestori attuali esercitano il 
servizio ”fino all’istituzione e organizzazione del servizio di gestione 
integrata dei rifiuti da parte delle Autorità d’ambito”, espressione che va 
ragionevolmente interpretata nel senso che le vecchie gestioni durano fino 
all’affidamento ai nuovi gestori, non essendo concepibili soluzioni di 
continuità nella gestione.
E’ più precisa la dizione utilizzata nell’art. 198 (“Sino all’inizio delle 
attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta 
dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’art. 202, i comuni continuano la gestione 
dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime 
di privativa nelle forme di cui all’art. 113, comma 5, del decreto legislativo 
18 agosto 2000, n. 267”); tale disposizione - “i comuni continuano la gestione” 
- può naturalmente riferirsi anche a gestioni in economia o a gestioni dirette 
svolte attraverso società in house.
La ratio di tali disposizioni va rinvenuta, altresì, nella scelta generale della 
legislazione settoriale in materia di rifiuti del Codice Ambientale, che si 
fonda sull'idea che i problemi della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi 
siano risolti in un ambito territoriale definito, tendenzialmente di dimensione 
provinciale:
- art. 195, lett. o) , linee guida statali sulla cooperazione tra enti locali 
nell'ambito;
- art. 196, lett. g) delimitazione regionale degli ambiti;
- art. 199, lett. d) ed e) autosufficienza e promozione regionale della gestione 
per ambiti;
- art. 200, comma 1: la gestione dei rifiuti urbani è organizzata per ambiti, 
secondo i criteri del superamento della frammentazione delle gestioni e del 
conseguimento di adeguate dimensioni gestionali;
- art. 202, il servizio è aggiudicato dall'Autorità d'ambito come servizio di 
gestione (art. 183 lett. d) integrata (art. 183 lett. cc) comprendente il 
complesso delle attività volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti, ivi 
compresa l'attività di spazzamento.
La continuazione delle gestioni attuali, se pur attribuite con modalità 
considerate legittime anche dalla normativa successiva, sarebbe radicalmente in 
contrasto con tutte le finalità della disciplina. Detto in sintesi, nel settore 
rifiuti, alla questione di cui si occupa la disciplina generale (consentire la 
continuazione delle gestioni che già erano in regola), si aggiunge l'altro 
aspetto, il riordino delle gestioni attraverso la scelta di un gestore per 
ambito.
La disciplina transitoria dell'art. 204 del Codice Ambientale si inserisce in un 
contesto che presuppone una rapida attuazione del nuovo sistema, anche se i 
termini previsti dal Codice non sono stati rispettati (era previsto dal Codice 
il termine del 31.01.2007), data la necessità almeno del piano d'ambito per 
poter attuare le procedure sulla scelta del gestore.
L'obiettivo del legislatore è di avere un'unica funzione di regolazione del 
ciclo affidata all'Autorità d'Ambito. Per questo il Piano d'Ambito deve partire 
subito, con le caratteristiche di un piano industriale di sistema.
Una volta concluso che nella fase attuale si tratta di applicare l’art. 204 del 
Codice Ambientale, occorre esaminare quali effetti più precisamente sono 
prodotti da quella norma nella fase transitoria.
Il comma 1 dell'art. 204 non sembra presupporre un apposito provvedimento 
amministrativo di proroga, che richiederebbe una motivazione caso per caso. 
Dicendo che "i soggetti che esercitano il servizio, anche in economia, alla data 
di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, continuano a 
gestirlo fino alla istituzione ed organizzazione del servizio di gestione 
integrata dei rifiuti da parte dell'Autorità d'ambito", sembra voglia dire che 
almeno di norma non si deve provvedere, in caso di scadenza naturale, a nuovi 
affidamenti. 
La "continuazione" delle gestioni fino alla scelta del nuovo gestore è un 
passaggio necessario, deciso direttamente dalla legge. Con la conseguenza che, 
salvo sempre la possibilità per la p.a. di disporre diversamente per ragioni 
particolari, adeguatamente motivando, i gestori esistenti alla data di entrata 
in vigore del codice – indipendentemente dal titolo – hanno "diritto" di 
continuare l'attività.
A ben vedere questa disposizione è posta a tutela della riforma, per rendere 
possibile che la gestione del servizio e l'individuazione del nuovo gestore 
siano effettivamente e tempestivamente fatti a livello d'ambito, e non in modo 
frammentato, come fin qui generalmente avvenuto. Sarà quindi sufficiente, almeno 
nel primo periodo, che gli amministratori prendano atto che le gestioni 
continuano in regime di proroga ex lege. Tutto ciò a condizione che si tratti di 
gestioni in essere nell'aprile 2006.
L'espresso riferimento dell'art. 204 ai "soggetti che esercitano il servizio 
alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano a gestirlo…" 
rende chiaro l'intento del legislatore di evitare nuovi affidamenti intermedi 
tra la cessazione delle gestioni esistenti e l'affidamento del servizio 
integrato di gestione dei rifiuti da parte dell'Autorità d'Ambito.
Alla stessa conclusione induce la previsione del comma 3 dello stesso articolo 
204 prevedendo la nomina del commissario ad acta da parte del Presidente della 
Giunta Regionale nei casi di inadempimento da parte dell'Autorità d'Ambito entro 
il termine previsto dal comma 2 (31 gennaio 2007).
Il problema è che questi termini sono ormai scaduti. La disposizione legislativa 
(art. 204), che le gestioni in essere continuano – quale che sia la loro 
forma – fino alla nuova organizzazione del servizio è evidentemente legata alla 
previsione che le Autorità d’ambito provvedano subito ai nuovi affidamenti. 
Questa situazione di inadempienza, che richiede una celere approvazione del 
piano d’ambito, premessa indispensabile dell’affidamento del servizio, non può 
però portare alla conclusione che ciascun comune possa essere autorizzato a 
provvedere singolarmente, perché questo tradirebbe anche la volontà della legge, 
di organizzare il servizio a dimensione d’ambito, tendenzialmente mediante un 
unico gestore. 
Se si dovesse concludere che, scaduto il periodo transitorio, occorre procedere 
con l’affidamento del servizio tramite gara – perché così dice la legge (l’art. 
202 del Codice ambientale) e così dice la giurisprudenza (che sempre più spesso 
afferma, anche di fronte all’art. 113 del TUEL, essere la gara la regola e 
l’affidamento in house l’eccezione che va motivata) – competerebbe all’Autorità 
d’ambito di indirla per l’intero ambito e per l’intero ciclo, anche in assenza 
di un piano d'ambito con tutte le conseguenze negative che ciò comporterebbe 
anche in ragione della lunga durata - 15 anni - prevista per l'affidamento del 
servizio. 
E' urgente, dunque, al fine di evitare l'insorgere di contenziosi che si dia 
attuazione alle norme, anche attraverso l'intervento sostitutivo regionale.
Dunque, riassumendo le considerazioni sulle modalità di affidamento del servizio 
nella disciplina dei rifiuti, si deve concludere che il Codice Ambientale 
prescrive la procedura ad evidenza pubblica per la scelta del gestore. Infatti:
- L'articolo 202 del D. Lgs. 152/2006 prevede: "L'Autorità d'ambito aggiudica 
il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara 
disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai 
criteri di cui all'art. 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 
2000, n. 267, nonché con riferimento all'ammontare del corrispettivo..., tenuto 
conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze 
specifiche dei concorrenti, secondo modalità e termini definiti con decreto dal 
Ministro dell'ambiente.......";
- l'art. 198 dice che "sino all'inizio delle attività del soggetto 
aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall'Autorità 
d'ambito,...i comuni (o gli enti di bacino) continuano la gestione dei rifiuti 
urbani ...in regime di privativa nelle forme di cui all'art. 113, comma 5" 
forme che sono quindi destinate a cessare;
- l'art. 201 dice che le attività di gestione ed erogazione del servizio sono 
affidate "ai sensi dell'art. 202 e nel rispetto della normativa comunitaria e 
nazionale sull'evidenza pubblica"; quindi non si può neppure argomentare 
dicendo che la normativa comunitaria consente l'in house e che quindi il rinvio 
lascia aperta l'applicazione sia dell'in house, sia della gara, perché il 
richiamo è specifico alla normativa comunitaria sull'evidenza pubblica;
- lo stesso comma 1 dell'art. 202 contiene dei criteri di selezione del gestore 
(l'ammontare del corrispettivo offerto) che non sono pertinenti ad un rapporto 
in house, ma lo sono se si tratta di selezionare un soggetto terzo, pubblico o 
privato.
A sostegno di tale interpretazione si possono richiamare:
- l'art. 150 del medesimo D. Lgs. 152/2006 che, nel disciplinare la scelta delle 
forme di gestione e procedure di affidamento del servizio idrico integrato, 
richiama espressamente la possibilità della gestione in house, cosa che non 
avviene per i rifiuti;
- lo schema di decreto correttivo del D. Lgs. 152/2006, approvato in prima 
lettura dal Consiglio dei Ministri il 13 settembre scorso, prevede una modifica 
all'art. 202: "le parole : "gara disciplinata" sono sostituite dalle 
seguenti:"procedure disciplinate" ed è soppresso il riferimento al comma 7". 
I tempi di un'eventuale approvazione definitiva del testo correttivo sono, 
tuttavia, molto lunghi a seguito del mancato rispetto dei tempi stabiliti della 
legge delega e conseguente decadenza dei "correttivi" in itinere. Il nuovo ed 
unico schema di decreto legislativo in itinere dovrà ora ripercorrere l'intero 
iter previsto, ossia tre approvazioni da parte del Governo alternate da due 
approvazioni delle Commissioni parlamentari;
- la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 
27/09/2006 ove si legge, fra l’altro, “si ricorda come, da ultimo, anche 
l’articolo 202 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Testo Unico in 
materia ambientale, espressamente stabilisca che le competenti autorità di 
ambito aggiudicano il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante 
gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità 
ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 
2000, n. 267. Si definisce chiaramente con ciò la necessità di confronto tra 
operatori - indipendentemente dalla natura giuridica dei medesimi e, 
soprattutto, dalla rispettiva titolarità del capitale sociale - improntato ai 
principi concorrenza, così come anche dalla stessa Autorità più volte ribaditi”;
- la successiva ampia e argomentata decisione della medesima Autorità del 
14/12/2006, cui si rinvia;
- la sentenza del TAR Campania Napoli sez. I 02/08/2007 n. 7229 da cui emerge 
che "Il nuovo sistema delineato dal d.lgs. 152/06 per la gestione integrata 
dei rifiuti urbani, caratterizzato dalla separazione delle funzioni di 
indirizzo, organizzazione e controllo da quelle gestorie (artt. 201, co. 4, e 
202, co. 1), persegue l'obiettivo del superamento della frammentazione delle 
gestioni sulla base di ambiti territoriali ottimali (art. 200, co. 1, lett. a) 
attraverso la previsione di una gestione "integrata" dei rifiuti, ad opera di un 
unico gestore cui vengano affidate, a mezzo di procedura comunitaria, la 
realizzazione, gestione ed erogazione dell'intero servizio (comprese le attività 
di gestione e realizzazione degli impianti) e la raccolta, la raccolta 
differenziata, la commercializzazione e lo smaltimento completo di tutti i 
rifiuti urbani ed assimilati prodotti all'interno dell'ATO (art. 201, co. 4): 
cosicché l'affidamento e l'avvio della gestione integrata appaiono incompatibili 
con la sopravvivenza di gestioni parziali preesistenti, si tratti o meno di 
gestioni dirette, in house o affidate a terzi. Ne consegue l'interesse del 
legislatore a segnare lo spartiacque tra il vecchio ed il nuovo sistema di 
gestione, stabilendo che le gestioni in corso, una volta conclusa la complessa 
fase d'avvio del nuovo modello, debbano cessare, ancorché anticipatamente. A ciò 
si è provveduto con gli artt. 198 e 204, che vanno rettamente intesi nel senso 
di sancire la cessazione in ogni caso, anche in via anticipata, delle gestioni 
in corso, a seguito dell'affidamento del servizio integrato al nuovo gestore. La 
decadenza delle gestioni in corso risponde all'esigenza di evitare che la loro 
prosecuzione (benché legittimata dai rispettivi titoli) pregiudichi l'esercizio 
in forma integrata del servizio nell'intero territorio. Non si vede, viceversa, 
in qual modo una proroga ex lege delle gestioni preesistenti sino 
all'affidamento del nuovo servizio possa servire a tale interesse, essendo la 
gestione integrata comunque destinata a fare, del preesistente, tabula rasa".
4. Brevi considerazioni sulla gestione "in house"
La forma di gestione dei servizi pubblici prevista dall'art. 113, comma 5, lett. 
c) del D. Lgs. 267/2000, il cosiddetto in house providing, ha animato negli 
ultimi anni un acceso dibattito e diverse, e discordanti, opinioni dottrinali e 
pronunce giurisprudenziali.
Non è la sede per trattare compiutamente l'argomento. 
Si possono esclusivamente richiamare le questioni fondamentali:
L'art. 113, comma 5, prevede che l’erogazione del servizio pubblico locale di 
rilevanza economica avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto 
della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del 
servizio “... c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che 
l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla 
società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la 
società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli 
enti pubblici che la controllano”.
Il richiamo, contenuto nella medesima norma, al “rispetto della normativa 
dell’Unione europea” impone di esaminare come essa sia stata interpretata dalla 
relativa giurisprudenza.
Ebbene, di sicuro, deve richiamarsi la disciplina di cui agli artt. 43, 49, 
paragrafo 1, e 86, paragrafo 1, del Trattato CE, che impongono, rispettivamente, 
il divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento, alla libera prestazione 
di servizi e il divieto di emanare e mantenere, nei confronti delle imprese 
pubbliche e di quelle cui si riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure 
contrarie alle norme del Trattato.
La Corte di giustizia, investita di questioni pregiudiziali in argomento, ha 
progressivamente specificato i criteri per i quali è considerato legittimo e 
conforme all’ordinamento comunitario l’affidamento diretto di servizi pubblici, 
anche locali.
In particolare, la Corte ha fissato il principio secondo il quale i tratti 
qualificanti del c.d. “affidamento in house” sono enucleabili: 1) quando tra 
l’ente pubblico conferente e il soggetto giuridico destinatario dell’affidamento 
intercorre un “controllo analogo” a quello esercitato dall’ente direttamente sui 
propri servizi; 2) quando l’affidataria realizza la parte più importante della 
propria attività solo con il suddetto ente.
La Corte ha ribadito il principio generale per cui sussiste sempre l’obbligo per 
le amministrazioni aggiudicatrici - o enti ad esse equiparate - di applicare le 
regole comunitarie che prevedono l’attribuzione di appalti e/o servizi mediante 
procedura ad evidenza pubblica, costituendo qualsiasi deroga ad esse come mera 
eccezione, da interpretarsi il più possibile restrittivamente.
Richiamando l’applicazione dei principi fondamentali del Trattato CE, di cui 
agli artt. 43 e 49, sempre prevalenti pur in esclusione dell’applicazione della 
direttiva 92/50/CE relativa ad appalti di pubblici servizi, la Corte ha ribadito 
che anche nell’ipotesi di concessione di pubblici servizi ad ente non 
indipendente dall’autorità affidataria devono applicarsi i principi relativi al 
richiamato “controllo analogo” e alla “prevalenza dell’attività”, confermando, 
con tale precisazione, che questi due presupposti sono ormai cardini 
fondamentali ai fini della valutabilità della aderenza all’ordinamento 
comunitario - ed a quello nazionale ad esso conformato - di tutte le ipotesi di 
affidamento diretto, anche se a società a capitale interamente pubblico 
(sentenza 18.11.2000, in causa C-107/98, Teckal).
In particolare, la Corte ha precisato che le due condizioni (“controllo analogo” 
e “prevalenza”) devono essere “... oggetto di un’interpretazione restrittiva 
e l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali 
che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda 
avvalersene. Occorre esaminare, innanzitutto, se l’autorità pubblica concedente 
eserciti sull’ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato suoi 
propri servizi. Tale valutazione deve tenere conto di tutte le disposizioni 
normative e delle circostanze pertinenti. Da quest’esame deve risultare che 
l’ente concessionario in questione è soggetto ad un controllo che consente 
all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di 
una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che 
sulle decisioni importanti ...”.
La Corte di giustizia è di recente tornata sui medesimi principi proprio in 
riferimento all’interpretazione dell’art. 113, comma 5, d.lgs. n. 267/2000 con 
la sentenza 6.4.2006, in causa C-410/04, AMTAB. La Corte, ribadendo nuovamente 
l’applicabilità generale dei principi di parità di trattamento, non 
discriminazione e trasparenza, di cui agli artt. 43, 49 e 86 del trattato CE, ha 
specificato che tali principi non ostano ad una disciplina nazionale che 
consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad 
una società della quale esso detiene l’intero capitale, “... a condizione che 
l’ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello 
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante 
della propria attività con l’ente che la detiene”.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha ormai recepito le indicazioni della 
Corte di Giustizia.
Si cita, da ultimo, la sentenza 4 settembre 2007 n. 719 del CGA, sez. 
Giurisdizionale, che così argomenta: "La sussistenza del c.d. "controllo 
analogo" che, secondo la giurisprudenza comunitaria è necessario per 
l’affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società appositamente, 
richiede: a) il possesso dell’intero capitale azionario (che tuttavia da solo è 
condizione necessaria, ma non sufficiente a determinare il controllo analogo): 
b) il controllo del bilancio; c) il controllo sulla qualità della 
amministrazione; d) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti, sino a 
giungere al potere del controllante di visitare i luoghi di produzione; e) la 
totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche 
aziendali. E’ quindi necessario a tal fine che si realizzi quello che è definito 
un "controllo strutturale", e questo non può limitarsi agli aspetti formali 
relativi alla nomina degli organi societari ed al possesso della totalità del 
capitale azionario".
5. La disciplina regionale veneta (l. R. 3/2000) e la gestione della fase 
transitoria – La situazione nella Provincia di Treviso
Nel contesto normativo nazionale introdotto dal D. Lgs. 152/2006 va ora 
inquadrato la situazione regionale.
La Regione Veneto ha approvato il primo Piano Regionale di smaltimento dei 
rifiuti con deliberazione consiliare n. 785 del 28 ottobre 1988.
Tale piano divideva il territorio regionale in bacini di utenza e, nei singoli 
bacini così individuati, contemplava la costituzione di un "Ente responsabile di 
bacino" con il compito di:
a) provvedere alla progettazione, realizzazione e gestione degli impianti 
direttamente o in concessione;
b) promuovere iniziative per la raccolta differenziata;
c) coordinare la raccolta e il trasporto.
Il ruolo di enti responsabili di bacino è stato per lo più assunto da consorzi 
di Comuni.
Il quadro normativo è cambiato con l'emanazione del D. Lgs. 22/1997, decreto 
Ronchi, che ha introdotto, fra l'altro, il principio del necessario superamento 
della frammentazione e polverizzazione della gestione del rifiuto urbano.
In aderenza alle direttive comunitarie, il D. Lgs. 22/1997 ha fondato un 
complesso e articolato sistema nel quale l’attività di smaltimento dei rifiuti 
(costituente il fulcro della previgente disciplina di cui al d.P.R. 10 settembre 
1982, n. 915) rappresenta soltanto “la fase residuale della gestione dei 
rifiuti” (art. 5 comma 1), in funzione di un modello di gestione integrata 
dei rifiuti, comprendente l’intero ciclo (dalla raccolta, al trasporto, al 
recupero, allo smaltimento, al controllo di ciascuna di tali operazioni e delle 
discariche e degli impianti di smaltimento anche dopo la loro chiusura), 
polarizzato sul principio di minimizzazione dello smaltimento finale dei rifiuti 
e, correlativamente, sulla massimizzazione (o ottimizzazione) delle attività 
intese alla riduzione dei rifiuti da smaltire, sia attraverso la prevenzione 
della produzione dei rifiuti, sia mediante il potenziamento delle attività di 
riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti, nel contesto delle quali assume 
rilievo particolare la raccolta differenziata dei rifiuti ed il loro “recupero” 
secondo le operazioni delineate dall’allegato C al d.lgs. n. 22 del 1997. 
Nell’ambito della nozione di gestione integrata dei rifiuti urbani, come 
comprensiva anche della raccolta differenziata e delle attività di recupero, 
vanno inquadrate le attribuzioni pianificatorie e regolamentari delle Regioni 
(art. 19), quelle pianificatorie, organizzative e attinenti ai controlli delle 
Province (art. 20), nonché quelle gestorie e regolamentari dei Comuni, 
nell’ambito delle quali l’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997, nella sua 
originaria formulazione, riconosceva una privativa comunale (e quindi una 
riserva alla mano pubblica) esclusa soltanto per le “…attività di recupero dei 
rifiuti che rientrino nell’accordo di programma di cui all’articolo 22, comma 
11, ed alle attività di recupero dei rifiuti assimilati".
Diretta applicazione dei principi contenuti nel D. Lgs. 22/1997 sono le 
disposizioni in materia dettate nella Regione Veneto dalla L. R. 3/2000.
In sintesi, la disciplina regionale veneta prevede che:
1) La Provincia ha la competenza alla predisposizione ed aggiornamento dei piani 
per la gestione dei rifiuti urbani relativi ai territori di propria competenza, 
ai sensi dell’art. 23, comma 1, del D. Lgs. 22/1997 (art. 6, comma 1, lett. a); 
i piani provinciali definiscono, fra l’altro, la tipologia ed il fabbisogno 
degli impianti da realizzare nell’ambito territoriale ottimale, tenuto conto 
dell’offerta di smaltimento e recupero da parte del sistema sia pubblico che 
privato, e delle possibilità di potenziamento o ampliamento degli impianti 
esistenti, nonché la loro localizzazione (art. 8, comma 3, lett. e);
2) La Provincia ha, altresì, la competenza all’approvazione dei progetti, e loro 
eventuali modifiche, di impianti per lo smaltimento e il recupero di rifiuti 
urbani, individuati negli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/1997, 
previsti dal Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani (art. 6,comma 1, 
lett. b), con ciò chiarendo che tutte le attività e gli impianti di gestione dei 
rifiuti urbani (smaltimento e recupero) devono essere previsti dalla 
pianificazione;
3) La gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo 
smaltimento sia esercitata dai Comuni in regime di privativa (art. 7, comma 1, 
lett. a), attraverso l’autorità d’ambito di cui all’art. 14 (art. 7, comma 2);
4) Gli ambiti territoriali ottimali per la gestione (non per lo smaltimento si 
noti bene) dei rifiuti urbani corrispondono al territorio provinciale (art. 8, 
comma 1);
5) Al fine di garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di 
efficacia, efficienza ed economicità, i comuni e le province ricadenti in 
ciascun ambito territoriale ottimale, individuato dal Piano provinciale di 
gestione dei rifiuti urbani, istituiscono l’Autorità d’ambito (art. 14, comma 
1);
6) In attuazione del piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani l’Autorità 
d’ambito approva il programma pluriennale degli interventi comprensivo 
dell’indicazione della localizzazione degli impianti previsti dal piano 
provinciale di gestione dei rifiuti urbani (art. 20) 
7) Gli enti locali partecipanti all’ambito territoriale ottimale, attraverso le 
forme di cooperazione individuate ai sensi dell’articolo 14, comma 1, 
organizzano la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficacia, 
efficienza ed economicità (art. 19, comma 1)
8) L’Autorità d’ambito provvede, di norma, alla organizzazione ed alla gestione 
del servizio relativo ai rifiuti urbani con un unico gestore, fatta eccezione 
per il servizio di raccolta e trasporto che può essere organizzato autonomamente 
dai singoli comuni mediante l’individuazione del soggetto gestore; per 
particolari ragioni di natura territoriale, amministrativa, economica e tecnica 
nel rispetto dei criteri di interesse generale dell’ambito territoriale ottimale 
e di qualità del servizio, può organizzare il servizio anche prevedendo più 
soggetti gestori (art. 19, comma 2).
9) Al fine di disciplinare le modalità di conferimento dei rifiuti urbani ivi 
comprese le frazioni provenienti dalla raccolta differenziata, l’autorità 
d’ambito ed i titolari degli impianti di smaltimento e recupero esistenti nel 
territorio di competenza sono tenuti a sottoscrivere tra loro idonea convenzione 
(art. 19, comma 7).
Nella Regione Veneto, dunque, possiamo ritenere che tutti i passaggi previsti 
dal Codice Ambientale per la costituzione degli ATO siano già stati compiuti per 
effetto della legislazione regionale preesistente (la L. R. 3/2000), che ha 
attuato il decreto legislativo Ronchi. 
Possiamo inoltre ritenere che – esistendo un piano regionale rifiuti del 2004 – 
la Regione non ritenga di dover adeguare immediatamente il proprio piano al fine 
della redazione dei piani d'ambito, e che non ritega di dover modificare la 
legge regionale, perché sostanzialmente già conforme. 
A livello provinciale la situazione è di seguito descritta.
Con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 62 del 22.11.2004, pubblicata sul 
Bollettino Ufficiale della Regione il 18.01.2005, è stato approvato il Piano 
Provinciale per la gestione dei rifiuti urbani.
In accordo con quanto previsto dalla normativa vigente, il Piano Provinciale ha 
disposto che l’Ambito Territoriale Ottimale per la gestione dei rifiuti urbani è 
individuato nell’intero territorio provinciale.
La Conferenza dell’Ambito, nella seduta del 14 giugno 2005, ha approvato la 
convenzione per l’istituzione dell’Autorità d’Ambito per la gestione dei rifiuti 
urbani.
Ai sensi dell’art. 16, comma 7, della L. R. 3/2000, ciascun Comune e la 
Provincia, con deliberazione dei rispettivi organi consiliari, hanno approvato 
la convenzione, nel medesimo testo approvato dalla Conferenza d’Ambito, ed 
individuato il soggetto abilitato alla sottoscrizione della convenzione.
La convenzione è stata sottoscritta da tutti gli Enti entro i termini di legge.
L'assemblea dell'Autorità d'Ambito, riunita il 7 ottobre 2005, ha eletto il 
Comitato Istituzionale.
Con la sottoscrizione della convenzione e l'insediamento degli organi, 
l'Autorità d'Ambito "Marca Ambiente" è entrata nella sua operatività ed ha 
iniziato ad esercitare le proprie funzioni previste dall'art. 15 della L. R. 
3/2000 nonché dalla convenzione sottoscritta da tutti gli Enti.
La convenzione recita testualmente:
"Art. 3 - Obblighi degli enti convenzionati
1. In conformità a quanto previsto dall’art. 23 del D. Lgs. 22/1997 e dalla L. 
R. 3/2000, gli enti convenzionati attribuiscono all’Autorità d’Ambito le 
funzioni relative alla gestione dei rifiuti urbani, al fine di assicurarne una 
gestione unitaria secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità.
2. Gli Enti cooperano affinché vengano definiti i criteri e le modalità di 
conferimento al patrimonio dell’Autorità d’Ambito dei beni di loro proprietà o 
degli enti responsabili di bacino, conseguentemente alla loro estinzione a 
seguito della costituzione dell’Autorità, funzionali allo svolgimento dei 
servizi di gestione dei rifiuti urbani, di competenza della medesima Autorità, 
facendo salvi i benefici economici, esistenti al momento del trasferimento, 
degli enti proprietari dei beni stessi. 
3. Gli enti convenzionati si obbligano a mettere a disposizione dell’Autorità 
d’Ambito, anche tramite i soppressi enti di bacino, tutte le informazioni utili 
allo svolgimento delle funzioni dell’Autorità.
Art. 4 - Costituzione dell’Autorità d’ambito, denominazione, sede 
1. Con l’approvazione e la sottoscrizione della presente convenzione gli 
enti partecipanti costituiscono, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lett. a) 
della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e successive modifiche ed 
integrazioni, una Autorità d’ambito denominata MARCA AMBIENTE, avente 
soggettività giuridica e autonomia organizzativa, con lo scopo di organizzare la 
gestione dei rifiuti urbani sulla base delle funzioni assegnate dall’art. 15 
della medesima legge regionale."
Allo stato è in fase di redazione il Piano d'Ambito, già previsto dall'art. 19 
della L. R. 3/2000 ed oggi dall'art. 203, comma 3, del D. Lgs. 152/2006 e, 
pertanto, vige la disciplina transitoria tra le precedenti gestioni e quella 
unitaria che dovrà essere assicurata dall'Autorità d'Ambito.
La transizione fra gli attuali Enti di Bacino e la nuova Autorità d'Ambito è 
disciplinata dalla Legge Regionale 3/2000, nella parte compatibile con il Codice 
Ambientale.
L'art. 16-bis della L. R. 3/2000, prevede, infatti, un periodo transitorio 
allorché dispone che, nelle more dell’individuazione delle forme di servizio di 
gestione dei rifiuti urbani da parte dell’Autorità d’ambito, ai sensi del comma 
3 dell’articolo 19, e dell’operatività dell’organizzazione del servizio da 
questa approvata, rimangono in essere ed esercitano le funzioni loro proprie gli 
enti responsabili di bacino di cui al piano regionale di smaltimento dei rifiuti 
solidi urbani approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 785/1988.
Tale disposizione può, certamente, essere applicata nella parte in cui prevede, 
fino all'operatività delle nuove gestioni, la permanenza degli enti di bacino, 
in quanto interlocutori dei soggetti gestori e titolari dei relativi contratti 
di servizio. La previsione, infatti, è logica, non confligge con le nuove 
disposizioni statali, concerne un istituto – gli enti di bacino – che è proprio 
della legislazione regionale, quindi non vi è ragione di non applicarla.
Gli enti di bacino, dunque, hanno sostanzialmente la stessa natura dell'Autorità 
d'ambito, ma rappresentano soltanto una parte dell'ambito e sono l'interfaccia 
della frammentazione gestionale. La loro permanenza ha naturalmente carattere 
provvisorio, in attesa che l'Autorità d'ambito stabilisca le nuove modalità di 
gestione e di affidamento e li sostituisca nelle attività di governo 
dell'ambito.
Detti enti continuano ad essere i soggetti concedenti del servizio e a gestire i 
contratti di servizio in essere, ma non ne possono disporre autonomamente di 
nuovi.
Se per qualche ragione venisse meno un gestore, la decisione sulla procedura da 
seguire spetta all'Autorità d'Ambito.
Ne deriva, dunque, che gli enti di bacino non possono assumere iniziative in 
tema di modalità di gestione dei rifiuti, dato che ogni attività in materia deve 
essere ripensata e valutata a dimensione di ambito e quindi ad opera 
dell'Autorità d'ambito, nel relativo piano. Ciò non significa che in attesa 
dell'approvazione del piano ogni nuova iniziativa debba essere congelata, ma che 
essa deve passare attraverso l'Autorità d'ambito, che sarà in grado di decidere 
in relazione agli effetti sull'attività pianificatoria in itinere, 
evitando ad esempio realizzazioni che pregiudicherebbero decisioni successive.
Nella logica della legge, le innovazioni, ogni nuova decisione che impegni 
l'organizzazione futura del servizio, debbono ora essere decise in sede di 
Autorità d'ambito, possibilmente per l'intero ambito, sempre nella direzione 
dell'attuazione della legge.
Il problema è dunque di attuazione della legge e dei relativi tempi. Secondo la 
legge regionale le gestioni preesistenti si estinguono comunque al più tardi al 
31 dicembre 2006 (“2. Nelle more dell’operatività dell’organizzazione 
del servizio di gestione dei rifiuti approvato dall’Autorità d’ambito, 
conformemente alle disposizioni di cui al comma 15 bis dell'articolo 113 del 
decreto legislativo n. 267/2000 e successive modificazioni, le concessioni ed i 
contratti di servizio di cui al comma 1 si estinguono comunque entro e non oltre 
la data del 31 dicembre 2006, fatte salve le eccezioni di cui ai commi 15 bis e 
15 ter del medesimo articolo 113”), mentre secondo la sopravvenuta legge 
statale (Codice ambientale, art. 204), le gestioni in corso proseguono fino alla 
scelta del nuovo gestore da parte dell’Autorità (“I soggetti che esercitano 
il servizio, anche in economia, alla data di entrata in vigore della parte 
quarta del presente decreto, continuano a gestirlo fino alla istituzione e 
organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da parte delle 
Autorità d'ambito“), scelta che deve avvenire tuttavia in tempi brevissimi, 
entro i nove mesi scadenti (anzi, scaduti) al 31 gennaio 2007 (“In relazione 
alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell'articolo 113 del decreto 
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l'Autorità d'ambito dispone i nuovi 
affidamenti, nel rispetto delle disposizioni di cui alla parte quarta del 
presente decreto, entro nove mesi dall'entrata in vigore della medesima parte 
quarta”).
In sintesi, la legge regionale prevede che gli enti di bacino (che possono 
essere anche gestori diretti) continuino la loro attività fino a che si sarà 
realizzata la gestione del servizio secondo le modalità stabilite dall’Autorità 
d’ambito. La legge statale che le gestioni in essere (quali che siano) 
continuino fino al medesimo termine (scelta del gestore da parte dell’Autorità).
In tale situazione non sembra ammissibile configurare la possibilità di nuovi 
affidamenti da parte degli Enti di Bacino, spettanti esclusivamente all'Autorità 
d'Ambito. 
 
* Direttore Generale 
e Dirigente del Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale della Provincia 
di Treviso
 
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it 
il 02/10/2007