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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. IV - 28/01/2011, Sentenza n. 
678
DIRITTO URBANISTICO - Volumi tecnici - Nozione. I volumi tecnici sono solo 
quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo della 
abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono 
tali - e sono computabili quindi ai fini della volumetria consentita - le 
soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero; e non è volume tecnico un 
piano di copertura, definito impropriamente sottotetto, se costituente in realtà 
una mansarda, come nel caso di specie, in quanto dotato di rilevante altezza 
media rispetto al piano di gronda (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 13 
maggio 1997, n.483). Pres. Giaccardi, Est De Felice - A.S. (avv.ti Armenante e 
Galdi) c. F.D. e altro (avv. Gaeta) - (Conferma T.A.R. CAMPANIA, Salerno, 
n.3317/2009 -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 28 gennaio 2011, n. 678
DIRITTO URBANISTICO - Definizioni di cui all’art. 3, c. 1 d.P.R. n. 380/2001 - 
Prevalenza rispetto a previsioni difformi degli strumenti urbanistici generali. 
Il secondo comma dell’art. 3 del t.u. edilizia prevede che in ordine alle 
definizioni di cui al primo comma del medesimo articolo, esse prevalgono sulle 
disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. La 
individuazione analitica delle varie tipologie di interventi, effettuata 
all’art. 3 in una gerarchia ascendente, a seconda della incidenza sull’assetto 
del edilizio e territoriale, prevale quindi sulle eventuali diverse formulazioni 
definitorie contenute nei piani regolatori, nella normativa tecnica di 
attuazione e nei regolamenti edilizi: si tratta di una forma di abrogazione 
implicita, di cedevolezza, di prevalenza, di resistenza o disapplicazione delle 
disposizioni degli strumenti urbanistici locali (lo strumento o l’istituto al 
quale si ricorre può essere vario), che cedono di fronte alle definizioni 
dettate dalla fonte primaria (anche se trattasi di testo unico adottato con la 
forma del D.P.R.), le quali hanno un grado di durezza e una efficacia cogente 
tali da prevalere su ogni altra contraria definizione, acquistando anche la 
valenza di un criterio ermeneutico generale per la intera disciplina 
urbanistico-edilizia su base locale. Pres. Giaccardi, Est De Felice - A.S. 
(avv.ti Armenante e Galdi) c. F.D. e altro (avv. Gaeta) - (Conferma T.A.R. 
CAMPANIA, Salerno, n.3317/2009
- CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 28 gennaio 2011, n. 678
 
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00678/2011REG.SEN.
N. 08745/2009 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8745 del 2009, proposto da:
Anna Spiniello, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Armenante, Marco 
Galdi, con domicilio eletto presso Alfonso Ferraioli in Roma, via Ugo De Carolis, 
86;
contro
Flora Desiderio, Immacolata Maturo, rappresentati e difesi dall'avv. Michele 
Gaeta, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 
104;
nei confronti di
Comune di Nocera Inferiore, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Accarino, 
con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE II n. 
03317/2009, resa tra le parti, concernente PERMESSO DI COSTRUIRE PER COSTRUZIONE 
SOTTOTETTO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Flora Desiderio e di Immacolata 
Maturo e di Comune di Nocera Inferiore;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2010 il Cons. Sergio De 
Felice e uditi per le parti gli avvocati Armenante e Conticiani su delega di 
Accarino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la 
Campania, sezione di Salerno, le signore Desiderio Flora e Maturo Immacolata, 
proprietarie vicine di immobili prospicienti, agivano per l’annullamento del 
permesso di costruire n.38236 del 27 ottobre 2004 rilasciato in favore della 
signora Spiniello Anna, con il quale il Dirigente del settore tecnico 
autorizzava la costruzione di un sottotetto a copertura del fabbricato a via 
Tramontano n.26 in Nocera Inferiore.
Il giudice di primo grado provvedeva nel seguente modo accogliendo il ricorso e 
annullando il permesso di costruire: 1) rigettava la eccezione di tardività, 
riconoscendo che le ricorrenti avevano agito entro il termine decadenziale 
decorrente dalla effettiva conoscenza (della ultimazione) dei lavori, né la 
controinteressata aveva dato prova della data di conoscenza di ultimazione dei 
lavori; 2) accoglieva la censura attinente alla violazione delle distanze, 
sostenuta dalle ricorrenti, ritenendo che si trattava di esecuzione di lavori 
che avevano determinato creazione di un nuovo volume utile per il proprietario, 
che non poteva quindi qualificarsi volume tecnico - come invece pretendeva la 
signora Spiniello in applicazione di una norma del regolamento edilizio - 
essendo invece nuova fabbrica dotata di autonomia e determinante l’innalzamento 
della originaria altezza dell’edificio; 3) inoltre, si riteneva che in 
applicazione del principio generale di cui all’art. 3 del DPR 380/2001, dovesse 
essere disapplicato il regolamento edilizio contrastante con le previsioni 
diverse.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la signora 
Spiniello, deducendo i seguenti motivi: 1) assoluto difetto di giurisdizione, 
comprovato dalla circostanza che le ricorrenti di primo grado hanno proposto 
azione ordinaria dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore sulla violazione delle 
distanze; 2) inammissibilità del ricorso originario, in quanto le due ricorrenti 
risiedono in zone diverse a diversa distanza, con conseguente differenza tra le 
norme applicabili alla controversia; 3) erroneità della sentenza nel punto in 
cui, ritenendo disapplicabile pur non impugnato e censurato il regolamento 
edilizio, ha ritenuto che nella specie si trattasse di costruzione da computare 
piuttosto che di un sottotetto costituente volume tecnico; 4) tardività del 
ricorso originario, in quanto notificato in data 27 aprile 2006, mentre il 
permesso di costruire è del 27 ottobre 2004 e i lavori sono iniziati in data 26 
settembre 2005; 5) erroneità della sentenza, perché, al massimo, il permesso di 
costruire sarebbe viziato per la parte relativa alla violazione delle distanze; 
6) carenza di istruttoria sull’accertamento effettivo della violazione delle 
distanze; 7) contestazione degli ulteriori vizi dedotti di difetto di 
istruttoria, in quanto il permesso di costruire è stato rilasciato su conforme e 
favorevole proposta del tecnico istruttore e previo parere favorevole 
dell’apposito Gruppo di valutazione.
Si sono costituiti con controricorso del 17 novembre 2009 la signora Flora 
Desiderio e la signora Immacolata Maturo chiedendo il rigetto dell’appello 
perché infondato.
Si è costituito altresì il Comune di Nocera Inferiore chiedendo l’accoglimento 
dell’appello e ribadendo la legittimità del suo operato.
Con memoria del 28 maggio 2010 la signora Desiderio Flora ha insistito per il 
rigetto dell’appello.
I difensori dell’appellante Spiniello, nel depositare brevi memorie di replica 
per l’udienza del 15 giugno 2010, hanno depositato certificato di morte della 
signora Desiderio Flora e atto di rinuncia a tutti gli effetti della sentenza 
impugnata n.3317 del 2009 del TAR Salerno, a firma della signora Immacolata 
Maturo. In data 19 ottobre 2010 l’appellante ha depositato altresì atto di 
transazione e rinuncia da parte della appellata signora Maturo Immacolata.
Alla udienza pubblica del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in 
decisione.
DIRITTO
1. E’ infondato il primo motivo di appello con il quale si deduce il difetto di 
giurisdizione, comprovato dall’esperimento dell’azione dinanzi al giudice civile 
per il rispetto delle distanze.
Costituisce principio consolidato e pacifico che in tema di distanze fra 
costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", 
per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione 
delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al 
risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore 
dell'attività edilizia illecita (con competenza del G.O.) e, dall'altra, 
dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido 
dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita, 
permessa (conosciuto dal G.A.).
Il privato, che si ritiene danneggiato da un'attività edilizia autorizzata, che 
ha violato le norme in tema di distanza fra costruzioni o di queste con i 
confini, ha diritto alla c.d. " doppia tutela " che si caratterizza per essere 
concorrente ma separata per le diverse posizioni giuridiche di diritto 
soggettivo e interesse.
Pertanto per tali controversie la giurisdizione spetta al giudice 
amministrativo, qualora si tratti di impugnazione del relativo provvedimento per 
l'annullamento di quest'ultimo, poichè in tal caso si fa valere una posizione di 
interesse legittimo, mentre spetta al giudice ordinario, qualora venga richiesto 
il risarcimento del danno, ovvero alla rimozione dell'opera (in tal caso infatti 
è implicita una richiesta di disapplicazione dell'atto medesimo) (in tal senso, 
tra tante, si veda Consiglio Stato , sez. V, 24 ottobre 1996 , n. 1273).
La controversia derivante dalla impugnazione di un permesso di costruire da 
parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali costituisce una 
disputa non già tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione, nella 
quale la posizione del primo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente 
spettanza della giurisdizione (anche e certamente) al giudice amministrativo.
2. E’ altresì infondato il motivo di appello con il quale si lamenta la 
inammissibilità del ricorso collettivo, proposto insieme dalle due ricorrenti 
odierne appellate, che si troverebbero in situazioni diverse, a partire dalle 
diverse distanze dalla contestata costruzione.
E’ pacifica la ammissibilità del ricorso collettivo, proposto da una pluralità 
di soggetti, quando non sussista un conflitto di interessi tra i ricorrenti, nel 
senso che l’interesse sostanziale fatto valere non presenta punti di contrasto o 
conflitto, poiché l’eventuale accoglimento del gravame avanti al giudice 
amministrativo può tornare a vantaggio di tutti (così non sarebbe, per esempio, 
se in virtù dell’accoglimento per mancato rispetto delle distanze, 
l’arretramento del fabbricato portasse a una nuova violazione nei confronti di 
un ricorrente e non dell’altro; Consiglio di Stato, IV, 14 ottobre 2004, 
n.6671).
Va considerato, inoltre, che, come si vedrà in seguito, la ricorrente appellata 
Maturo Immacolata ha transatto in relazione alla controversia (anche innanzi al 
giudice civile) rinunciando espressamente alla esecuzione della sentenza 
appellata e agli effetti della medesima, rinunciando altresì all’azione esperita 
innanzi al giudice amministrativo anche per il futuro.
Nel processo amministrativo il ricorso collettivo è ammissibile se i ricorrenti 
agiscono a tutela di posizioni analoghe e lese da atti aventi identico contenuto 
(Consiglio di Stato, V, 11 dicembre 2008, n.6162).
3.E’ da rigettare anche l’altro motivo di appello con il quale si lamenta la 
tardività ricorso originario
La lesività della concessione o del permesso di costruire può essere apprezzata 
dal vicino che se ne dolga esclusivamente alla data di ultimazione dei lavori, 
se solo in tale momento è consentito avere piena cognizione della esistenza e 
della entità delle violazioni edilizie, per cui a tale fine è insufficiente fare 
riferimento all’atto del permesso di costruire o soltanto all’inizio dei lavori, 
incombendo, tra l’altro, la prova della eventuale tardività alla parte che la 
eccepisce (ex plurimis, Consiglio di Stato, V, 5 febbraio 2007, n.452).
4.E’ infondato il motivo di appello con il quale si sostiene la qualificazione 
giuridica di mero “volume tecnico” del sottotetto assentito.
Infatti, sono volumi tecnici soltanto quelli la cui funzione è necessaria e 
strumentale per la utilizzazione dell’immobile, mentre devono necessariamente 
essere computati i volumi utilizzabili o adattabili ad uso abitativo (in tal 
senso, per esempio, Consiglio di Stato, V, 19 gennaio 2009, n.236).
Se pertanto la struttura costituente la copertura di un edificio già esistente 
non può ex se costituire una sopraelevazione, poiché in tale caso l’attività 
edilizia viene ad essere volta solo ad assicurare il permanere di un accessorio 
indispensabile per l’immobile, tuttavia quando l’esecuzione dei lavori comporti 
innovazioni tali da determinare la creazione di un nuovo volume utile per il 
proprietario, è evidente che l’opera non può non qualificarsi come 
sopraelevazione, trattandosi, nella specie, di nuova fabbrica dotata di 
autonomia e determinante l’innalzamento della originaria altezza dell’edificio.
I volumi tecnici sono quindi solo quelli destinati esclusivamente agli impianti 
necessari per l’utilizzo della abitazione e che non possono essere ubicati al 
suo interno; pertanto non sono tali – e sono computabili quindi ai fini della 
volumetria consentita – le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero; 
e non è volume tecnico un piano di copertura, definito impropriamente 
sottotetto, se costituente in realtà una mansarda, come nel caso di specie, in 
quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (in tal 
senso, Consiglio di Stato, V, 13 maggio 1997, n.483).
5. E’ infondato il motivo di appello con il quale si deduce (e lo deduce anche 
il Comune di Nocera Inferiore nella memoria difensiva) la erroneità della 
sentenza nel punto in cui ha di fatto disapplicato, senza che fosse ritualmente 
impugnato e annullato, il regolamento edilizio comunale laddove esso stabiliva 
(art. 23) una specifica disciplina quanto alle distanze, ai sottotetti e alla 
definizione di volumi tecnici.
Infatti, come ha bene ricordato il giudice di primo grado, il secondo comma 
dell’art. 3 del t.u. edilizia prevede che in ordine alle definizioni di cui al 
primo comma del medesimo articolo, esse prevalgono sulle disposizioni degli 
strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.
Si tratta quindi di una prevalenza che vale certamente in ordine alle formule 
definitorie difformi, fermo restando il ruolo dello strumento urbanistico 
locale, che rimane arbitro della situazione (per esempio, vietando, consentendo, 
imponendo limiti e così via).
La individuazione analitica delle varie tipologie di interventi, effettuata 
all’art. 3 in una gerarchia ascendente, a seconda della incidenza sull’assetto 
del edilizio e territoriale, prevale quindi sulle eventuali diverse formulazioni 
definitorie contenute nei piani regolatori, nella normativa tecnica di 
attuazione e nei regolamenti edilizi: si tratta di una forma di abrogazione 
implicita, di cedevolezza, di prevalenza, di resistenza o disapplicazione delle 
disposizioni degli strumenti urbanistici locali (lo strumento o l’istituto al 
quale si ricorre può essere vario), che cedono di fronte alle definizioni 
dettate dalla fonte primaria (anche se trattasi di testo unico adottato con la 
forma del D.P.R.), le quali hanno un grado di durezza e una efficacia cogente 
tali da prevalere su ogni altra contraria definizione, acquistando anche la 
valenza di un criterio ermeneutico generale per la intera disciplina 
urbanistico-edilizia su base locale.
6.In ordine alla rinuncia all’azione, al ricorso originario e agli effetti della 
sentenza, effettuata soltanto dalla ricorrente Maturo e non anche dalla 
Desiderio,a causa della intervenuta transazione, il Collegio osserva che è 
ammissibile la rinuncia all'impugnazione proposta solo da alcuni dei ricorrenti 
nel caso di ricorso collettivo-cumulativo, la quale comporta l'estinzione del 
giudizio stesso solo per la parte relativa ai ricorrenti che hanno rinunziato, a 
causa della autonomia delle azioni.
La rinuncia al ricorso , seppur proposta da uno solo dei soggetti insorti uno 
actu contro l'impugnato provvedimento e non notificata a nessuno degli altri, 
deve ritenersi ammissibile atteso che il ricorso collettivo, ancorché 
cartolarmente unitario, si caratterizza per l'autonomia delle singole azioni che 
in esso si esprimono, sicché le iniziative di ordine processuale assunte da uno 
dei ricorrenti non sono in grado di pregiudicare la posizione degli altri nè 
tanto meno di estinguere il giudizio anche per essi.
La rinuncia in appello al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza 
che lo ha concluso configura una causa estintiva del giudizio che comporta, ai 
sensi dell'art. 34 comma 1, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, l'annullamento senza 
rinvio della sentenza appellata, configurandosi come una ipotesi di sopravvenuto 
difetto di interesse alla decisione (così tra tante, Consiglio Stato , sez. V, 
12 giugno 2009 , n. 3783).
La rinuncia al ricorso da parte dell'appellato vittorioso in I grado configura 
un'ipotesi di estinzione del giudizio la quale determina, ai sensi dell'art. 34 
comma 1 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, l'annullamento senza rinvio della decisione 
impugnata nella parte in cui contiene statuizioni, in caso di pluralità di 
appellanti, nei confronti dei rinuncianti (Consiglio Stato , sez. V, 27 maggio 
1993 , n. 637).
In applicazione del nuovo codice di rito, la rinuncia al ricorso determina la 
improcedibilità del ricorso originario (art. 35 comma primo lettera c)) ovvero 
la estinzione del giudizio (secondo comma dell’art. 35).
Nella specie, però, si è in presenza di una sentenza che non può essere 
annullata senza rinvio, a causa della circostanza che nessuna rinuncia risulta 
effettuata dall’altra ricorrente, con conseguente permanenza dell’effetto 
demolitorio statuito in primo grado.
Conseguentemente, deve ritenersi che in assenza di alcuna rinuncia effettuata 
(anche) dalla ricorrente Desiderio, la quale ha proposto in fatto e in diritto 
una azione da ritenersi autonoma, non può annullarsi la sentenza di primo grado 
che va quindi confermata, unitamente al consequenziale annullamento dell’atto 
impugnato in primo grado.
7.Non rileva, inoltre, il deposito del certificato di morte della signora 
Desiderio, in quanto, in mancanza di dichiarazione effettuata dal suo difensore 
(art. 300 c.p.c.), la parte resta processualmente ancora in vita; d’altronde, 
alla parte che ha interesse ad evitare la interruzione del processo, non 
automatica nella specie, è possibile agire in riassunzione avverso gli eredi 
della parte defunta, cosa nella specie non avvenuta (art. 299 c.p.c.).
8.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente 
conferma della impugnata sentenza.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese 
del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente 
pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:
rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con 
l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Anna Leoni, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Raffaele Greco, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/01/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 
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