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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
  
	
TRIBUNALE DI 
	PRIMO GRADO DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VII, 15/10/2008, cause riunite 
	T‑457/04 e T‑223/05
  
	
	AGRICOLTURA - Organizzazione comune dei mercati - Banane - Misure 
	transitorie - Art. 30 del reg. (CEE) del Consiglio n. 404/93 - Sentenza che 
	accerta la carenza della Commissione - Rifiuto di dare esecuzione ad una 
	sentenza del Tribunale - Ricorso di annullamento - Domanda intesa a ottenere 
	la condanna a dare esecuzione alla sentenza per equivalente. La 
	decisione della Commissione contenuta nella lettera del Direttore generale 
	della Direzione generale «Agricoltura» del 10 settembre 2004, con cui si 
	denegava di dare esecuzione al punto 1) del dispositivo della sentenza del 
	Tribunale 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e T‑117/98, Camar e 
	Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193), è annullata. 
	(Fattispecie: certificati d’importazione di banane di paesi terzi e ACP non 
	tradizionali e aumentare il contingente doganale annuale per le 
	importazioni). TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VII, 
	15/10/2008, cause riunite T‑457/04 e T‑223/05
	
	
	PROCEDURE E VARIE - Responsabilità extracontrattuale della Comunità - 
	Presupposti Risarcimento del danno morale - Astensione illecita della 
	Commissione - Ricorso per risarcimento danni - Interruzione del termine di 
	prescrizione - Art. 46 dello Statuto della Corte di giustizia - 
	Irricevibilità. Il sorgere della responsabilità extracontrattuale della 
	Comunità per comportamento illecito di suoi organi, ai sensi del'art. 288, 
	secondo comma, CE, dipende dalla sussistenza di un complesso di presupposti, 
	vale a dire: 'illiceità del comportamento contestato al'istituzione, 
	'effettività del danno e 'esistenza di un nesso causale fra tale 
	comportamento e il danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, 
	causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE; sentenze del Tribunale 16 luglio 
	1998, causa T‑199/96, Bergaderm e Goupil/Commissione e 4 ottobre 2006, causa 
	T‑193/04, Tillack/Commissione). Allorché uno dei requisiti per il sorgere 
	della responsabilità extracontrattuale della Comunità non è soddisfatto, il 
	ricorso deve essere interamente respinto senza che sia necessario esaminare 
	gli altri presupposti della suddetta responsabilità (sentenza del Tribunale 
	20 febbraio 2002, causa T‑170/00, Förde-Reederei/Consiglio e Commissione; 
	v., in questo senso, sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C‑146/91, 
	KYDEP/Consiglio e Commissione). TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITA' 
	EUROPEE, Sez. VII, 15/10/2008, cause riunite T‑457/04 e T‑223/05
	
	
	PROCEDURE E VARIE - Responsabilità della Comunità - Risarcimento danni - 
	Art. 46 dello Statuto della Corte - Interpretazione. In materia di 
	risarcimento danni, spetta alla parte che denuncia la responsabilità della 
	Comunità fornire la prova del'esistenza o della portata del danno lamentato 
	e stabilire fra tale danno e il comportamento illecito del'istituzione 
	interessata un nesso di causalità sufficientemente diretto (sentenza della 
	Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76 e 113/76, 167/78 e 239/78, 27/79, 
	28/79 e 45/79, Dumortier e a./Consiglio e sentenza del Tribunale 24 ottobre 
	2000, causa T‑178/98, Fresh Marine/Commissione). Inoltre, 'art. 46, terzo 
	comma, dello Statuto della Corte ha unicamente lo scopo, se non 'effetto, 
	di rinviare la scadenza del termine di cinque anni nel caso in cui una 
	previa istanza o un ricorso sia stato presentato entro tale termine. Dalla 
	giurisprudenza appare che, nel'art. 46 dello Statuto della Corte, il 
	legislatore ha semplicemente voluto escludere taluni periodi dal calcolo di 
	detto termine e che alla ripresa del decorso del termine non s’intende né 
	accorciare né prolungare il periodo di prescrizione. Non sarebbe infatti 
	giustificato porre una parte che ha proposto un ricorso formalmente 
	irricevibile in una situazione più favorevole rispetto a quella in cui si 
	troverebbe una parte che lo abbia proposto validamente. Si aggiunga che se 
	un nuovo termine intero cominciasse a decorrere ogni volta che si 
	verificasse una siffatta situazione, quest’ultima potrebbe perdurare per un 
	lasso di tempo indeterminato. Si deve pertanto interpretare 'art. 46 dello 
	Statuto della Corte nel senso che il periodo durante il quale il ricorso è 
	pendente, periodo che non rientra nella disponibilità del ricorrente, va 
	sottratto dal termine di prescrizione. Di conseguenza, nel giorno in cui il 
	primo ricorso è dichiarato irricevibile, il termine di prescrizione 
	riprende, e ciò per il periodo residuo e non per 'intero periodo di cinque 
	anni. TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VII, 
	15/10/2008, cause riunite T‑457/04 e T‑223/05
  
	
      
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
		
		SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)
		
		15 ottobre 2008 
		
		«Organizzazione comune dei mercati - Banane - Misure transitorie - 
		Art. 30 del regolamento (CEE) del Consiglio n. 404/93 - Sentenza che 
		accerta la carenza della Commissione - Rifiuto di dare esecuzione ad una 
		sentenza del Tribunale - Ricorso di annullamento - Domanda intesa a 
		ottenere la condanna a dare esecuzione alla sentenza per equivalente - 
		Risarcimento del danno morale - Astensione illecita della Commissione - 
		Ricorso per risarcimento danni - Interruzione del termine di 
		prescrizione - Art. 46 dello Statuto della Corte di giustizia - 
		Irricevibilità»
		
		
		Nelle cause riunite T‑457/04 e T‑223/05,
		
		Camar Srl, con sede in Firenze, rappresentata dagli avv.ti W. Viscardini, 
		S. Donà e M. Paolin,
		
		ricorrente,
		
		contro
		
		Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dal sig. 
		L. Visaggio, successivamente dalla sig.ra F. Clotuche-Duvieusart, in 
		qualità di agenti, assistiti dal'avv. A. Dal Ferro,
		
		convenuta,
		
		avente ad oggetto, relativamente alla causa T‑457/04, una domanda 
		diretta, in primo luogo, al'annullamento della decisione di rifiuto 
		della Commissione di dare esecuzione al punto 1) del dispositivo della 
		sentenza del Tribunale 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e 
		T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193), 
		contenuta nella lettera datata 10 settembre 2004, in secondo luogo, alla 
		condanna della Commissione a dare esecuzione al punto 1) del dispositivo 
		della citata sentenza Camar e Tico/Commissione e Consiglio per 
		'equivalente del valore dei certificati non rilasciati e, in terzo 
		luogo, alla condanna della Commissione a risarcire il danno morale, 
		nonché, relativamente alla causa T‑223/05, una domanda diretta a far 
		condannare la Commissione, a titolo di responsabilità extracontrattuale 
		della Comunità europea, al risarcimento del danno che la ricorrente 
		avrebbe subito,
		
		
		IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
		
		DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Settima Sezione),
		
		composto dal sig. N. J. Forwood, presidente, dai sigg. D. Šváby e E. 
		Moavero Milanesi (relatore), giudici,
		
		cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale
		
		vista la fase scritta del procedimento e in seguito al'udienza del 24 
		gennaio 2008,
		
		ha pronunciato la seguente
		
		Sentenza
		
		
		Contesto normativo
		
		1 Le disposizioni applicabili al caso di specie sono gli artt. 230 CE, 
		232 CE, 233 CE e 288 CE, nonché 'art. 46 dello Statuto della Corte.
		
		2 Il regolamento (CEE) del Consiglio 13 febbraio 1993, n. 404, relativo 
		al'organizzazione comune dei mercati nel settore della banana (GU L 47, 
		pag. 1), prevedeva, nella versione vigente al'epoca dei fatti 
		al'origine delle presenti cause, 'apertura di un contingente doganale 
		annuo per le importazioni di banane dai paesi terzi e dai paesi 
		d’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). In particolare:
		
		- 'art. 18, n. 1, del regolamento n. 404/93, come modificato dal 
		regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3290, relativo agli 
		adattamenti e alle misure transitorie necessarie nel settore 
		del'agricoltura per 'attuazione degli accordi conclusi nel quadro dei 
		negoziati commerciali multilaterali del'Uruguay Round (GU 1999, L 3, 
		pag. 23), precisava che, per le importazioni di banane di paesi terzi 
		diversi dai paesi ACP (in prosieguo: le «banane dei paesi terzi») e di 
		banane ACP non tradizionali (ai sensi del'art. 15 del regolamento n. 
		404/93, diventato art. 15 bis dopo la modifica ad opera del regolamento 
		n. 3290/94), veniva fissato un contingente doganale di 2,1 milioni di 
		tonnellate (peso netto) per il 1994 e di 2,2 milioni di tonnellate (peso 
		netto) per gli anni successivi. Nel'ambito di tale contingente doganale 
		le importazioni di banane di paesi terzi erano soggette ad 
		un’imposizione pari a 75 ECU/tonnellata e le importazioni di banane ACP 
		non tradizionali erano soggette a dazio zero. Inoltre 'art. 18, n. 2, 
		del regolamento n. 404/93 prevedeva che le importazioni effettuate al di 
		fuori del contingente, indipendentemente dal fatto che si trattasse di 
		importazioni di banane non tradizionali ACP o di banane dei paesi terzi, 
		erano soggette ad un’imposizione calcolata in base alla tariffa doganale 
		comune;
		
		- 'art. 19, n. 1, del regolamento n. 404/93 ripartiva il contingente 
		doganale così fissato destinando il 66,5% alla categoria degli operatori 
		che avevano smerciato banane di paesi terzi o banane ACP non 
		tradizionali (categoria A), il 30% alla categoria degli operatori che 
		avevano smerciato banane comunitarie o banane ACP tradizionali 
		(categoria B) e il 3,5% alla categoria degli operatori stabiliti nella 
		Comunità europea che avevano iniziato a smerciare banane diverse dalle 
		banane comunitarie o ACP tradizionali dal 1992 (categoria C);
		
		- 'art. 30 del regolamento n. 404/93 prevedeva che, «[s]e provvedimenti 
		specifici appaiono necessari a decorrere dal luglio 1993 per agevolare 
		il passaggio dal regime vigente prima del'entrata in vigore del 
		presente regolamento a quello introdotto con il presente regolamento, e 
		soprattutto per superare particolari difficoltà, la Commissione adotta, 
		secondo la procedura prevista al'articolo 27, le misure transitorie 
		stimate opportune».
		
		3 Le modalità di attuazione del regime di importazione di banane nella 
		Comunità erano stabilite dal regolamento (CEE) della Commissione 10 
		giugno 1993, n. 1442 (GU L 142, pag. 6). In particolare:
		
		- ai sensi degli artt. 4 e 5 del regolamento n. 1442/93, la ripartizione 
		del contingente doganale tra gli operatori della categoria A si 
		effettuava sulla base dei quantitativi di banane di paesi terzi o ACP 
		non tradizionali smerciati durante i tre anni anteriori al'anno 
		precedente a quello per cui era fissato il contingente doganale. La 
		ripartizione del contingente tra gli operatori della categoria B veniva 
		fatta sulla base dei quantitativi di banane comunitarie o ACP 
		tradizionali smerciati nel corso di un periodo di riferimento calcolato 
		come nel caso della categoria A;
		
		- secondo 'art. 13 del medesimo regolamento, gli operatori delle 
		categorie A o B, durante il periodo di validità dei certificati 
		d’importazione loro rilasciati in tale qualità, potevano cedere i 
		diritti derivanti da tali certificati a operatori delle categorie A, B o 
		C.
		
		4 Il regolamento (CE) del Consiglio 20 luglio 1998, n. 1637, che 
		modifica il regolamento n. 404/93 (GU L 210, pag. 28), applicabile dal 
		1º gennaio 1999, ha abrogato 'art. 15 bis del regolamento n. 404/93 e 
		ne ha modificato gli artt. 16-20. Pertanto:
		
		- ai sensi del'art. 18, n. 2, del regolamento n. 404/93 un contingente 
		tariffario supplementare era stabilito per le importazioni di banane di 
		paesi terzi e di banane ACP non tradizionali;
		
		- 'art. 19, n. 1, primo comma, del medesimo regolamento prevedeva che 
		per il futuro «[l]a gestione dei contingenti tariffari di cui 
		al'articolo 18, paragrafi 1 e 2, e le importazioni di banane ACP 
		tradizionali ven[issero] espletate secondo un metodo che [tenesse] conto 
		dei flussi di scambi tradizionali (metodo noto come “tradizionali/nuovi 
		arrivati”)»;
		
		- secondo 'art. 20 del medesimo regolamento, la Commissione doveva 
		adottare le modalità di applicazione del nuovo regime d’importazione, 
		che avrebbero comportato, segnatamente, ai sensi di detto articolo, 
		lett. d), «le particolari misure che po[tesser]o rendersi necessarie per 
		agevolare la transizione dal regime d’importazione valido dal 1° luglio 
		1993 al [nuovo] regime (...)».
		
		5 Sulla base, segnatamente, del'art. 20 del regolamento n. 404/93, la 
		Commissione ha adottato il regolamento (CE) 28 ottobre 1998, n. 2362, 
		recante modalità d’applicazione del regolamento (CEE) n. 404/93 del 
		Consiglio, con riguardo al regime d’importazione delle banane nella 
		Comunità (GU L 293, pag. 32), il quale ha sostituito, dal 1º gennaio 
		1999, il regolamento n. 1442/93. In particolare, 'art. 4, n. 1, del 
		regolamento n. 2362/98 prevedeva che ogni operatore tradizionale, come 
		definito al'art. 3, primo comma, e registrato in uno Stato membro 
		conformemente al'art. 5, ottenesse per ogni anno, per 'insieme delle 
		origini indicate nel'allegato I (paesi terzi e Stati ACP), un 
		quantitativo di riferimento unico determinato in base ai quantitativi di 
		banane effettivamente importati durante il periodo di riferimento. 
		'art. 4, n. 2, del regolamento n. 2362/98 precisava che, per le 
		importazioni da effettuare nel 1999, nel'ambito dei contingenti 
		tariffari e delle banane ACP tradizionali, il periodo di riferimento era 
		costituito dagli anni 1994-1996.
		
		6 Nel'ambito del regime stabilito dai regolamenti n. 404/93 e n. 
		1442/93, come modificati dai regolamenti n. 1637/98 e n. 2362/98, il 
		richiamo ai quantitativi di riferimento notificati agli operatori 
		tradizionali per il 1999 è stato successivamente confermato, fino al 30 
		giugno 2001, da sei regolamenti della Commissione. Il regolamento (CE) 
		del Consiglio 19 dicembre 2006, n. 2013, che modifica i regolamenti n. 
		404/93, (CE) n. 1782/2003 e (CE) n. 247/2006 in ordine al settore delle 
		banane (GU L 384, pag. 13), ha fissato un nuovo regime e, con 'art. 1, 
		ha soppresso in particolare i certificati II e III, gli artt. 16-20, 'art. 21, n. 2, 
		'art. 25 e gli artt. 30-32 del regolamento n. 404/93.
		
		Fatti
		
		7 La Camar Srl (in prosieguo: la «Camar» o la «ricorrente») importa in 
		Italia banane di origine somala dal 1983. Fino al 1994 è stata 'unico 
		importatore e, fino al 1997, 'importatore principale di tale tipo di 
		banane. Nel dicembre 1990 è scoppiata in Somalia la guerra civile che ha 
		provocato 'interruzione del normale flusso di importazioni della Camar.
		
		8 Il 24 gennaio 1996 la Camar ha inviato alla Commissione una diffida ad 
		agire ex art. 175, secondo comma, del Trattato CE (divenuto art. 232, 
		secondo comma, CE), in applicazione del'art. 30 del regolamento n. 
		404/93. Con tale diffida essa ha chiesto, in primo luogo, di aumentare 
		il contingente doganale annuale per le importazioni di banane di paesi 
		terzi e di banane ACP non tradizionali, di cui al'art. 18 del suddetto 
		regolamento, per un quantitativo pari alla differenza tra il 
		quantitativo di banane che tradizionalmente importava dalla Somalia, 
		previsto dal regolamento n. 404/93 (60 000 tonnellate), e i quantitativi 
		che la Camar aveva effettivamente importato o che avrebbe potuto 
		importare al'interno della Comunità. In secondo luogo, la Camar ha 
		chiesto che le venissero concessi certificati d’importazione di banane 
		di paesi terzi e ACP non tradizionali in misura corrispondente alla 
		differenza fra tali quantitativi. Non avendo ricevuto alcuna risposta 
		entro il termine di due mesi, il 28 maggio 1996 la Camar ha proposto un 
		ricorso per carenza e per risarcimento danni, iscritto a ruolo con il 
		numero T‑79/96.
		
		9 Il 27 gennaio 1997 la Camar, a termini del'art. 175, secondo comma, 
		del Trattato CE, ha chiesto alla Commissione che, in forza del'art. 30 
		del regolamento n. 404/93, i certificati d’importazione di banane di 
		paesi terzi e ACP non tradizionali, che avrebbero dovuto esserle 
		attribuiti in quanto operatore di categoria B per il 1997 e per gli anni 
		successivi, fino al ripristino dei suoi normali quantitativi di 
		riferimento, fossero determinati in base ai quantitativi di banane da 
		essa commercializzati negli anni 1988-1990. Con decisione 17 luglio 1997 
		la Commissione ha respinto questa richiesta. Il 25 settembre 1997 la 
		Camar ha depositato presso la cancelleria del Tribunale un ricorso 
		diretto a ottenere 'annullamento di tale decisione e una domanda di 
		risarcimento danni contro la Commissione e il Consiglio. Tale ricorso è 
		stato iscritto a ruolo con il numero T‑260/97.
		
		10 Con sentenza 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e 
		T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193; in 
		prosieguo: la «sentenza 8 giugno 2000»), il Tribunale, relativamente 
		alla causa T‑79/96, ha osservato, ai punti 143 e 149, che le difficoltà 
		di approvvigionamento in banane della ricorrente, per quanto connesse 
		alla guerra civile scoppiata in Somalia, erano la diretta conseguenza 
		del'instaurazione del'organizzazione comune dei mercati, in quanto il 
		regime fissato dai regolamenti n. 404/93 e n. 1442/93 aveva, di fatto, 
		comportato una notevole diminuzione oggettiva delle possibilità, offerte 
		dal regime italiano previgente, di sostituire 'offerta insufficiente di 
		banane somale. Il Tribunale concludeva indi che siffatte difficoltà 
		avevano avuto pertanto conseguenze assai gravi sulla redditività 
		del'attività economica della Camar e potevano aver messo a repentaglio 
		la prosecuzione di tale attività. Di conseguenza, esse costituivano 
		«particolari difficoltà» che contribuivano a far sorgere 'obbligo della 
		Commissione di adottare i provvedimenti ritenuti necessari, ai sensi 
		del'art. 30 del regolamento n. 404/93 (punto 143).
		
		11 Il Tribunale ha peraltro dichiarato che la Commissione aveva commesso 
		un errore manifesto di valutazione ritenendo che la Camar fosse in grado 
		di superare le particolari difficoltà provocate dal passaggio dal regime 
		nazionale italiano al regime comunitario basandosi sul funzionamento del 
		mercato. Esso ha considerato che, essendo 'adozione da parte della 
		Commissione delle misure transitorie di cui al'art. 30 del regolamento 
		n. 404/93 il solo mezzo che consentisse di far fronte alle difficoltà 
		incontrate dalla ricorrente, tale adozione era manifestamente necessaria 
		(punto 149). Il Tribunale ha pertanto concluso che la Commissione, 
		avendo omesso di adottare le misure stimate necessarie nei confronti 
		della ricorrente, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in 
		forza del'art. 30 del regolamento n. 404/93 e ha dichiarato il ricorso 
		per risarcimento danni irricevibile per ragioni formali, giacché non 
		erano indicati gli elementi richiesti dal'art. 44, n. 1, lett. c), del 
		regolamento di procedura del Tribunale.
		
		12 Per quanto concerne la causa T‑260/97, il Tribunale ha annullato la 
		decisione della Commissione 17 luglio 1997 e ha condannato quest’ultima 
		a risarcire il danno subito dalla ricorrente a causa della suddetta 
		decisione. Il Tribunale ha peraltro invitato le parti ad addivenire, 
		entro sei mesi, a un accordo sul'importo del risarcimento integrale del 
		danno, in mancanza del quale le parti stesse avrebbero dovuto fare 
		pervenire al Tribunale, entro il medesimo termine, le loro proposte 
		quantificate.
		
		13 La Commissione ha proposto impugnazione contro la sentenza 8 giugno 
		2000 e il termine di sei mesi concesso alle parti per presentare le loro 
		proposte quantificate nella causa T‑260/97 è stato pertanto sospeso. Con 
		sentenza 10 dicembre 2002, causa C‑312/00 P, Commissione/Camar e Tico 
		(Racc. pag. I‑11355), la Corte ha respinto tale ricorso contro la 
		sentenza 8 giugno 2000 nella parte relativa alle cause T‑79/96 e 
		T‑260/97. Con lettera della cancelleria del Tribunale del 9 gennaio 
		2003, le parti sono state informate che il termine di sei mesi, previsto 
		al punto 5) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000, aveva 
		ricominciato a decorrere e sarebbe giunto a scadenza il 10 giugno 2003.
		
		14 Parallelamente alle trattative così riavviate al fine di addivenire a 
		un accordo sul'importo del risarcimento integrale del danno, è 
		intercorso uno scambio di corrispondenza fra le parti, relativamente 
		alla causa T‑79/96, sul'esecuzione del punto 1) del dispositivo della 
		sentenza 8 giugno 2000. Il 28 febbraio 2003 la Camar ha chiesto alla 
		Commissione di dare esecuzione a detta sentenza, rilasciandole 
		certificati d’importazione «ora per allora» o con il riconoscimento, 
		quale compensazione pecuniaria, di una somma di denaro corrispondente al 
		valore economico di tali certificati. La Commissione ha respinto la 
		suddetta richiesta con lettera del 20 maggio 2003.
		
		15 Il 9 aprile 2004 la ricorrente invitava nuovamente la Commissione a 
		proporre una soluzione per 'esecuzione della sentenza 8 giugno 2000 per 
		la parte relativa alla causa T‑79/96, avvertendo che, in mancanza di un 
		riscontro positivo, si sarebbe proceduto alla formale diffida della 
		Commissione. Quest’ultima rispondeva il 1° giugno 2004, esprimendosi 
		solamente in merito alle spese delle cause T‑79/96 e T‑260/97.
		
		16 Il 7 luglio 2004 la Camar inviava quindi alla Commissione una lettera 
		di formale diffida, ex artt. 232 CE e 233 CE. La ricorrente faceva ivi 
		osservare che, tenuto conto del'imminenza del'entrata in vigore del 
		nuovo regime comunitario d’importazione delle banane, non più basato sul 
		sistema dei certificati d’importazione, non sarebbe più stato utile né 
		attuale rilasciare, ai fini del'esecuzione del punto 1) del dispositivo 
		della sentenza 8 giugno 2000, certificati d’importazione «ora per 
		allora», restando quindi praticabile, quale unica possibilità di 
		esecuzione della sentenza, una compensazione pecuniaria basata sul 
		valore economico dei certificati a suo tempo non concessi.
		
		17 Con lettera del 10 settembre 2004, a firma del Direttore generale 
		della direzione generale (DG) «Agricoltura» della Commissione, 
		quest’ultima dichiarava di non poter dar corso alla richiesta della 
		Camar di dare esecuzione alla sentenza 8 giugno 2000 per la parte 
		relativa alla causa T‑79/96 per tre ragioni: in primis, non sarebbe 
		stato più possibile dar luogo al'attribuzione di certificati 
		d’importazione, stante 'intervenuta riforma del regime d’importazione 
		delle banane nella Comunità in vigore dal 1° gennaio 1999; in secondo 
		luogo, un risarcimento pecuniario sarebbe stato in contrasto con il 
		punto 4) del dispositivo della summenzionata sentenza, il quale 
		dichiarava irricevibile la domanda di risarcimento danni nella causa 
		T‑79/96; in terzo luogo, non sarebbe stato proposto un nuovo ricorso in 
		tal senso nel termine di prescrizione quinquennale indicato dal'art. 46 
		dello Statuto della Corte.
		
		18 Non essendo le parti addivenute ad un accordo relativamente alla 
		quantificazione del risarcimento del danno, conformemente al punto 5) 
		del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000, con sentenza 13 luglio 
		2005, causa T‑260/97, Camar/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑2741; 
		in prosieguo: la «sentenza 13 luglio 2005»), il Tribunale ha condannato 
		la Commissione a versare alla ricorrente un indennizzo pari a EUR 5 024 
		192, soggetto a rivalutazione monetaria e maggiorato di interessi 
		moratori a decorrere dalla pronuncia di tale sentenza fino al pagamento 
		integrale, a risarcimento del danno subito, consistente nel'aver 
		attribuito alla Camar, per gli anni 1997 e 1998, un numero di 
		certificati d’importazione di banane di paesi di terzi e ACP non 
		tradizionali ridotto rispetto a quello che essa avrebbe ottenuto per gli 
		stessi anni se la Commissione avesse accolto la sua domanda del 27 
		gennaio 1997 autorizzando, in applicazione del'art. 30 del regolamento 
		n. 404/93, che fossero presi in considerazione come periodo di 
		riferimento gli anni 1989 e 1990.
		
		Procedimento
		
		19 Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 
		novembre 2004 la Camar ha introdotto un primo ricorso, iscritto a ruolo 
		con il numero T‑457/04.
		
		20 Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale '8 giugno 
		2005 la Camar ha introdotto un secondo ricorso, iscritto a ruolo con il 
		numero T‑223/05. Il 12 settembre 2005 la Commissione ha sollevato 
		un’eccezione di irricevibilità ex art. 114, n. 1, del regolamento di 
		procedura. Con ordinanza 6 luglio 2006, il Tribunale (Quarta Sezione) ha 
		riunito 'eccezione d’irricevibilità al merito. Il 25 aprile 2006 il 
		Tribunale ha posto una serie di quesiti alla ricorrente, cui 
		quest’ultima ha risposto in data 17 maggio 2006.
		
		21 Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata 
		modificata, il giudice relatore è stato assegnato alla Settima Sezione, 
		alla quale, di conseguenza, sono state attribuite le cause T‑457/04 e 
		T‑223/05. Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Settima 
		Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e di porre alcuni quesiti 
		alle parti, a titolo delle misure di organizzazione del procedimento di 
		cui al'art. 64 del regolamento di procedura. Le parti hanno svolto le 
		loro difese orali ed hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale 
		al'udienza tenutasi il 24 gennaio 2008, nel corso della quale il 
		presidente della Settima Sezione del Tribunale, su domanda della 
		ricorrente, ha deciso di riunire i due procedimenti ai fini della fase 
		orale e della sentenza.
		
		Conclusioni delle parti
		
		22 Nella causa T‑457/04 la ricorrente chiede che il Tribunale voglia:
		
		- annullare il preteso rifiuto della Commissione di dare esecuzione al 
		punto 1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000, contenuto nella 
		lettera del 10 settembre 2004, per violazione del'art. 233 CE;
		
		- condannare la Commissione a dare esecuzione al punto 1) del 
		dispositivo della sentenza 8 giugno 2000 per 'equivalente del valore 
		dei certificati che avrebbe dovuto rilasciare alla Camar in base alla 
		suddetta sentenza, e che invece non ha rilasciato, pari a EUR 5 065 600 
		o al diverso importo eventualmente determinato dal Tribunale, maggiorato 
		della rivalutazione monetaria e degli interessi calcolati al tasso che 
		stabilirà il Tribunale, a partire dal'8 giugno 2000 fino alla data del 
		saldo;
		
		- condannare la Commissione a risarcire il danno morale patito dalla 
		ricorrente, «nelle persone dei suoi soci», a causa della mancata 
		esecuzione della sentenza 8 giugno 2000, e quantificare 'importo del 
		detto risarcimento in via equitativa;
		
		- condannare la Commissione alle spese.
		
		23 La Commissione chiede che il Tribunale voglia:
		
		- respingere il ricorso;
		
		- condannare la ricorrente alle spese.
		
		24 Nella causa T‑223/05 la ricorrente chiede che il Tribunale voglia:
		
		- condannare la Commissione al risarcimento del danno cagionato alla 
		ricorrente per avere la Commissione illecitamente omesso di adottare i 
		provvedimenti necessari ai sensi del'art. 30 del regolamento n. 404/93, 
		come accertato al punto 1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000, 
		secondo i criteri proposti dalla ricorrente medesima o altri criteri che 
		il Tribunale dovesse ritenere più congrui anche alla luce della sentenza 
		definitiva nella causa T‑260/97;
		
		- condannare la Commissione alle spese.
		
		25 La Commissione chiede che il Tribunale voglia:
		
		- dichiarare il ricorso irricevibile o, in via subordinata, respingerlo;
		
		- condannare la ricorrente alle spese.
		
		Sulla causa T‑457/04
		
		Sul capo della domanda diretto al'annullamento della decisione della 
		Commissione 10 settembre 2004
		
		Argomenti delle parti
		
		26 A sostegno della prima parte del suo ricorso, diretto 
		al'annullamento della decisione della Commissione contenuta nella 
		lettera del 10 settembre 2004 a firma del Direttore generale della DG 
		«Agricoltura», con cui si denegava di dare esecuzione al punto 1) del 
		dispositivo della sentenza 8 giugno 2000, la Camar fa valere che tale 
		comportamento della Commissione costituisce una grave violazione 
		del'art. 233 CE, il quale stabilisce che 'istituzione da cui emana 
		'atto annullato, o la cui astensione sia stata dichiarata contraria al 
		Trattato, è tenuta a prendere i provvedimenti che 'esecuzione della 
		sentenza comporta.
		
		27 La ricorrente sostiene che gli argomenti addotti dalla Commissione 
		per giustificare il proprio rifiuto sono infondati. A tal riguardo essa 
		afferma che, alla data della sentenza in parola, sarebbe stato ancora 
		tecnicamente possibile attribuirle certificati d’importazione e che, in 
		una lettera datata 7 dicembre 2000, la Commissione stessa non solo non 
		aveva escluso di poter rilasciare certificati d’importazione per dare 
		esecuzione alla sentenza 8 giugno 2000, ma aveva proposto addirittura di 
		rilasciarli proprio in esecuzione della decisione del Tribunale di 
		risarcire il danno nella causa T‑260/97.
		
		28 La Camar fa parimenti osservare che, in ogni caso, se dal punto di 
		vista tecnico potevano esservi difficoltà per la Commissione 
		nel'adozione di misure transitorie ai sensi del'art. 30 del 
		regolamento n. 404/93 per eseguire il punto 1) del dispositivo della 
		sentenza 8 giugno 2000, ciò non esonerava 'istituzione dal'adozione di 
		misure alternative a carattere compensativo. Conformemente alla sentenza 
		della Corte 5 marzo 1980, causa 76/79, Könecke Fleischwarenfabrik/Commissione 
		(Racc. pag. 665), e alla sentenza del Tribunale 10 maggio 2000, causa 
		T‑177/97, Simon/Commissione (Racc. PI pagg. I‑A-75 e II‑319, punto 23), 
		quando non sia più possibile dare esecuzione ad una sentenza «in forma 
		specifica», il danno subito dagli interessati può essere compensato 
		pecuniariamente; detto principio, che, secondo la ricorrente, si applica 
		anche in caso di constatata carenza, sarebbe di applicazione generale, e 
		quindi parimenti applicabile ad ambiti diversi da quello della funzione 
		pubblica. Secondo la Camar, la giurisprudenza precisa che la Commissione 
		non potrebbe nemmeno, a maggior ragione, giustificare il suo rifiuto di 
		dare esecuzione alla sentenza 8 giugno 2000, facendo valere che, dal 
		momento che quest’ultima è oggetto di impugnazione, la Commissione 
		sarebbe esonerata dal'esecuzione, essendo in attesa della decisione 
		della Corte.
		
		29 La Commissione ribatte che, pur essendo vero che 'istituzione 
		interessata deve, di regola, emanare la misura oggetto della domanda, 
		'adozione di una siffatta misura non era tuttavia più possibile al 
		momento della pronuncia della sentenza 8 giugno 2000. Come confermato, 
		infatti, dal Tribunale nella sentenza 13 luglio 2005 nella causa 
		T‑260/97, poiché il regime d’importazione delle banane nella Comunità è 
		stato modificato a partire dal 1° gennaio 1999, non sarebbe stato più 
		possibile adottare, sul fondamento del'art. 30 del regolamento n. 
		404/93, un’eventuale misura transitoria quale quella richiesta dalla 
		Camar il 24 gennaio 1996. Il fatto che, nel 2000, alla ricorrente sia 
		stato proposto 'eventuale rilascio di certificati d’importazione quale 
		risarcimento del danno nella causa T‑260/97 non varrebbe ad inficiare 
		tale conclusione.
		
		30 La Commissione sostiene inoltre di non essere tenuta a eseguire la 
		sentenza del Tribunale 8 giugno 2000 «per equivalente», e che ciò 
		risulterebbe del resto impossibile. La giurisprudenza, infatti, non 
		potrebbe essere interpretata nel senso che impone di versare un’equa 
		compensazione pecuniaria alla ricorrente senza tener conto della natura 
		delle difficoltà di esecuzione della sentenza 8 giugno 2000 e, 
		soprattutto, della concomitante declaratoria d’irricevibilità del 
		ricorso per risarcimento danni contenuta in tale sentenza. La 
		giurisprudenza fatta valere dalla ricorrente non sarebbe applicabile al 
		caso di specie, in quanto riguarderebbe controversie in materia di 
		funzione pubblica. Ciò varrebbe a maggior ragione, allorché la sentenza 
		di cui si chiede 'esecuzione ha, come nel caso in esame, da un lato, 
		dichiarato 'illiceità del comportamento del'istituzione e, dal'altro, 
		respinto il ricorso per risarcimento danni in quanto irricevibile.
		
		31 Secondo la Commissione, se da un lato è vero che la citata sentenza 
		Könecke Fleischwarenfabrik/Commissione, richiamata dalla ricorrente, le 
		impone di garantire alla parte interessata un’equa compensazione del 
		pregiudizio subito, anche qualora 'esecuzione della sentenza presenti 
		particolari difficoltà, d’altro canto, in particolari circostanze, 
		potrebbe essere impossibile per la Commissione dare esecuzione a una 
		sentenza. In ogni caso, al soggetto interessato resterebbe comunque 
		aperta la via del'azione di risarcimento danni. Detta giurisprudenza, 
		inoltre, non le imporrebbe di versare un’equa compensazione pecuniaria 
		alla ricorrente, senza tener conto della natura delle difficoltà di 
		esecuzione della sentenza 8 giugno 2000 e, soprattutto, della 
		declaratoria d’irricevibilità del ricorso contenuta in tale sentenza. 
		Nella fattispecie, tenuto conto del fatto che si era rivelato 
		impossibile dare esecuzione in forma specifica alla sentenza del 
		Tribunale e che il nuovo regime d’importazione di banane era entrato in 
		vigore, il ricorso per risarcimento danni avrebbe costituito un rimedio 
		appropriato. Ciò non di meno, secondo la Commissione, il ricorso per 
		risarcimento danni proposto dalla Camar nel'ambito della causa T‑79/96 
		è stato dichiarato irricevibile dal Tribunale e non è stato riproposto 
		nei termini di cui al'art. 46 dello Statuto della Corte. La circostanza 
		che al'omissione della Commissione si unisca 'irricevibilità della 
		domanda di risarcimento del danno non consentirebbe di applicare il 
		principio del'equa compensazione, poiché ciò si scontrerebbe con il 
		punto 4) del dispositivo della sentenza del Tribunale 8 giugno 2000.
		
		Giudizio del Tribunale
		
		32 Con il primo capo della domanda la ricorrente chiede al Tribunale di 
		constatare che la lettera recante il diniego di dare esecuzione al punto 
		1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000 è contraria agli 
		obblighi incombenti alla Commissione ai sensi del'art. 233 CE.
		
		33 In via preliminare va osservato che 'atto impugnato è una lettera 
		della Commissione a firma del Direttore generale della DG «Agricoltura» 
		del 10 settembre 2004, che segue la lettera di formale diffida 
		presentata dalla ricorrente il 7 luglio 2004 ex artt. 232 CE e 233 CE. 
		Il rifiuto espresso dalla Commissione di agire conformemente a un 
		siffatto invito costituisce una presa di posizione adatta a porre 
		termine alla carenza, tale da produrre effetti giuridici obbligatori 
		incidenti sulla situazione giuridica della ricorrente. Siffatto rifiuto 
		si configura come un atto impugnabile ai sensi del'art. 230 CE, idoneo 
		a costituire oggetto di un ricorso d’annullamento (v., in questo senso, 
		sentenza della Corte 26 aprile 1988, cause riunite 97/86, 99/86, 193/86 
		e 215/86, Asteris e a./Commissione, Racc. pag. 2181, punti 32 e 33, e 
		ordinanza del Tribunale 4 maggio 2005, causa T‑86/03, Holcim 
		(France)/Commissione, Racc. pag. II‑1539, punto 36).
		
		34 In proposito giova ricordare che, ai sensi del'art. 233 CE, 
		«[l]’istituzione o le istituzioni da cui emana 'atto annullato o la cui 
		astensione sia stata dichiarata contraria al presente trattato sono 
		tenute a prendere i provvedimenti che 'esecuzione della sentenza della 
		Corte di giustizia comporta».
		
		35 Come risulta dai punti 149 e 153 e dal punto 1) del dispositivo della 
		sentenza 8 giugno 2000, il Tribunale ha giudicato che la Commissione 
		aveva commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo che la Camar 
		fosse in grado di superare le notevoli difficoltà provocate dal 
		passaggio dal regime nazionale italiano al regime comunitario fondandosi 
		sul funzionamento del mercato, e che 'aver omesso di adottare le misure 
		transitorie necessarie ai sensi del'art. 30 del regolamento n. 404/93 
		era illecito. Di conseguenza la Commissione, a norma del'art. 233 CE, 
		avrebbe dovuto adottare entro un «termine ragionevole» (sentenza della 
		Corte 12 gennaio 1984, causa 266/82, Turner/Commissione, Racc. pag. 1, 
		punto 5) una decisione ai sensi del'art. 30 del regolamento n. 404/93, 
		che prevedeva appunto la possibilità di adottare misure dirette a 
		mitigare le difficoltà causate dal passaggio dal regime nazionale 
		italiano d’importazione di banane al sistema comunitario instaurato nel 
		1993.
		
		36 Tuttavia, dagli atti del fascicolo, in particolare dalla lettera del 
		10 settembre 2004, risulta che la Commissione ha rifiutato non soltanto 
		di dare esecuzione al punto 1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 
		2000, in quanto non ha preso le misure che si era astenuta dal'adottare 
		nel 1996, ma altresì di dare esecuzione a quest’ultimo «per equivalente 
		pecuniario», come chiesto dalla ricorrente nella lettera di formale 
		diffida del 7 luglio 2004. A sostegno del suo rifiuto di esecuzione in 
		forma specifica, nella lettera del 10 settembre 2004 la Commissione 
		avanza tre argomenti.
		
		37 Quanto al secondo argomento, in base al quale un risarcimento 
		pecuniario sarebbe stato contrario al punto 4) del dispositivo della 
		sentenza 8 giugno 2000, è sufficiente ricordare che, come ammesso dalla 
		Commissione stessa (v. il seguente punto 45), un risarcimento del genere 
		non è precluso dalla dichiarazione d’irricevibilità di cui al punto 4) 
		del dispositivo della summenzionata sentenza, poiché a detta 
		dichiarazione sottostanno motivazioni puramente formali.
		
		38 Relativamente al primo argomento dedotto dalla Commissione nella 
		lettera del 10 settembre 2004 a sostegno del suo rifiuto di esecuzione 
		in forma specifica, 'istituzione in parola fa valere che 'entrata in 
		vigore del nuovo regime d’importazione di banane nella Comunità nel 1999 
		avrebbe reso impossibile un’esecuzione «per equivalente pecuniario». 
		Come, infatti, rilevato dal Tribunale al punto 58 della sentenza 13 
		luglio 2005, con riferimento alla domanda della ricorrente 21 gennaio 
		1997, che aveva portato alla causa T‑260/97, il regime instaurato dai 
		regolamenti n. 404/93 e n. 1442/93, come modificati dai regolamenti n. 
		1637/98 e n. 2362/98, era tale da far cessare, al 31 dicembre 1998, gli 
		effetti delle misure che la Commissione avrebbe dovuto adottare, 
		conformemente a detto regime, per accogliere la domanda della ricorrente 
		del 24 gennaio 1996. Questo regime ha abrogato la distinzione che veniva 
		effettuata ai fini della ripartizione del contingente doganale, e 
		distingueva soltanto gli operatori tradizionali dai nuovi arrivati. Con 
		tale regime, nella sua versione modificata, il contingente doganale è 
		stato fissato anche per le banane tradizionali ACP e i certificati 
		d’importazione di banane di paesi terzi non esistevano più in quanto 
		tali. Quindi, dopo la sentenza 8 giugno 2000 la Commissione non avrebbe 
		più potuto adottare in una forma specifica le misure invocate dalla 
		Camar nel 1996.
		
		39 Secondo costante giurisprudenza, qualora 'esecuzione di una sentenza 
		presenti difficoltà particolari, 'istituzione interessata può adempiere 
		'obbligo che le incombe in forza del'art. 233 CE adottando qualsiasi 
		decisione tale da compensare equamente lo svantaggio derivante per gli 
		interessati dalla decisione annullata (sentenze del Tribunale 8 ottobre 
		1992, causa T‑84/91, Meskens/Parlamento, Racc. pag. II‑2335, punto 80; 
		Simon/Commissione, cit., punto 23, e 6 ottobre 2004, causa T‑294/02, 
		Vicente-Nuñez/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑283 e II‑1279, punto 79).
		
		40 Nella fattispecie in esame, occorre rilevare che 'impossibilità di 
		adottare le misure provvisorie sulla base del'art. 30 del regolamento 
		n. 404/93 costituiva una «particolare difficoltà» nel'esecuzione della 
		sentenza 8 giugno 2000. Di fronte, quindi, al'impossibilità di dare 
		esecuzione in forma specifica alla menzionata sentenza, la Commissione 
		era comunque tenuta a prendere nei confronti della Camar, in osservanza 
		dei principi della normativa comunitaria applicabile, qualsiasi 
		decisione tale da compensare equamente lo svantaggio risultante per 
		quest’ultima dal'omissione accertata (sentenze della Corte Könecke 
		Fleischwarenfabrik/Commissione, cit., punto 15, e 14 maggio 1998, causa 
		C‑259/96, Consiglio/de Nil e Impens, Racc. pag. I‑2915, punto 16; 
		sentenza del Tribunale 10 luglio 1997, causa T‑81/96, Apostolidis e 
		a./Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑207 e II‑607, punto 42).
		
		41 Allorché circostanze oggettive non consentono al'istituzione 
		competente di dare esecuzione in forma specifica ad una sentenza di 
		annullamento, il dovere di sollecitudine le impone di informare al più 
		presto la ricorrente, nonché di stabilire un dialogo con quest’ultima, 
		allo scopo di giungere a un’equa compensazione del'illegalità subita 
		(sentenze del Tribunale Meskens/Parlamento, cit., punto 80, e 31 gennaio 
		2007, causa T‑166/04, C/Commissione, non ancora pubblicata nella 
		Raccolta, punto 52).
		
		42 È dunque giocoforza constatare che la Commissione non ha proceduto in 
		tal senso, e ne consegue che la condotta del'istituzione in parola, 
		consistente nel rifiutare di adottare qualunque misura concreta per dare 
		esecuzione al punto 1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000, 
		costituisce una violazione del'art. 233 CE. La Commissione ha pertanto 
		commesso un illecito, fonte di responsabilità in capo ad essa, dal 
		momento che ha omesso, con la motivazione di una pretesa impossibilità 
		d’esecuzione, di adottare le misure dirette a dare esecuzione ad una 
		sentenza d’annullamento.
		
		43 Il terzo argomento avanzato dalla Commissione nella lettera del 10 
		settembre 2004, secondo cui non sarebbe stato proposto un nuovo ricorso 
		entro il termine di prescrizione quinquennale indicato dal'art. 46 
		dello Statuto della Corte, non rimette in discussione tale conclusione. 
		Infatti, la circostanza dedotta che la ricorrente non avrebbe presentato 
		un ricorso per risarcimento danni entro il termine di prescrizione non 
		esonerava la Commissione dal'obbligo di dare esecuzione alla sentenza 
		del Tribunale ai sensi del'art. 233 CE. Sulla base delle considerazioni 
		che precedono occorre quindi annullare 'atto impugnato.
		
		Sul capo della domanda diretto a far ingiungere alla Commissione 
		'esecuzione del punto 1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000
		
		Argomenti delle parti
		
		44 La Commissione eccepisce 'irricevibilità del ricorso diretto ad 
		ottenere la condanna della Commissione a dare esecuzione per equivalente 
		al punto 1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000. Secondo 
		giurisprudenza, non spetterebbe al giudice comunitario indirizzare 
		ingiunzioni alle istituzioni comunitarie per quanto riguarda le misure 
		da adottare per 'esecuzione di una sentenza. Questa giurisprudenza 
		sarebbe altresì applicabile nel caso di una sentenza che constati la 
		carenza da parte di un’istituzione. Nel caso di specie la ricorrente 
		potrebbe unicamente domandare al Tribunale di annullare 'atto con cui 
		la Commissione ha preso posizione in ordine al'esecuzione della 
		sentenza. Solo qualora il Tribunale dovesse annullare tale atto, la 
		Commissione dovrebbe trarne tutte le conseguenze e prendere i 
		provvedimenti che si rivelassero necessari alla luce della motivazione 
		del'eventuale annullamento.
		
		45 Anche se un risarcimento non sarebbe precluso dalla dichiarazione d’irricevibilità 
		di cui al punto 4) del dispositivo della sentenza del Tribunale 8 giugno 
		2000, che aveva ragioni solo formali, a parere della Commissione, la 
		domanda della Camar non si proporrebbe di ottenere la condanna della 
		Commissione al risarcimento del danno causato dal'omissione 
		del'istituzione relativa alla domanda di misure transitorie del 24 
		gennaio 1996. In ogni caso un ricorso a tale titolo sarebbe ormai 
		prescritto, in applicazione del'art. 46 dello Statuto della Corte, 
		essendo trascorsi più di cinque anni dalla data del fatto generatore del 
		danno.
		
		46 La Camar controbatte che, se è vero che il Tribunale non è competente 
		a pronunciare ingiunzioni nel'ambito di un ricorso di annullamento, 
		tale principio non può tuttavia costituire un pretesto per non eseguire 
		le decisioni dei giudici comunitari. Pertanto, siffatto principio non 
		potrebbe valere quando 'atto di cui si chiede 'annullamento consiste 
		proprio nel rifiuto di dare esecuzione a una sentenza.
		
		47 Dato che la Commissione ha dichiarato che le era impossibile 
		rilasciare certificati «ora per allora», come le era stato chiesto, in 
		mancanza di altre forme di esecuzione, la Camar sarebbe stata obbligata 
		a chiedere la condanna di quest’ultima a dare esecuzione al punto 1) del 
		dispositivo della sentenza 8 giugno 2000 per 'equivalente del valore 
		dei certificati non rilasciati in esecuzione della medesima sentenza. 
		Infine, la Camar precisa che nella causa T‑457/04 non ha inteso proporre 
		un ricorso per risarcimento danni.
		
		Giudizio del Tribunale
		
		48 In via preliminare si deve constatare che nella sentenza 8 giugno 
		2000 il Tribunale ha dichiarato che la Commissione aveva illecitamente 
		omesso di adottare le misure necessarie a titolo del'art. 30 del 
		regolamento n. 404/93. Ciò non di meno non spetta al Tribunale 
		sostituirsi alla Commissione per stabilire le misure che 'esecuzione 
		della sua sentenza comportava (sentenze del Tribunale Meskens/Parlemento, 
		cit., punto 79, e 21 aprile 2005, causa T‑28/03, Holcim (Deutschland)/Commissione, 
		Racc. pag. II‑1357, punto 37), poiché il giudice comunitario non è 
		competente a pronunciare ingiunzioni nel'ambito del sindacato di 
		legittimità basato sul'art. 230 CE (sentenza della Corte 8 luglio 1999, 
		causa C‑5/93 P, DSM/Commissione, Racc. pag. I‑4695, punto 36) e 
		sul'art. 232 CE (sentenza del Tribunale 9 settembre 1999, causa 
		T‑127/98, UPS Europe/Commissione, Racc. pag. II‑2633, punto 50).
		
		49 Occorre rilevare che, pur se la Camar ha basato il secondo capo della 
		domanda di ricorso, distintamente e autonomamente, sul'art. 233 CE per 
		ottenere un’esecuzione «in forma specifica» del punto 1) del dispositivo 
		della sentenza 8 giugno 2000, tale società nega di aver voluto, 
		attraverso quest’ultimo, proporre un’azione di risarcimento del danno 
		nella causa T‑457/04. Si deve tuttavia rilevare, in primo luogo, che 
		'art. 233 CE non istituisce alcun rimedio giurisdizionale e, in secondo 
		luogo, che il Trattato prevede in modo limitativo i mezzi di ricorso 
		messi a disposizione degli interessati per far valere i loro diritti 
		(sentenza Holcim (Deutschland)/Commissione, cit., punto 31; v. altresì, 
		in tal senso, sentenza della Corte 25 luglio 2002, causa C‑50/00 P, 
		Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I‑6677, punti 40, 
		43 e 45).
		
		50 Contrariamente a quanto da essa sostenuto, la ricorrente non è priva 
		di mezzi di ricorso. Il controllo giurisdizionale, infatti, è assicurato 
		dai rimedi giuridici di cui agli artt. 230 CE e 232 CE (sentenza Asteris 
		e a./Commissione, cit., punto 26, e ordinanza del Tribunale 28 marzo 
		2006, causa T‑451/04, Mediocurso/Commissione, non pubblicata nella 
		Raccolta, punto 23) e dalla possibilità, prevista espressamente dal 
		medesimo art. 233 CE, di proporre un ricorso per risarcimento di cui 
		al'art. 288, secondo comma, CE (v., in tal senso, sentenze del 
		Tribunale Meskens/Parlamento, cit., punto 81; 28 settembre 1999, causa 
		T‑48/97, Frederiksen/Parlamento, Racc. PI pagg. I‑A‑167 e II‑867, punto 
		96, e 12 dicembre 2000, causa T‑11/00, Hautem/BEI, Racc. pag. II‑4019, 
		punto 43).
		
		51 Di conseguenza il secondo capo della domanda nella causa T‑457/04 va 
		dichiarato irricevibile, in quanto diretto ad ottenere che il Tribunale 
		ordini alla Commissione di dare esecuzione per equivalente al punto 1) 
		del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000.
		
		Sul capo della domanda diretto al risarcimento del danno morale 
		asseritamente subito dalla ricorrente
		
		Argomenti delle parti
		
		52 La Camar ritiene che una compensazione, per un importo che il 
		Tribunale dovrà determinare equitativamente, debba altresì esserle 
		versata dalla Commissione per il danno morale che le sarebbe stato 
		cagionato dalla mancata esecuzione del punto 1) del dispositivo della 
		sentenza 8 giugno 2000. Siffatta compensazione dovrebbe esserle 
		corrisposta tenuto conto, da un lato, del legittimo affidamento che la 
		ricorrente, come chiunque, poteva riporre nel'ordinamento giuridico 
		comunitario, basato, segnatamente, sul rispetto delle decisioni emanate 
		dai giudici comunitari, e, dal'altro, della legittima aspettativa fatta 
		sorgere in capo alla ricorrente dal'intenzione di dare esecuzione alla 
		sentenza 8 giugno 2000, manifestata dalla Commissione nella sua lettera 
		datata 20 maggio 2003, ove quest’ultima indicava implicitamente che 
		quanto deciso sulle questioni relative alla compensazione nella causa 
		T‑260/97 avrebbe costituito la base per risolvere anche quelle della 
		causa T‑79/96.
		
		53 Quanto al'argomento della Commissione concernente la mancanza di 
		condizioni necessarie per risarcire un asserito danno morale, la Camar 
		ribatte che, secondo la giurisprudenza, se una sentenza favorevole a un 
		privato non viene eseguita, il danno morale subito da quest’ultimo è in 
		re ipsa. Infine, il fatto che la Camar sia una società e non una persona 
		fisica non osterebbe al risarcimento del danno in questione, ai sensi 
		della giurisprudenza della Corte europea per i diritti del'uomo.
		
		54 La Commissione considera infondata la domanda di risarcimento del 
		danno morale proposta dalla Camar. Riferendosi alla giurisprudenza del 
		Tribunale in materia di legittimo affidamento, essa afferma anzitutto 
		che la lettera del 20 maggio 2003 non ha fornito alcuna assicurazione 
		precisa, incondizionata e concordante circa le modalità di esecuzione 
		della sentenza 8 giugno 2000 nella parte relativa alla causa T‑79/96. 
		Pur avendo manifestato la propria disponibilità a negoziare, anche per 
		quanto riguardava la causa T‑79/96, la Commissione non avrebbe adottato 
		misure compensative in relazione a tale causa, indipendentemente da una 
		soluzione amichevole del contenzioso, per adempiere al'obbligo che le 
		incombeva in virtù del'art. 233 CE. La lettera di cui trattasi non 
		sarebbe pertanto stata idonea a far sorgere nella ricorrente il 
		legittimo affidamento che sarebbero state prese le misure da essa 
		ritenute necessarie per dare esecuzione alla sentenza.
		
		55 Parimenti, secondo la Commissione, non sussisterebbero nella 
		fattispecie le condizioni necessarie per il risarcimento del danno 
		morale che la ricorrente avrebbe subito: in primo luogo, la lettera del 
		10 settembre non sarebbe viziata da illiceità; in secondo luogo, non 
		avrebbe fornito la benché minima prova del'esistenza di un danno morale 
		reale e certo, distinto da quello causato dal'atto asseritamente 
		illecito. 'istituzione in parola aggiunge che la giurisprudenza citata 
		dalla ricorrente non potrebbe essere applicata al caso di specie, 
		giacché la presente controversia se ne distacca radicalmente: in primo 
		luogo, la Commissione non avrebbe opposto alla Camar un rifiuto generico 
		e arbitrario di dare esecuzione alla sentenza del Tribunale; in secondo 
		luogo, non vi sarebbe stato alcun rifiuto della Commissione in una 
		situazione in cui 'esecuzione era manifestamente possibile; in terzo 
		luogo, la ricorrente non avrebbe fornito la prova del'esistenza di un 
		danno reale e certo e non avrebbe nemmeno affrontato la questione 
		del'esistenza di un nesso di causalità tra il danno e il presunto 
		comportamento illecito del'istituzione.
		
		Giudizio del Tribunale
		
		56 In via preliminare è bene ricordare che il Tribunale ha già avuto 
		occasione di dichiarare ricevibili domande di risarcimento del danno 
		morale proposte da persone giuridiche (sentenza del Tribunale 28 gennaio 
		1999, causa T‑230/95, BAI/Commissione, Racc. pag. II‑123, punti 38-40).
		
		57 Da costante giurisprudenza risulta che il sorgere della 
		responsabilità extracontrattuale della Comunità per comportamento 
		illecito di suoi organi, ai sensi del'art. 288, secondo comma, CE, 
		dipende dalla sussistenza di un complesso di presupposti, vale a dire: 
		'illiceità del comportamento contestato al'istituzione, 'effettività 
		del danno e 'esistenza di un nesso causale fra tale comportamento e il 
		danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, 
		Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; sentenze del 
		Tribunale 16 luglio 1998, causa T‑199/96, Bergaderm e Goupil/Commissione, 
		Racc. pag. II‑2805, punto 48, e 4 ottobre 2006, causa T‑193/04, Tillack/Commissione, 
		Racc. pag. II‑3995, punto 116). Allorché uno dei requisiti per il 
		sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità non è 
		soddisfatto, il ricorso deve essere interamente respinto senza che sia 
		necessario esaminare gli altri presupposti della suddetta responsabilità 
		(sentenza del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T‑170/00, Förde-Reederei/Consiglio 
		e Commissione, Racc. pag. II‑515, punto 37; v., in questo senso, 
		sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C‑146/91, KYDEP/Consiglio 
		e Commissione, Racc. pag. I‑4199, punto 81).
		
		58 Spetta alla parte che denuncia la responsabilità della Comunità 
		fornire la prova del'esistenza o della portata del danno lamentato e 
		stabilire fra tale danno e il comportamento illecito del'istituzione 
		interessata un nesso di causalità sufficientemente diretto (sentenza 
		della Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76 e 113/76, 167/78 e 
		239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier e a./Consiglio, Racc. pag. 3091, 
		punto 21, e sentenza del Tribunale 24 ottobre 2000, causa T‑178/98, 
		Fresh Marine/Commissione, Racc. pag. II‑3331, punto 118).
		
		59 Relativamente al'effettiva esistenza del danno la ricorrente fa 
		valere, in particolare, il suo legittimo affidamento quanto 
		al'esecuzione della sentenza 8 giugno 2000 in seguito alla lettera 
		della Commissione del 20 maggio 2003. Va rilevato che in tale lettera, 
		scritta nel'ambito della causa T‑260/97, la Commissione ha meramente 
		segnalato di prendere atto delle indicazioni della Camar concernenti 
		'esecuzione della parte relativa alla causa T‑79/96 della sentenza 8 
		luglio 2000 e che le sembrava che «la possibilità di giungere ad un 
		accordo in proposito non [potesse] prescindere dalla soluzione delle 
		questioni (...) relativ[e] alla causa T‑260/97», su cui, in tale 
		momento, preferiva concentrarsi. La lettera di cui trattasi, pertanto, 
		non poteva, di per sé, far sorgere nella ricorrente un legittimo 
		affidamento quanto al'esecuzione della sentenza. La Commissione, 
		tuttavia, ammette che, in tale lettera, essa ha «manifestato la sua 
		disponibilità a negoziare per evitare ogni futuro contenzioso anche 
		circa la causa T‑79/96» e che «qualora fosse stato raggiunto un accordo 
		relativamente alla causa T‑260/97, sarebbe stato possibile prendere in 
		considerazione anche le pretese di Camar per quanto riguardava la causa 
		T‑79/96». Ne risulta che la summenzionata lettera ha perlomeno 
		contribuito a creare una situazione prolungata d’incertezza per la 
		ricorrente quanto al'adozione, da parte della Commissione, di misure 
		d’esecuzione della sentenza 8 giugno 2000 (v., in tal senso, citate 
		sentenze Meskens/Parlamento, punto 89, e Frederiksen/Parlamento, punto 
		110), cagionandole un danno morale.
		
		60 In proposito va ricordato che il rifiuto da parte di un’istituzione 
		di dare esecuzione ad una sentenza del Tribunale costituisce una 
		violazione del legittimo affidamento che chiunque deve riporre 
		nel'ordinamento giuridico comunitario, basato, segnatamente, sul 
		rispetto delle decisioni emanate dai giudici comunitari. È stato 
		pertanto dichiarato che, indipendentemente da qualsiasi danno materiale 
		eventualmente derivante dalla mancata esecuzione di una sentenza, il 
		rifiuto esplicito di darvi esecuzione comporta, di per sé, un danno 
		morale per la parte che ha ottenuto una sentenza favorevole (sentenza 
		Hautem/BEI, cit., punto 51). La mancata esecuzione di una sentenza del 
		Tribunale è dunque una violazione in re ipsa. Contrariamente a quanto 
		sostenuto dalla Commissione, detta giurisprudenza risulta applicabile in 
		occasione di qualsiasi rifiuto da parte di un’istituzione comunitaria di 
		dare esecuzione ad una sentenza del Tribunale, e ciò indipendentemente 
		dalla possibilità di dare esecuzione in forma specifica a tale sentenza. 
		La citata giurisprudenza è quindi applicabile nel caso di specie. Ogni 
		altra soluzione sarebbe contraria al principio di buon andamento 
		del'amministrazione e al principio di leale cooperazione fra le 
		istituzioni comunitarie, principio generale del diritto che discende 
		dal'art. 10 CE.
		
		61 Occorre tuttavia ricordare che, per ottenere il risarcimento del 
		danno morale lamentato, la ricorrente deve provare di aver subito un 
		danno reale e certo. Pertanto essa non può, in via di principio, 
		limitarsi ad affermare il carattere asseritamente illecito del 
		comportamento della Commissione nei suoi confronti (v., in tal senso, 
		sentenza del Tribunale 21 marzo 1996, causa T‑230/94, Farrugia/Commissione, 
		Racc. pag. II‑195, punto 46). Va constatato che, nella presente causa, 
		la ricorrente non è stata in grado di precisare gli elementi costitutivi 
		del suo danno morale, limitandosi a mere asserzioni non suffragate da 
		elementi probatori.
		
		62 Orbene, il Tribunale, in una valutazione in via equitativa di un 
		danno, è soggetto ad un obbligo di motivazione e la ricorrente deve 
		precisare, a sostegno delle sue pretese, i criteri rilevanti che 
		consentano al Tribunale di effettuare una siffatta valutazione (sentenza 
		Vicente-Nuñez/Commissione, cit., punto 104). È giocoforza constatare che 
		la ricorrente non ha fornito al Tribunale gli elementi necessari per 
		determinare il danno in parola. Per questi motivi al Tribunale risulta 
		impossibile procedere alla liquidazione ex aequo et bono alla ricorrente 
		di un importo al fine di risarcire il danno morale di cui trattasi. La 
		domanda della ricorrente diretta al risarcimento del danno morale 
		cagionatole dalla mancata esecuzione del punto 1) del dispositivo della 
		sentenza 8 giugno 2000 deve pertanto essere respinta, senza che occorra 
		esaminare se sussistano le altre condizioni per il sorgere della 
		responsabilità extracontrattuale.
		
		Sulla causa T‑223/05
		
		Argomenti delle parti
		
		63 La Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità in 
		quanto il termine di prescrizione quinquennale, di cui al'art. 46 dello 
		Statuto della Corte, sarebbe scaduto prima della presentazione del 
		ricorso e di conseguenza il ricorso sarebbe irricevibile. Il fatto 
		generatore del danno lamentato sarebbe costituito dal'omissione da 
		parte del'istituzione in parola di adottare le misure che le 
		incombevano ai sensi del'art. 30 del regolamento n. 404/93, omissione 
		che si sarebbe concretizzata il 24 marzo 1996, allo scadere del termine 
		di due mesi a partire dalla diffida del 24 gennaio 1996. La Commissione 
		ricorda che la Camar, il 28 maggio 1996, ha proposto un ricorso per 
		carenza e un ricorso per risarcimento danni a seguito della menzionata 
		omissione (causa T‑79/96), interrompendo così, conformemente al'art. 46 
		dello Statuto della Corte, il decorso della prescrizione iniziato il 24 
		marzo 1996. Tale termine sarebbe a suo parere scaduto dal 24 marzo 2001. 
		Il ricorso proposto il 28 maggio 1996, che non soddisfaceva i requisiti 
		minimi di forma previsti dal regolamento di procedura, non avrebbe in 
		ogni caso potuto provocare la sospensione della prescrizione durante 
		'intera durata del procedimento dinanzi al Tribunale.
		
		64 Per quanto riguarda 'affermazione della Camar secondo cui 'aver 
		proposto il ricorso per risarcimento danni nella causa T‑79/96 avrebbe 
		interrotto il termine di prescrizione per 'intera durata del 
		procedimento di primo grado, la Commissione sottolinea che 'art. 46 
		dello Statuto della Corte prevede solo 'interruzione del termine di 
		prescrizione e non vi è menzione di sospensione del detto termine 
		durante il periodo in cui il giudice comunitario è chiamato a 
		pronunciarsi sul ricorso proposto dalla parte che sarebbe stata lesa.
		
		65 La Commissione fa parimenti osservare che il legislatore, quando ha 
		effettivamente voluto regolamentare sia 'interruzione sia la 
		sospensione della prescrizione, lo ha indicato espressamente, come 
		risulta dal'art. 3 del regolamento (CEE) del Consiglio 26 novembre 
		1974, n. 2988, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di 
		esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza 
		della Comunità economica europea (GU L 319, pag. 1), o dal combinato 
		disposto del'art. 3 e del'art. 6, n. 1, del regolamento (CE, Euratom) 
		del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli 
		interessi finanziari delle Comunità europee (GU L 312, pag. 1).
		
		66 Peraltro la Commissione aggiunge che, alla data della pronuncia della 
		sentenza 8 giugno 2000, il termine quinquennale per avviare 'azione per 
		il risarcimento non era ancora scaduto. A suo avviso la dichiarazione d’irricevibilità 
		di cui al punto 4) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000 non 
		ostava al'avvio di una nuova azione, poiché si trattava di un’irricevibilità 
		fondata sul difetto di chiarezza e precisione del'atto introduttivo del 
		ricorso. Ne consegue che una nuova domanda di risarcimento danni poteva 
		essere presentata dalla Camar fino al 24 marzo 2001. Il ricorso sarebbe 
		invece stato presentato '8 giugno 2005 e sarebbe, pertanto, 
		manifestamente irricevibile.
		
		67 La Commissione ritiene che la tesi sostenuta dalla ricorrente, 
		relativa al'asserita efficacia interruttiva permanente della 
		prescrizione derivante dalla proposizione del ricorso, non tiene conto 
		del fatto che la prescrizione prevista dallo Statuto della Corte non 
		riguarda il diritto al risarcimento, bensì 'azione diretta a far valere 
		tale diritto.
		
		68 La Camar sostiene che 'interruzione della prescrizione persiste per 
		'intera durata del processo, con effetto sospensivo su di essa. Se si 
		accogliesse la tesi della Commissione, 'interruzione della prescrizione 
		avrebbe, ad avviso della ricorrente, i medesimi effetti, sia che 
		intervenga per effetto di un atto di semplice messa in mora, sia che 
		consegua a un atto inteso a provocare una pronuncia giudiziale sul 
		diritto che si fa valere. Tuttavia la Camar ritiene che, quando 
		'interruzione consegue ad un atto di messa in mora, il nuovo termine 
		decorra a partire da tale atto, mentre, quando la prescrizione è 
		interrotta con un’istanza giudiziaria, il nuovo termine decorra dalla 
		data in cui viene definito il giudizio.
		
		69 A tale riguardo la Camar fa osservare che il concetto di interruzione 
		con efficacia permanente della prescrizione mediante la proposta di una 
		domanda di risarcimento dinanzi al giudice comunitario corrisponde, in 
		primo luogo, agli effetti del'interruzione della prescrizione derivanti 
		da un atto introduttivo di un giudizio nei principali ordinamenti 
		giuridici europei e, in secondo luogo, ad una «rule of reason». Essa 
		sottolinea pertanto che, se si accogliesse la tesi della Commissione, un 
		ricorrente, qualora la causa fosse ancora pendente allo scadere del 
		nuovo termine di prescrizione, dovrebbe presentare un altro ricorso, con 
		il medesimo oggetto, al solo fine di interrompere tale termine.
		
		70 Peraltro la Camar fa osservare che, nonostante 'art. 46 dello 
		Statuto della Corte preveda unicamente 'interruzione della 
		prescrizione, esso non indica la durata e gli effetti della detta 
		interruzione. Essa sostiene che la mancanza di qualsiasi precisazione al 
		riguardo non consente di dare a tale disposizione un’interpretazione più 
		restrittiva di quella che deriva dai principi generali vigenti in 
		materia negli ordinamenti giuridici degli Stati membri. In proposito la 
		ricorrente sottolinea che dalle conclusioni del'avvocato generale 
		Stix-Hackl, presentate nella causa decisa con sentenza della Corte 28 
		ottobre 2004 (causa C‑164/01 P, van den Berg/Consiglio e Commissione, 
		Racc. pag. I‑10225, paragrafi 92‑101), emerge che il fatto che 
		'art. 46 
		dello Statuto della Corte menzioni unicamente 'interruzione della 
		prescrizione non esclude che, in determinate circostanze, possa anche 
		esservi una sospensione della prescrizione.
		
		71 Per quanto riguarda le osservazioni della Commissione relative ai 
		regolamenti n. 2988/74 e n. 2988/95, la ricorrente replica che il fatto 
		che il Consiglio abbia espressamente previsto, nei suddetti regolamenti, 
		non solo 'interruzione della prescrizione, ma anche la sua sospensione, 
		una volta interrotta, fino alla conclusione del procedimento giudiziario 
		non significa che il legislatore comunitario abbia inteso derogare a un 
		principio generale, bensì, al contrario, che abbia voluto conformarsi a 
		tale principio, esplicitandolo in modo puntuale in relazione alle 
		specifiche materie disciplinate. La Camar osserva altresì che, per 
		quanto concerne le ipotesi disciplinate dai suddetti regolamenti, si 
		tratta di azioni volte non a tutelare un diritto, ma ad infliggere 
		sanzioni.
		
		72 Pertanto 'interruzione della prescrizione derivante dalla 
		presentazione del ricorso per risarcimento nella causa T‑79/96 avrebbe 
		avuto, nel caso di specie, un’«efficacia permanente» e sarebbe perdurata 
		fino alla data della pronuncia della sentenza 8 giugno 2000. A partire 
		dalla data di tale pronuncia avrebbe iniziato a decorrere un nuovo 
		termine di prescrizione quinquennale. La ricorrente non poteva dunque 
		presentare un nuovo ricorso per risarcimento basato sul suddetto 
		comportamento, la cui liceità doveva ancora essere valutata dalla Corte. 
		Il nuovo ricorso per risarcimento sarebbe quindi stato proposto prima 
		della scadenza del nuovo termine di prescrizione quinquennale, che ha 
		iniziato a decorrere a partire dalla sentenza 8 giugno 2000.
		
		Giudizio del Tribunale
		
		73 Ai fini della pronuncia sulla ricevibilità del presente ricorso per 
		risarcimento danni, occorre preliminarmente verificare se la Camar abbia 
		proposto il suo ricorso con 'intenzione di mettere in discussione la 
		responsabilità della Commissione relativamente al'art. 46 dello Statuto 
		della Corte, così formulato:
		
		«Le azioni contro le Comunità in materia di responsabilità 
		extracontrattuale si prescrivono in cinque anni a decorrere dal momento 
		in cui avviene il fatto che dà loro origine. La prescrizione è 
		interrotta sia dal'istanza presentata alla Corte, sia dalla preventiva 
		richiesta che il danneggiato può rivolgere al'istituzione competente 
		delle Comunità. In quest’ultimo caso 'istanza deve essere proposta nel 
		termine di due mesi previsto dal'articolo 230 [CE] e dal'articolo 146 
		[CEEA]; sono applicabili, quando ne sia il caso, rispettivamente le 
		disposizioni di cui al'articolo 232, secondo comma, del trattato CE e 
		dal'articolo 148, secondo comma [CEEA]».
		
		74 La Commissione richiama 'ordinanza della Corte 18 luglio 2002, causa 
		C‑136/01 P, Autosalone Ispra dei Fratelli Rossi/Commissione (Racc. pag. 
		I‑6565, punto 56), per sostenere che 'art. 46 dello Statuto della Corte 
		menziona solo 'interruzione della prescrizione senza prevedere alcuna 
		sospensione. Tuttavia, nella causa che ha dato origine al'ordinanza 
		summenzionata, il punto controverso era accertare se fosse possibile 
		riconoscere un effetto interruttivo della prescrizione ad un’azione 
		intentata dinanzi un giudice nazionale, e dunque non si riferiva alla 
		medesima situazione di quella in discussione nella fattispecie. 
		Parimenti, la sospensione considerata nella citata sentenza van den Berg/Consiglio 
		e Commissione (punti 93 e 94) e nella sentenza del Tribunale 7 febbraio 
		2002, causa T‑261/94, Schulte/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑441), 
		che derivava da una rinuncia da parte del'istituzione interessata alla 
		prescrizione, non è a maggior ragione pertinente nel contesto del'esame 
		del presente ricorso.
		
		75 È giocoforza constatare che 'art. 46 Statuto della Corte si limita 
		ad indicare il termine di prescrizione del'azione per responsabilità 
		extracontrattuale e ad elencare gli atti idonei ad interrompere detta 
		prescrizione, senza ulteriori specificazioni. La mancanza di 
		riferimenti, in tale articolo, alla sospensione della prescrizione, 
		mentre in altri atti comunitari, come ad esempio i regolamenti n. 
		2988/74 e n. 2988/95, una sospensione è prevista, non dimostra, di per 
		sé, che non vi possa essere sospensione della prescrizione.
		
		76 Occorre riconoscere che 'atto introduttivo di un giudizio può avere 
		un effetto sospensivo della prescrizione. Infatti, qualora mancasse un 
		tale effetto, non vi sarebbe nemmeno ragione di prevedere 'interruzione 
		della prescrizione, dal momento che la proposizione del'atto 
		introduttivo di un giudizio ha di norma la conseguenza di estinguere il 
		diritto di agire.
		
		77 Questa interpretazione è coerente con una costante giurisprudenza, 
		che dichiara espressamente che le frasi seconda e terza del'art. 46 non 
		mirano in nessun caso ad abbreviare il termine di prescrizione 
		quinquennale di cui alla disposizione in parola, ma tendono a tutelare 
		gli interessati, impedendo che si tenga conto di taluni periodi ai fini 
		del computo di detto termine (sentenze della Corte 14 luglio 1967, cause 
		riunite 5/66, 7/66 e 13/66‑24/66, Kampffmeyer e a./Commissione, Racc. 
		pag. 288, in particolare pag. 306, e 5 aprile 1973, causa 11/72, 
		Giordano/Commissione, Racc. pag. 417, punti 5-7; ordinanza Holcim 
		(France)/Commissione, cit., punti 38 e 39).
		
		78 Ammettere che il termine per 'esame da parte del Tribunale di un 
		ricorso per risarcimento possa incidere sul'estinzione, per via della 
		prescrizione, del diritto al risarcimento di un ricorrente sarebbe 
		quindi contrario alla volontà del legislatore. Non si può, infatti, 
		senza violare i principi di buon andamento del'amministrazione e di 
		economia processuale, imporre a un soggetto che ha già proposto domanda 
		di risarcimento prima dello scadere del termine di prescrizione e che 
		attende la pronuncia del giudice comunitario di presentare, prima che 
		sia scaduto il termine di prescrizione, un nuovo ricorso per 
		risarcimento per il caso in cui dovesse constatare la mancata pronuncia 
		della decisione del giudice in questione prima dello scadere di tale 
		termine, che in siffatta ipotesi continuerebbe a decorrere, fino a che 
		la decisione non sia divenuta definitiva. Il termine di prescrizione è 
		pertanto sospeso e riprende a decorrere solamente a partire dalla 
		decisione che conclude definitivamente il giudizio.
		
		79 Nel caso di specie, dal momento che la Camar non ha proposto 
		un’impugnazione relativa alla ricevibilità della sua azione per 
		risarcimento danni nella causa T‑79/96, la data della decisione che ha 
		posto definitivamente fine alla controversia era quella della sentenza 8 
		giugno 2000. Inoltre, nella sentenza in parola, il Tribunale non si è 
		pronunciato sul merito del ricorso per risarcimento, dichiarando tale 
		ricorso irricevibile, e ciò unicamente per motivi procedurali. In 
		proposito si deve ricordare che 'autorità di cosa giudicata che risiede 
		in una sentenza, e che è tale da ostare alla ricevibilità di un nuovo 
		ricorso, riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono 
		stati effettivamente o necessariamente decisi nel'ambito del'esame del 
		ricorso che ha dato origine alla sentenza in questione (sentenze della 
		Corte 19 febbraio 1991, causa C‑281/89, Italia/Commissione, Racc. pag. 
		I‑347, punto 14, e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 
		P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, 
		Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punti 
		44, 47 e 48) e, pertanto, non vieta di proporre un nuovo ricorso per 
		risarcimento. In ogni caso occorre constatare che la proposizione di un 
		ricorso del genere, comportando un’azione da parte del soggetto 
		interessato al risarcimento, costituisce, indipendentemente dalla sua 
		ricevibilità, un atto idoneo a interrompere la prescrizione di cui 
		al'art. 46 dello Statuto della Corte. Alla luce di ciò, poiché il 
		termine di prescrizione previsto dal detto articolo non era scaduto, era 
		possibile per la Camar proporre un secondo ricorso.
		
		80 Risulta, inoltre, dalla giurisprudenza citata al precedente punto 77, 
		segnatamente dal punto 39 della summenzionata ordinanza Holcim 
		(France)/Commissione, che 'art. 46, terzo comma, dello Statuto della 
		Corte ha unicamente lo scopo, se non 'effetto, di rinviare la scadenza 
		del termine di cinque anni nel caso in cui una previa istanza o un 
		ricorso sia stato presentato entro tale termine. Dalla giurisprudenza di 
		cui trattasi appare che, nel'art. 46 dello Statuto della Corte, il 
		legislatore ha semplicemente voluto escludere taluni periodi dal calcolo 
		di detto termine e che alla ripresa del decorso del termine non 
		s’intende né accorciare né prolungare il periodo di prescrizione. Non 
		sarebbe infatti giustificato porre una parte che ha proposto un ricorso 
		formalmente irricevibile in una situazione più favorevole rispetto a 
		quella in cui si troverebbe una parte che lo abbia proposto validamente. 
		Si aggiunga che se un nuovo termine intero cominciasse a decorrere ogni 
		volta che si verificasse una siffatta situazione, quest’ultima potrebbe 
		perdurare per un lasso di tempo indeterminato. Si deve pertanto 
		interpretare 'art. 46 dello Statuto della Corte nel senso che il 
		periodo durante il quale il ricorso è pendente, periodo che non rientra 
		nella disponibilità del ricorrente, va sottratto dal termine di 
		prescrizione. Di conseguenza, nel giorno in cui il primo ricorso è 
		dichiarato irricevibile, il termine di prescrizione riprende, e ciò per 
		il periodo residuo e non per 'intero periodo di cinque anni.
		
		81 Nel caso di specie il fatto generatore del danno subito dalla Camar 
		si è concretizzato il 24 marzo 1996, ossia allo scadere di un termine di 
		due mesi dopo la messa in mora del'istituzione con lettera del 24 
		gennaio 1996. Dal momento che la proposizione del ricorso del 28 maggio 
		1996 nella causa T‑79/96 ha unicamente sospeso il termine di 
		prescrizione (v. il precedente punto 78), quest’ultimo ha ricominciato a 
		decorrere solo a partire dalla sentenza 8 giugno 2000, e ciò per la 
		parte che di esso restava, per la durata di quattro anni, nove mesi e 26 
		giorni. Il termine per proporre validamente ricorso è pertanto scaduto 
		il 3 aprile 2005. Orbene, la Camar ha presentato ricorso '8 giugno 
		2005. Da quanto precede risulta che 'eccezione d’irricevibilità, 
		sollevata dalla Commissione con la motivazione che il termine di 
		prescrizione di cinque anni di cui al'art. 46 dello Statuto della Corte 
		era scaduto prima della proposizione del ricorso, deve essere accolta. 
		Il presente ricorso è pertanto irricevibile.
		
		Sulle spese
		
		82 Ai sensi del'art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, se le 
		parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può 
		ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie 
		spese. Relativamente alla causa T‑457/04, benché la ricorrente sia 
		risultata soccombente sulla maggioranza dei motivi, per la fissazione 
		delle spese occorre comunque tener conto del comportamento della 
		Commissione, non conforme alla normativa comunitaria. Di conseguenza, si 
		farà una giusta valutazione delle circostanze della causa, condannando, 
		da un lato, la Camar a sopportare metà delle proprie spese nonché metà 
		delle spese sostenute dalla Commissione e, dal'altro, la Commissione a 
		sopportare metà delle proprie spese nonché metà delle spese sostenute 
		dalla Camar.
		
		83 Ai sensi del'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del 
		Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata 
		fatta domanda. Relativamente alla causa T‑223/05, poiché la Commissione 
		ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere 
		condannata a sopportare le proprie spese e quelle sostenute dalla 
		Commissione.
		
		Per questi motivi,
		
		IL TRIBUNALE (Settima Sezione)
		
		dichiara e statuisce:
		
		1) La decisione della Commissione contenuta nella lettera del Direttore 
		generale della Direzione generale «Agricoltura» del 10 settembre 2004, 
		con cui si denegava di dare esecuzione al punto 1) del dispositivo della 
		sentenza del Tribunale 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e 
		T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193), è 
		annullata.
		
		2) Per il resto, il ricorso nella causa T‑457/04 è respinto.
		
		3) Il ricorso nella causa T‑223/05 è irricevibile.
		
		4) Nella causa T‑457/04 la Camar Srl e la Commissione sopporteranno 
		ciascuna la metà delle proprie spese, nonché metà delle spese della 
		controparte.
		
		5) Nella causa T‑223/05 la Camar è condannata a sopportare le proprie 
		spese e quelle sostenute dalla Commissione.
		
		
		
		Forwood
		
		
		Šváby
		
		
		Moavero Milanesi
		
		Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 ottobre 2008.
		
		Il cancelliere
		
		
		Il presidente
		
		E. Coulon
		
		
		N. J. Forwood
		
		Indice
		
		
		Contesto normativo
		
		Fatti
		
		Procedimento
		
		Conclusioni delle parti
		
		Sulla causa T‑457/04
		
		Sul capo della domanda diretto al'annullamento della decisione della 
		Commissione 10 settembre 2004
		
		Argomenti delle parti
		
		Giudizio del Tribunale
		
		Sul capo della domanda diretto a far ingiungere alla Commissione 
		'esecuzione del punto 1) del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000
		
		Argomenti delle parti
		
		Giudizio del Tribunale
		
		Sul capo della domanda diretto al risarcimento del danno morale 
		asseritamente subito dalla ricorrente
		
		Argomenti delle parti
		
		Giudizio del Tribunale
		
		Sulla causa T‑223/05
		
		Argomenti delle parti
		
		Giudizio del Tribunale
		
		Sulle spese
		
		
 
		
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