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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006



CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/05/2008 (Ud. 19/03/2008), Sentenza n. 19101



URBANISTICA E EDILIZIA - INCENDI BOSCHIVI - Rilascio di proroga del permesso di costruire - Sopravvenute previsioni urbanistiche - Compatibilità con la nuova disciplina - Necessità - Art. 15 T. Unico D.P.R. 380/2001 - Fattispecie: vincolo sopravvenuto di inedificabilità ai sensi dell'art. 10 legge 21.11.2000 n. 353 (Area boscata percorsa da fuoco).
Le norme sulla proroga del permesso a costruire, che consentono di prolungare il termine ordinario di tre anni per l’esecuzione delle opere, devono considerarsi di stretta interpretazione. Pertanto, secondo l’art. 15, comma quarto, del T.U. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, l’abilitazione a costruire “decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio” (comma 4), ricavandosi la conseguenza che l'istituto della proroga non può più essere applicabile allorquando siano sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili con l’intervento assentito. Inoltre, ben può il giudice penale accertare la conseguente mancanza dei presupposti legali per l’esercizio discrezionale della proroga e ritenere quindi la intervenuta decadenza del permesso a costruire. Presidente E. Altieri, Relatore P. Onorato. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/05/2008 (Ud. 19/03/2008), Sentenza n. 19101


URBANISTICA E EDILIZIA - Permesso di costruire - Termine decadenziale - La proroga nella disciplina urbanistica - Limiti - Sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili - Art. 15 T. Unico D.P.R. 380/2001 (che riproduce gli abrogati art. 4, c. 3, 4 e 5, l. 28.1.1977 n. 10, e art. 31, c. 11, L. 17.8.1942 n. 1150). La disciplina urbanistica consente la proroga, con provvedimento motivato, soltanto quando siano sopravvenuti fatti estranei alla volontà del titolare della concessione o del permesso di costruire, che impediscono in modo assoluto il rispetto dei termini prescritti. Pertanto, in materia di concessione edilizia, la domanda di proroga del termine di ultimazione dei lavori stabilito nella concessione deve fondarsi su circostanze sopravvenute ed estranee alla volontà del concessionario, che abbiano reso obiettivamente impossibile concludere l'attività edificatoria (C. St., Sez. V, n. 300 del 1.3.1993, Comune di Camaiore e. Oceano s.r.l.). La consolidata giurisprudenza amministrativa ha individuato questo impedimento nel factum principis (come un'ordinanza di sospensione dei lavori, o un sequestro del cantiere, rivelatisi poi illegittimi) o nella causa di forza maggiore (come una pubblica calamità). Peraltro, la proroga non può essere più accordata quando siano sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili con l'intervento assentito. In altre parole, il termine decadenziale non ammette proroga quando il regime urbanistico sopravvenuto non consente più la realizzazione dell'intervento. Presidente E. Altieri, Relatore P. Onorato. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/05/2008 (Ud. 19/03/2008), Sentenza n. 19101

URBANISTICA E EDILIZIA - Richiesta proroga di una concessione edilizia o di un permesso di costruire - Disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo - Decadenza del titolo abilitativo - Art. 44 D.P.R. 380/2001. In tema di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, il giudice penale, se non può sindacare l'esercizio del potere discrezionale da parte dell'autorità amministrativa che concede o nega la richiesta proroga di una concessione edilizia o di un permesso di costruire, può tuttavia accertare la mancanza dei presupposti legali per l'esercizio discrezionale della proroga stessa, e ritenere per conseguenza la decadenza della concessione edilizia o del permesso di costruire e l'integrazione del reato ora previsto e punito dall'art. 44 D.P.R. 380/2001. Nel caso in cui la decadenza del titolo abilitativo derivi dalla sopravvenienza di un regime urbanistico incompatibile, il reato finisce per ledere non solo l'interesse formale al previo controllo amministrativo dell'intervento edilizio, ma anche l'interesse sostanziale alla regolarità urbanistica dell'intervento medesimo. Presidente E. Altieri, Relatore P. Onorato. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/05/2008 (Ud. 19/03/2008), Sentenza n. 19101


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UDIENZA DEL 

SENTENZA N.

REG. GENERALE N.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale




Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Omissis


ha pronunciato la seguente

SENTENZA


Omissis


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1 - Con ordinanza del 24.10.2007 il Tribunale collegiale di Perugia, adito ex art. 322 bis c.p.p., ha respinto l'appello proposto dal difensore del legale rappresentante della s.r.l. GEMI 2005, Romano Minciarelli, contro il provvedimento del 12.9.2007 con cui il g.i.p. del Tribunale di Spoleto aveva rigettato una richiesta di revoca del sequestro preventivo disposto il 18.10.2006 su un'area sita in località Fontanelle del Campello sul Clitunno, sul presupposto che l'intervento edilizio che la predetta società stava eseguendo nella stessa area era ormai privo di titolo abilitativo, essendo ormai decaduta la orginaria concessione edilizia, rilasciata in data 25.2.1999. Il reato ipotizzato era quello di cui all'art. 44, lett. a) e c) del D.P.R. 380/2001.


1.1 - Più esattamente, la complessa vicenda si era articolata attraverso i seguenti passaggi fondamentali:
- dopo il rilascio della concessione edilizia alla società CEMI 91 in data 25.2.1999, i lavori, consistenti nella edificazione di sei unità abitative, erano regolarmente iniziati il 14.2.2000, ma si erano interrotti dopo che il 24.2.2000 il Corpo Forestale dello Stato di Trevi, avendo rilevato movimenti di terreno nell'area interessata dai lavori, aveva contestato a verbale violazione di norme in materia di vincolo idrogeologico (art. 7 del R.D.L. n. 3267 del 30.12.1923 e art. 72 del Regolamento regionale n. 1 dell'8.6.1981);
- su ricorso della società interessata, la Comunità Montana di Spoleto, quale autorità delegata per l'applicazione della sanzione amministrativa, nel settembre 2005, archiviava la pratica, sul presupposto che la concessione edilizia implicasse anche l'autorizzazione a fini idrogeologici;
- in data 9.3.2002, e quindi prima della scadenza triennale del titolo abilitativo, la società chiedeva la proroga del termine della concessione;
- dopo la voltura della concessione a favore della s.r.l. CEMI 2005, questa chiedeva e otteneva in data 2.8.2006 un permesso di costruire in variante, previa autorizzazione a fini paesaggistici rilasciata il 10.5.2006;
- il 18.12.2006, su richiesta del p.m., il g.i.p. del Tribunale di Spoleto disponeva il sequestro preventivo dell'area, sul presupposto che, a seguito della decadenza dell'orginaria concessione, mancava un valido titolo abilitativo;
- il sequestro era confermato dal Tribunale del riesame di Perugia e in sede di legittimità da questa Corte di cassazione, con sentenza del 21.2.2007, depositata il 23.3.2007;
- veniva respinta una prima richiesta di dissequestro basata su una nota scritta del competente dirigente comunale, che interpretava la summenzionata variante come idonea a prorogare il termine di ultimazione dei lavori;
- in seguito, la società CEMI presentava una nuova istanza di dissequestro, deducendo che il responsabile dell'area urbanistica del comune di Campello sul Clitunno, con formale provvedimento del 22.8.2007, accogliendo la menzionata richiesta presentata sin dal 9.3.2002, aveva prorogato il termine per l'ultimazione dei lavori, concedendo ulteriori 614 giorni a far data dall'eventuale dissequestro;
- su conforme parere del p.m., il g.i.p. del Tribunale di Spoleto respingeva l'istanza con provvedimento del 12.9.2007, che veniva ritualmente appellato dal difensore.
1.2 - L'adito Tribunale di Perugia, con la predetta ordinanza del 24.10.2007, ha respinto l'appello, ritenendo in estrema sintesi che:
- contrariamente a quanto sostenuto nella motivazione del citato provvedimento comunale del 22.8.2007, non ricorreva il presupposto per la proroga richiesto dall'art. 15 D.P.R. 380/2001, in quanto il summenzionato verbale del Corpo Forestale dello Stato del 24.2.2000 non costituiva affatto un ostacolo insormontabile alla prosecuzione dei lavori, giacché con esso il Corpo Forestale si era limitato ad accertare la violazione del vincolo idrogeologico a causa di un piccolo movimento del terreno, ma non aveva disposto alcuna sospensione o proibizione dei lavori: tanto ciò era vero che la società aveva prospettato al comune la ripresa dei lavori per il 31.1.2001;
Sotto altro profilo, il Tribunale ha rilevato che:
- l'area in questione, in quanto boscata, era soggetta a vincolo paesaggistico sin dall'entrata in vigore della legge 431/1985, poi confermata sia dal D.Lsg. 490/1999 sia dal D.Lgs. 42/2004; ed era sottoposta a vincolo di inedificabilità ai sensi dell'art. 10 legge 21.11.2000 n. 353, in quanto in gran parte di essa si era sviluppato un incendio;
- per conseguenza, l'originaria concessione del 25.2.1999 doveva considerarsi inefficace, perché priva dell'autorizzazione paesaggistica (almeno sino al 10.5.2006), sicché non aveva più rilievo la valutazione sulla legittimità ed efficacia della proroga, non potendo questa riferirsi a un titolo non idoneo.


2 - Contro tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Minciarelli, deducendo con unico motivo violazione di varie norme processuali e sostanziali.
In sintesi, sostiene che:
- il Tribunale perugino, laddove ha ritenuto la illegittimità della originaria concessione edilizia, è andato al di là delle questioni devolute con l'atto di appello e ha esaminato questioni precluse dal c.d. giudicato cautelare formatosi con la sentenza 21.2.2007 della suprema Corte di cassazione;
- comunque, la concessione rilasciata il 25.2.1999 era perfettamente legittima, in quanto l'area de qua era edificabile, facendo parte di un piano di lottizzazione convenzionata, approvato dal consiglio comunale il 10.7.1968, e considerato che il successivo piano di fabbricazione approvato il 9.10.1985 aveva confermato la disciplina urbanistica della zona classificata CL (zona residenziale di espansione): al riguardo non poteva applicarsi il vincolo di area boscata previsto dalla legge 431/1985, perché - ad avviso del ricorrente - il bosco deve essere individuato con provvedimento amministrativo specifico; nè il vincolo di inedificabilità previsto dalla legge quadro in materia di incendi boschivi (legge 21.11.2000 n. 353, art. 10), giacché questa legge è entrata in vigore dopo il rilascio della concessione edilizia;
- la proroga della concessione disposta dall'autorità comunale non poteva essere sindacata dal giudice ordinario; e comunque era perfettamente legittima ai sensi dell'art. 15 D.P.R. 380/2001 (che riproduce in sostanza l'art. 4, commi 3. 4 e 5 legge 28.10.1977 n. 10), perché richiesta prima della scadenza del termine triennale e perché concessa sul presupposto che il termine di ultimazione dei lavori non era stato rispettato a cagione di un fatto sopravvenuto estraneo alla volontà del titolare della concessione, quale doveva considerarsi il verbale di infrazione redatto dal Corpo Forestale dello Stato i124.2.2000.


Motivi della decisione


3 - Per fare chiarezza sul thema decidendum occorre anzitutto richiamare il contenuto della sentenza in data 21.2.2007, con cui questa terza sezione della Corte suprema ha già deciso definitivamente sul riesame del sequestro preventivo disposto sull'area in cui era in corso la costruzione delle villette da parte della s.r.l. CEMI 2005.


Con questa pronuncia la Corte ha in sostanza statuito che:
- allo stato degli atti, la originaria concessione edilizia del 25.2.1999 doveva considerarsi decaduta ope legis ai sensi dell'art. 15, comma 2, del D.P.R. 380/2001, perché i lavori non erano stati completati nel termine legale di tre anni dall'inizio degli stessi;
- per conseguenza la società costruttrice non aveva più titolo abilitativo a proseguire i lavori non ancora eseguiti, sicché il sequestro preventivo andava confermato;
- peraltro, prima della scadenza del predetto termine triennale, in data 9.3.2002, la società aveva inoltrato istanza di proroga, adducendo un fatto sopravvenuto indipendente dalla volontà della società concessionaria (cioè il menzionato verbale di contravvenzione stilato dal Corpo Forestale dello Stato): istanza che, se accolta, abilitava la società a proseguire i lavori, sempre a nonna del citato secondo comma dell'art. 15;
- sulla istanza di proroga però l'autorità competente non si era ancora pronunciata;
- non era quella la sede per valutare se esistevano i requisiti di legge per la proroga; comunque, in pendenza della istanza, permaneva la mancanza del titolo abilitativo a costruire;

- il permesso di costruire in variante ottenuto in data 9.3.2002, che per il suo intrinseco contenuto doveva qualificarsi come nuovo permesso, era palesemente illegittimo, e pertanto inapplicabile, perché non teneva conto che nel frattempo era entrata in vigore la legge 353/2000, che, con l'art. 10, aveva imposto un vincolo di inedificabilità per le aree - come quella di cui trattasi - i cui soprassuoli fossero stati percorsi dal fuoco.
Dovendosi ritenere che sui punti predetti si sia formato il giudicato cautelare, salvo l'intervento di fatti nuovi idonei a modificarlo, resta quindi da esaminare il sopravvenuto provvedimento comunale di proroga del 22.8.2007, per verificarne la portata e la legittimità.


4 - Pur con i limitati poteri di cognizione del procedimento cautelare, si deve affermare che detto provvedimento è illegittimo e comunque inidoneo a prorogare la concessione edilizia già rilasciata in data 25.2.1999.
Al riguardo, occorre valutare attentamente la disciplina della efficacia temporale del permesso di costruire (già concessione edilizia) contenuta nell'art. 15 del testo unico approvato col D.P.R. 380/2001 (che riproduce gli abrogati art. 4, commi 3, 4 e 5, della legge 28.1.1977 n. 10, e art. 31, comma 11, della legge 17.8.1942 n. 1150).
Com'è noto, il testo unico dispone (nel comma 2 dell'art. 15) che i lavori devono essere iniziati entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e devono essere ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori stessi, pena la decadenza dal diritto a costruire la parte dell'opera non ancora eseguita.
I termini di inizio e di ultimazione possono però essere prorogati, se prima della scadenza ne sia fatta richiesta, in considerazione di fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. (Esula dal caso di specie la proroga motivatamente accordata in considerazione della importanza quantitativa o qualitativa dell'opera da realizzare, o del frazionamento del finanziamento in più esercizi finanziari per le opere pubbliche).
In mancanza di proroga, la parte non ultimata dell'intervento può essere eseguita solo in base a nuovo permesso di costruire (salvo che sia realizzabile in base a semplice denuncia di inizio attività) (comma 3).
Infine, è stabilito che l'abilitazione a costruire "decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio" (comma 4). Ancora più chiara era forse la disposizione abrogata con l'entrata in vigore del testo unico: "l'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data dell'inizio" (art. 31, comma 11, legge urbanistica 17.8.1942 n. 1150).
Va anzitutto sottolineato che le norme sulla proroga devono considerarsi di stretta interpretazione, perché costituiscono una deroga alla disciplina generale dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori assentiti, la quale è dettata per assicurare la regolarità urbanistica dell'attività di trasformazione del territorio, in modo da evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non la consente più.
Orbene, per quanto interessa il caso di specie, la disciplina consente la proroga, con provvedimento motivato, soltanto quando siano sopravvenuti fatti estranei alla volontà del titolare della concessione o del permesso di costruire, che impediscono in modo assoluto il rispetto dei termini prescritti. In conformità del predetto criterio ermeneutico, il Consiglio di Stato ha precisato che "in materia di concessione edilizia, la domanda di proroga del termine di ultimazione dei lavori stabilito nella concessione deve fondarsi su circostanze sopravvenute ed estranee alla volontà del concessionario, che abbiano reso obiettivamente impossibile concludere l'attività edificatoria" (C. St., Sez. V, n. 300 del 1.3.1993, Comune di Camaiore e. Oceano s.r.l.). La consolidata giurisprudenza amministrativa ha individuato questo impedimento nel factum principis (come un'ordinanza di sospensione dei lavori, o un sequestro del cantiere, rivelatisi poi illegittimi) o nella causa di forza maggiore (come una pubblica calamità).
Secondo la ratio che governa l'istituto, peraltro, la proroga non può essere più accordata quando siano sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili con l'intervento assentito. Nient'altro che questo, infatti, è il significato della succitata disposizione (che è - si ripete - di stretta interpretazione), secondo cui il permesso di costruire decade quando entra in vigore una disciplina urbanitica contraria, a meno che i lavori siano stati già iniziati e vengano completati nel termine ordinario dei tre anni. In altre parole, il termine decadenziale non ammette proroga quando il regime urbanistico sopravvenuto non consente più la realizzazione dell'intervento.
Non può quindi condividersi nella sua assolutezza quella giurisprudenza amministrativa secondo cui la proroga della concessione edilizia non ancora scaduta non possiede una propria autonomia, ma è accessoria alla concessione originaria, con la conseguenza che l'autorità amministrativa non può denegarla a motivo della sopravvenienza di una disciplina urbanistica incompatibile (C. Stato, Sez. VI, 4.2.1997, n. 234; C. Stato, Sez. V, 8.11.1982, n. 771; C. Stato, Sez. V, n. 2.9.1983, n. 356).
Questa giurisprudenza infatti è in insanabile contrasto con il tenore letterale della norma in esame. Disattenderla non vuol dire negare la differenza antologica tra la proroga e il rinnovo della concessione, essendo indubitabile che la proroga ha carattere accessorio, e perciò, contrariamente al rinnovo, non comporta nuovi oneri concessori e deve essere rilasciata con riferimento alla disciplina vigente al momento in cui la concessione prorogata venne emanata. Significa invece, più semplicemente, che l'istituto della proroga non è più applicabile quando sia sopravvenuta una disciplina urbanistica incompatibile con l'intervento assentito. In tal caso, infatti, l'interesse urbanistico è considerato prevalente rispetto all'interesse privato a portare a termine l'intervento, che non sia stato completato nel termine triennale anche per causa indipendente dalla sua volontà.


5 - Alla luce dei suesposti principi si deve concludere che nel caso di specie mancano i presupposti legittimanti il provvedimento comunale di proroga emanato in data 22.8.2007. Sotto un primo profilo, infatti, non può dirsi che il verbale di contravvenzione stilato dal Corpo Forestale dello Stato in data 24.2.2000 configuri un factum principia assolutamente impeditivo della prosecuzione dei lavori, dal momento che esso non conteneva un ordine di sospensione dei lavori o non disponeva un sequestro del cantiere, ma semplicemente contestava che i lavori di sbancamento e movimento terra nell'area soggetta a vincolo idrogeologico erano stati eseguiti senza la necessaria autorizzazione dell'autorità competente (Camera di commercio, industria e agricoltura, che esercita i poteri già attribuiti al Comitato forestale), come prescritto dall'art. 7 del .R.D. 30.12.1923 n. 3267 e dall'art. 72 del Regolamento regionale umbro n. 1 dell' 8.6.1981: sicché il contravventore poteva proseguire i lavori , semplicemente munendosi della prescritta autorizzazione, trattandosi di lavori che sotto il profilo idrogeologico non erano proibiti ma semplicemente sottoposti ad autorizzazione.
Sotto un secondo profilo - più decisivo - il provvedimento comunale è stato emanato quando era già entrata in vigore la legge 21.11.2000, che stabilisce la inedificabilità di ogni area boschiva percorsa da incendio per almeno quindici anni dalla data dell'incendio stesso. Poiché risulta processualmente pacifico che l'area boschiva di cui trattasi era stata percorsa da incendio nel quindicennio precedente, ne derivava che, a norma del ripetuto art. 15, comma 4, D.P.R. 380/2001, i lavori edilizi in corso, essendo incompatibili col nuovo regime urbanistico, potevano essere compeletati entro il triennio dall'inizio dei lavori, ma non potevano essere prorogati, neppure per cause indipendenti dalla volontà del concessionario.
In conclusione, secondo la costante giurisprudenza di questa sezione in tema di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, il giudice penale, se non può sindacare l'esercizio del potere discrezionale da parte dell'autorità amministrativa che concede o nega la richiesta proroga di una concessione edilizia o di un permesso di costruire, può tuttavia accertare la mancanza dei presupposti legali per l'esercizio discrezionale della proroga stessa, e ritenere per conseguenza la decadenza della concessione edilizia o del permesso di costruire e l'integrazione del reato ora previsto e punito dall'art. 44 D.P.R. 380/2001. Nel caso in cui la decadenza del titolo abilitativo derivi dalla sopravvenienza di un regime urbanistico incompatibile, il reato finisce per ledere non solo l'interesse formale al previo controllo amministrativo dell'intervento edilizio, ma anche l'interesse sostanziale alla regolarità urbanistica dell'intervento medesimo.
Per tutte queste ragioni, resta confermato il fumus del reato ipotizzato, nonché la legittimità del disposto sequestro preventivo. Resta naturalmente riservato al giudice di merito l'approfondimento sulla ricorrenza fattuale degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie,
Il ricorso va quindi rigettato. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.


P.Q.M.


la Corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 19.3.2008.
Deposito in Cancelleria 12/05/2008


 


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