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TAR SARDEGNA, Sez. II, 8 ottobre 2007, sentenza n. 1809
 
INQUINAMENTO - Bonifica e interventi temporanei - Competenza regionale - Siti 
di interesse nazionale - L. n. 179/2002 - Artt. 242 e 252 del D.Lgs. n. 152/2006 
- Competenza statale. L’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 disciplina nel 
dettaglio le procedure amministrative dirette alla bonifica dei siti 
contaminati, che è il momento finale e conclusivo , nonché agli interventi 
“temporanei” quali la messa in sicurezza del sito operativa e di emergenza (cfr. 
comma 7). Tale norma disciplina altresì la competenza in ordine alle misure 
necessarie volte ad eliminare l’inquinamento, attribuendola alla Regione, che 
opera attraverso una Conferenza di servizi (cfr. comma 10). Quando l’area 
inquinata sia però inserita tra i siti di interesse nazionale da sottoporre a 
bonifica e ripristino ambientale, come tassativamente individuati dalla L. n. 
179/2002, integrativa dalla L. n. 42/1998 (nella specie, area industriale di 
Porto Torres), l’art. 18, c. 2 della riferita legge e l’art. 252, c, 4 del 
d.lgs. n. 152/2006 operano uno spostamento della competenza regionale a favore 
di un organo dello Stato (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio 
e del mare). Pres. Tosti, Est. Panunzio - E. s.p.a. (avv. Dell’Anno) c. 
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. 
Stato), regione Autonoma della Sardegna (avv.ti Picco e Campus) e altri (n.c.) -
T.A.R. SARDEGNA, Sez. II - 8 ottobre 2007, n. 1809
INQUINAMENTO - MISE - Presupposti - Contaminazioni repentine - Art. 240 
d.lgs. n. 152/2006 - Imposizione della MISE in caso di contaminazioni pregresse, 
senza adeguata motivazione - Illegittimità. Ai sensi dell’art. 240 del 
d.lgs. n. 152/06, la MISE può essere disposta solo in caso di contaminazioni 
“repentine”, al fine di “contenere la diffusione delle sorgenti primarie di 
contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a 
rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa 
in sicurezza operativa o permanente.” Non appare pertanto legittima 
l’imposizione della MISE in caso di contaminazioni pregresse, senza alcuna 
motivazione specifica sulla situazione di emergenza e sull’esigenza di 
scongiurare il rischio immediato che possano giustificare l’intervento richiesto 
(cfr., quanto alle differenze tra procedimento di bonifica e MISE, TAR Sicilia, 
Catania, sez. I, sent. n. 1254/2007). Pres. Tosti, Est. Panunzio - E. s.p.a. 
(avv. Dell’Anno) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del 
Mare e altri (Avv. Stato), regione Autonoma della Sardegna (avv.ti Picco e 
Campus) e altri (n.c.) - T.A.R. SARDEGNA, Sez. II - 8 ottobre 2007, n. 1809
INQUINAMENTO - MISE - Prescrizioni particolarmente onerose - Istruttoria - 
Valutazione del rapporto costi/benefici - Necessità. Gli interventi di MISE 
non possono prescindere da una valutazione di opportunità alla stregua del 
rapporto costi/benefici della soluzione proposta. Una prescrizione 
particolarmente onerosa necessita di un’istruttoria adeguata, sia per verificare 
il suo carattere risolutivo rispetto alla situazione di rischio accertata, sia 
per verificare gli effetti sulle dinamiche idriche e geologiche dell’area 
sottostante (fattispecie riferita ad una barriera fisica di confinamento delle 
acque di falda contaminate; cfr. in termini:Tar Puglia, Lecce sent. n. 
2247/2007), sia infine per scongiurare il pericolo che una simile imposizione 
possa finire per produrre sull’ambiente più problemi di quelli che tende a 
risolvere. Pres. Tosti, Est. Panunzio - E. s.p.a. (avv. Dell’Anno) c. Ministero 
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato), 
regione Autonoma della Sardegna (avv.ti Picco e Campus) e altri (n.c.) - 
T.A.R. SARDEGNA, Sez. II - 8 ottobre 2007, n. 1809
VIA - Barriera fisica di confinamento delle acque di falda contaminate di 
profondità superiore a 10 m - Sottoposizione a VIA - Necessità - Art. 23, punto 
15 del d.lgs. n. 152/2006 - Dighe - Sviluppo in profondità piuttosto che in 
altezza - Irrilevanza. La costruzione di una barriera fisica finalizzata ad 
intercettare le acque di falda contaminate, di profondità superiore a 10 m, deve 
essere assoggettata a valutazione di impatto ambientale, potendosi equiparare 
all’ipotesi di cui all’allegato A, lett. r), art. 1, c. 3 del D.P.R. 12 aprile 
1996 (ora art. 23, punto 15 del d.lgs. n. 152/2006 - Dighe e altri impianti 
destinati a trattenere le acque o ad accumularle in modo durevole di altezza 
superiore a 10 m e/o di capacità superiore a 100.000 metri), non rilevando a tal 
fine la circostanza che l’opera non si sviluppi in altezza ma in profondità. La 
questione va infatti affrontata in termini sostanziali e non meramente formali, 
tenendo conto che la ratio della disposizione sopra riportata, anche alla 
stregua della direttiva 85/337/CEE, è quella di sottoporre a VIA le opere che 
possono avere implicazioni durature sulla composizione del suolo, sulla fauna e 
sulla flora e che possono indurre un impatto considerevole sull’ambiente (cfr. 
art. 4 d.lgs n. 152/2006). Non vi è dubbio che un’opera delle dimensioni e di 
impatto come la barriera di confinamento in questione (delle misure di 2,5 km di 
lunghezza, per 1,5 metri di larghezza e di 30/50 metri di profondità ) determini 
un’incidenza ambientale importante su tutte le matrici interessate. Pres. Tosti, 
Est. Panunzio - E. s.p.a. (avv. Dell’Anno) c. Ministero dell’Ambiente e della 
Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato), regione Autonoma della 
Sardegna (avv.ti Picco e Campus) e altri (n.c.) - T.A.R. SARDEGNA, Sez. II - 
8 ottobre 2007, n. 1809
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SARDEGNA
SEZIONE SECONDA
Sent. n. 11809/2007
Ric. n. 1073/2006
sul ricorso n. 1073/2006 proposto da ENDESA Italia SpA, rappresentata e difesa 
dal prof. Avv.to Paolo Dell'Anno, con domicilio eletto in Cagliari, via Alghero 
n. 54 presso lo studio dell’avv.to Davide Tomba 
contro
- il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare in persona 
del Ministro pro-tempore, il Ministero della Salute in persona del Ministro 
pro-tempore e il Ministero dello Sviluppo Economico in persona del Ministro 
pro-tempore, rappresentati e difesi dalla Avvocatura distrettuale dello Stato, 
con domicilio eletto in Cagliari Via Dante n. 23 presso la sua sede;
- la Direzione Qualità della Vita presso il Ministero dell’Ambiente in persona 
del Direttore Generale pro-tempore, non costituitasi in giudizio;
- la Regione Autonoma della Sardegna in persona del Presidente della Giunta 
pro-tempore e l’Assessorato Regionale Difesa Ambiente, in persona dell’Assessore 
pro-tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati: Laura Picco e Graziano 
Campus, con domicilio eletto in Cagliari viale Trento n. 69 presso l’Ufficio 
Legale della Regione Sarda; 
- il Presidio Multizonale Prevenzione Asl n.1, non costituitosi in giudizio; 
- l’Agenzia Regionale Protezione Ambientale Sardegna, non costituitasi in 
giudizio; 
- la Provincia di Sassari in persona del Presidente pro-tempore e l’Assessorato 
Tutela Ambiente presso la Provincia Sassari, non costituitisi in giudizio;
per l'annullamento, quanto al ricorso principale,
- del verbale della Conferenza dei servizi decisoria tenuta presso il 
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 30/8/2006;
- delle determinazioni assunte dalla medesima Conferenza in relazione al punto 8 
dell’ordine del giorno;
- del verbale della Conferenza di servizi istruttoria del 30/3/2006 e della nota 
del 28/9/2006, di trasmissione del verbale della conferenza di servizi decisoria 
del 30/8/2006;
quanto ai motivi aggiunti
- del decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, 
Direzione Generale per la qualità della vita, prot. 3306/QDV/DI/B del 6 febbraio 
2007;
VISTO il ricorso, con i relativi allegati;
VISTI i motivi aggiunti depositati in data 22/3/2007;
VISTO l'atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna, 
dell’Assessorato Regionale Difesa Ambiente, del Ministero Ambiente e della 
Tutela Territorio, del Ministero della Salute e del Ministero dello Sviluppo 
Economico; 
VISTI gli atti tutti della causa; 
NOMINATO relatore per la pubblica udienza del 11 luglio 2007 il Consigliere Rosa 
Panunzio;
UDITI gli avvocati delle parti, come da separato verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
F A T T O
La ricorrente ENDESA è proprietaria di una centrale termoelettrica, denominata 
Fiume Santo; l’impianto è compreso nell’area industriale di Porto Torres, 
inserita tra i siti inquinati da sottoporre ad interventi di bonifica e 
ripristino ambientale per effetto dell’art. 14 della legge 31 luglio 2002, n. 
179, integrativo dell’art. 1, comma 4, della legge n. 426/1998.
Il piano della caratterizzazione del sito è stato approvato nel corso della 
conferenza di servizi decisoria del 22 giugno 2004; eseguita la 
caratterizzazione, i relativi risultati sono stati acquisiti dal Ministero 
dell'Ambiente in data 3 luglio 2006.
Per le esigenze produttive, l'Azienda ricorrente chiedeva al Ministero 
dell'Ambiente lo svincolo di un'area di circa 1 ha, compresa nell'area 
denominata “Turbogas”: la relazione conclusiva dell’attività di 
caratterizzazione di tale area è stata esaminata nella Conferenza di servizi 
istruttoria del 30 marzo 2006.
Nel corso della Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006, convocata 
per deliberare sulla relazione conclusiva dell’attività di caratterizzazione 
della suddetta area “Turbogas”, il Direttore della Direzione del Ministero 
dell'Ambiente Qualità della Vita comunicava che era emerso un esteso stato di 
contaminazione della falda, anche in forma di hot spot, di sostanze cancerogene 
(piombo, manganese e triclorometano); evidenziava, pertanto, la necessità che 
l'Azienda attivasse la realizzazione di un sistema di confinamento fisico, lungo 
l’affaccio al mare, dell'area della Centrale, al fine di impedire la diffusione, 
nel mare, della contaminazione rilevata nelle acque di falda.
La Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006 recepiva la proposta del 
suddetto Direttore.
Contro questo provvedimento, e in particolare contro le determinazioni assunte 
dalla suddetta Conferenza in relazione al punto 8) dell'ordine del giorno, 
propone, la società ENDESA, ricorso giurisdizionale, deducendo i seguenti motivi 
di censura:
1) violazione dell'art. 14 ter, comma 6 bis della legge 241/1990, assenza della 
determinazione conclusiva dell'amministrazione procedente. Non è stato adottato 
il provvedimento finale del procedimento: il Ministero dell'Ambiente avrebbe 
dovuto emanare una determinazione conclusiva motivata;
2) violazione ed erronea applicazione dell'art. 242, comma 3, 245 e 252 del 
decreto legislativo n. 152/2006, carenza di potere; l'amministrazione statale 
non ha alcuna competenza in merito agli interventi di messa in sicurezza 
d'emergenza, adottati dal responsabile dell'inquinamento o dai soggetti 
interessati alla bonifica non responsabili dell'inquinamento;
3) violazione ed erronea applicazione dell'articolo 242, 244, 245, 252; eccesso 
di potere per difetto di istruttoria, mancanza di presupposti, difetto di 
motivazione; non vi è alcuna motivazione in ordine alla identificazione del 
responsabile dell'inquinamento, ma esiste una procedura articolata che distingue 
gli obblighi del responsabile dell'inquinamento (art. 242) rispetto a quelli del 
proprietario non responsabile dello stesso (art. 245). Il proprietario non 
responsabile non è obbligato ad eseguire gli interventi di bonifica in quanto la 
legge riserva la situazione di obbligo solo al responsabile; la sua situazione 
può ricondursi alla figura dell'onere, rimanendo tale anche in seguito 
all'attivazione spontanea delle procedure per la messa in sicurezza e bonifica 
del sito. Ma la costituzione ex lege di un onere reale sulle aree inquinate e 
gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica, in quanto obbligazione 
gravante sul terreno, comporta che il proprietario del terreno non possa essere 
gravato oltre il valore dello stesso (art. 253, comma 4, D. Lgs. 152/2006). Le 
amministrazioni partecipanti alla Conferenza di servizi impugnata non si sono 
pronunciate sul responsabile dell'inquinamento, eludendo l'obbligo giuridico 
della sua ricerca;
4) violazione ed erronea applicazione dell'articolo 242, 244, 245, 252; eccesso 
di potere per difetto di istruttoria, mancanza di presupposti, difetto di 
motivazione; l'ordine di realizzare un sistema di sbarramento fisico contiguo, 
lungo l'affaccio al mare dell'area della centrale, si basa sull’inquinamento 
della falda, del quale la società ricorrente non è in alcun modo responsabile; 
la contaminazione riscontrata in area ENDESA proviene da siti posizionati a 
monte della centrale; per quanto riguarda la presenza di arsenico si deve 
rilevare che la sua concentrazione è correlata alla naturale presenza di 
quest'elemento nei terreni di riporto e che, comunque, lo stesso non è presente 
nella falda. Anche i solfati sono riconducibili all'influenza dell'acqua marina;
5) erronea e falsa applicazione dell'articolo 240, comma 1, lett. M del d. lgs. 
n. 152/2006; eccesso di potere per difetto di istruttoria, mancanza di 
presupposti, difetto di motivazione. Se si tratta di un'intervento di messa in 
sicurezza d'emergenza ci si deve riferire all'art. 240 e, comunque, vi è un 
difetto di istruttoria e di motivazione circa il verificarsi di "condizioni 
d'emergenza", ma nel caso di specie, non sussistono tali condizioni. L'articolo 
242 sopra citato prevede che al superamento delle concentrazioni soglia di 
contaminazione (CSC) consegua l'obbligo di predisporre il piano della 
caratterizzazione e, successivamente, l'analisi di rischio come definita 
dall'articolo 240, lett. s; è solo l'analisi di rischio che individua le 
concentrazioni soglia di rischio (CSR): prima il sito è potenzialmente 
contaminato e fa sorgere l'obbligo della caratterizzazione e della successiva 
analisi di rischio, quindi, in assenza di effettive condizioni di emergenza non 
è necessario procedere alla messa in sicurezza d'emergenza;
6) violazione dell'art. 4, comma 2, della DIR. 85/337/CEE, allegato II, punto 
10, lett. E; violazione dell'art. 1, comma 3 del D.P.R. 12 aprile 1996, in 
relazione all’allegato A, lett. R; violazione dell'art. 1, comma 4, del D.P.R. 
12 aprile 1996, in relazione all’allegato B. lett. O. Omessa valutazione di 
impatto ambientale; la costruzione di una barriera fisica, finalizzata ad 
intercettare le acque di falda contaminate, rientra fra i progetti per i quali è 
necessaria la previa valutazione di impatto ambientale trattandosi di una 
barriera che dovrà avere una profondità superiore a 10 m. Se non si vuole 
assimilare la stessa ad una "diga" deve, comunque, farsi rientrare fra gli 
“interventi di bonifica… destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi 
quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio... lacuale “;
7) violazione e falsa applicazione dell'allegato 3 al titolo V, della parte IV 
del decreto legislativo n. 152/2006; eccesso di potere per difetto di 
istruttoria, travisamento dei fatti, assenza dei presupposti e difetto di 
motivazione; manifesta irragionevolezza, violazione del principio comunitario 
dell’applicazione delle migliori tecnologie a costi sopportabili, violazione del 
principio di proporzionalità; l'ordine di realizzare una barriera fisica é 
illegittima anche per le seguenti ragioni: a) l’imposizione di realizzare una 
barriera di contenimento fisico della falda si pone in contrasto con i caratteri 
della necessità ed urgenza, propri degli interventi di messa in sicurezza di 
emergenza, sarebbe stato più ragionevole prescrivere la costruzione di una 
barriera idraulica costituita da pozzi di emungimento, b) se non vi sono i 
presupposti per qualificare l'intervento prescritto come intervento di 
emergenza, la barriera fisica e il sistema di emungimento della falda sono, in 
realtà, interventi di bonifica da realizzarsi solo in seguito all'accertamento 
del superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), ossia solo dopo la 
caratterizzazione del sito e dopo l'analisi di rischio;
8) violazione dell'art. 3 della legge 241/1990, eccesso di potere per difetto di 
istruttoria e di motivazione; la Conferenza di servizi decisoria ha subordinato 
la restituzione agli usi legittimi della porzione di area denominata “Turbogas” 
alla condizione che l'azienda, atteso il superamento rilevato in un piezometro 
superficiale, per i parametri solfati e manganese, provvedesse alla elaborazione 
e trasmissione del progetto di bonifica della falda, basato sul confinamento 
fisico, ma, come detto non vi è alcuna ragione per imporre in sede di progetto 
di bonifica il confinamento fisico della falda potendo essere adottate soluzioni 
alternative quali, per esempio, una barriera idraulica;
9) violazione dell'art. 242 del decreto legislativo n. 152/2006, omessa analisi 
di rischio, eccesso di potere per sviamento; manca l'espletamento dell'analisi 
di rischio, il sito, quindi, è solo potenzialmente contaminato e non è legittimo 
procedere alla bonifica in assenza della determinazione delle concentrazioni 
soglia di rischio (CSR), il cui superamento rende il sito contaminato.
Con atto depositato in data 22 marzo 2007 la ricorrente propone motivi aggiunti 
contro il decreto prot. 3306/QDV/DI/B del 6 febbraio 2007 emanato - nelle more - 
dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione 
Generale per la Qualità della Vita, che ha attribuito efficacia alle 
determinazioni assunte nella Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006.
Le censure dedotte con i motivi aggiunti sono identiche a quelle proposte con il 
ricorso principale, con esclusione della censura indicata sopra sub 1), che non 
è stata riproposta.
Si sono costituite in giudizio sia l'amministrazione regionale che 
l'amministrazione statale intimata; la prima chiede - pregiudizialmente - 
l’estromissione dal giudizio; nel merito chiedono entrambe, per il tramite dei 
propri difensori, la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti, con vittoria 
di spese.
Con ordinanza n. 5/2007 sono stati ordinati atti e documenti utili al fine della 
decisione ed è stata accolta, a termine, la domanda cautelare.
Con successiva ordinanza n. 44/2007 è stata reiterata la richiesta di 
documentati chiarimenti ed è stata prolungata la sospensione del provvedimento 
impugnato.
Infine, con ordinanza n. 126/2007, è stata accolta l'istanza cautelare.
Alla pubblica udienza del 11 luglio 2007, presenti i difensori delle parti, la 
causa è stata assunta in decisione dal Tribunale.
D I R I T T O
Con il presente ricorso e con i motivi aggiunti si contesta il procedimento, di 
cui la Conferenza di servizi decisoria del 30/8/2006 (impungnata con il ricorso 
principale) rappresenta una fase, conclusosi con il decreto del Direttore 
Generale per la Qualità della Vita n. 3306 del 6 febbraio 2007 (impugnato con 
motivi aggiunti), che, per la parte relativa alla ricorrente, ha approvato e 
considerato definitive tutte le prescrizioni contenute nei verbali delle 
Conferenze decisorie ed in particolare di quella del 30/8/2007.
Pregiudizialmente ritiene il Collegio debba essere esaminata la domanda della 
Regione sarda di estromissione dal presente giudizio, perchè “la posizione 
giuridica degli Assessorati regionali non riveste una rilevanza autonoma nella 
controversia, in quanto tali rami dell’Amministrazione regionale…non 
costituiscono l’Organo che deve concludere il procedimento con l’adozione del 
provvedimento finale”.
La domanda deve essere respinta.
Non ritiene il Collegio di dover estromettere la Regione dal presente giudizio, 
in quanto se pur non amministrazione cui imputare il provvedimento finale 
definitivo, è soggetto pubblico che ha partecipato alla Conferenza dei servizi 
decisioria (nella quale era presente nella persona del dott. Pisu, come 
riscontrato nel verbale) e condiviso le soluzioni in quella sede assunte, 
soluzioni che poi sono state integralmente riversate nel decreto del Direttore 
Generale del Ministero, deve, quindi, ritenersi la Regione amministrazione 
coinvolta nel procedimento de quo sia nella fase istruttoria sia nella fase 
decisioria.
In punto di fatto, la Conferenza di servizi istruttoria del 30/3/2006 aveva 
imposto alla ricorrente la elaborazione di un Progetto di bonifica della falda, 
successivamente, la Conferenza di servizi decisoria del 30 agosto 2006, 
convocata per deliberare sulla relazione conclusiva dell’attività di 
caratterizzazione dell'area Turbogas, recependo il suggerimento del Direttore 
della Direzione del Ministero dell'Ambiente Qualità della Vita, che riteneva vi 
fosse un esteso stato di contaminazione della falda, anche in forma di hot spot, 
di sostanze cancerogene (piombo, manganese e triclorometano), ha imposto 
all’Azienda di attivarsi per la realizzazione di un sistema di confinamento 
fisico dell'area della Centrale, lungo l’affaccio al mare, al fine di impedire 
la diffusione (nel mare) della contaminazione rilevata nelle acque di falda.
Ritiene la Società ricorrente che tale imposizione sia illegittima, così come 
sia illegittimo il subordinare la restituzione dell’area denominata “Turbogas” 
alla elaborazione e trasmissione di un progetto di bonifica della falda basato 
sul “confinamento fisico”.
Preliminarmente è opportuno precisare che la Conferenza dei servizi decisoria è 
stata seguita da apposito decreto del Direttore della Direzione del Ministero 
dell'Ambiente Qualità della Vita, che ha approvato e rese definitive le 
determinazioni da essa adottate; ora, tale provvedimento finale è stato 
censurato dalla società ricorrente (con motivi aggiunti) per gli stessi identici 
vizi dedotti contro la determinazione della Conferenza dei servizi, tranne che 
per il primo motivo del ricorso principale (orami privo di rilevanza), con il 
quale si lamentava l’assenza della determinazione conclusiva da parte del 
Ministero dell'Ambiente.
Con il secondo mezzo del ricorso principale (primo dei motivi aggiunti) deduce, 
la difesa della ricorrente, violazione ed erronea applicazione dell'art. 242, 
comma 3, 245 e 252 del decreto legislativo n. 152/2006, assumendo che 
l'amministrazione intimata non ha il potere di imporre alcuna prescrizione “in 
merito agli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, adottati dal 
responsabile dell'inquinamento…o dai soggetti interessati alla bonifica non 
responsabili dell'inquinamento”.
A parte la poca chiarezza della 
censura, la stessa, laddove voglia affermare che il Ministero dell’Ambiente non 
ha la competenza di imporre un facere nell’ipotesi di inquinamento di siti di 
interesse nazionale, appare, comunque, infondata.
L’art. 252, comma 4, del d.lgs. 152/2006 così recita:
“4. La procedura di bonifica di cui all'articolo 242 dei siti di interesse 
nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della 
tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive. Il 
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio può avvalersi anche 
dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), 
delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente delle regioni 
interessate e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti 
qualificati pubblici o privati”.
L’art. 242 disciplina nel dettaglio le procedure amministrative per giungere 
alla bonifica del sito, che è il momento finale e conclusivo dell’intervento, ma 
non solo, si occupa anche degli interventi per così dire “temporanei” quali la 
messa in sicurezza del sito operativa e di emergenza (cfr. comma 7)
La gestione delle misure necessarie volte a eliminare l’inquinamento del sito 
contaminato è di competenza della Regione, che opera attraverso una Conferenza 
di servizi, come recita il comma 10: “…La regione, acquisito il parere del 
comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e 
sentito il soggetto responsabile, approva il progetto (ndr. trattasi del 
progetto degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o 
permanente, e, ove necessario, delle ulteriori misure di riparazione e di 
ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il 
rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito), con 
eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo 
ricevimento. 
Nel caso di specie appare fuor di dubbio al Collegio che vi sia stato uno 
spostamento della competenza regionale a favore del Ministero in quanto il sito 
ricade nell’area industriale di Porto Torres, inserita tra i siti di interesse 
nazionale inquinati da sottoporre ad interventi di bonifica e ripristino 
ambientale per effetto dell’art. 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179, 
integrativo dell’art. 1, comma 4, della legge n. 426/1998.
L’art. 18, comma 2, della suddetta legge dispone: 
“2. Per realizzare il programma di interventi di cui al comma 1, (ndr. 
interventi di bonifica da porre in essere nei siti di importanza nazionale) il 
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio stipula, con i Ministri 
dell'interno delegato per il coordinamento della protezione civile, delle 
attività produttive e delle infrastrutture e dei trasporti, con i presidenti 
delle giunte regionali, delle province e con i sindaci dei comuni 
territorialmente competenti, uno o più accordi di programma per l'approvazione 
del progetto definitivo di bonifica e di ripristino ambientale. Gli accordi di 
programma comprendono il piano di caratterizzazione dell'area e l'approvazione 
delle eventuali misure di messa in sicurezza di emergenza, gli interventi di 
bonifica o di messa in sicurezza definitiva e l'approvazione del progetto di 
valorizzazione dell'area bonificata.”. 
Dalla lettura della complessa normativa sopra richiamata, si desume la volontà 
del legislatore di attribuire ad un organo dello Stato la competenza in materia 
di siti di interesse nazionale inquinati, come tassativamente individuati dalla 
legge n. 179/2002, fra i quali sono indicate le “Aree industriali di Porto 
Torres”.
Con il quinto, oltre che con il settimo motivo al primo strettamente connesso 
del ricorso principale (quarto e sesto dei motivi aggiunti) si deduce erronea e 
falsa applicazione dell'art. 240, comma 1, lett. M del d. lgs. n. 152/2006; 
eccesso di potere per difetto di istruttoria, mancanza di presupposti, difetto 
di motivazione, manifesta irragionevolezza, violazione del principio comunitario 
delle applicazioni delle migliori tecnologie a costi sopportabili, violazione 
dei principi di proporzionalità.
Assume, l’interessata, che, se si tratta di un'intervento di messa in sicurezza 
d'emergenza ci si deve riferire all'art. 240 e che, comunque, vi è un difetto di 
istruttoria e di motivazione circa il verificarsi delle "condizioni 
d'emergenza", non sussistenti nel caso di specie. Lamenta anche che 
l’imposizione di una barriera di contenimento fisico della falda si pone in 
evidente contrasto con i caratteri dell’urgenza propri degli interventi di 
M.I.S.E. (messa in sicurezza di emergenza) e che sarebbe stato più ragionevole 
prescrivere la costruzione di una “barriera idraulica costituita da pozzi di 
emungimento”, mentre in realtà si è imposto un intervento appartenente al ben 
diverso genere delle bonifiche.
Ad avviso del Collegio le censure sono fondate e devono, pertanto, essere 
accolte.
Le questioni introdotte sono sostanzialmente due: a) la prima riguarda gli 
accertamenti effettuati in ordine alla situazione di emergenza e, b) la seconda 
riguarda la tipologia d’intervento prescritta. 
a) L’art. 240 del d.lgs 152/06, lett. “m”, prevede che la M.I.S.E. possa essere 
disposta solo in caso di eventi di contaminazione “repentini” al fine di 
“contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il 
contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di 
eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o 
permanente.” .
Nel caso del sito di interesse nazionale di Porto Torres sussistono fenomeni di 
contaminazioni pregresse e non vi è nel verbale della Conferenza di servizi 
decisoria impugnata alcun riferimento alla situazione di emergenza “repentina” 
che possa giustificare l’intervento richiesto; già nella Conferenza di servizi 
istruttoria del 30/3/2006, la direzione Generale del ministero nella persona del 
direttore (Ing. Tassoni), attesi i superamenti rilevati in un piezometro 
superficiale per i parametri solfati e manganese, aveva richiesto all'Azienda di 
provvedere alla elaborazione e trasmissione del Progetto di bonifica della 
falda. Era quindi in corso una attività concordata di intervento di bonifica. 
Non è stato affatto chiarito dalla Conferenza decisoria la novità dell’emergenza 
rispetto a qualche mese prima. In ordine a tale profilo nel verbale si legge 
testualmente: “Il Dott. Mascazzini informa i partecipanti alla Conferenza di 
Servizi odierna che, da un esame preliminare condotto su tale elaborato (ndr. 
risultati delle attività di caratterizzazione della Centrale trasmessi 
dall’Azienda) dagli Uffici della Direzione Qualità della Vita nonché dalla 
relazione di validazione delle risultanze medesime …. é emerso un esteso stato 
di compromissione delle acque di falda, connesso alla presenza di molteplici 
superamenti di limiti vigenti in materia di bonifiche, anche in forma di hot 
spot di sostanze cancerogene”.
Manca, ad avviso del Collegio, come rilevato in ricorso, una motivazione 
specifica circa la gravità della situazione denunciata e le condizioni di 
emergenza che hanno imposto la realizzazione di un sistema di sbarramento fisico 
continuo lungo l’affaccio a mare dell'area della Centrale che più si attaglia ad 
una bonifica del sito; ma, anche volendo ammettere (seguendo le argomentazioni 
della difesa erariale) che la sola rilevazione della contaminazione delle falda, 
attesa “la stessa natura del mezzo attraverso cui la contaminazione si propaga 
(falda acquifera), unita alle circostanze spaziali in concreto sussistenti 
(estrema vicinanza del bersaglio sensibile costituito dal mare)”, ha determinato 
“da un lato il carattere repentino del fenomeno di inquinamento e, dall'altro, 
le condizioni di emergenza richieste dalla legge”, deve tuttavia essere rilevato 
che niente di tutto questo è riportato nel verbale, dove non si parla di 
interventi di emergenza in relazione al confinamento fisico. 
b) In relazione alla legittimità della tipologia d'intervento richiesto non può 
non evidenziarsi che, sia per la sua estensione che per la sua qualità 
l’Amministrazione ha, di fatto, configurato ed imposto la realizzazione di un 
vero e proprio progetto di bonifica. 
Se pure l’intervento richiesto sia definito dalla difesa erariale una “messa in 
sicurezza d’emergenza”, tuttavia, nel verbale della Conferenza decisioria tale 
circostanza sembra essere smentita, soprattutto laddove si legge: “La Conferenza 
di servizi decisoria… delibera di richiedere all’Azienda di attivare entro 20 
giorni dalla data di notifica del presente verbale, nelle more della 
realizzazione della predetta opera di confinamento fisico, idonei interventi di 
messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda in tutti i pozzi in 
corrispondenza dei quali è stata rilevata la presenza di hot spot”
In effetti, dalla lettura del verbale sembra emergere che l’intervento proposto 
non sia ricollegabile ad una “messa in sicurezza d’emergenza” (forse si tratta 
di una “messa in sicurezza operativa”), in ogni caso, al di là della sua esatta 
definizione giuridica, è da sottolineare che il tipo di intervento imposto, che 
appare comunque dettato dalla necessità, contrasta con il fine che si intende 
raggiungere, che è la sola messa in sicurezza del sito in attesa di provvedere 
alla sua bonifica, sulla base di un progetto articolato e complesso.
Ora, il procedimento di bonifica è soggetto a procedure e tempi che ne 
assicurano la ponderazione e quindi la qualità, “la MISE è invece un 
contenimento immediato di situazioni improvvise e quindi è regolata da una 
procedura di urgenza, come tale limitata, puntuale e non estensibile oltre i 
suoi limiti naturali a pena del rischio di interventi frettolosi ed 
inappropriati che, nel tema della tutela ambientale, sono in maniera del tutto 
intuibile, completamente esclusi dal novero delle previsioni legislative”. 
(così: TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. n. 1254/2007).
In realtà l’Amministrazione, così operando, impone questa misura di intervento 
solo per ottenere nel minor tempo possibile il disinquinamento, e ciò al di 
fuori delle più complesse prescrizioni imposte per legge ai fini di bonifica, 
sicuramente più onerose da un punto di vista procedimentale, perché il 
legislatore si prefigge “obiettivi di qualità ambientale e di recupero 
dell’ambiente dall’inquinamento molto più approfonditi, radicali, complessi e 
strutturati, di quelli ottenibili con una MISE, ossia quegli unici tipi di 
obiettivi che possono assicurare il reale recupero del tessuto ambientale 
compromesso, laddove la MISE è istituto (tecnico, prima che giuridico), volta al 
solo “contenimento” della matrice compromessa, ossia alla limitazione degli 
effetti dell’inquinamento allo scopo di impedirne l’ulteriore propagazione, non 
certamente idonea quindi al recupero di essa”. (sent. sopra citata TAR Sicilia).
La prescrizione di utilizzare per il confinamento delle acque di falda una 
barriera fisica, anziché una barriera idraulica costituita da pozzi di 
emungimento, o altra soluzione ipotizzabile, non risulta, invece, in alcun modo 
motivata da adeguati accertamenti tecnici, che la indichino come unico e 
migliore sistema di messa in sicurezza del sito idoneo a scongiurare, in una 
situazione contingente e provvisoria, la diffusione della contaminazione, né la 
scelta risulta supportata da dati tecnici che illustrino modalità, tempi di 
realizzazione, obblighi giuridici coerenti con l’urgenza dell’intervento e con 
la dedotta esigenza di scongiurare il rischio immediato.
Anche a seguito delle istanze istruttorie avanzate dal Collegio, dirette 
specificamente alla conoscenza degli “accertamenti e valutazione dei dati e dei 
fatti che hanno determinato la prescrizione del confinamento fisico” 
l’amministrazione, con un’ampia relazione, ha confermato l’esistenza di fonti 
inquinanti- non messa in discussione- ha ribadito il dato- incontestato- che la 
ricorrente risulta inserita nell’inventario nazionale degli stabilimenti 
“suscettibili” di causare incidenti rilevanti,ha confermato che la bonifica 
integrale del sito è condizione della sua utilizzazione per gli “usi legittimi” 
ma “circa la compatibilità –sul piano tecnico- della barriera fisica” si è 
limitata ad affermare, in modo laconico ed apodittico, che “considerate le 
caratteristiche sito specifiche, essa potrebbe essere certamente realizzabile”.
La risposta fornita non è su questo punto esaustiva, né si rafforza in base alle 
considerazioni della difesa, che, in sede di discussione, ha giustificato la 
scelta con il riferimento all’esercizio di discrezionalità tecnica, quasi a 
sancirne, in giudizio, la insindacabilità.
E’ appena il caso di richiamare sul punto i principi ormai pacifici in 
giurisprudenza secondo i quali, esclusa ormai l’equazione discrezionalità 
tecnica-merito insindacabile, il controllo giurisdizionale non è più formale ed 
estrinseco,ma si può spingere fino alla verifica diretta dell’attendibilità 
delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a 
criterio tecnico ed a procedimento applicativo, senza arrivare alla sostituzione 
nell’effettuazione di valutazioni opinabili (cfr. tra le più recenti: Cons Stato 
VI 11/4/2006, n.2001, 27/2/2006, n.829, ma anche, in particolare, VI 7/11/2005, 
n.6152).
Nella specie, nonostante le specifiche richieste, non sono stati indicati gli 
elementi tecnici controllabili, in sede di giudizio, anche con l’ausilio degli 
strumenti istruttori disponibili (verificazioni, CTU ecc.), di modo che hanno 
trovato conferma, allo stato degli atti, le censure di eccesso di potere dedotte 
nel settimo motivo, che sono sintomatiche dell’esercizio illegittimo ed 
arbitrario della discrezionalità tecnica.
Ma vi è un altro profilo evidenziato in ricorso che merita riflessione: non è 
stata neppure valutata l’opportunità dell’intervento alla stregua del rapporto 
costi/benefici per l’Azienda, non si è affatto tenuto conto degli altissime 
spese occorrenti per costruire una barriera delle dimensioni necessarie per il 
confinamento (nella relazione della società “Lithos” in atti, non contestata, a 
pag. 7, si parla di un’opera ciclopica assimilabile ad una diga, delle misure di 
2,5 km di lunghezza, per 1,5 metri di larghezza e di 30/50 metri di profondità).
Ad avviso del Collegio una tale opera avrebbe avuto bisogno di una istruttoria 
adeguata, sia per verificare il suo carattere risolutivo rispetto alla 
situazione di rischio accertata, sia anche per verificare gli effetti che tale 
barriera fisica avrebbe sortito sulle dinamiche idriche e geologiche dell’area 
sottostante (cfr. in termini:Tar Puglia, Lecce sent. n. 2247/2007). 
Non vi è dubbio che una approfondita istruttoria appare ancora più necessaria 
nella materia de qua, anche al fine di scongiurare il pericolo che la quanto mai 
onerosa prescrizione imposta alla ricorrente possa produrre sull’ambiente più 
problemi di quelli che tende a risolvere.
Anche se l’accoglimento dei motivi appena affrontati determina l’accoglimento 
del ricorso, ritiene il Collegio opportuno esaminare anche il sesto motivo di 
censura con il quale la ENDESA assume che la costruzione di questa barriera 
fisica (finalizzata ad intercettare le acque di falda contaminate), rientra fra 
i progetti per i quali è necessaria la previa valutazione di impatto ambientale, 
trattandosi di un’opera che dovrà avere una profondità superiore a 10 m.; o che, 
se non si vuole assimilare la stessa ad una "diga", comunque, rientra fra gli 
“interventi di bonifica… destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi 
quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio... lacuale”. (Lett. o) 
punto 7, Allegato B al DPR 12.4.1996), dove la realizzazione dell’opera deve 
quantomeno essere sottoposta alla fase di verifica per stabilire se è necessario 
procedere o meno alla valutazione di impatto ambientale.
Ad avviso del Collegio la censura è fondata.
Premesso che inspiegabilmente nessuno studio risulta essere stato condotto 
dall’Amministrazione al fine di verificare l’impatto che la realizzazione di 
tale progetto arrecherebbe sul territorio circostante, ad avviso di questo 
Collegio, condividendo quanto già sostenuta in un caso analogo dal TAR Sicilia 
(sent. sopra citata) “l’opera di confinamento fisico ipotizzata dal Ministero 
dell’Ambiente ed imposta con i provvedimenti impugnati è soggetta a procedura 
obbligatoria di valutazione di impatto ambientale, sia ai sensi della normativa 
pre-vigente (in quanto rientrante, in particolare, negli impianti contemplati 
dall’art. 1, comma 1, lett. l) del d.p.c.m. 10 agosto 1988, n. 377), sia ai 
sensi delle nuove norme in materia ambientale approvate con il D.Lgs 3 aprile 
2006, n. 152.”.
In particolare, l’art. 1, comma 1 del dpcm 10 agosto 1988, n. 377 in relazione 
alla procedura di valutazione di cui all'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 
349, elenca fra i progetti da sottoporre alla VIA quelli relativi ad opere 
rientranti nella seguente categoria:…lett. l) impianti destinati a trattenere, 
regolare o accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 15 m o 
che determinano un volume d'invaso superiore ad 1.000.000 metri cubi, nonché 
impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque a fini 
energetici in modo durevole, di altezza superiore a 10 m o che determinano un 
volume d'invaso superiore a 100.000 metri cubi”; 
La disposizione è stata sostanzialmente ampliata e riproposta con il D.P.R. 12 
aprile 1996, e la barriera di cui si tratta, ad avviso del Collegio, ben può 
rientrare fra i progetti di cui all’allegato A, lett. r) art. 1, comma 3, che 
sottopone, tra altre opere, alla procedura di valutazione di impatto ambientale: 
“r ) Dighe ed altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le 
acque in modo durevole, ai fini non energetici, di altezza superiore a 10 m e/o 
di capacità superiore a 100.000 mc.”.
Sul punto la difesa erariale, fermandosi alla lettera della disposizione, assume 
che l’opera in questione non si sviluppa in altezza, ma in profondità e che 
neppure potrebbe avere capacità superiore a 100.000 mc in quanto inidonea a 
raccogliere le acque di falda. 
Ritiene il Collegio che la questione vada approfondita in termini sostanziali e 
non meramente formali, anche se la lettura letterale della disposizione può 
condurre alla soluzione qui accolta, la barriera prescritta è difatti un 
“impianto destinato a trattenere le acque in modo durevole ai fini non 
energetici di altezza superiore a 10 metri”.
Comunque è evidente che vada soprattutto individuata la ratio della disposizione 
sopra riportata.
La volontà del legislatore va, difatti, interpretata anche alla stregua della 
direttiva comunitaria 85/337/CEE, in materia ambientale, dei cui contenuti il 
DPR 16 aprile 1996 si fa carico, e non vi è dubbio che questa sia nel senso di 
sottoporre al VIA quelle opere che possono avere implicazioni durature sulla 
composizione del suolo, sulla fauna e sulla flora e che possono indurre un 
impatto considerevole sull’ambiente, così come non vi è dubbio che un’opera 
delle dimensioni e di impatto come quella richiesta alla ricorrente determini 
un’incidenza ambientale importante su tutte le matrici interessate (suolo, 
acque, paesaggio, ecc.). 
In questa ottica, ad avviso del Collegio, si è mossa la nuova normativa di cui 
al D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (entrato in vigore, per la parte che qui 
interessa, il 31 luglio 2007), dove all’art. 4 si legge: “4. La valutazione di 
impatto ambientale riguarda i progetti di opere ed interventi che, per la loro 
natura o dimensione, possono avere un impatto importante sull'ambiente ed è 
preordinata a garantire che gli effetti derivanti dalla realizzazione ed 
esercizio di dette opere ed interventi sull'ecosistema siano presi in 
considerazione durante la loro progettazione e prima dell'approvazione o 
autorizzazione dei relativi progetti, o comunque prima della loro 
realizzazione”.
L’art. 23, a sua volta, prescrive: “1. Sono assoggettati alla procedura di 
valutazione di impatto ambientale: a) i progetti di cui all'elenco A 
dell'Allegato III alla parte seconda del presente decreto, ovunque ubicati”, e 
l’elenco A dell’Allegato III alla parte seconda prevede, tra i progetti di cui 
all'articolo 23, comma 1, lettera a), al punto 15: “Dighe e altri impianti 
destinati a trattenere le acque o ad accumularle in modo durevole di altezza 
superiore a 10 m e/o di capacità superiore a 100.000 metri”.
Si esamina, da ultimo, la censura di cui all’ottavo motivo, dove la ricorrente 
deduce il difetto di istruttoria e di motivazione in quanto illegittimamente la 
Conferenza di servizi decisoria ha subordinato la restituzione agli usi 
legittimi della porzione di area denominata “Turbogas” alla condizione che 
l'Azienda, atteso il superamento rilevato in un piezometro superficiale, per i 
parametri solfati e manganese, provvedesse alla elaborazione e trasmissione del 
progetto di bonifica della falda, basato sul confinamento fisico.
Ad avviso del Collegio la censura è fondata e merita accoglimento anche alla 
stregua delle considerazioni sopra svolte.
Si rileva un evidente contrasto, sul punto, tra gli esiti della Conferenza 
istruttoria e quelli della Conferenza decisoria quanto alle condizioni per la 
restituzione di parte dell’area in questione ed alle tecniche di bonifica 
possibili, vizi riflettentisi sul decreto che ne ha approvato le prescrizioni.
Non appare, infatti, evidenziata nel corso del procedimento alcuna ragione per 
imporre, in sede di progetto di bonifica, il confinamento fisico della falda, 
mentre non risultano prese autonomamente in considerazione, o raffrontate negli 
effetti e nei costi, soluzioni tecniche alternative quali, per esempio, una 
barriera idraulica, né le valutazioni tecniche sulla dinamica della falda e 
sulla provenienza delle fonti inquinanti, illustrate nella relazione dell’ARPA.
In ogni caso nella Conferenza istruttoria era stato chiarito che la suddetta 
area, pari a circa 1 ha, “sia restituibile agli usi legittimi a condizione che 
l’Azienda, attesi i superamenti rilevati in un piezometro superficiale per i 
parametri solfati e manganese provveda …. alla elaborazione e trasmissione del 
Progetto di bonifica della falda”.
La ulteriore condizione apposta, cioè che il progetto fosse “basato sul 
confinamento fisico” , che appare per la prima volta nella Conferenza decisoria 
impugnata, appare al Collegio illegittima perché totalmente carente sia di 
motivazione in ordine alle problematiche dell’area denominata “Turbogas” sia di 
adeguati approfondimenti istruttori rispetto ad altre soluzioni tecniche 
possibili.
Né può ritenersi legittima giustificazione, seppure a posteriori, il rilievo che 
identiche soluzioni siano state imposte ad altre Imprese o che altra società, 
coinsediata nel sito, la società Terna, abbia presentato un progetto di bonifica 
delle acque di falda basato proprio sul confinamento fisico. 
La peculiare posizione della ricorrente meritava un’autonoma valutazione, 
differenziandosi da quella di altri soggetti.
Alla stregua delle considerazioni svolte ed assorbiti gi ulteriori motivi di 
censura, il ricorso è accolto e per l’effetto, viene annullato il decreto del 
Direttore Generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente 
impugnato con i motivi aggiunti, nonché le determinazioni della Conferenza 
decisoria del 30 agosto 2006, nella parte in cui delibera sul Punto 8) 
all’ordine del giorno.
Alla soccombenza segue la condanna dell’Amministrazione statale intimata al 
pagamento delle spese di giudizio che si liquidano nella misura indicata in 
dispositivo.
Le spese nei confronti della Regione sarda, possono essere invece compensate, 
atteso il ruolo di minore rilievo dalla stessa avuto nel procedimento 
contestato.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA
Accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto annulla il decreto del Direttore Generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente impugnato, nonché le determinazioni della Conferenza decisoria del 30 agosto 2006, nella parte in cui delibera sul Punto 8) all’ordine del giorno.
Respinge la domanda di estromissione dal giudizio della Regione sarda.
Condanna l’Amministrazione statale intimata al pagamento delle spese di giudizio 
che liquida nella misura di € 3.000/00 (tremila/00), più IVA e CPA.
Compensa le spese nei confronti della Regione sarda.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio, il giorno 11 luglio 2007, 
dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l'intervento dei 
signori:
Lucia Tosti, Presidente;
Rosa Panunzio, Consigliere, estensore
Francesco Scano, Consigliere.
Depositata in segreteria oggi: 08/10/2007
il Segretario Generale
 
 
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